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L’egemonia proletaria nella lotta antimperialista

Di Redazione
17/08/2025
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Di Machado, da Em Defesa do Comunismo, blog del Partito Comunista Brasiliano Rivoluzionario (PCBR)
4 agosto 2025
Link all’originale

 

Solo la politica proletaria dei comunisti rappresenta un’alternativa scientifica e coerente nella lotta contro l’imperialismo e per la sovranità nazionale, poiché solo la rivoluzione proletaria, socialista, può spezzare definitivamente le catene che sottomettono la nostra nazione agli interessi del capitale.

Gli avvenimenti più recenti, nel quadro nazionale e internazionale, confermano con precisione la constatazione del nostro Partito che l’attuale fase di crisi capitalista sta conducendo a un inasprimento delle contraddizioni tra le potenze imperialiste e allo sviluppo di una terza guerra mondiale interimperialista.

Negli ultimi mesi, diversi eventi nell’arena internazionale sono al tempo stesso conseguenza ed espressione di questo inasprimento, mettendo a nudo l’avanzata della barbarie imperialista:

  • la caduta del governo siriano e l’instaurazione di un governo fantoccio dell’imperialismo statunitense e israeliano;
  • l’intensificazione del genocidio a Gaza, con il sostegno e la complicità di tutte le potenze imperialiste;
  • la regionalizzazione del conflitto in Medio Oriente, con l’offensiva di Israele e Stati Uniti contro l’Iran;
  • il rafforzamento, da parte di Trump, degli embarghi contro Cuba;
  • l’inasprimento autoritario del regime venezuelano e la propaganda della proposta militarista del governo Maduro per avanzare sul territorio dell’Essequibo;
  • la prosecuzione del conflitto interimperialista in Ucraina, con un’offensiva senza precedenti dell’esercito russo e il rafforzamento dell’autoritarismo del governo ucraino, già oggetto di proteste.

E, più recentemente, nonostante l’illusione che la presunta “neutralità” brasiliana e una diplomazia “multipolare” potessero proteggere il nostro Paese dalle pressioni imperialiste, Donald Trump ha lanciato un ultimatum contro la nostra sovranità nazionale innalzando i dazi sui prodotti brasiliani e facendo pressione per un’amnistia alla destra golpista, in particolare a Bolsonaro.

Questo attacco, ovviamente, non è frutto del “delirio” di un “leader folle”, come la stampa liberale vuole far credere, ma un chiaro gesto di pressione per allontanare il Brasile dall’alleanza subimperialista dei BRICS e sottometterlo all’egemonia del blocco USA-UE-NATO, o attraverso la sottomissione dell’attuale governo social-liberale, o tramite l’elezione di un governo di estrema destra ideologicamente disposto ad allontanare il Brasile dai BRICS.

Di fronte all’attacco imperialista, le masse brasiliane hanno reagito con indignazione, ripudiando la condotta dei Bolsonaro, che hanno cospirato contro il proprio Paese, e dimostrando che, anche dopo decenni di torpore, vi è ancora una coscienza, seppur iniziale, della difesa della sovranità nazionale.

Tuttavia, non solo il proletariato e gli strati oppressi della piccola borghesia si sono sollevati contro l’imperialismo: anche alcune frazioni della borghesia brasiliana si sono già espresse contro questo attacco, che incide anche sui loro stessi interessi di classe, e lo stesso governo federale ha adottato parole d’ordine nazionaliste, cercando di presentarsi come garante della sovranità nazionale, con la narrazione di una presunta svolta a sinistra.

In tutti i Paesi subordinati e intermedi della catena imperialista, prima o poi, situazioni simili continueranno a verificarsi, e senza dubbio le borghesie “nazionali” faranno pressione sui Partiti Comunisti e sul proletariato affinché subordinino la propria politica e si pieghino all’unità nazionale.

Ma in un Paese di capitalismo sviluppato, seppur dipendente, come il nostro, non è possibile conciliare gli interessi del proletariato con quelli della borghesia. Malgrado le spacconate e i tentativi delle leadership borghesi e piccolo-borghesi di sottomettere i lavoratori alla politica di “unità nazionale” con la borghesia e il suo governo contro l’imperialismo, il dovere del Partito Comunista Brasiliano Rivoluzionario è dimostrare con chiarezza i limiti di questo fronte e difendere con rigore l’indipendenza totale del proletariato dalle altre classi.

Nell’attuale congiuntura, vi saranno due tendenze di lotta contro l’aggressione imperialista: una borghese e una proletaria, tra loro contraddittorie. Se talvolta si potranno sferrare alcuni colpi in comune, la lotta antimperialista sarà efficace e coerente solo se fondata sull’antimperialismo proletario, cosciente e indipendente, denunciando ogni tentativo di sottometterla all’“antimperialismo borghese”.

D’altronde, solo la politica proletaria dei comunisti rappresenta un’alternativa scientifica e coerente per la lotta contro l’imperialismo e per la sovranità nazionale, poiché solo la rivoluzione proletaria, socialista, può spezzare definitivamente le catene che sottomettono la nostra nazione agli interessi del capitale monopolistico, nazionale e straniero.

