La lettura che la maggior parte della stampa e della politica borghese dà della “tregua” a Gaza è generalmente positiva e sembra essere imperniata su due aspetti principali: il merito di Donald Trump, aspirante Nobel per la pace, di aver fermato una carneficina che durava da due anni (indirizzo soprattutto dei media legati alla destra) e il sollievo per una tregua lungamente attesa che, sebbene ancora imperfetta nei suoi termini, porta la speranza di condurre a una pace duratura (soprattutto nei canali della falsa opposizione). In questo articolo mostreremo come il piano di Trump, e tutto ciò che ne consegue, possono essere definiti come classici esempi di pace imperialista che, in cambio di una sospensione molto incerta del genocidio dei palestinesi, ratifica formalmente lo status di Gaza come lager a cielo aperto sotto il controllo, di fatto, degli Stati Uniti attraverso il tramite di Israele e dei capitali privati che vogliono fare affari con le sue risorse.
Falsi meriti e false tregue
Va chiarito, innanzitutto, che le due premesse da cui partono le letture citate sarebbero già smentite dai fatti accaduti, senza bisogno neppure di ipotizzare come evolverà la situazione nella Striscia di Gaza nei prossimi mesi.
Per quanto riguarda i meriti di Donald Trump, appare quantomeno paradossale che chi è corresponsabile delle circa 70mila morti (quelli accertati – si stimano in parecchie decine di migliaia i corpi ancora tra le macerie) tra i palestinesi sia elogiato per il fatto che abbia deciso di smettere, dopo mesi, di massacrare degli esseri umani. Il paragone facile che potrebbe essere fatto è il premiare un serial killer che smette di uccidere, piuttosto che processarlo per ciò che ha commesso – il che appare anche contraddittorio con l’ipocrita ideologia “securitaria” di cui si ammanta continuamente la destra. La verità è che Trump è stato, esattamente come il suo predecessore alla Casa Bianca, il maggiore fornitore di armi a Israele allo scopo di portare avanti i piani di genocidio. Secondo i dati dell’International trade administration, aggiornati a luglio di quest’anno, nel 2025 gli Stati Uniti hanno esportato verso Tel Aviv prodotti per un valore complessivo di circa otto miliardi di dollari e il prodotto più esportato sono state, naturalmente, bombe e granate per un totale di poco più di un miliardo di dollari (1,072 miliardi). E questa è solo una piccola parte rispetto alla mole di aiuti militari inviati dagli Stati Uniti a Israele – che secondo la Brown University hanno raggiunto quota 21,6 miliardi di dollari tra ottobre 2023 e settembre 2025.
Per quanto riguarda le aspettative di pace, esse sono già messe in discussione, prevedibilmente, dall’esercito israeliano (IDF) che sfrutta ogni pretesto per riaprire il fuoco. Nonostante la tregua, l’IDF ha continuato a colpire la Striscia di Gaza, causando nuove vittime tra i civili, una grave violazione del cessate il fuoco, proseguendo le operazioni militari in contrasto con lo spirito e la lettera dell’intesa. Allo stesso tempo, Israele ha mantenuto rigide restrizioni sull’ingresso degli aiuti umanitari, ostacolando l’apertura completa del valico di Rafah e impedendo l’ingresso delle attrezzature necessarie per le squadre incaricate di localizzare e recuperare anche i corpi degli ostaggi stessi. Il cessate il fuoco è stato perennemente in bilico, fino ad arrivare agli attacchi aerei israeliani a Rafah del 19 ottobre. Addirittura, il 20 ottobre, Itamar Ben-Gvir, ministro della Sicurezza Nazionale di Israele, ha dichiarato a un’emittente israeliana che, dopo la recente restituzione degli ostaggi, Israele deve riprendere le operazioni militari su vasta scala a Gaza.
