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Medio Oriente: crocevia di progetti imperialisti concorrenti da Est a Ovest

Di Redazione
22/06/2025
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Di Dīmītrīs Mavidīs, da Rizospastis, organo del Partito Comunista di Grecia (KKE)
24 maggio 2025
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Una “mappatura” delle rotte del commercio e dell’energia, che rivela il reale background dei conflitti nella regione e il rischio di una conflagrazione generalizzata

Medio Oriente: crocevia di progetti imperialisti concorrenti da Est a Ovest

La parte operativa del “Corridoio di Mezzo”

Nonostante le reazioni dei popoli di tutto il mondo, lo Stato assassino di Israele sta intensificando il massacro nella Striscia di Gaza con il sostegno criminale degli Stati Uniti e dei suoi alleati, compreso il governo greco.

Il “carburante” che spinge la macchina da guerra israeliana all’annientamento dei palestinesi è costituito dai piani euro-atlantici per il “giorno dopo” in Medio Oriente, soprattutto in termini di definizione delle sfere di influenza e dei corridoi per il trasporto di merci ed energia, sia marittimi che terrestri. Piani che si scontrano con quelli concorrenti di altri centri e campi imperialisti.

Cina, Russia, Iran, Arabia Saudita, India, le monarchie petrolifere del Golfo e alcuni Stati dell’Asia centrale si muovono continuamente e attivamente sullo scacchiere mediorientale, a livello diplomatico, economico e militare.

Israele, oltre a occupare illegalmente da decenni la Palestina e a compiere un genocidio contro i palestinesi, ha occupato 9 territori della Siria, tra cui la cima del Monte Hermon, a soli 40 chilometri dalla capitale siriana. Da lì si domina persino la Valle della Bekaa, controllata da Hezbollah, nel vicino Libano.

L’esercito israeliano si è insediato anche in 5 località del Libano. Il mese scorso, il ministro della Difesa israeliano I. Katz ha dichiarato che l’esercito sarebbe rimasto in tutte le “zone di sicurezza” recentemente occupate in Siria, Gaza e Libano per un periodo di tempo indefinito.

Pianificazione allineata con gli Stati Uniti

Medio Oriente: crocevia di progetti imperialisti concorrenti da Est a Ovest

Corridoio internazionale di trasporto Nord-Sud (INSTC)

In una conferenza stampa alla fine della settimana, il primo ministro israeliano B. Netanyahu ha dichiarato che: “Siamo allineati con l’amministrazione Trump (…) Rispettiamo i loro interessi e loro rispettano i nostri, e si sovrappongono. Non vi dirò che sono completamente allineati, ovviamente no, ma sono quasi completamente allineati“.

Ha aggiunto che le notizie diffuse dai media israeliani e statunitensi su una rottura con il Presidente degli Stati Uniti sono false e che la ripresa delle relazioni degli Stati Uniti con gli Stati arabi del Medio Oriente non metterà in disparte Israele.

Ha ribadito il suo sostegno al “brillante piano” di Trump per Gaza, affermando che “può cambiare il volto del Medio Oriente”. Ha inoltre espresso il suo sostegno agli obiettivi dell’amministrazione statunitense di rafforzare le relazioni con i Paesi del Golfo in Medio Oriente, dimostrati dalla visita del presidente americano in Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti. Come ha valutato Netanyahu, le mosse di Trump potrebbero servire a Israele per facilitare altri accordi di normalizzazione, gli “accordi di Abramo”. Infatti, riferendosi agli accordi, ha osservato che Israele ha investito nella loro espansione.

Medio Oriente: crocevia di progetti imperialisti concorrenti da Est a Ovest

Il progetto del Corridoio India-Medio Oriente-Europa (IMEC)

Ha detto che negli oltre due anni di preparazione con Trump (nel suo precedente mandato), gli Stati del Golfo hanno mantenuto una retorica aggressiva nei confronti di Israele “ma sotto la superficie stava accadendo qualcosa di molto diverso. E penso che ci sia la possibilità che questo accada di nuovo. Sarei molto felice se accadesse, perché questo è uno dei miei obiettivi“.

