La vergognosa strumentalizzazione del Giorno della Memoria
Il 27 gennaio 1945 è una data fondamentale, una ricorrenza che non va dimenticata e il cui significato è necessario tramandare alle nuove generazioni. Quello che è stato internazionalmente istituito come Giorno della Memoria commemora la liberazione da parte dell’Armata Rossa del campo di concentramento di Auschwitz, nei pressi della città polacca di Oświęcim, il cui complesso di campi di concentramento e di sterminio fu il più grande realizzato dalla Germania e in cui si stima persero la vita oltre un milione di persone. La celebrazione della giornata fu stabilita dalle Nazioni Unite nel 2005, in occasione del sessantesimo anniversario della liberazione del campo, per commemorare le vittime dell’Olocausto, lo sterminio di due terzi della popolazione ebraica europea, oltre che di una serie di minoranze considerate inferiori dall’ideologia hitleriana.
Senza soffermarsi sugli eventi storici che portarono alla liberazione di Auschwitz da parte dei soldati sovietici, che segue cronologicamente la presa dei campi smantellati dai tedeschi di Majdanek, Chełmno, Bełżec, Sobibor e Treblinka, è necessaria una riflessione sul Giorno della Memoria e sul suo significato. La liberazione dei campi di concentramento e di sterminio rese possibile la scoperta degli orrori commessi nei lager nazisti, per lo più rimasti celati fino alla controffensiva sovietica e occultati dalle SS, che si affrettarono a distruggere quante più prove del genocidio non appena l’avanzata dell’URSS in quei territori si rivelò inarrestabile. La conseguente diffusione delle immagini, delle notizie e delle testimonianze dei sopravvissuti ebbe un notevole impatto sull’opinione pubblica in tutto il mondo, provocando sgomento per le atrocità commesse dai fascisti in tutta Europa e per ogni forma di genocidio, segregazione e discriminazione razziale.
Purtroppo, la celebrazione della giornata è oggetto, ormai da diversi anni ma tanto più oggi, di un attacco ideologico da parte dei governi che mira, nel migliore dei casi, a decontestualizzarla dalla storia del XX secolo, svuotandola di ogni significato politico, oppure a piegarla secondo la strategia delle borghesie nei diversi paesi (come fanno oggi i sionisti israeliani per giustificare il massacro che stanno conducendo in Palestina). È importante oggi analizzare queste tendenze al fine di contrastare ogni strumentalizzazione di una fase storica di grande importanza per lo sviluppo della società in cui viviamo.
Una data svuotata del proprio significato
Si sono citati brevemente alcuni degli impatti che i fatti del gennaio 1945 ebbero nella presa di coscienza da parte della grande maggioranza della popolazione europea e mondiale. Ciò nonostante, è necessario contestualizzare il secondo dopoguerra in una fase di avanzamento dei movimenti antifascisti, operai e comunisti, di nascita e affermazione dei movimenti anticoloniali, per l’uguaglianza dei popoli e contro le discriminazioni razziali.
Il periodo storico in cui il Giorno della Memoria viene istituito è completamente diverso: non solo nella sfera internazionale il blocco socialista è venuto meno, ma anche nei paesi capitalisti i partiti che facevano propria la storia della Resistenza e dell’antifascismo avevano in molti casi intrapreso un percorso di mutazione del proprio carattere di classe, fino a diventare a tutti gli effetti partiti del tutto integrati nella vita politica borghese. Proprio in questa fase il 1° novembre 2005 viene istituita con la risoluzione 60/7 dell’Assemblea Generale dell’ONU la “Giornata internazionale di commemorazione in memoria delle vittime dell’Olocausto” con l’obiettivo di «contribuire a prevenire futuri atti di genocidio».
Nel nostro paese una ricorrenza per la stessa data era già stata istituita con la legge 20 luglio 2000 n. 211, la quale stabiliva per il 27 gennaio il “Giorno della Memoria”:
«ART. 1: La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.
ART. 2: In occasione del “Giorno della Memoria” di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere.»
Nei due articoli non è menzionato chi fu ad “abbattere i cancelli di Auschwitz”. La mancata menzione dell’Unione Sovietica non è casuale, ma va ricondotta alla retorica borghese, sostenuta tanto dai partiti di governo italiani (odierni quanto di quelli dei primi anni 2000) quanto dall’Unione Europea, dei “totalitarismi”, secondo la quale in fondo la Germania hitleriana e i paesi socialisti non erano diversi nella sostanza. Una visione talmente falsa da accomunare il fascismo a chi in ogni epoca ha combattuto per abbatterlo, anche quando andava a braccetto con i liberali di tutto il mondo.
