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La pretesa di una “Turchia libera dal terrore” e la nostra lotta per una “Turchia libera dallo sfruttamento”

Di Redazione
08/06/2025
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Dal Partito Comunista di Turchia (TKP)
21 maggio 2025
Link all’originale

 

Una dichiarazione in 27 punti del Comitato Centrale del Partito Comunista di Turchia (TKP) sugli sviluppi nel nostro Paese e nella regione.

  1. Il sistema imperialista non è limitato ai soli Stati Uniti. Non è nemmeno un nemico nebuloso da incolpare a piacimento. Imperialismo è il nome del sistema mondiale dominato dai monopoli internazionali. In questo sistema, i Paesi capitalisti competono tra loro per accaparrarsi una quota maggiore della ricchezza mondiale e per conquistare nuove aree di investimento e sfruttamento. Conducendo il trasferimento di risorse dai più deboli ai più forti, questo conflitto internazionale è caratterizzato da guerre, occupazioni, annessioni, conflitti etnici, colpi di stato, migrazioni di massa e massacri e non elimina la competizione tra i diversi gruppi di grandi capitali all’interno di ciascun Paese capitalista. In molti Paesi, i diversi gruppi di capitale hanno preferenze diverse in materia di politica estera. I governi di tutti i Paesi capitalisti cercano di conciliare queste contraddizioni e in genere cercano di designare una “strategia nazionale” dando la priorità agli interessi dei più forti. Tuttavia, poiché questa strategia serve gli interessi di una piccolissima minoranza della società, in pratica non è “nazionale” o, per usare i termini del partito al governo (AKP), “nazionale e interna”.
  2. È un grande errore classificare i Paesi che dominano il mondo di oggi come semplicemente buoni o cattivi, giusti o ingiusti, poiché il sistema sociale di questi Paesi è fondamentalmente costruito sull’immoralità, sull’ingiustizia e dipende dallo sfruttamento delle masse lavoratrici. In questo senso, la politica interna e quella estera si completano a vicenda; un governo che sbaglia in politica interna non diventa giusto in politica estera. Si tratta di una falsità storica che mira a cullare le grandi masse nell’autocompiacimento. Per questo motivo sottolineiamo la differenza tra il nazionalismo borghese e il patriottismo operaio, che significa liberare il Paese in cui viviamo dall’immoralità, dall’ingiustizia e dall’iniquità. Solo con una simile posizione morale si possono contrastare i nemici stranieri e l’imperialismo.
  3. Da tempo assistiamo a un’intensificazione della lotta tra il blocco guidato dagli Stati Uniti e la Cina, che minaccia l’egemonia statunitense grazie alla sua rapida crescita economica. L’importanza di questa lotta dovrebbe essere riconosciuta nei disordini che si stanno verificando in molte parti del mondo, compresa la nostra regione. Di recente, l’amministrazione statunitense ha intensificato gli sforzi per allontanare la Russia dalla Cina, preparare gli alleati europei alla guerra, prendere il controllo delle rotte commerciali, rinnovare il sistema di alleanze in Medio Oriente e creare poli produttivi regionali per controbilanciare il dominio economico della Cina.
  4. Assistiamo a sviluppi coerenti in tutto il Medio Oriente: l’indebolimento della resistenza palestinese da parte di Israele, approfittando del fatto che quasi tutti i Paesi lo sostengono apertamente o chiudono un occhio sulle sue azioni, i passi compiuti per far sì che i Paesi della regione aderiscano agli Accordi di Abramo, il che significa riconoscere le mire espansionistiche di Israele, la caduta del governo di Assad in Siria, che aveva resistito a questo processo, e la sua sostituzione con l’HTS jihadista, che sa di dover il suo potere agli Stati Uniti e al Regno Unito, e l’aumento della pressione sull’Iran. Tutti questi sviluppi sono in linea con i desideri di Stati Uniti e Regno Unito, che stanno cercando di ammorbidire la competizione tra Arabia Saudita, Egitto, Turchia e Israele e di spostare l’equilibrio contro l’Iran. Va notato anche che l’Azerbaigian, un attore chiave nei progetti energetici attuali o previsti nella regione e quello che ha assunto il ruolo di mediatore tra Turchia e Israele, ha avuto un ruolo significativo in questo processo.