L’“antimperialismo borghese” nella lotta per la sovranità nazionale

Lo scorso venerdì, 25 luglio, il Salone d’Onore della Facoltà di Diritto dell’Università di San Paolo (USP), vivaio per eccellenza dei quadri della borghesia paulista, ha ospitato un’iniziativa per il lancio di una “Lettera in difesa della Sovranità Nazionale”, con lo slogan “siamo 100% Brasile. Viva la sovranità”. Questa lettera è stata redatta da giuristi e firmata da numerose organizzazioni ed enti, sia borghesi (compreso un istituto sionista), piccolo-borghesi, e persino centrali e sindacati pelegos[1] (Força Sindical, UGT) e social-liberali (CUT, CTB), l’Unione Nazionale degli Studenti e alcune organizzazioni popolari, inclusa la governativa Frente Brasil Popular.

Vediamo cosa dice la lettera dei giuristi e come si è arrivati a comporre questo notevole amalgama di interessi e classi sociali:

“La sovranità è il potere che un popolo ha su se stesso. Più di due secoli fa, il Brasile è diventato una nazione indipendente. In questo periodo, abbiamo lottato per governare il nostro stesso destino. Come nazione, esprimiamo la nostra sovranità democraticamente e in conformità con la nostra Costituzione.”

Un inizio “curioso”. Affermare che, da due secoli, il popolo brasiliano abbia potere su se stesso grazie all’indipendenza, ignora il “dettaglio” che c’era un imperatore portoghese a esercitare il potere e che la stragrande maggioranza di quel popolo era letteralmente schiavizzata. Anche nel XX secolo, si dimentica che nel 1964 gli Stati Uniti e la borghesia instaurarono una sanguinaria dittatura militare, e che solo dopo il 1988 i lavoratori analfabeti (che costituivano la maggioranza della popolazione) conquistarono il diritto di voto. Perfino l’attuale Costituzione del 1988 è stata elaborata ancora sotto tutela militare. Un “potere” interessante, quello che il popolo brasiliano avrebbe avuto su se stesso. Un’altra affermazione interessante compare poco dopo:

“La nostra Costituzione garantisce agli imputati il diritto alla piena difesa. I processi sono giudicati sulla base di prove e le decisioni sono necessariamente motivate e pubbliche.”

Ancora una volta, un’affermazione particolarmente “curiosa” in un Paese in cui oltre 182.000 persone sono detenute senza processo e in cui la popolazione carceraria supera le 600.000 persone, in maggioranza lavoratori e lavoratrici neri!

Ora, una cosa è confermare la giustezza della condanna di Bolsonaro per il tentativo di colpo di Stato, fatto di dominio pubblico e per il quale esistono innumerevoli prove. Ben altra cosa è difendere “l’integrità” del potere giudiziario brasiliano, che non è controllato dal popolo, attacca ripetutamente i diritti duramente conquistati dalla classe operaia, sottopone migliaia di lavoratori alla detenzione senza prove (o perfino senza processo), e fu anche parte centrale del golpe del 2016 e dell’arresto di Lula nel 2018, sotto ordine del Dipartimento di Stato USA e di varie frazioni della borghesia brasiliana.

In questa situazione, è chiaro che Bolsonaro non sia perseguitato, ma privilegiato dal sistema giudiziario brasiliano: mentre un lavoratore nero accusato di spaccio può passare anni in carcere senza processo, indipendentemente da qualsiasi prova, un ex-presidente responsabile di un genocidio e di un tentativo di colpo di Stato è rimasto libero per anni e solo ora è sottoposto a un braccialetto elettronico, nonostante la notorietà pubblica di tali fatti.

Non occorre soffermarsi su ogni inesattezza della formulazione della lettera per mostrarne il carattere, perché è evidente che in essa non vi è alcuna posizione autentica in difesa del potere del popolo brasiliano su se stesso, bensì, al contrario, una chiara difesa delle istituzioni borghesi, in particolare del potere giudiziario brasiliano. La lettera non lo nasconde affatto:

“In questo grave momento, in cui la sovranità nazionale è attaccata in modo vile e indecoroso, la società civile si mobilita, ancora una volta, in difesa della cittadinanza, dell’integrità delle istituzioni e degli interessi sociali ed economici di tutti i brasiliani.”

Ovviamente, la lettera “dimentica” questioni tutt’altro che secondarie per la sovranità nazionale: la privatizzazione, a prezzi stracciati, di imprese strategiche come Vale[2] ed Embraer[3]; la concessione di settori strategici della nostra economia ad attori internazionali come ENEL[4], che sostiene il proprio tasso di profitto globale sfruttando il popolo brasiliano; la cessione della Base di Alcântara, nello stato del Maranhão[5], agli Stati Uniti, nonostante le evidenze che abbiano sabotato il programma spaziale brasiliano; o il mantenimento, in Petrobras[6], della politica di prezzo di parità di importazione (PPI)[7], che fa aumentare il prezzo della benzina in Brasile e garantisce enormi distribuzioni di utili agli investitori stranieri.