I reali motivi dell’iniziativa di Trump
Abbiamo visto come Trump, lungi dall’essere un “portatore di pace” sia uno dei principali responsabili del genocidio. Ma la sua decisione di proporre una sospensione delle operazioni militari di Israele è stata dettata da ragioni umanitarie? Evidentemente no: non esiste un’unica motivazione per la scelta di Trump, ma la concorrenza di più elementi tutti legati alle ragioni dell’imperialismo americano. Uno di questi elementi può essere rintracciato nel fatto che il debito pubblico americano ha superato il 36.000 miliardi di dollari, raggiungendo il 123% del PIL. In questo contesto, il governo deve cominciare a stabilire delle priorità, anche perché il dollaro sta progressivamente perdendo terreno come valuta di riferimento per gli scambi internazionali, e quindi i titoli del debito USA diventano progressivamente meno appetibili. Israele, d’altronde, può essere il gendarme degli USA nell’area anche senza annientare completamente i palestinesi, come vorrebbero fare gli elementi più estremisti, come Smotrich, Ministro delle finanze di Israele. Piuttosto che finanziare la voragine del piano di annientamento, è ragionevole per Trump ridurre l’esposizione e finanziare un piano coloniale più morbido.

Il percorso del corridoio IMEC
La pacificazione del Medio Oriente, inoltre, serve agli USA (ma anche all’Italia) per tornare a spingere sul progetto del corridoio India-Medio Oriente-Europa (IMEC), che è l’alternativa a trazione USA alla Nuova Via della Seta cinese. Effettivamente, gli USA hanno preso definitivamente in mano la situazione quando Israele ha fatto delle mosse che rischiavano di compromettere i rapporti con le monarchie arabe alleate degli USA: un turning point evidentissimo nella postura degli USA è stato l’attacco israeliano in Qatar. Quello che sta avvenendo in Palestina va letto quindi nel quadro di insieme della competizione imperialista in Medio Oriente, e una questione di importanza fondamentale per comprendere gli interessi imperialistici per l’alleanza con Israele è quella dei corridoi commerciali – la stessa partecipazione dell’Italia all’IMEC ha coinciso, in effetti, con il ritiro di Roma dalla Belt and Road Initiative cinese nel dicembre 2023, due mesi dopo l’annuncio dell’IMEC.
Da un lato, dunque la disastrosa situazione dei conti pubblici USA non consente più loro di svolgere il ruolo di gendarmi mondiali, finanziando guerre e conflitti. Questo costringe gli Stati Uniti a presentarsi come pacificatori anche per cercare di recuperare l’immagine di affidabilità bruciata dalle precedenti amministrazioni, il che giova sempre nell’ambito del commercio estero. Dall’altro lato, gli USA (e in subordine l’UE) avevano la necessità di non far naufragare gli Accordi di Abramo per mantenere in vita i progetti di corridoi commerciali e energetici alternativi alla Via della Seta e, quindi, di non suscitare reazioni delle monarchie del Golfo che fossero eccessivamente ostili a Israele, centro di questi progetti. Al di là della propaganda, nella concezione americana Gaza ha uno status ufficialmente non ancora definito, ma viene sempre più chiaramente concepita come parte di Israele: Gaza ha anche un ruolo chiave nei progetti suddetti. Per questo gli USA sono intervenuti solo dopo che Gaza è stata distrutta e una parte della popolazione gazawi sterminata dal genocidio.
Un piano colonialista
Il piano di Trump per la Striscia di Gaza è stato denominato dal suo autore “pace eterna” ed è, a partire dal nome, mostruosamente crudele e beffardo. Dopo i settantamila morti (accertati per ora) innocenti per mano di Israele, questo non solo non viene sanzionato o punito ma ad esso viene affidata, ancora, le gestione della “sicurezza” di Gaza (secondo il punto 15 del piano, «una forza internazionale di stabilizzazione […] collaborerà con Israele ed Egitto per contribuire a garantire la sicurezza delle zone di confine»). Inoltre, in linea teorica, i palestinesi di Gaza dovrebbero vivere in un protettorato americano e rinunciare alla loro resistenza armata, sebbene quest’ultimo punto appaia, per il momento, messo da parte (con Trump che sta tollerando, peraltro, la resa dei conti interna di Hamas contro le milizie filo-israeliane). Per fare un paragone storico, sarebbe stata la stessa cosa se nel 1945 i Paesi occupati dai tedeschi fossero stati, in cambio della pace, affidati ad Hitler e si aspetti che essi smobilitino le organizzazioni partigiane. Il piano prevede, dunque, che nella Striscia sarà installato un governo tecnico finalizzato a sfruttare il più possibile le risorse ambientali, energetiche, umane e gli investimenti immobiliari che tanto stanno a cuore agli Stati Uniti e a Israele.