  5. In Medio Oriente è iniziata una nuova era in cui cambieranno gli equilibri, i confini e le alleanze. Non bisogna pensare che ciò si limiti alla strategia di “divisione-frammentazione” degli imperialisti. Infatti, la divisione dei Paesi in unità più piccole non è l’obiettivo, ma uno strumento. L’imperialismo sta cercando di dividere i Paesi per facilitare lo sfruttamento, il saccheggio e l’aumento dei profitti. In questo contesto, l’obiettivo è quello di trasformare questa regione, da anni stremata da guerre sanguinose, in un nuovo centro di “vitalità economica” con rotte commerciali ed energetiche strategicamente importanti da un lato, e una forza lavoro docile e a basso costo dall’altro. La revoca delle sanzioni alla Siria e le istruzioni date ad al-Sharaa (autoproclamato Presidente della Siria, ed “ex” tagliagole, NdT) di “andare d’accordo con Israele” sono collegate a questo obiettivo.
  6. Il prerequisito per trasformare una vasta regione che parte dall’India e comprende il Medio Oriente, la Libia e Paesi africani come il Sudan in un nuovo centro di “vitalità economica” è la creazione di una forte alleanza che comprenda Turchia, Israele, Arabia Saudita, Egitto e Azerbaigian. Senza questa mossa globale, sembra difficile respingere economicamente la Cina. Il “Corridoio India-Medio Oriente-Europa”, proposto dall’imperialismo statunitense circa due anni fa come alternativa al progetto cinese “Belt and Road”, è stato una notevole espressione di ricerca in questa direzione. Il fatto che il controllo delle rotte commerciali ed energetiche non sia sufficiente per gli Stati Uniti e che sia necessario creare un polo produttivo alternativo è diventato più evidente con l’agenda tariffaria intensificata dall’amministrazione Trump nell’ambito della guerra commerciale con la Cina. Si può dire che l’obiettivo è quello di creare un nuovo “centro di sfruttamento del lavoro” che riduca la dipendenza dei mercati statunitensi ed europei dalla Cina, creando al contempo nuove opportunità di mercato.
    Ogni Paese della regione mediorientale, compresi quelli ricchi di petrolio, offre un immenso potenziale per un rapido sviluppo radicato nella produzione industriale, offrendo così maggiori opportunità di sfruttamento capitalistico. Paesi come Egitto, Giordania, Siria e Iraq si distinguono chiaramente per il loro potenziale di sfruttamento della manodopera a basso costo. Il capitale turco, con le sue infrastrutture produttive relativamente sviluppate e l’esperienza accumulata, è ben posizionato per incorporare questi Paesi in un quadro di integrazione più avanzato. Nel frattempo, Israele e Arabia Saudita contribuiscono attraverso l’esportazione di tecnologia e capitali. La crescita della capacità di sfruttamento – soprattutto in Turchia, ma anche in Egitto e in Giordania – nell’ultimo decennio, in particolare a seguito della migrazione innescata dalla guerra siriana, ha rafforzato in modo significativo i profitti dei monopoli internazionali, in particolare quelli con sede nell’Unione Europea. Gli interventi e le pressioni esercitate dalle potenze imperialiste si basano sulla consapevolezza delle vaste opportunità che una regione di sfruttamento così ampia e interconnessa rappresenta.
  7. Il più recente “processo di risoluzione” della questione curda – quello che il Partito Comunista di Turchia (TKP) definisce pace capitalista[1] – si allinea strettamente a questo contesto. Il governo dell’AKP[2] è stato coinvolto in questo processo su pressione degli Stati Uniti e del Regno Unito. Mentre Bahçeli[3] (leader del Partito del Movimento Nazionalista MHP) lo descriveva come una “minaccia esterna” e i leader del PKK affermavano ripetutamente “abbiamo altre opzioni”, Israele ha dimostrato la sua capacità di svolgere un ruolo più decisivo in Siria, fino a influenzare l’amministrazione Sharaa e a stabilire zone sotto il suo controllo o patrocinio. La Turchia è stata costretta a fungere da esecutore a terra di un’operazione che alla fine ha portato l’HTS al potere in Siria, accettando al contempo la presenza e la realtà politica dell’SDF[4], nonostante le tensioni e i negoziati in corso. Il governo dell’AKP non era in grado di resistere a questa imposizione, sia per la fragilità economica che per gli scandali di corruzione che da tempo avevano assunto una dimensione internazionale. Inoltre, non va trascurato il fatto che il governo si è impegnato nei confronti della NATO e delle potenze europee come “partner affidabile” in futuri conflitti militari, allineandosi così ancora una volta alla direzione strategica degli Stati Uniti e percependo al contempo questo allineamento come un’opportunità significativa.