Il giorno successivo, il Segretario di Stato americano Marco Rubio ha dichiarato al Congresso degli Stati Uniti che altre nazioni arabe stabiliranno legami con Israele entro l’anno. Interrogato sulla posizione dell’Arabia Saudita una settimana dopo la visita di Trump a Riad, Rubio ha espresso l’opinione che “c’è ancora la volontà di farlo”, ma “i sauditi hanno espresso la loro incapacità di procedere in questo senso finché il conflitto a Gaza continua”.

Gli “Accordi di Abramo” sono stati firmati nel 2020 da Israele con gli Emirati Arabi Uniti (EAU) e il Bahrein, e poi con Marocco e Sudan. Si tratta dei primi Paesi arabi da decenni a “normalizzare” le relazioni con Israele. L’Arabia Saudita era in trattative avanzate durante l’amministrazione Biden, ma sono state “congelate” dopo l’inizio della guerra di Israele a Gaza.

La contrattazione a più livelli in Medio Oriente

Medio Oriente: crocevia di progetti imperialisti concorrenti da Est a Ovest

La “Via della Seta”

Come hanno recentemente dichiarato gli analisti emiratini alla rivista Foreign Policy, la guerra di Israele non ha avuto finora “alcun impatto” sull’impegno degli Emirati Arabi Uniti nei confronti dell’accordo. Hanno persino osservato che non ci si aspetta un cambiamento di posizione anche se Israele dovesse occupare completamente Gaza. Sottolineano, tuttavia, che il proseguimento delle operazioni a Gaza ha “rallentato” gli altri che sono disposti a normalizzare i legami con Israele: “La guerra ha messo in stand-by gli accordi, anche se un numero maggiore di Paesi vuole aderire”[1]. 

Bassam Barabandi, un ex diplomatico siriano che ha disertato per gli Stati Uniti, ha affermato che in Siria “c’è una tendenza verso gli Accordi abramitici”. Diversi analisti hanno scritto in passato che, in cambio della revoca delle sanzioni da parte degli Stati Uniti, la Siria potrebbe essere inclusa negli Accordi.

L’UE ha già revocato le ultime sanzioni alla Siria, mentre durante la sua visita in Arabia Saudita, anche Trump ha annunciato la revoca delle sanzioni e ha aggiunto che il “presidente” jihadista della Siria, Ahmad al-Shara’, ha accettato di aderire agli “Accordi di Abramo”.

Il terreno è già stato preparato: qualche mese fa due membri del Congresso degli Stati Uniti, Marlin Stutzman e Cory Mills, hanno incontrato al-Shara’ a Damasco e hanno dichiarato che è aperto a una relazione con Israele nel quadro degli “Accordi di Abramo”[2].

Come riporta Foreign Policy, l’umore generale tra gli Stati arabi è quello di cercare modi per normalizzare i legami con Israele al giusto prezzo. “Ogni Paese ha un prezzo per la normalizzazione, e l’America deve pagarlo. E se gli Stati Uniti accettano di pagare questo prezzo, allora sì, si possono firmare altri accordi“, osserva.

La “forza” degli accordi

“Gli Accordi di Abramo sono in gran parte sopravvissuti alla guerra, ma il loro futuro dipenderà dalle dinamiche più ampie nella regione e oltre”, osserva un’analisi del Carnegie Endowment for International Peace, uno dei maggiori think tank.

Dal punto di vista degli Stati Uniti, gli “Accordi di Abramo” avevano un duplice scopo: da un lato, consolidare il ruolo degli Stati Uniti nella regione, “eludendo” la questione palestinese, e dall’altro contenere la crescente influenza regionale della Cina[3].

Dopo la firma degli accordi, gli Emirati Arabi Uniti e Israele si sono mossi rapidamente per stabilire relazioni diplomatiche, abolire i visti e introdurre voli diretti. Hanno inoltre concluso un accordo di libero scambio e un partenariato economico globale nel 2022, mostrando l’intenzione di cooperare in una serie di settori, dalla tecnologia alle infrastrutture, con l’obiettivo di aumentare il commercio bilaterale annuale a 10 miliardi di dollari entro il 2027, rispetto ai 2,5 miliardi del 2022.

