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Home›VPI - Articoli›La guerra, gli armamenti e il disastro ambientale

La guerra, gli armamenti e il disastro ambientale

Di Redazione
25/05/2025
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Di Marina Weilguni, da RiktpunKt, organo del Partito Comunista di Svezia (SKP)
6 maggio 2025
Link all’originale

 

La corsa al riarmo odierna in tutta Europa, e dunque anche in Svezia, non porta solo ad avvicinarci a una nuova grande guerra in futuro, né soltanto ai tagli al welfare e all’istruzione con la conseguente riallocazione dei fondi verso un bilancio militare sempre più ampio. Essa comporta anche una vasta distruzione ambientale e contribuisce ai cambiamenti climatici che minacciano l’intero pianeta.

E tuttavia non vengono rendicontate le emissioni e il consumo di energia relativi all’impegno bellico, impedendo che questo dato possa essere confrontato con altri settori della società svedese – perché i militari fissano e perseguono in autonomia i propri obiettivi climatici, decidendo arbitrariamente cosa comunicare nei propri rapporti. Sono esclusi fin dall’inizio dalla già carente politica ambientale del capitalismo. Sul sito delle Forze Armate, “Difesa sostenibile”, si susseguono dunque parole d’ordine altisonanti e frasi fatte, senza che venga presentata la minima cifra.

L’impatto climatico delle forze armate svedesi è completamente incomprensibile, non trasparente e molto rilevante

Il rapporto Frikortet del 2020 (“Il lasciapassare”, NdT) dell’Associazione Svedese per la Pace e l’Arbitrato mette il dito nella piaga ed è una lettura illuminante. Da esso si apprende, ad esempio, che il Parlamento svedese richiede alle autorità del paese di rendicontare in materia ambientale e climatica, come previsto dal sistema statale di gestione ambientale, regolato dal decreto (2009:907). La Difesa è l’unico grande ente pubblico in Svezia esentato da questo sistema di gestione ambientale e non è soggetta a tale regolamento. Non riporta i propri dati all’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente, ma utilizza invece un proprio sistema interno di gestione ambientale che, secondo quanto mostra il rapporto, presenta gravi carenze.

Mancano del tutto obiettivi per le emissioni di gas serra e per il consumo di carburanti. Ciò che si può ricavare riguarda le emissioni da trasporti interni delle Forze Armate: le emissioni derivanti dall’uso di carburante da parte dell’Esercito rientrano infatti nella rendicontazione della Svezia alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Da questi dati risulta che le emissioni di gas serra legate ai trasporti interni delle Forze Armate non sono diminuite dal 2010. Nel 2020, la loro entità corrispondeva a circa un terzo delle emissioni del traffico aereo civile interno – e ciò dopo un periodo di ridotta attività militare. Da allora abbiamo assistito a un incredibile aumento del bilancio militare e a una nuova intensificazione del riarmo, quindi è ovvio che quei numeri siano ormai superati. Eppure erano già allarmanti allora.

Le emissioni derivanti da attività in altri paesi non sono incluse nella rendicontazione. L’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente misura nelle sue relazioni per altre autorità anche le emissioni totali causate in altri paesi, le cosiddette emissioni basate sul consumo. Tali dati ovviamente mancano per quanto riguarda le Forze Armate. Non vengono inoltre riportate le emissioni derivanti dalle esercitazioni di altri paesi sul territorio svedese.

Quello che si può dunque constatare è che l’impatto climatico dei militari è completamente incomprensibile, non trasparente e molto rilevante. Oltre ai trasporti di materiale bellico e soldati, si svolgono naturalmente esercitazioni ad alto consumo energetico e produttive di emissioni, durante le quali vengono sparati proiettili e missili. Inoltre, terra e acqua sono esposte a sostanze chimiche pericolose e rifiuti militari.

