Il contratto di lavoro stagionale
Siamo alle porte della stagione turistica estiva, un periodo di tempo che varia dai due o tre mesi delle località balneari medie ai cinque o sei mesi dei centri turistici costieri più noti, come Rimini, Forte dei Marmi, Tropea o Taormina. Con essa si moltiplicano le assunzioni dei lavoratori del turismo inquadrati, principalmente, con i contratti di tipo stagionale. Abbiamo approfondito anni fa, qui e qui, il carattere fortemente peggiorativo (anche rispetto ai “normali” contratti a termine) del contratto di lavoro stagionale, oltre a raccontare diversi aneddoti circa lo sfruttamento intensivo che tali contratti favoriscono.
Alla luce, anche, delle ultime novità dal punto di vista legislativo, che colpiscono in particolare i lavoratori del settore turistico, vogliamo, in questo nuovo articolo, approfondire la situazione con la quale si troveranno a confrontarsi i proletari che vivono prestando la propria forza lavoro a questo settore; un settore, ricordiamo, che i dati riconoscono come tra i più soggetti al lavoro nero o “grigio” e alle pratiche di sfruttamento in generale. Il potere negoziale che la categoria degli imprenditori turistici e stagionali può vantare nei confronti dei propri dipendenti, talmente forte da permettere ai primi di forzare i secondi a lavorare senza contratto e, spesso, senza vincoli di orario, dipende infatti, anche, dalla debolezza generale di questa categoria di lavoratori, legata a un sistema di inquadramento contrattuale tra quelli con meno garanzie in Europa.
Il sistema di inquadramento dei contratti stagionali è ora ulteriormente ampliato in virtù delle nuove disposizioni del governo Meloni, con il Collegato Lavoro, ossia la Legge n. 203/2024: infatti, adesso, questo tipo di contratto può essere esteso persino a mansioni che non sono propriamente stagionali e potrà essere applicato anche per fare fronte ad intensificazioni dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno, nonché a esigenze tecnico-produttive o collegate ai cicli stagionali dei settori produttivi o dei mercati serviti dall’impresa, secondo quanto previsto dai contratti collettivi di lavoro. Occorre parlare dei contratti stagionali, quindi, anche perché il governo Meloni, ha deciso di andare incontro alle richieste di quella parte di borghesia che, di recente, ha percepito maggiormente le oscillazioni e le congiunture incerte del mercato. L’esecutivo ha dato ai padroni la possibilità di fare uso di questo inquadramento peggiorativo ed estremamente flessibile anche al fine di evitare l’assunzione di lavoratori stabili o a termine (con un limite temporale entro il quale bisogna stabilizzarli) per affrontare aumenti improvvisi o irregolari delle commesse e della produzione. I contratti stagionali, perciò, non caratterizzeranno più soltanto gli operai dei lidi balneari, i dipendenti dei bed & breakfast, degli hotel, dei ristoranti o dei bar delle località turistiche, ma anche gli operai di una fabbrica o gli impiegati di un ufficio aperto undici mesi l’anno.
Anche per questo, è interessante chiedersi il motivo per cui i padroni trovano il contratto stagionale estremamente conveniente.
In sintesi, la risposta è perché si tratta di uno dei contratti con meno tutele in assoluto. Il contratto stagionale è, in pratica, un contratto a termine; quindi, soggiace ai suoi classici adempimenti ed obblighi più noti (forma scritta del contratto, iscrizione INPS/INAIL del lavoratore, ecc.), ma con una serie di particolarità che lo distinguono da un normale contratto a tempo determinato:
- Non prevede un limite di 24 mesi. Rispetto al contratto a tempo determinato ordinario, quello stagionale non deve rispettare il limite di durata di 24 mesi anche non continuativi (al superamento dei quali il rapporto si trasforma automaticamente a tempo indeterminato), né il limite – in alternativa – fissato dal CCNL applicato. Un lavoratore stagionale del turismo resta praticamente precario a vita, non essendogli garantito un termine oltre il quale il datore di lavoro è costretto a stabilizzarlo in qualche forma.
- Non prevede un limite ai rinnovi (e nessuna causale specifica). La disciplina del rinnovo, nella stagionalità, deroga in toto a quella generale per i contratti a tempo determinato. Pertanto, i contratti stagionali possono essere liberamente rinnovati, quante volte si vuole, e senza l’obbligo di apporre alcuna causale. I lavoratori stagionali possono benissimo essere assunti attraverso una miriade di piccoli contratti “spezzatino” che ne incrementano al massimo la ricattabilità.