  8. In questo contesto, il “processo di risoluzione”, che da tempo attendeva una congiuntura internazionale favorevole, è tornato all’ordine del giorno in forma più completa e decisa. La strategia di “continuare con Erdoğan” – ritenuta accettabile dal sistema internazionale grazie alle concessioni fatte – doveva essere rafforzata attraverso aggiustamenti del panorama politico interno della Turchia. Affinché questa strategia abbia successo, è diventato essenziale smantellare l’alleanza elettorale formata nelle ultime elezioni: è stato considerato un obiettivo chiave assicurarsi che il partito DEM[5] prendesse le distanze dal CHP[6] e che non ostacolasse, se non addirittura sostenesse apertamente, la rielezione di Erdoğan per un altro mandato. Inoltre, facilitare la spinta dell’AKP verso una nuova Costituzione che consolidasse ulteriormente il suo potere e gli garantisse una rinnovata legittimità ha aggiunto urgenza al processo. Di conseguenza, il piano di lunga data sviluppato da Öcalan e dai funzionari statali è stato ripreso, rivisto e rapidamente messo in moto.
  9. Questo processo di risoluzione ha comunque un aspetto positivo, nella misura in cui pone fine al conflitto armato. La conclusione di una guerra che ha messo i lavoratori gli uni contro gli altri e la trasformazione dell’idea di fraternità in una tesi “ufficiale” possono, se affrontate con una strategia indipendente e rivoluzionaria, favorire un clima che faciliti la guida del Paese verso un futuro più luminoso.
  10. Tuttavia, il contesto internazionale e regionale del processo, che abbiamo qui ampiamente delineato, dovrebbe spiegare a sufficienza il prezzo di questo apparente progresso. La “questione curda” è stata deliberatamente resa irrisolvibile dal sistema, con le potenze imperialiste che mantengono attivamente lo stallo attraverso interventi sistematici. Nell’ultimo mezzo secolo, il movimento nazionalista curdo ha subito significativi cambiamenti ideologici, eppure, nonostante la sua ampia base sociale, si è trovato di fronte a una “soluzione” che ha ben poco a che fare con le richieste originarie avanzate all’inizio della sua lotta. Il Regno Unito e gli Stati Uniti hanno concluso che era giunto il momento di cambiare forma a questa “questione”. Il governo dell’AKP, messo alle strette e indebolito, ha cercato di trasformare questa disperazione in un’opportunità. Nel frattempo, l’organizzazione, riconoscendo l’impossibilità di superare il culto di Öcalan che aveva coltivato, ha iniziato a cercare modi per generare nuove opportunità dal processo. Alla fine, chi vincerà o perderà sarà determinato dal tempo, dalle lotte di potere tra questi attori e dagli interventi di altre forze in Turchia e nella regione.
  11. In questo quadro, è inevitabile che il processo di risoluzione venga interpretato in modi diversi. La presenza di tendenze diverse sia all’interno dell’AKP che dell’apparato statale è evidente – anche solo uno sguardo alle dichiarazioni di Erdoğan e Bahçeli lo rende chiaro. Una situazione simile è nota anche all’interno del fronte del PKK. Sebbene sia del tutto naturale che emergano tali divergenze, col tempo esse possono essere riconciliate o degenerare in tensioni interne più profonde. Dal nostro punto di vista, ciò che conta non sono le differenze interne in sé, ma le caratteristiche ideologiche e di classe dominanti che danno forma al processo.