Inoltre, India, Israele, Emirati e Stati Uniti hanno lanciato la partnership “I2U2” nel settembre 2023. Gli Emirati Arabi Uniti hanno condannato pubblicamente Israele per la guerra a Gaza, ma non hanno interrotto le relazioni diplomatiche. Anzi, lo scoppio della guerra ha portato alla creazione di una nuova rotta terrestre tra gli Emirati Arabi Uniti e Israele, attraverso l’Arabia Saudita e la Giordania, permettendo alle aziende israeliane di aggirare il Mar Rosso.

Da parte sua, il Bahrein, che ospita la Quinta Flotta statunitense, nel 2022 ha concluso il primo “accordo di sicurezza” formale mai firmato con Israele da un membro del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG).

La normalizzazione delle relazioni del Marocco con Israele è strettamente legata alla questione della sovranità del Sahara occidentale. Alla fine del 2020, l’amministrazione Trump ha riconosciuto le rivendicazioni marocchine sulla regione, aprendo la strada a Rabat per stabilire relazioni diplomatiche con Israele. Nel 2021, Marocco e Israele hanno firmato un “memorandum d’intesa sulla difesa”, che ha portato a una serie di accordi sulle armi, tra cui droni avanzati, sistemi di difesa aerea e satelliti di intelligence.

Le mosse di Iran e Cina

In uno sviluppo parallelo, alti funzionari iraniani e sauditi si sono incontrati a Pechino nel marzo 2023, firmando un accordo per ripristinare completamente le relazioni diplomatiche tra i due Paesi e riattivare un accordo di cooperazione sulla sicurezza del 2001. Questa svolta diplomatica è stata mediata da Iraq, Oman e, naturalmente, Cina.

Teheran ha presentato un proprio quadro di cooperazione regionale, denominato “Unione di dialogo musulmano dell’Asia occidentale”, una sorta di controproposta agli “Accordi di Abramo”. Secondo quanto esposto dall’ex ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif, il progetto di unione include la Turchia, rivale dell’Iran nella regione, ma esclude Israele.

La Cina ha rafforzato la sua presenza in Medio Oriente e Nord Africa. Pechino ha incoraggiato giganti della tecnologia come Huawei, Tencent, ByteDance e Ali Baba a collaborare con i governi regionali e i fondi sovrani, adattandosi alle realtà locali e facilitando il trasferimento di tecnologia, in particolare negli Stati del Golfo, nell’ambito dell’iniziativa della “Via della Seta Digitale”.

La Cina ha firmato un accordo molto importante con l’Iran nel 2021, che include progetti infrastrutturali per lo sviluppo della “Via della Seta” cinese. Sebbene in un primo momento non siano stati forniti dettagli sui termini dell’accordo, è stato rivelato che la bozza prevedeva 400 miliardi di dollari di investimenti cinesi in settori quali banche, telecomunicazioni, porti, ferrovie, sanità e informatica nei prossimi 25 anni.

L’accordo prevedeva anche una più profonda cooperazione militare, tra cui addestramento ed esercitazioni congiunte, ricerca e sviluppo di armi comuni, condivisione di informazioni e sicurezza informatica. In cambio, la Cina avrebbe ricevuto forniture regolari e fortemente scontate di petrolio iraniano[4].

Il Corridoio India-Medio Oriente-Europa

Sulla base di quanto detto, sulla mappa della regione sono stati tracciati una serie di corridoi energetici e di trasporto in competizione tra loro.

Gli Stati Uniti e Israele, con il sostegno dei loro alleati euro-atlantici, stanno ridisegnando il Medio Oriente facendo fuoco e fiamme per contrastare l’influenza cinese. Al centro di questo braccio di ferro c’è il Corridoio economico India-Medio Oriente-Europa (IMEC), un’alternativa alla “Via della Seta” cinese che Pechino continua a promuovere con forza.