Come si legge nel punto 9: «Gaza sarà governata da un comitato palestinese tecnocratico e apolitico, responsabile della gestione quotidiana dei servizi pubblici e delle amministrazioni comunali per la popolazione di Gaza. Questo comitato sarà composto da palestinesi qualificati ed esperti internazionali, con la supervisione e la supervisione di un nuovo organismo internazionale di transizione, il “Board of Peace“, che sarà presieduto dal presidente Donald J. Trump con altri membri e capi di Stato che saranno annunciati».
La Striscia di Gaza, secondo gli accordi accettati dai palestinesi con la pistola puntata alla tempia, dovrebbe diventare il carnaio dei capitalisti. La cosa più grave, e che non sorprende affatto vista la provenienza di questa proposta, è che neanche una parola viene proferita per garantire alla giustizia internazionale, pur con tutti i suoi limiti, il regime di Tel Aviv. Israele sarà libero di proseguire con la sua politica di apartheid, sfruttamento dei cittadini palestinesi, occupazione della Cisgiordania e a utilizzare ogni pretesto per ricominciare con lo sterminio. Chi ha osato ribellarsi e difendersi, come le organizzazioni armate palestinesi, secondo il piano di disarmo, dovrà accettare di essere bollato come il “cattivo” della situazione.
Gaza come una torta da spartire
Il piano di Trump è, dunque, la definitiva legittimazione del genocidio, per il quale nessuno pagherà eccetto i palestinesi stessi che, se disarmati, diventeranno completamente succubi dei piani imperialisti di USA-NATO-UE, e saranno ridotti a un esercito di schiavi per i capitali europei, americani, e non solo. Al primo segno di ribellione lo sterminio potrà ricominciare.
D’altronde, le risorse di Gaza bastano per giustificare il piano di completa espropriazione della terra dai palestinesi. A Gaza, nonostante l’avanzare del genocidio, ci sono circa 2 milioni di abitanti, con il 47 % della popolazione che è sotto i 18 anni; circa il 68 % è sotto i 30 anni. Un esercito di manovalanza giovane, disperata e discretamente istruita: una cuccagna per il capitale. La ricostruzione di Gaza si preannuncia come il più grande cantiere del Medio Oriente: quasi 200mila edifici da rifare, reti idriche ed elettriche da rimettere in funzione, strade e servizi essenziali da ripristinare.
La Banca Mondiale, per la ricostruzione, stima un fabbisogno vicino agli 80 miliardi di dollari.
Il business della ricostruzione fa gola a tutti i capitali del mondo: sul fronte europeo, Commissione UE e la Banca europea per gli investimenti (BEI) stanno preparando una facility dedicata e hanno già annunciato una linea di credito da 400 milioni di euro con l’Autorità monetaria palestinese (dell’ANP) per sostenere il tessuto produttivo.