Non è la difesa del Brasile ciò che interessa ai nobili giuristi, ma la difesa della sovranità della borghesia brasiliana: il suo diritto di mantenere le proprie “istituzioni” senza l’ingerenza di altre borghesie; il suo diritto di legiferare su come i lavoratori saranno sfruttati da tutte le borghesie; il suo diritto di vendere “sovranamente” il patrimonio dello Stato brasiliano senza interferenze straniere e alle migliori condizioni di concorrenza.

In fondo, i giuristi dell’USP hanno ripetuto quanto fatto nel 2022, quando organizzarono un manifesto della borghesia “democratica” in difesa dello Stato Democratico di Diritto (in realtà, della democrazia borghese), trascinando con sé buona parte delle organizzazioni popolari nella scia della politica “democratica” borghese (all’epoca, persino il PCB, a causa dell’azione della frazione dirigente che aveva già abbandonato il marxismo-leninismo e calpestava le decisioni del XVI Congresso). E, per rafforzare l’intenzione di subordinare il proletariato alla propria direzione, la nuova lettera della borghesia si conclude con una “proposta”:

“Quando la nazione è attaccata, dobbiamo mettere da parte le nostre eventuali differenze politiche, per difendere il nostro bene più prezioso.”

La borghesia, con questa lettera, non cerca solo di formare un fronte borghese per la sovranità, che possa agire congiuntamente al proletariato. Ciò che la “Lettera” rivendica è una politica di “unità nazionale” per difendere gli interessi della borghesia, una politica che, nella pratica, non può che significare la sottomissione dei lavoratori alla direzione politica della borghesia e al falso “antimperialismo” borghese.

Di fronte alla contrapposizione di interessi tra borghesia e proletariato, la borghesia propone che il proletariato rinunci alle proprie rivendicazioni (sovranità conseguente) per difendere la “sovranità” del potere giudiziario, della grande borghesia, dei latifondisti… Propone che non si mobiliti in modo indipendente, ma si inserisca in un ampio fronte guidato dal “minimo denominatore comune”: la democrazia borghese e le sue istituzioni.

Ponendo il proletariato al proprio seguito, questa frazione borghese cerca non solo di garantirsi una “base di massa” (anche se limitata) per difendere i propri interessi particolari, ma anche di contenere e imbrigliare le masse indignate affinché non reclamino cambiamenti, nemmeno minimi, nella struttura dipendente del capitalismo brasiliano, come l’aggiornamento della legge sulle rimesse all’estero smantellata da Bolsonaro, la tassazione delle rimesse verso l’estero o l’introduzione di limiti all’azione dei monopoli stranieri, in particolare le Big Tech (Meta, Google, Microsoft).

L’ipocrisia dei social-liberali

Nonostante utilizzino una retorica distinta, anche il social-liberalismo e, in particolare, il governo Lula-Alckmin che lo guida, seguono la stessa tendenza borghese nella difesa della sovranità.

Nell’ultimo mese, diversi interventi e discorsi del presidente Lula hanno affrontato il tema con una fraseologia incisiva, tanto che rapidamente i settori governativi e “indipendenti” della sinistra hanno iniziato a festeggiare quella che considerano la tanto attesa “svolta a sinistra” del governo federale, adottando già gli slogan della “unità nazionale”.

E, naturalmente, ancora una volta iniziano a fare pressione sulle organizzazioni coerenti del proletariato, che oppongono resistenza al governo Lula, affinché abbassino le loro bandiere e sostengano il governo borghese di Lula, non solo a causa del fascismo ma anche a causa dell’aggressione imperialista.

Ma in cosa consiste davvero la “svolta” di Lula, al di là della retorica? Adottando lo slogan “il Brasile è dei brasiliani” e proclamando frasi come “nessuno metta le mani sulle nostre risorse”, il governo federale non adotta alcuna misura per combattere l’imperialismo. Al contrario, ha già iniziato a negoziare le tariffe con gli USA e a mediare per alleviare la pressione sulla borghesia nazionale. Mentre Lula proclama discorsi, manda Alckmin a conciliare con gli USA e la borghesia.

Il governo social-liberale non difende la nostra sovranità, ma cerca di venderla a condizioni leggermente più vantaggiose per alcune frazioni della borghesia. Lo stesso governo che invoca “l’unità nazionale in difesa della sovranità”:

  • sta negoziando lo sfruttamento del petrolio alla foce dell’Amazzonia con imprese imperialiste;
  • mantiene il PPI[8] di Petrobras, distribuendo decine di miliardi di profitti del petrolio brasiliano a investitori stranieri;
  • porta avanti la privatizzazione di Eletrobrás[9];
  • regolamenta la concessione di foreste e carceri alla gestione privata;
  • ha elaborato il Quadro Fiscale e attua una politica ampia di austerità che soffoca gli investimenti pubblici brasiliani;
  • ha mantenuto la politica nazionale di dismissione statale, in cui la Banca nazionale per lo sviluppo economico e sociale (BNDES) finanzia la privatizzazione delle imprese pubbliche;
  • ha preparato il più grande piano agricolo per garantire i profitti esorbitanti dell’agroindustria esportatrice che sostiene la posizione dipendente del capitalismo brasiliano;
  • negozia con la Cina un “corridoio dell’agroindustria”, spianando terre indigene per facilitare l’esportazione delle risorse brasiliane;
  • ha minacciato un taglio miliardario ai fondi delle università federali, che avrebbe devastato la poca produzione sovrana di conoscenza e tecnologia;
  • mantiene relazioni commerciali con Israele, finanziando e rifornendo il genocidio, arrivando a deportare una famiglia palestinese; e altro ancora.