- Non prevede la pratica dello “stop and go”. Per quanto riguarda la successione di rapporti, nel contratto di lavoro stagionale non si applica il cosiddetto “stop and go”, vale a dire il periodo cuscinetto che obbliga ad uno stacco di dieci o venti giorni a seconda che il precedente rapporto abbia avuto una durata fino a sei mesi o superiore. Ciò significa che un contratto stagionale si può ben legare al successivo senza soluzione di continuità. Stesso ragionamento del precedente: nessun limite ai contratti spezzatino ingiustificati per i datori di lavoro, che possono, senza alcuna ragione se non ricattare il dipendente, assumerlo non con un contratto continuo ma attraverso tanti contratti uno dopo l’altro da rinegoziare ogni volta.
- Non possiede limiti quantitativi per le assunzioni all’interno della stessa azienda. Di conseguenza, non si applica né la percentuale del 20% rapportata sui lavoratori in forza a tempo indeterminato il 1° gennaio dell’anno a cui ci si riferisce, né a quella, eventualmente diversa, prevista dalla contrattazione collettiva. Per investire in un’attività turistica possono benissimo essere ignorati i contratti a tempo indeterminato – quando potrebbero essere usati, invece, dei contratti a tempo indeterminato che contemplino il riposo invernale e la ciclicità del lavoro.
Oltre questo, è importante ricordare che il lavoro stagionale è possibile anche con un rapporto di apprendistato, se la contrattazione collettiva lo disciplina (si pensi al CCNL Pubblici esercizi – Confcommercio oppure il CCNL Agenzie di viaggio e turismo – Confcommercio, oppure ancora Turismo – Industria).
Curiosamente, il diritto di precedenza, l’unica tutela peculiare diretta ai lavoratori stagionali, continua ad essere praticamente sconosciuto da tutti i lavoratori: il dipendente assunto con contratto a termine per attività stagionali può esercitare il diritto di precedenza in caso di nuove assunzioni a tempo determinato per lo svolgimento delle medesime mansioni nella successiva stagione. Questo significherebbe, per i dipendenti, una piccola arma nei confronti dei padroni che utilizzano il ricatto del “o così o non lavori più da noi”; purtroppo la scarsissima sindacalizzazione del settore e il livello di scolarizzazione – spesso basso – della manodopera turistica la rendono una disposizione prevalentemente disapplicata.
Le novità del governo Meloni
Introduciamo, adesso, le novità legislative degli ultimi mesi introdotte dal governo Meloni, che andranno a ridurre ancora di più la qualità della vita dei lavoratori stagionali.
Con la nuova legge di bilancio, infatti, a partire da gennaio 2025, infatti, i lavoratori che si dimettono volontariamente da un impiego e che nei successivi 12 mesi trovano una nuova occupazione dovranno maturare almeno 13 settimane di contribuzione presso il nuovo datore di lavoro per poter accedere alla NASpI in caso di licenziamento. Non bastano più, quindi, 13 settimane di contribuzione versata nei 4 anni precedenti in generale. Questa modifica è gravemente limitante perché è un disincentivo a lasciare lavori non dignitosi che, nel periodo estivo, spesso non sono un numero marginale. Certo, questa disposizione non si applica, in teoria, alle dimissioni per giusta causa, oltre che alle risoluzioni consensuali avvenute nell’ambito di procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (secondo quanto previsto dalla Legge 604/1966 e successive modifiche) e alle dimissioni presentate durante il periodo di maternità. Ma, in caso di contestazione del datore di lavoro, risulta difficile dimostrare in un ambiente anarchico, omertoso e senza controlli che le dimissioni sono state per “giusta causa”. Inoltre, questo intimidisce anche chi vorrebbe dimettersi per iniziare un impiego che potrebbe essere migliore sul piano economico e del trattamento in generale.
In secondo luogo, come abbiamo accennato, è stata introdotta l’estensione delle categorie incluse nei “lavori stagionali”, che ha effetto retroattivo e si applica anche ai contratti collettivi già esistenti, ampliando la definizione di attività stagionali, includendo non solo quelle tradizionalmente riconosciute dal Dpr 1525/1963, ma anche quelle necessarie per far fronte a intensificazioni dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno. Questo va, peraltro, a contraddire delle sentenze della stessa Cassazione, che ha più volte stabilito che un’attività stagionale deve essere aggiuntiva rispetto a quella normalmente svolta, mentre le fluttuazioni del mercato e gli incrementi di domanda ricorrenti rientrano nella nozione di “punte di produttività”. Queste ultime non sarebbero da considerare stagionali, ma piuttosto incrementi della normale attività lavorativa.