  12. Come gli attori del processo di risoluzione hanno da tempo articolato, il fondamento della fratellanza turco-curda è stato costruito su base religiosa. Non si esita a definire questo fondamento come islamismo sunnita, che si allinea strettamente all’approccio neo-ottomano. La messa in discussione dei principi fondanti della Repubblica di Turchia, del Trattato di Losanna e degli attuali confini nazionali è del tutto coerente con questo quadro ideologico e, a prescindere dalle dichiarazioni ufficiali contrarie, tali risultati sono in definitiva inevitabili.
  13. Con le nuove opportunità che si creeranno in Iraq e in Siria, il capitale curdo – una componente importante della borghesia turca – entrerà in una nuova fase di integrazione nel sistema di classe esistente. Quella che viene presentata come fratellanza turco-curda assumerà in realtà la forma di una fratellanza tra gli interessi del capitale. Per i poveri curdi, questo processo non porterà altro che sfruttamento e povertà continui.
  14. La pace capitalista o la fratellanza capitalista è sempre intrinsecamente fragile. Le dinamiche regionali emergenti potrebbero rapidamente trasformare questo consenso interno al capitale in Turchia in una fonte di tensione o di conflitto. Inoltre, se i colloqui con l’Iran dovessero fallire, l’attuale “Pax Capitalistica” promossa dal processo di risoluzione potrebbe essere costretta a pagare un prezzo come parte della più ampia operazione del sistema internazionale contro l’Iran.
  15. In ogni caso, la Turchia si trova a un bivio storico. In questo momento di svolta, la ricostruzione dell’eredità repubblicana in Turchia è una necessità assoluta. Che alcuni repubblicani lo accettino o meno, un processo di dibattito e rivalutazione è inevitabile. In un momento in cui le dinamiche fondanti della Repubblica vengono messe in discussione e coloro che cercano una resa dei conti definitiva con la Repubblica dichiarano che “è arrivato il momento”, è nostro dovere identificare la fonte della catastrofe che ha colpito questo Paese e la profonda crisi che stiamo vivendo, e spiegarla al nostro popolo.
  16. La Repubblica di Turchia è stata fondata come progetto rivoluzionario, a seguito di una lotta rivoluzionaria. Non permetteremo mai agli eventi degli anni successivi di oscurare questa verità. La lotta contro l’occupazione imperialista e la monarchia, e il fatto che questa lotta sia culminata nell’istituzione della Repubblica e in una serie di riforme progressive, costituiscono la fonte della legittimità storica del movimento guidato da Mustafa Kemal. Una valutazione realistica di quel periodo rivela che all’epoca esistevano seri ostacoli alla realizzazione di un progetto politico più progressista nella nostra regione. Questo valeva anche per il popolo curdo, che viveva sotto il dominio di capi tribali, grandi proprietari terrieri e sette religiose. In questo contesto, a prescindere dagli sforzi compiuti, qualsiasi affermazione secondo cui figure reazionarie come lo sceicco Said[7] sono state storicamente maltrattate non serve gli interessi del popolo curdo, ma solo le odierne ambizioni neo-ottomane.
  17. È risaputo che durante la Guerra d’Indipendenza[8] una parte significativa della popolazione anatolica non era del tutto favorevole alla lotta contro l’occupazione. La stanchezza della guerra, la povertà, il fatalismo e la propaganda del Palazzo Ottomano portarono molti ad accettare lo status quo. Tuttavia, è essenziale distinguere tra l’accettazione passiva dei contadini poveri e la collaborazione attiva dell’élite dei proprietari terrieri e dei notabili locali. Questa distinzione si applica anche a coloro che si unirono alla Guerra d’Indipendenza. Coloro che rischiarono la vita per partecipare alla Guerra d’Indipendenza per povertà avevano aspettative diverse da coloro che la consideravano un’opportunità di investimento e vi partecipavano con i loro mezzi finanziari. Dopo la fine della guerra, le classi proprietarie si arricchirono – alcune impadronendosi dei beni e delle attività dei non musulmani che avevano lasciato l’Anatolia, altre espandendo le proprie proprietà – mentre la condizione dei poveri contadini rimase sostanzialmente invariata. Pertanto, l’affermazione che le contraddizioni di classe dell’epoca ottomana siano state risolte o che l’ingiustizia sociale sia diminuita dopo il 1923 è infondata. Le radici delle enormi disuguaglianze vissute oggi dalla popolazione sotto il capitalismo turco, così come le origini di alcune grandi famiglie imprenditoriali, possono essere fatte risalire a questo periodo. Questa realtà storica e di classe non sminuisce il valore rivoluzionario della Guerra d’Indipendenza o della fondazione della Repubblica. Il fatto che all’epoca non fossero ancora maturate le condizioni – soggettive e oggettive – necessarie per modificare questa realtà non invalida la legittimità o la rilevanza dei lavoratori di oggi, discendenti dei contadini anatolici che hanno rischiato la vita per la Guerra d’Indipendenza, che si oppongono ai monopoli per rivendicare i loro diritti di classe che hanno fondato e liberato questo Paese.