È questo il governo che i social-liberali (quelli sfacciati o quelli che si vergognano) vogliono far credere ai lavoratori che ora lotta per la “sovranità nazionale” e contro l’imperialismo.

L’ipocrisia del social-liberalismo è evidente: da anni predica “l’unità nazionale” sotto la direzione della borghesia, e ora mantiene la stessa politica, semplicemente “adattando” il discorso alle nuove condizioni e mirando a recuperare parte della popolarità in vista delle elezioni del 2026, affermando persino che ci sia una “svolta”. Deve trattarsi di una “svolta a 360 gradi”, perché anche in questa situazione di minaccia non c’è alcuna disposizione a modificare il rapporto di forze o a scalfire anche solo in minima parte le catene che sottopongono il nostro paese al sistema imperialista internazionale.

Al contrario, anche nel discorso dei comunicatori governativi, si enfatizza spesso la lode ai monopoli brasiliani e persino alle grandi imprese statali privatizzate a prezzi stracciati, con il sostegno del BNDES, che sfruttano brutalmente le risorse naturali del popolo brasiliano, anteponendo i profitti alla vita, come Vale.

È chiaro che le posizioni di classe dei social-liberali, la composizione della loro base sociale e altri fattori li differenziano in parte dalla borghesia democratica. In alcuni casi e discorsi si pronunciano anche a favore della riduzione delle disuguaglianze sociali, della sovranità popolare, e talvolta (quando l’ambiente è “favorevole”) citano misure progressiste e criticano alcune privatizzazioni (senza, ovviamente, mettere troppo in difficoltà la borghesia). Alcune organizzazioni popolari sono addirittura abbastanza coerenti nelle loro azioni e adottano misure combattive in certa misura. Tuttavia, non siamo tra coloro che ammirano la bellezza di un albero mentre la foresta brucia. Qualunque analista onesto e coerente, guardando “l’insieme dell’opera”, il tono generale della politica attuata ora e negli ultimi anni, non potrà che diagnosticare l’umiliante sottomissione alla politica borghese che impregna il social-liberalismo.

Gli ideologi del social-liberalismo hanno passato gli ultimi anni a denunciare (correttamente) il ruolo della magistratura brasiliana (con il sostegno dell’imperialismo) nell’offensiva borghese iniziata nel 2015, con il golpe parlamentare contro il governo Dilma (guidato da Miguel Reale Jr., autore della “Lettera ai Brasiliani per lo Stato Democratico” del 2022) e l’arresto illegale di Lula, alla vigilia delle elezioni (periodo in cui il “democratico” Tribunale Superiore Elettorale (TSE) diede ordine giudiziario di impedire la pubblicazione di un’intervista a Lula durante le elezioni), che portò alla vittoria di Bolsonaro.

Ma ora, per convenienza contingente, si sono uniti alla direzione della borghesia nazionale per difendere quella stessa istituzione, proclamandone a gran voce l’idoneità e la difesa incondizionata delle istituzioni della democrazia borghese. Gli errori nella politica sono, ovviamente, inevitabili. Tuttavia, persistere indefinitamente nell’errore non è solo stupidità, ma in questo caso sintomo evidente della strategia errata seguita dalle organizzazioni che abbracciano questa politica servile.

Lo sfondo di questi errori e tentennamenti è la riformulazione, da parte delle organizzazioni social-liberali, della strategia “democratico-nazionale” che assegna al proletariato il ruolo di “sostegno” alla borghesia nazionale finché questa porti a termine uno sviluppo democratico e autonomo del capitalismo. È proprio questa deviazione servile che ora trova espressione nel sostegno al governo borghese di Lula-Alckmin, nell’“unità nazionale”, nella “difesa delle istituzioni”.

Dal 2005, al XIII Congresso del PCB, i comunisti brasiliani hanno rotto con questa strategia servile e sottolineano il ruolo egemonico del proletariato nella costruzione della rivoluzione socialista, compito immediato e inderogabile, come anche altre organizzazioni affini. Tuttavia, a ogni passo della congiuntura, “nuovi” eventi deviano diverse organizzazioni e quadri e riaffermano l’illusione nella possibilità di uno sviluppo autonomo del capitalismo sotto la guida della borghesia nazionale. Per questo è nostro dovere rafforzare con ancora più enfasi l’indipendenza di classe del proletariato e criticare senza esitazione ciascuno di questi scivoloni che sottomettono i lavoratori alla politica liberale della borghesia.

La posizione comunista

Constatare l’esistenza di questa tendenza borghese nella lotta antimperialista significherebbe che i comunisti dovrebbero allontanarsene, mantenendo “purezza” nelle loro attività? Siamo categoricamente contrari a questa visione limitata.