Uno screenshot del video di Trump che mostra la sua idea di una Gaza Riviera
In campo andrà una filiera ibrida: esecuzione rapida con imprese locali e dell’area mediorientale, progettazione e controllo a gruppi internazionali. La Banca Mondiale e il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP) coordinano gli early recovery contracts. Le rivelazioni del ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich e del “business plan” immobiliare per Gaza, progetto che si trova ora sul tavolo del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, non lasciano dubbi, d’altronde. Il progetto consiste in un investimento di 100 miliardi di dollari e prevedrebbe blocchi di appartamenti di proprietà di investitori immobiliari internazionali e uno sviluppo sul lungomare. Anche la Lega Araba aveva delineato, già a marzo, un Gaza Reconstruction Plan finanziato da Qatar, Emirati, Arabia Saudita ed Egitto, il quale somiglia molto, peraltro, al piano odierno di Trump, prevedendo che un gruppo di “tecnocrati palestinesi indipendenti” gestisca gli affari a Gaza, sostituendo di fatto Hamas. Questo indica l’intenzione di questi Paesi di sfruttare a loro volta il business della ricostruzione, dopo non aver mosso un dito per contrastare il genocidio. C’è infine la questione del giacimento “Gaza Marine”, situato a 36 chilometri a largo di Gaza, una riserva stimata di gas naturale pari a circa 30 miliardi di metri cubi occupata da anni da Israele, con un potenziale economico stimato che potrebbe generare introiti per miliardi di dollari; alcuni autori citano circa 4 miliardi di dollari come valore totale potenziale, con ritorni annuali ipotizzati (se sviluppato) per oltre 15 anni.
Gli interessi dei padroni italiani a Gaza e in Israele
La ricostruzione è anche un affare anche per il capitale italiano: la Presidente del Consiglio Meloni e il Ministro dell’Economia e delle Finanze Giorgetti intendono garantire un ruolo nella ricostruzione al settore privato italiano, garantendo ingenti profitti alle imprese nazionali. Degli interessi del capitale nostrano a sostenere Israele abbiamo già parlato. Ora l’Italia si candida ad avere un posto nel “board of peace” che gestirà la transizione a Gaza (a margine è circolata la voce di ruolo nel board dell’ex ministro del Partito Democratico Marco Minniti, oggi presidente della Fondazione Med-Or) e si dice anche pronta ad inviare truppe all’interno di un contingente ONU – la cosiddetta Forza Internazionale di Stabilizzazione. Secondo alcune fonti giornalistiche, tra le aziende italiane che potrebbero avere un ruolo nella ricostruzione di Gaza ci sono: Buzzi, specializzata nella produzione di cemento e calcestruzzo e controllata dall’omonima famiglia; Cementir, attiva nello stesso settore, con Francesco Gaetano Caltagirone che ne detiene il 66,7% del capitale; Webuild, gruppo di ingegneria e costruzioni partecipato da Salini (38,5%) e Cdp Equity (16,4%); Saipem, società di infrastrutture energetiche, di cui ENI (21,1%) e CDP Equity (12,8%) sono i principali azionisti; Ansaldo Energia, società di impianti energetici controllata quasi interamente da CDP Equity; Maire, gruppo ingegneristico controllato da GLV Capital (51%) di Fabrizio Di Amato. CDP Equity è una holding controllata al 100% da Cassa depositi e prestiti, che risponde a sua volta al ministero dell’Economia.

I giacimenti a largo di Gaza e Israele
Intanto si sta riaprendo la partita dell’offshore gas e dello sfruttamento delle risorse minerarie in mano israeliana, che spiega in parte perché l’alleanza con Tel Aviv sia preziosa per molti governi, tra cui quello italiano. Israele, infatti, sta accelerando di nuovo sull’espansione dei giacimenti di gas naturale Tamar e Leviathan, mentre tornano attivabili le licenze assegnate nel 2023. Diverse società italiane sono coinvolte direttamente nelle infrastrutture e nelle licenze legate al gas israeliano. ENI, attraverso la controllata ENI UK, ha perfezionato nel 2024 un’operazione di fusione con Ithaca Energy, società parte del gruppo israeliano Delek. Inoltre, ENI ha ottenuto da Tel Aviv licenze di esplorazione offshore in aree di fronte a Gaza, considerate illegittime ai sensi del diritto internazionale in quanto in acque pertinenti alla Palestina, occupate illegalmente da Israele.