A questa propaganda si unisce la revisione storica dei fatti del XX secolo, ed in particolare la narrazione che attribuisce un sempre maggior peso nella Seconda Guerra Mondiale agli alleati anglo-americani, piuttosto che all’URSS (che diede in realtà il contributo maggiore alla vittoria). La finalità è la medesima, ossia l’attacco allo Stato sovietico, e la criminalizzazione del comunismo. Non è un caso che l’8 maggio 2005, solo pochi mesi prima della redazione della risoluzione sull’Olocausto, il Parlamento europeo approvava una risoluzione che equiparava comunismo e fascismo, falsificando la storia in funzione anticomunista.
A tale operazione tutta ideologica si aggiunge la riduzione della condanna storica al solo “nazismo” (ossia alla specifica forma del fascismo hitleriano), salvando quindi tutti gli alleati della Germania prima e durante la guerra, i quali diedero un contributo significativo allo sterminio, alle operazioni belliche stesse e all’insabbiamento della barbarie dei campi di concentramento. Sono diversi i personaggi o i partiti politici di estrema destra (ma non solo) che beneficiano di questa omissione: in Italia, come evidente anche dalla legge che istituisce il Giorno del Ricordo, non si fa alcun riferimento ai crimini del fascismo prima delle leggi razziali, tra cui gravissimi crimini di guerra e operazioni di pulizia etnica nelle colonie e nei territori italiani a maggioranza linguistica non italiana, riducendo in questo modo l’Olocausto in Italia alla piena responsabilità tedesca e a una serie di “errori” commessi da Mussolini esclusivamente tra il 1938 e il 1945; un altro caso emblematico delle conseguenza di questo riduzionismo è la riabilitazione di personaggi come Stepan Bandera, che furono attori attivi nello sterminio di migliaia di ebrei (e di comunisti/antifascisti) nel loro paese, ma che sono funzionali alla propaganda delle diverse borghesie ancora oggi (nel caso di Bandera la giustificazione ideologica dello sforzo bellico contro la Russia).
Condannare la Germania di Hitler solo per il suo aspetto “omicida”, come le forze politiche borghesi fanno oggi, non lascia alcuno spazio di riflessione su cosa furono i fascismi in Europa, ossia il potere terroristico aperto delle diverse borghesie, praticato il più delle volte in totale continuità con la gestione antecedente da parte delle “democrazie liberali” in quei paesi o in alcuni casi anche con le politiche degli altri principali paesi capitalistici (emblematico come Hitler fu finanziato ingentemente da monopoli anglo-americani e che dichiarò di ispirarsi a USA e Regno Unito quanto alla repressione delle minoranze etniche e all’oppressione dei popoli sottomessi!). In questo modo l’aspetto di classe ed economico del fascismo viene meno, favorendo la retorica che attribuisce i crimini alla persona di Adolf Hitler in quanto “pazzo”, anziché leggere quei crimini come politiche fortemente sostenute dai padroni nei rispettivi paesi con lo scopo di aumentare esponenzialmente i propri profitti.
Infine l’impostazione istituzionale della giornata dà visibilità alla sola questione ebraica. Nonostante lo sterminio degli ebrei sia tra i più atroci episodi di genocidio della storia moderna, le vittime dei lager non si limitavano affatto ai cittadini di origine o religione giudaica, ma a diverse altre categorie, tra cui prigionieri di guerra sovietici, oppositori politici, massoni, religiosi cristiani, minoranze etniche come rom, sinti e jenisch, gruppi religiosi come Testimoni di Geova e pentecostali, omosessuali e persone con disabilità mentali o fisiche. L’“ebraizzazione” della ricorrenza trascura tutto questo, e occulta, ancora una volta, il larghissimo contributo di vite umane pagato dall’Unione Sovietica.
Celebrare oggi il Giorno della Memoria senza tenere conto di questi aspetti rende la data vuota, decontestualizzata e facile preda degli interessi dei governi che possono riproporla come una ricorrenza morta, istituzionale e sempre più lontana dalle masse popolari.
L’Olocausto piegato al sionismo e ai suoi crimini
Un’operazione che ha avuto inizio negli anni recenti è quella dell’utilizzo strumentale del dramma dell’Olocausto per giustificare il sostegno al sionismo o, peggio ancora, i crimini stessi compiuti dai sionisti, l’occupazione dei territori nell’area della Palestina storica e il salto di qualità che hanno registrato i piani genocidi di Netanyahu e del suo governo a partire dal 7 ottobre 2023.
Il richiamo strumentale all’antisemitismo e alla Shoah è e utilizzato dai sionisti israeliani per giustificare l’attacco contro i palestinesi e i piani di dominazione e espulsione della popolazione araba da quei territori.. In alcuni casi queste argomentazioni sortiscono addirittura l’effetto di sollevare la Germania hitleriana dalle proprie responsabilità nell’Olocausto: ne sono un chiaro esempio le argomentazioni che lo stesso Benjamin Netanyahu formulò al Congresso Sionista Mondiale nell’ottobre 2015, secondo cui i piani di Hitler non prevedevano affatto lo sterminio della popolazione ebraica, ma solamente la sua espulsione, e la decisione di attuare la “soluzione finale” fu spinta dall’allora gran mufti di Gerusalemme, Amin al-Husseini.