I comunisti sono i più risoluti difensori della sovranità nazionale, perché solo la rivoluzione proletaria e il socialismo offrono una risposta definitiva per liberare il Brasile dalle catene dell’imperialismo, sviluppare le forze produttive brasiliane e garantire la sovranità della larga maggioranza della popolazione, dei lavoratori, sul destino delle proprie vite.

Difendere la sovranità nazionale è anche una parte indissolubile della costruzione della rivoluzione socialista e dell’innalzamento a livello nazionale della coscienza dei lavoratori brasiliani nella lotta contro l’imperialismo, per costruire il socialismo nel nostro paese che, quando sarà sotto il controllo dei lavoratori, certamente subirà un numero infinitamente maggiore di aggressioni rispetto ad oggi, e avrà bisogno di una classe educata nella difesa della sovranità nazionale per difendere la propria rivoluzione. Per i marxisti-leninisti coerenti, la difesa della sovranità nazionale è inseparabile dalla costruzione del socialismo.

Ma proprio per questo, la difesa della sovranità nazionale non può mai essere associata alla difesa dell’attuale sistema politico ed economico, che è proprio il punto di appoggio dell’imperialismo per mantenere la sua dominazione. Il capitalismo e la democrazia borghese non offrono alcuna alternativa autonoma o indipendente per lo sviluppo delle forze produttive, e tanto meno si sviluppano senza rotture verso il socialismo.

Il capitalismo brasiliano è l’anello di dipendenza che sottomette la nostra nazione non solo alla dominazione straniera, ma la fa partecipare anche come anello intermedio nella dominazione di altre nazioni, sia economicamente che militarmente — come ha messo a nudo il primo governo Lula, lanciando il Brasile come leader militare della vergognosa intervento imperialista ad Haiti (MINUSTAH)[10].

Ed è proprio per questo che i comunisti non devono sottrarsi alla lotta antimperialista, ma lottare decisamente per stabilire la leadership e la direzione di questa lotta e dimostrare alle classi oppresse dall’imperialismo che soltanto l’alternativa socialista li libererà da questa oppressione. Ma questo può avvenire solo nella misura in cui il proletariato presenti le proprie bandiere indipendenti nella lotta, nella misura in cui consolidi la propria forza, come insegnò Lenin:

“I grandi problemi della libertà politica e della lotta di classe vengono risolti in definitiva soltanto con la forza, e dobbiamo adoprarci per preparare, organizzare questa forza e impiegarla attivamente non soltanto per la difensiva, ma anche per l’offensiva.”

(Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica, Lenin, Opere scelte, vol. 1, p. 392[11])

In questo ulteriore scontro contro l’imperialismo, in cui si svela la contraddizione e l’oppressione che fondano l’ordine capitalistico, specialmente nel suo stadio imperialista, solo i comunisti possono essere il baluardo dell’organizzazione e preparazione della forza indipendente della classe proletaria e della sua egemonia sulle altre classi oppresse, e solo questa forza indipendente, solo l’egemonia proletaria, potrà offrire un’alternativa vittoriosa nella lotta antimperialista.

Così, la posizione del PCBR[12] è più che corretta nel delineare non solo la lotta contro questa aggressione imperialista, ma anche nel sollevare bandiere più avanzate che mostrano chiaramente i principali fondamenti dell’oppressione imperialista e le principali rivendicazioni parziali necessarie per combatterla, che si muovono risolutamente nella direzione della rivoluzione socialista.

In questo senso, colleghiamo direttamente questa aggressione imperialista ai suoi “agenti interni” dell’estrema destra brasiliana, e dimostriamo che la politica di lentezza e conciliazione del governo della borghesia ha portato a ciò; difendiamo l’arresto e la confisca di tutti i beni dei golpisti e traditori della patria, cosa che non è neppure una misura troppo radicale contro gli sponsor del fascismo, dato che gli USA hanno già adottato misure come il blocco dei beni contro Alexandre de Moraes come forma di pressione[13].

Ma non trascuriamo gli aspetti economici della dipendenza, e perciò solleviamo anche importanti rivendicazioni parziali necessarie per indebolire l’aggressione imperialista e sostenere la sovranità nazionale brasiliana, come la ri-nazionalizzazione di settori strategici dell’economia nazionale. E, inoltre, per garantire la sovranità della nostra economia, è importante porre fine al Quadro Fiscale di Haddad, che impedisce gli investimenti necessari e, peggio, minaccia la spesa in sanità e istruzione, decimando settori fondamentali per la garanzia dell’autonomia industriale e scientifica del paese.

Mettiamo inoltre al centro la sovranità anche sull’operato delle Big Tech, strumenti dell’imperialismo con agende allineate all’intervento e alla capacità di influenzare milioni di brasiliani ancora poco consapevoli, manipolandoli con pregiudizi e menzogne, formando un pilastro ideologico importante della dominazione imperialista.

Citiamo altresì altre misure importanti, come la limitazione e tassazione delle rimesse di profitti all’estero, la fine del programma nazionale di dismissioni statali sostenuto dal BNDES, la fine dei sussidi all’agroindustria, lo sviluppo del programma nucleare brasiliano.