Gaza diventerebbe dunque la gallina dalle uova d’oro dei capitali imperialistici in affanno che cercano di rilanciarsi attraverso gli investimenti facili in Medio Oriente, sull’onda di un Israele di nuovo legittimato a fare da braccio armato per dirimere ogni contraddizione tra le potenze avversarie nella zona e a fornire gas considerato “sostitutivo” di quello russo – ecco perché nessun governo borghese ha intenzione di deteriorare i propri rapporti con Tel Aviv persino di fronte agli atroci crimini compiuti in questi due anni. Anche l’Unione Europea, d’altronde, ha guardato al gas israeliano come a un sostegno per ridurre la dipendenza dalla Russia.
Nel 2022, la Commissione europea aveva firmato un memorandum con Israele ed Egitto, che consentiva di convogliare gas israeliano nei terminal egiziani e da lì liquefarlo e spedirlo in Europa. Se il piano di Trump incassa il sostegno di tutti i governi europei e anche della maggior parte delle opposizioni, i motivi sono evidenti.
Conclusioni
C’è una ragione se il piano criminale e colonialista di Trump per Gaza piace a tutti: in Italia è stato accolto con simpatia dalle destre e dalla falsa opposizione del centro-sinistra, con il presunto “pro-palestina” Giuseppe Conte1 che ha affermato che «lo spirito complessivo del piano è condivisibile». E non solo in Italia: all’estero è stato approvato con favore da tutte le potenze imperialiste, da Netanyahu al portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov, dalla Cina – della cui connivenza malcelata con Israele abbiamo parlato – ai leader europei, da Ursula von der Leyen a Emmanuel Macron e alla Spagna di Pedro Sánchez.
La verità è che chi ha sempre sostenuto, nei governi borghesi, gli investimenti nella guerra e nelle spese militari, chi non ha mai messo in discussione UE e NATO, chi non mette in discussione il modello capitalista non è capace di concepire altra “pace” che quella basata sul ricatto e sul profitto dei padroni, imposta ai popoli con la pistola puntata. Destra e falsa sinistra, governi euroatlantici e non, da questo punto di vista sono tutti dalla parte del colonialismo di marca israeliana allo scopo di ottenere un posto, per i loro capitali di riferimento, al banchetto della spartizione di Gaza.
Il piano di Trump, in effetti, è il paradigma perfetto di pace imperialista, che simula la costruzione di un accordo a beneficio di tutti mentre mette in atto una mera sospensione del massacro di un popolo a condizione che questo accetti di essere oggetto di dominio e sfruttamento da parte degli stessi padroni che hanno supportato il genocidio. Se esiste una speranza di pace che venga come conclusione della liberazione della Palestina dal dominio sionista questa non può passare dalle trattative tra i governi borghesi. Essa non può prescindere, invece, dal successo della lotta di liberazione nazionale del popolo palestinese, che è una lotta giusta come è giusto l’obiettivo della creazione effettiva di uno Stato palestinese indipendente. Questo obiettivo necessita del sostegno senza riserve del movimento operaio – popolare a livello internazionale, come abbiamo già spiegato altrove. Tuttavia, è certo che questa lotta potrà realizzare le aspettative dei lavoratori e delle forze popolari della Palestina solo nella sua connessione, nel suo rapporto con la lotta per il socialismo; sebbene questo non significhi che, in nome della prospettiva socialista, possa essere messa in discussione la necessità immediata della lotta odierna del popolo palestinese per la costituzione del proprio Stato, lotta che può essere condotta solo dalle organizzazioni palestinesi laiche e progressiste, all’interno della lotta di liberazione nazionale, proprio come anello di congiunzione con la lotta per il socialismo.
1 – Tra l’altro, proprio nei due anni di governo Conte la vendita di armi italiane a Israele ha avuto il picco dell’ultimo periodo, con 21 milioni nel 2020 e 28 milioni nel 2019.