Secondo il governo indiano, l’implementazione del Corridoio ridurrà fino al 30% il costo del trasporto delle merci dall’India e del 40% il tempo di trasporto rispetto alla rotta esistente, che passa attraverso il Canale di Suez.

Si ricorda che l’IMEC è stato annunciato nel 2023, con la partecipazione di India, Arabia Saudita, Israele, Emirati Arabi Uniti e importanti Paesi europei, con l’obiettivo di collegare l’India all’Europa attraverso il Medio Oriente. Il progetto rimane un punto centrale della diplomazia statunitense e si basa sugli “Accordi di Abramo”. Il porto israeliano di Haifa è una pietra miliare di questo progetto.

Il perseguimento da parte di Tel Aviv del pieno controllo di Gaza, che dista pochi chilometri dal porto di Haifa, non è solo un obiettivo militare, ma una precondizione per garantire l’IMEC.

È significativo che, nonostante gli ostacoli sollevati dalle fiamme della guerra in Medio Oriente, i progressi dell’IMEC non si siano fermati. Gli scambi commerciali tra l’India e gli EAU sono aumentati del 93% dal 2022, mentre gli EAU hanno speso 2,3 miliardi di dollari per la costruzione di una ferrovia che li collega alla Giordania. Analogamente, l’Arabia Saudita ha superato i 4 miliardi di dollari di investimenti in progetti ferroviari legati all’IMEC nell’ambito della “Saudi Vision 2030”.

Il Ministro degli Esteri indiano ha dichiarato in aprile che la guerra a Gaza non influisce sui piani dell’IMEC: “I lavori possono procedere in parallelo. La situazione della sicurezza riguarda solo alcune aree in un determinato momento. È possibile lavorare su questo progetto in modo distribuito“, ha dichiarato.

L’India e l’Arabia Saudita stanno conducendo uno studio di fattibilità per collegare le reti elettriche attraverso cavi sottomarini sotto il Mar Arabico tra la costa orientale dell’Arabia Saudita e la costa occidentale dell’India. I piani per l’IMEC rimangono sul tavolo dei colloqui tra India ed Emirati Arabi Uniti, che nel 2024 hanno firmato un accordo di cooperazione sul Corridoio, ma senza alcuna menzione di Israele.

L’estremità europea dell’IMEC

I porti greci dovrebbero diventare la “porta d’ingresso” dell’IMEC in Europa, un aspetto su cui, secondo quanto riferito, si sta concentrando il nuovo ambasciatore statunitense ad Atene. A febbraio, il ministro degli Esteri G. Gerapetritīs ha incontrato il suo omologo indiano, S. Jaishankar, per discutere di investimenti bilaterali.

Il governo greco ha posto l’accento sull’IMEC, migliorando costantemente le sue relazioni sia con l’India che con Israele. Gli scambi commerciali tra Israele e Grecia sono aumentati del 41,3% dal 2023 al 2024 e questa tendenza sembra destinata a continuare. Questo spiega anche il sostegno fanatico a Israele nei suoi crimini a Gaza.

La partecipazione dell’Italia all’IMEC ha coinciso con il ritiro di Roma dalla Belt and Road Initiative (BRI) cinese nel dicembre 2023, due mesi dopo l’annuncio dell’IMEC. L’Italia ha recentemente nominato un inviato speciale per supervisionare l’adesione del Paese all’IMEC (Francesco Maria Talo’, già rappresentante presso la NATO, NdT), mentre il Primo Ministro Giorgia Meloni ha dichiarato che l’obiettivo di Roma è quello di integrare Trieste nel sistema portuale IMEC.

Inoltre, l’Italia ha sostenuto il suo interesse per l’IMEC con l’aumento dei legami diplomatici con l’India e gli Stati del Golfo. Gli Emirati Arabi Uniti hanno recentemente accettato di investire 40 miliardi di euro in Italia.

La Francia è in competizione con l’Italia per la stazione finale dell’IMEC. Oltre alla nomina di un inviato per l’IMEC, il Presidente E. Macron sta promuovendo Marsiglia come punto di ingresso del Corridoio in Europa. È in questa città che Narendra Modi ha inaugurato il nuovo consolato dell’India lo scorso febbraio.