Il PCBR conduce una vasta campagna internazionalista in solidarietà al popolo palestinese e difende la rottura delle relazioni del Brasile con Israele, il che indebolirebbe lo stato sionista, baluardo della guerra e dell’oppressione in Medio Oriente, indebolendo anche il blocco USA-UE-NATO.

Infine, per garantire la vera sovranità e indipendenza del potere giudiziario, difendiamo che esso debba essere sottoposto democraticamente al popolo brasiliano, attraverso l’elezione e mandati revocabili per tutti i giudici, garantendo al popolo la possibilità di respingere democraticamente qualsiasi ingerenza straniera o abuso del potere giudiziario.

Le rivendicazioni parziali difese dal PCBR (e che non si limitano a queste) stabiliscono misure concrete per la sovranità nazionale del Brasile, e sono queste le bandiere che il proletariato rivoluzionario deve sollevare, evitando false soluzioni e la politica reazionaria della borghesia, che parla di sovranità ma difende solo i propri privilegi.

L’unità nazionale

Implementare queste misure non allontanerà la borghesia nazionale da una fronte contro l’imperialismo? Questa è, naturalmente, la questione di fondo. Le tendenze social-liberali ritengono che avanzare rivendicazioni indipendenti allontani la borghesia dalla lotta e, quindi, per “ampliare il ventaglio di alleanze” e sviluppare la “fronte ampia” (contro il fascismo o l’imperialismo, a seconda del momento), sia necessario abbassare le richieste al minimo comune denominatore: ovvero alle rivendicazioni della borghesia democratica.

Ma un marxista-leninista guarda alla questione con un’altra ottica:

“Sia la ‘simpatia della società’ che il miglioramento del tenore di vita sono il risultato dell’alto grado di sviluppo della lotta. Se i liberali (e i liquidatori) dicono agli operai: voi siete forti quando la ‘società’ simpatizza con voi, il marxista parla diversamente agli operai: la ‘società’ simpatizza con voi quando siete forti.”

(Lenin, Sciopero economico e sciopero politico[14])

La borghesia democratica è presente nella lotta per i propri termini e interessi, e porta avanti le proprie rivendicazioni, cercando di limitare la lotta ai propri obiettivi particolari. Certamente, il proletariato non smetterà di combattere il nemico comune per questo. Ma abbandonare la propria forza, mettere da parte i propri interessi, sarebbe consegnare immediatamente la vittoria al nemico, perché la borghesia non ha né la capacità né l’interesse a portare a termine alcuna lotta simile, data la sua posizione oggettiva nella struttura della produzione sociale, che, sebbene a volte ponga alcune frazioni in contraddizione (o meglio, in competizione) con l’imperialismo, mantiene comunque anche questi settori legati al sistema, ai monopoli.

E, specialmente in un paese di capitalismo dipendente come il Brasile, quella stessa borghesia, per combattere anche solo “un po’” l’imperialismo, dovrebbe spingersi oltre i limiti del capitalismo, cosa che essa non farà mai. Al contrario, solo il proletariato, come forza indipendente, può imporre con la forza anche solo le misure più semplici elencate sopra, che potrebbero rafforzare, anche se parzialmente, la nostra sovranità.

Ed è proprio per questo che, nelle lotte comuni con la piccola borghesia e persino con le poche “frazioni democratiche” della borghesia, il proletariato deve colpire insieme senza mai unirsi sotto una bandiera altrui, senza mai, nemmeno per un minuto, smettere di costruire la propria organizzazione e forza indipendente.

Anche se consideriamo che la borghesia potrebbe allontanarsi da una certa battaglia a causa delle rivendicazioni proposte dal proletariato, questo avverrebbe solo in condizioni in cui il proletariato possiede una forza indipendente considerevole e, in questi casi, la scarsa forza delle frazioni borghesi in competizione con qualche aspetto del sistema sarebbe trascurabile e inutile per la lotta, e sarebbe molto più vantaggioso rafforzare la posizione indipendente del proletariato consequenziale, anche a costo di perdere l’“alleato” più incerto.

In ogni caso, dunque, il dovere dei comunisti è lo stesso: far avanzare la coscienza, la forza e l’organizzazione indipendenti del proletariato.

E per questo possono essere adottate diverse manovre tattiche, perfino avvicinamenti e concessioni con settori impegnati in lotte particolari, ma mai va abbandonato il fondamento strategico di questo lavoro: gli interessi particolari e gli obiettivi del proletariato, cioè le sue bandiere rivoluzionarie. Solo così, senza mai sottomettere i lavoratori alla borghesia in alcun momento, i comunisti devono partecipare a tutte le lotte quotidiane e contingenti e, attraverso di esse, lavorare per elevare la coscienza proletaria e rafforzare la sua egemonia sulle altre classi oppresse.