Paragoni che, per giustificare l’invasione della striscia di Gaza, mettevano in relazione l’attacco del 7 ottobre con l’Olocausto sono stati fatti dal primo ministro israeliano anche all’indomani dell’inizio dell’assedio alla città palestinese:
«Questa è una ferocia che noi ricordiamo solo dai crimini nazisti nell’Olocausto. I membri di Hamas sono i nuovi nazisti, Hamas è l’ISIS è in un certo modo peggiore dell’ISIS. E proprio come il mondo si unì per sconfiggere i nazisti, proprio come il mondo si unì per sconfiggere i nazisti, il mondo deve essere unito dalla parte di Israele per sconfiggere Hamas. […] Ovviamente dobbiamo intraprendere azioni per sconfiggere Hamas e assicurarci che questo non accada più, ma questa non è solo la nostra battaglia, è la nostra battaglia comune e la battaglia della civilizzazione contro la barbarie.»
È chiaro come queste dichiarazioni, del tutto vili e antistoriche nel paragonare uno dei più grandi crimini contro l’umanità alla causa di un popolo che sta subendo da ormai 75 anni un genocidio, sono finalizzate a creare un pretesto per innalzare il livello delle violenze contro i cittadini palestinesi, creare consenso internamente tra la popolazione israeliana. Il terribile genocidio subito dagli ebrei nel XX secolo viene distorto quindi per giustificare il “diritto” a commettere oggi il genocidio contro i palestinesi.
Un’altra tesi sostenuta dai difensori del sionismo e delle politiche dello Stato di Israele sarebbe una pretestuosa quanto falsa equiparazione tra l’antisemitismo e l’antisionismo. L’opposizione al sionismo è un’opposizione alle politiche di “colonialismo d’insediamento” che a partire dalle prime aliyah, i processi di colonizzazione che nella strategia di immigrazione nella Palestina storica avrebbero portato alla costituzione di uno stato ebraico, hanno condotto all’espulsione, uccisione e segregazione di milioni di civili arabo-palestinesi, e che oggi permangono nella forma della fondazione di nuovi insediamenti nei territori occupati illegalmente in Cisgiordania. Creare un’equazione tra chi si oppone pertanto al sionismo con chi professa idee antisemite (ossia che fomentino l’odio razziale verso gli ebrei, intesi come mero gruppo etnico-religioso) è del tutto privo di senso e fuorviante. Il parallelismo infatti macchia la storia di quei tanti ebrei che nella storia si sono opposti e si oppongono al sionismo, all’occupazione illegale e al genocidio a Gaza.
La strumentalizzazione dell’Olocausto nel giustificare il sionismo ha trovato sponda anche in Italia. Dal punto di vista politico già Giorgia Meloni e Antonio Tajani avevano sfruttato l’80° anniversario del rastrellamento degli ebrei di Roma, lo scorso 16 ottobre, per sostenere l’equiparazione tra antisemitismo e lotta del popolo palestinese, mentre anche sui giornali sono proliferati nelle scorse settimane articoli ed editoriali (tra i più gravi quello a firma di Paolo Mieli sul Corriere della Sera) che sostenevano l’associazione tra le stragi naziste e le azioni dei combattenti palestinesi.
Le modalità con cui il governo utilizza il Giorno della Memoria sfociano persino in provvedimenti per la limitazione, o addirittura il divieto, delle manifestazioni contro il genocidio palestinese e per il cessate il fuoco a Gaza: è di giovedì una circolare da parte del capo della Polizia, Vittorio Pisani, che chiedeva alle questure di vietare ogni manifestazione “pro-Palestina” prevista per il 27 gennaio, tra cui le maggiori a Roma e Milano. In questo modo l’ipocrisia del governo diventa direttamente pretesto per giustificare l’appoggio a Israele e il divieto di manifestare pacificamente contro un genocidio che sembra non avere fine.
Conclusioni
Il 27 gennaio rientra pertanto senza alcun dubbio e a pieno titolo tra le date fondamentali nel patrimonio delle forze progressiste in ogni paese, tutt’altro che una mera commemorazione formale. L’utilizzo che, al contrario, ne fanno le peggiori forze reazionarie e i governi borghesi è del tutto da rifiutare e contrastare, in quanto falsificatorio, diffamatorio e contrario a ogni principio della grande maggioranza di quanti lottarono attivamente contro il genocidio ebraico nel nostro paese e in Europa.
Ristabilire la verità storica e portare avanti la “Memoria” dell’Olocausto passa quindi anche per la denuncia di quanto sta accadendo oggi a Gaza e in Cisgiordania, la comprensione delle ragioni economiche, e infine il contrasto delle logiche secondo le quali oggi oltre 26mila persone hanno perso la vita. Questo non può accadere sfruttando una tragedia come quella dell’Olocausto.