A tutto ciò si aggiunge la disposizione, istituita con la stessa norma, per la quale se un lavoratore resta assente ingiustificato per più di 15 giorni, e il contratto collettivo nazionale (CCNL) non prevede un termine diverso, il datore di lavoro può considerare il rapporto risolto per volontà del dipendente. Si tratta di un altro disincentivo a una delle tante vie di fuga praticate dai lavoratori sfruttati e maltrattati l’estate nell’ambito del turismo, che in questo modo riuscivano a farsi licenziare e ottenere perlomeno la NASpI. In assenza di una reale capacità di mobilitazione collettiva dei lavoratori stagionali e non solo, la tendenza nelle tutele sul lavoro continua ad essere al ribasso.
Lavoro stagionale e stranieri: lo “Squid Game” italiano
C’è una categoria di lavoratori ancora più oppressa all’interno di quella dei lavoratori stagionali: la categoria dei lavoratori stagionali stranieri. L’intera qualità della loro vita, la possibilità di integrarsi o meno in un Paese economicamente sviluppato come il nostro, dipendono dalla volontà di assumerli da parte del datore di lavoro, che possiede perciò un potere negoziale oltre ogni immaginazione.
Infatti, il fenomeno dell’immigrazione stagionale è incentrato essenzialmente sul cosiddetto sistema delle quote di ingresso, stabilite di anno in anno, con apposito decreto ministeriale, attraverso cui si consente l’accesso, nel nostro Paese, a stranieri di provenienza non comunitaria, che vogliano entrare per ragioni lavorative. I visti e i relativi permessi di soggiorno sono concessi all’interno del meccanismo delle quote di ingresso. Si tratta di visti, perciò, che seppur dettati da ragioni di lavoro sono sottoposti a limitazione numerica e necessitano di un precipuo provvedimento che autorizzi all’ingresso in Italia, emanato nell’ambito di una programmazione annuale di carattere amministrativo da parte delle autorità governative, volta a definire le quote. Questo mette i lavoratori extracomunitari in competizione sfrenata fra loro per essere “scelti” a far parte di questo numero ristretto di privilegiati.
Il padrone è sovrano di questa scelta. Il datore di lavoro o le associazioni di categoria per conto dei loro associati, infatti, se intendono instaurare in Italia un rapporto di lavoro subordinato a carattere stagionale nei settori agricolo e turistico/alberghiero con un cittadino straniero, presentano richiesta nominativa allo sportello unico per l’immigrazione della provincia di residenza. Lo sportello unico per l’immigrazione rilascia il nulla osta al lavoro stagionale, anche pluriennale, per la durata corrispondente a quella del lavoro stagionale richiesto, non oltre venti giorni dalla data di ricezione della richiesta del datore di lavoro. Questo nulla osta autorizza lo svolgimento dell’attività lavorativa stagionale fino ad un massimo di nove mesi nell’arco di dodici mesi e la possibilità della conversione del permesso di soggiorno in lavoro subordinato e la concessione del nulla osta pluriennale.
La possibilità di essere scelto apre al lavoratore quella di poter lavorare stabilmente in Italia e integrarsi nel Paese. Non è difficile pensare a quali condizioni di trattamento e inquadramento si prestino questi operai stranieri al fine di raggiungere questo obiettivo. Questo significa che invece di pianificare l’immigrazione a seconda delle reali possibilità di sviluppo e integrazione del territorio, l’Italia delega agli sfruttatori la scelta di quanti e quali persone far entrare, con il solo criterio del massimo sfruttamento possibile.
Il rinnovo del CCNL del turismo
Il Contratto Collettivo Nazionale per turismo e pubblici esercizi, quello che regola la maggior parte dei lavori stagionali del turismo, ha dovuto attendere tre anni, dalla sua scadenza nel 2021, per essere rinnovato. Il nuovo CCNL, firmato dalle principali sigle sindacali con Federalberghi e FAITA (associate a Confcommercio Imprese per l’Italia) lo scorso 5.06.2024, è in vigore dal 1.07.2024 al 31.12.2027. L’accordo ha aggiornato la classificazione del personale e modificato gli aspetti economici e normativi, prevedendo anche interventi su welfare aziendale, ormai sempre più radicato e sostitutivo della sanità e dei servizi pubblici. Il contratto si applica a tutte le attività turistico-ricettive italiane, anche all’aria aperta, alberghiere ed extralberghiere nonché alle attività annesse (centri congressi, bar, ristoranti, stabilimenti termali e balneari), comprese pensioni, bed and breakfast, ostelli, villaggi turistici, campeggi, porti e approdi turistici e punti di ormeggio. Tutti i lavoratori di questi settori, perciò, per tre anni non hanno avuto alcun riscontro per quanto riguarda l’adeguamento del loro salario all’inflazione, con un carovita che nel 2022, ricordiamo, aveva sfiorato il 10% annuo.