Per questo il nostro Partito ha ritenuto necessario partecipare alle manifestazioni convocate in difesa della Sovranità Nazionale per il 1º agosto, su iniziativa delle organizzazioni governiste e social-liberali che oggi egemonizzano la sinistra, considerando che i loro slogan e il loro spazio permettono un’attività indipendente del proletariato e un intervento unitario e attivo dei lavoratori contro l’imperialismo, elevando la coscienza e l’unità della classe, anche se in quello spazio partecipano anche forze esitanti, governiste ecc.

D’altra parte, rigettiamo con forza la partecipazione a manifestazioni convocate dalla borghesia per l’approvazione del suo programma in difesa delle “istituzioni” borghesi, come è stato l’“atto” del 25/07 a San Paolo e altri simili (come quello convocato dai giuristi dell’Università Federale di Goiás per il 30/07), atti limitati alla difesa del sistema capitalistico e agli interessi della borghesia, per quanto variegata sia la partecipazione di organizzazioni popolari alla loro costruzione.

È in questa attività quotidiana, di agitazione, propaganda e intervento nelle lotte unitarie, che dobbiamo demarcare la corrente proletaria dell’antimperialismo, separandola dalla tendenza borghese e governista, e più chiaramente potremo farlo, più saremo capaci di sviluppare l’egemonia proletaria in ciascuno di questi combattimenti.

Egemonia proletaria e internazionalismo

Credo che questo debba essere sempre il ruolo dei comunisti in ogni angolo del mondo, e per questo non dobbiamo esitare a sostenere e sviluppare i nostri legami di solidarietà internazionalista con i Partiti Comunisti che, anche nei momenti in cui la congiuntura impone di combattere fianco a fianco con la borghesia, non abbandonano l’indipendenza di classe del proletariato, alzano le bandiere proletarie e utilizzano ciascuno di questi momenti di lotta non per insegnare “unità” ai lavoratori, ma per elevare la loro coscienza e organizzazione, criticando fraternamente chi, per varie ragioni, seppur momentanee, subordina le proprie rivendicazioni a quelle della borghesia o della piccola borghesia.

A questo proposito, vorrei inoltre commentare un caso particolare importante.

In Iran, durante l’offensiva statunitense, i nostri compagni del Partito Tudeh si sono schierati a sostegno della loro borghesia e del reazionario governo iraniano nella guerra imperialista promossa da USA e Israele, cosa che abbiamo prontamente appoggiato e a cui abbiamo prestato solidarietà. Un marxista “volgare” potrebbe certamente vedere con sospetto questo atteggiamento di appoggio alla borghesia come sottomissione o subordinazione in nome della lotta all’imperialismo.

Tuttavia, nella lotta contro l’aggressione imperialista, in una guerra di liberazione nazionale (quindi distinta da una guerra inter-imperialista), la borghesia è costretta ad armare il proletariato e a fornirgli condizioni organizzative, addestramento e persino controllo territoriale. Un partito rivoluzionario in queste dure condizioni ha però l’opportunità di organizzarsi in modo indipendente e alzare la coscienza dei lavoratori affinché, al termine dell’aggressione, liberino la loro nazione non solo dall’imperialismo invasore, ma anche dai propri borghesi.

Per questo non è possibile, in un primo momento, rompere l’unità nazionale, smettere di combattere al fianco della borghesia, o peggio, aiutare a destabilizzare il governo secondo i desideri degli imperialisti. In questo caso, combattere l’aggressione imperialista al fianco della borghesia è la via per lo sviluppo e il rafforzamento dell’organizzazione indipendente del proletariato che, in un secondo momento, rivolgerà i fucili contro i propri nemici interni. Senza questa differenziazione tattica mantenendo chiarezza strategica, il PC potrebbe diventare un semplice pedone dell’imperialismo, frustrando ogni possibilità di organizzazione indipendente.

D’altro canto, in una guerra inter-imperialista, come quella attuale in Ucraina, in cui i blocchi imperialisti non contendono la sovranità di una nazione, ma la spartizione di zone di influenza, risorse e mercati, i comunisti devono assumere non una posizione “sciovinista”, ma combattere senza tregua per la caduta di entrambi i governi e la presa del potere. In questi casi, l’unità nazionale con governi che coinvolgono i loro lavoratori nella carneficina per interessi altrui è impossibile, e ogni tentativo di unità nazionale non è altro che sottomissione dei lavoratori a una o all’altra borghesia, alimentando lo sciovinismo ed elidendo la coscienza internazionalista di classe.

In questi casi, la parola d’ordine dei comunisti è trasformare la guerra imperialista in guerra civile, sviluppando una politica per, approfittando del fatto che la borghesia ha armato i lavoratori per uccidere i propri fratelli, rivolgere quei fucili contro il nemico interno, ponendo fine alla guerra non con la vittoria di un blocco o dell’altro, ma con la presa del potere.

La Rivoluzione d’Ottobre fu possibile perché Lenin seppe combinare magistralmente le due tattiche di cui sopra e svilupparle, in ogni ipotesi e congiuntura, a beneficio del proletariato.