Il “Corridoio di Mezzo” turco e il Corridoio Nord-Sud di Teheran

Oltre alla “Via della Seta” cinese, l’aspirazione della borghesia turca a rivendicare per sé il ruolo di principale via di transito tra Oriente e Occidente è in competizione con l’IMEC.

Il governo turco ha proposto un proprio piano regionale per collegare l’Asia all’Europa attraverso il cosiddetto “Corridoio transcaspico”, che passa per l’Azerbaigian, il Mar Caspio, il Kazakistan e la Cina. Il Corridoio dovrebbe essere esteso anche all’Iraq, con una rete che parte dal porto di Fau, attualmente in costruzione, e termina via terra in Turchia.

Il “Corridoio di Mezzo” è anche in concorrenza con i piani dell’Iran, che ha presentato un piano di cooperazione con l’India e la Russia, chiamato Corridoio Internazionale di Trasporto Nord-Sud (INSTC). Ci sono anche prospettive per l’inclusione del Pakistan. Si tratta di una rotta commerciale multilaterale lunga 7.200 chilometri che attraverserà l’Iran, il Mar Caspio e l’Oceano Indiano prima di raggiungere l’Europa.

L’INSTC è stato “abbottonato” con il cosiddetto “Accordo di Ashgabat” per creare un corridoio di trasporto internazionale tra l’Asia centrale e il Golfo Persico, che coinvolge India, Oman, Iran, Turkmenistan, Uzbekistan e Kazakistan. I piani sono in corso dal 2000 e, nonostante il significativo sostegno iniziale di Russia, Cina e India, la concorrenza di altri corridoi di trasporto ne ha ritardato il pieno sviluppo.

Il fronte parallelo nel Mar Rosso

Un fronte parallelo a questo confronto si sta svolgendo nel Mar Rosso. Le attività militari americane e israeliane nei pressi della “Porta del lamento funebre” (Bab el-Mandeb, Ndt), a cui la Grecia partecipa attivamente attraverso la missione europea “Aspides”, mirano a consolidare il dominio dell’asse euro-atlantico in un’arteria commerciale globale fondamentale.

La Cina, che dal 2017 ha mantenuto la sua prima base navale all’estero a Gibuti per proteggere le rotte marittime della “Via della Seta”, vede le operazioni militari in quella zona come una sfida diretta. Secondo un articolo firmato da ex alti ufficiali delle forze armate statunitensi, tra cui l’ex direttore dell’intelligence del Capo di Stato Maggiore e l’ex comandante della 5a Flotta, gli Stati Uniti stanno puntando al Mar Rosso “per contrastare la crescente influenza della Cina nella regione”, citando le esercitazioni navali congiunte Cina-Russia-Iran[5].

Ad aprile, infatti, gli Stati Uniti hanno accusato la società satellitare cinese “Chang Guang” di aver fornito immagini satellitari agli Houthi per aiutarli a colpire le navi statunitensi e alleate nel Mar Rosso. Sebbene l’azienda abbia negato l’accusa, Washington ritiene che questa sia la prova che Pechino sta usando aziende private per condurre una “guerra di informazione per procura”. Secondo l’Istituto di sicurezza nazionale israeliano, la Cina è “pronta a farsi carico dei danni economici causati dalla crisi” nel Mar Rosso per ostacolare gli obiettivi israelo-americani[6].

 

Riferimenti:

[1] https://foreignpolicy.com/2025/05/15/somehow-the-abraham-accords-are-alive-and-well/

[2] https://english.enabbaladi.net/archives/2025/04/us-congressmen-pave-the-way-to-damascus/?

[3] https://carnegieendowment.org/research/2025/04/the-abraham-accords-after-gaza-a-change-of-context?lang=en

[4] https://www.nytimes.com/2021/03/27/world/middleeast/china-iran-deal.html

[5] https://thedefensepost.com/2025/04/14/us-pressure-houthis/

[6] https://www.inss.org.il/publication/china-houthi-middle-east/?utm

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