Tuttavia, il nuovo contratto collettivo fa poco per incrementare il salario reale degli stagionali. Al fine di aggiornare dei livelli retributivi fermi al 2016, l’accordo prevede un aumento economico, a regime, di soli 200 euro parametrato al quarto livello d’inquadramento, una cifra assolutamente non rapportata all’inflazione cumulata negli scorsi 4 o 5 anni. Inoltre, l’attribuzione di tale incremento retributivo è suddivisa in ben 5 tranche, depotenziando al massimo l’effetto dell’aumento in busta paga:
- 70,00 euro da luglio 2024;
- 40,00 euro da giugno 2025;
- 35,00 euro da maggio 2026;
- 35,00 euro da aprile 2027;
- 20,00 euro da novembre 2027.
Per di più, si è prevista una tabella retributiva con importi ridotti per i dipendenti delle aziende minori (alberghi a una o due stelle e piccoli campeggi).
Uscendo dal perimetro dei contratti stagionali ma restando nell’ambito del turismo, vogliamo ricordare che il rinnovo del CCNL Turismo aggiorna anche la disciplina dei contratti a termine consentendo la stipula, le proroghe e i rinnovi di contratti oltre i 12 mesi anche in occasione di grandi eventi (ad esempio Giubileo, Olimpiadi, Expo) da individuare a livello territoriale, fermo restando il limite legale fissato a 24 mesi complessivi.1 È, questa, l’ennesima concessione alle imprese che fanno man bassa di fondi e profitti nel corso delle grandi manifestazioni culturali a discapito della qualità della vita della popolazione del luogo.
Tra le novità più significative del CCNL, infine, emerge la possibilità di esternalizzare i servizi di pulizia e riassetto delle camere e di altri servizi, previo confronto sindacale con RSA o RSU. Questa soluzione, già prevista di recente per legittimare l’estensione dei contratti a termine oltre i 12 mesi, delega alle parti più ricattabili del sindacato (quelle, spesso, isolate dentro le singole aziende) il potere di prendere accordi su questi temi. Esternalizzare un servizio, quasi sempre, è un metodo dell’azienda principale per diminuire il costo del lavoro, scaricando alcune mansioni su proletari assunti temporaneamente da piccole imprese, con trattamenti peggiorativi e condizioni di lavoro ancora più precarie.
Conclusioni
Il contratto di lavoro stagionale è una versione, se vogliamo, più screditante e flessibile dello stesso contratto a termine, che già è stato ulteriormente liberalizzato dalle ultime disposizioni del governo Meloni. Anche per questo, le novità legislative hanno mirato a estenderne lo spettro di applicazione verso una moltitudine di mansioni e a disincentivare le pratiche di lotta informale dei lavoratori. Nell’ambito del lavoro stagionale, nel quale i sindacati raramente sono riusciti a organizzare una qualche forma di lotta (e ciò si riflette sugli elementi negativi del nuovo CCNL), sono inquadrate in effetti le categorie di proletari più deboli e ricattabili, come giovani, lavoratori extracomunitari e persone che da una vita svolgono solamente lavori di breve periodo, in nero, in grigio. Si può affermare che il contratto stagionale vada molto “di moda” tra i padroni proprio perché è uno di quelli che offrono più garanzie dal punto di vista del potere ricattatorio. Una situazione dalla quale non esiste via d’uscita in mancanza di una sistematica sindacalizzazione combattiva dei lavoratori del turismo, che organizzi azioni conflittuali soprattutto nei momenti apicali della stagione estiva, quelli in cui i lavoratori stagionali sono maggiormente vessati e assoggettati alle pretese dei padroni.
1 – Ricordiamo che il decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48, del governo Meloni, convertito nella Legge 3 luglio 2023, n. 85, aveva già fatto sì che per il contratto a termine dopo i primi 12 mesi non fossero più necessarie le causali relative alle “esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività” e quelle “connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria”. Il contratto a termine può da allora durare oltre 12 mesi, fino a 24, innanzitutto nei casi previsti dai contratti collettivi stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale e dai contratti aziendali firmati dalle loro Rsa o dalla Rsu, molto più ricattabili del sindacato nazionale. Il rinnovo senza causali nei primi 12 mesi, parte della legge, consente poi alle imprese di moltiplicare i contrattini di pochi mesi senza giustificarne il motivo.