Quando scoppiò la Guerra Mondiale inter-imperialista del 1914, i bolscevichi furono l’unico partito a mantenere saldi i principi internazionalisti del socialismo scientifico e a combattere lo zarismo nel proprio paese, cosa che portò a una dura repressione del partito e all’esilio dei suoi deputati alla Duma. Ma in quell’occasione i bolscevichi furono al fianco delle masse lavoratrici di tutto il mondo che chiedevano la pace, la fine della guerra inter-imperialista, e che sempre più si convinsero, grazie all’esperienza della guerra, della giustezza della posizione bolscevica. Anche dopo la rivoluzione di febbraio e l’instaurazione di un governo provvisorio “progressista” in Russia, i bolscevichi mantennero ferma la richiesta di uscita immediata dalla guerra e organizzarono il proletariato con indipendenza di classe e fermezza di principi.

Quando lo zarismo minacciò un colpo di stato militare contro il governo provvisorio borghese attraverso il generale Kornilov, lungi dal sottrarsi alla lotta, i bolscevichi si disposero subito a difendere quel governo, ma senza mai sviluppare agitazione o illusioni a favore della democrazia borghese o del governo provvisorio; al contrario, usarono quell’occasione per armare il proletariato e dimostrare con la loro attività che solo i bolscevichi erano capaci di eliminare lo zarismo e porre fine alla guerra, e che solo la costruzione del socialismo avrebbe potuto eliminare lo zarismo, conquistare la pace e realizzare le principali misure per la popolazione.

In ogni situazione e congiuntura, il partito di Lenin combatté contro l’imperialismo, per l’indipendenza di classe e per l’egemonia del proletariato. Questo è l’esempio che seguiamo e, se manterremo la fermezza ideologica e non vacilleremo davanti ai nostri compiti, la nostra vittoria, come quella dei bolscevichi cento anni fa, sarà inevitabile.

Note

[1] NdT: letteralmente, la coperta di lana tra la sella e il dorso del cavallo. Indica quindi qualcosa che addolcisce l’asprezza della cavalcata, e nel gergo brasiliano politico si riferisce alla dirigenza sindacale collaborazionista, che ammorbidisce la lotta di classe dall’alto dei padroni contro gli operai.

[2] NdT: gruppo minerario brasiliano, specializzato nel minerale di ferro, di cui è il maggior produttore ed il maggior esportatore al mondo. “Gioiello della corona” delle imprese statali brasiliane, è stata privatizzata negli anni ‘90.

[3] NdT: il terzo produttore al mondo di aeroplani per uso civile, dopo Boeing e Airbus. Anch’essa pubblica, venne privatizzata negli anni ‘90.

[4] NdT: proprio l’italiana ENEL, quotata in borsa, col primo azionista rappresentato dallo Stato italiano col 23.6%. In Brasile opera nella produzione e distribuzione dell’energia elettrica tramite due controllate, Enel Geração Fortaleza e Enel Green Power Brasil.

[5] NdT: il Cosmodromo di Alcântara, un pezzo storico del programma spaziale brasiliano. Nel 2019 il governo brasiliano (presidente Bolsonaro) ha firmato un accordo con il governo statunitense che permette a quest’ultimo l’uso della base a fini commerciali. L’accordo ha avuto una gestazione molto lunga, poiché era stato già rigettato nel 2000 dal Parlamento brasiliano in quanto avrebbe interferito con la sovranità nazionale.

[6] NdT: la compagnia petrolifera brasiliana, con azionista di maggioranza lo Stato.

[7] NdT: la politica di Petrobras (quindi dello Stato, v. nota precedente) che allinea il prezzo di vendita interno dei prodotti petroliferi (benzina, diesel, etc…) ai prezzi internazionali di importazione. Nonostante quindi il Brasile sia un grande produttore di idrocarburi, sceglie di praticare sul mercato interno il prezzo per questi prodotti come se fossero importati. Questo garantisce enormi profitti per la compagnia sulle spalle della popolazione.

[8] NdT: v. nota precedente

[9] NdT: è la più grande società elettrica brasiliana e la più grande dell’America Latina, anch’essa (per ora) con quota di maggioranza detenuta dallo Stato.

[10] NdT: la missione di “peacekeeping” dell’ONU a Haiti dal 2004 al 2017, con leadership militare brasiliana, a cui anche l’Italia ha partecipato con 120 carabinieri. Venne dimostrato che i soldati della missione misero in piedi un giro di prostituzione minorile.

[11] NdT: la traduzione del passo è tratta dall’edizione italiana delle Opere di Lenin, vol. 9 p. 24, disponibile qui: https://www.marxists.org/italiano/lenin/lenin-opere/lenin_opere_9.pdf

[12] NdT: in italiano qui

[13] NdT: giudice della Suprema Corte, che ha indagato su numerosi casi di preparazione al golpe e diffusione di fake news, per questo ostile a Bolsonaro e per questo sottoposto a misure sanzionatorie da parte degli USA (nonostante egli non abbia alcuna proprietà negli USA) giudicate da organizzazioni come Transparency International “allarmanti e inaccettabili”.

[14] NdT: la traduzione del passo è tratta dall’edizione italiana delle Opere di Lenin, vol. 18 p. 77, disponibile qui: https://www.marxists.org/italiano/lenin/lenin-opere/lenin_opere_18.pdf

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