Le risorse del pianeta vengono saccheggiate e le armi esportate

Ma è sufficiente questa analisi? No – perché tutta questa materia bellica deve anche essere prodotta. E che la produzione avvenga in Svezia o all’estero, richiede energia e materie prime: acciaio, composti esplosivi, terre rare, plastica e sostanze chimiche. Le risorse del pianeta vengono saccheggiate dal capitalismo, e una gran parte di questo saccheggio alimenta la macchina distruttrice militare. E questa macchina distruttrice è oggi a pieno regime, con profitti e produzione in aumento proprio in questo periodo di isteria bellicista.

E infine c’è la guerra stessa, dove la Svezia contribuisce con enormi quantità di materiale bellico ai paesi in conflitto. Nel resoconto dell’ISP, l’Ispettorato per i Prodotti Strategici, si trovano numerosi paesi – compreso Israele – che acquistano armi svedesi e le usano nelle loro guerre, senza che vengano nemmeno conteggiate le massicce donazioni di armi all’Ucraina.

Il sistema imperialista nel suo complesso

Se si guarda oltre i confini della Svezia, la situazione è la stessa ovunque. In un articolo del Guardian sull’impatto ambientale dei militari, Doug Weir, presidente della rete di ricercatori CEOB (Osservatorio dei conflitti e dell’ambiente, NdT), afferma che i conflitti militarizzati e le attività militari sono responsabili di oltre il 5% delle emissioni globali di gas serra. Tuttavia, questa cifra è solo una stima approssimativa, perché i dati necessari non vengono forniti dalla maggior parte degli stati.

Se servono dati allarmanti, ce ne sono ovunque: i giornalisti investigativi di Truthdig riportano che il Pentagono ha emesso circa 1,2 miliardi di tonnellate di gas serra, inclusa la CO₂, tra il 2001 e il 2017. I risultati mostrano che se il Pentagono fosse considerato uno stato, sarebbe il 55° maggior emettitore di gas serra al mondo – con emissioni superiori a quelle di Portogallo o Svezia.

Un altro studio riguarda i danni climatici causati dalla guerra in Ucraina, dove i ricercatori stimano che le emissioni annuali generate corrispondano all’intero volume di emissioni di un’intera nazione industriale come il Belgio.

Il genocidio israeliano a Gaza uccide anche a lungo termine: solo nei primi 120 giorni di guerra a Gaza, le emissioni sono state superiori alla somma delle emissioni di 26 paesi e territori nel mondo, e Israele è responsabile del 90% di esse. Mariam Abd El Hay, ricercatrice palestinese, sottolinea che persino le macerie degli edifici bombardati a Gaza provocano danni:

“Le esplosioni che frantumano i materiali da costruzione in piccole parti rilasciano particelle tossiche nell’ambiente, che vengono poi assorbite dagli esseri umani. Anche se l’esposizione maggiore a queste tossine avviene al momento dell’esplosione, le microparticelle di polvere e cenere tossica si diffondono con il vento e vengono trasportate da passi e veicoli in movimento.”

Abd El Hay stima che finora la guerra abbia prodotto circa 900.000 tonnellate di rifiuti tossici, inclusi materiali radioattivi, metalli pesanti, pesticidi e altre sostanze chimiche.

La lotta per l’ambiente è organizzarsi contro il militarismo e la guerra

E mentre tutto questo accade sotto la superficie dell’imperialismo, le autorità e talvolta anche il movimento ambientalista ci invitano a differenziare i rifiuti, comprare prodotti ecologici, usare i mezzi pubblici e non sprecare l’acqua calda. Naturalmente, questo non è sbagliato di per sé – ma diventa un errore quando si pone l’accento sul comportamento delle persone comuni, sostenendo che il cambiamento delle abitudini di consumo possa salvare il pianeta.

La singola azione più importante per l’ambiente che una persona normale possa compiere oggi è organizzarsi contro il militarismo e la guerra. Cambiare stile di vita è positivo a livello personale, non da ultimo perché chiarisce a te stesso la tua distanza dallo sfruttamento del capitalismo. Ma nulla di tutto ciò ha significato nel quadro generale, se non si combatte anche il sistema orribile che, con il suo saccheggio e le sue guerre sfrenate, distrugge le stesse condizioni di vita degli esseri umani sulla Terra.

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