  18. Che derivi dall’argomentazione secondo cui ai curdi sarebbero stati negati i loro diritti o dall’affermazione che Mustafa Kemal e i suoi compagni si sarebbero stabiliti in Anatolia per codardia, la riapertura dei dibattiti sul Trattato di Losanna[9] e, più in generale, sui confini della Turchia avrà conseguenze devastanti per tutti coloro che vivono oggi in questa regione. Accanto agli sforzi per far rivivere il Trattato di Sèvres[10], le narrazioni che cercano di giustificare storicamente l’espansione dei confini della Turchia – in una direzione o nell’altra – hanno iniziato a gettare le basi per scontri sanguinosi nei Balcani, nell’Egeo, nel Caucaso e sull’asse Siria-Iraq-Iran. Le rivendicazioni di legittimità storica su base etnica non possono portare pace a nessuna nazione, poiché non esiste un punto chiaro in cui iniziare o terminare la linea del tempo.
  19. Dopo aver dichiarato che non si sarebbero sottratti alla responsabilità di promuovere un sano dibattito all’interno della tradizione repubblicana, i comunisti diedero grande importanza all’iniziativa di istituire piattaforme come l’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo della Turchia (THTM), la creazione di assemblee locali affiliate e la convocazione di un Congresso dei Repubblicani. Il Partito Comunista di Turchia (TKP) sosteneva che un nuovo risveglio politico avrebbe potuto attecchire solo facendo affidamento sulle classi lavoratrici e mettendo fondamentalmente in discussione le basi del capitalismo, procedendo con la previsione che il Paese si stava avvicinando a un bivio critico. Ora quel bivio è stato raggiunto. È indispensabile affrontare la “Pax Capitalistica” con la solidarietà dei lavoratori turchi e curdi e rimboccarsi le maniche per garantire che i cittadini curdi politicamente impegnati – così come i politici e gli intellettuali non disposti ad accettare le basi del processo in corso – diventino parte attiva di una nuova svolta repubblicana.
  20. Per raggiungere questo obiettivo, dobbiamo identificare chiaramente a chi ci stiamo opponendo. La nostra lotta non è contro un imperialismo astratto e depoliticizzato, ma contro l’imperialismo come sistema internazionale dominato da monopoli multinazionali. Istituzioni come la NATO sono state create e strutturate per servire gli interessi di questi monopoli. In Turchia, i monopoli sfruttatori detengono il potere; il grande capitale, in tutte le sue forme, è responsabile del governo dell’AKP e dell’erosione dei valori stabiliti dalla fondazione della Repubblica. I monopoli e le sette religiose stanno portando il Paese, mano nella mano, verso l’abisso. Non esiste un “capitalismo buono”. Dobbiamo spiegare al popolo lavoratore che senza perseguire una liberazione veramente migliore e radicale, non possiamo uscire da condizioni che non potranno che peggiorare.
  21. Uno dei maggiori pericoli di questo processo è la possibilità che il linguaggio antagonista e polarizzante, a lungo imposto alla società dai governi passati e dall’AKP in relazione alla questione curda, venga ora adottato da segmenti dell’opposizione repubblicana che cercano di sfidare l’AKP. Questo discorso ha attanagliato il Paese e la società per anni, spianando la strada all’attuale processo di risoluzione guidato dal capitale e dagli interessi imperialisti. Abbandonato da un giorno all’altro dall’AKP e dai suoi fedeli media, questo discorso è rozzo e regressivo. L’eredità repubblicana in Turchia non ha bisogno di primitivismo, ma di coraggio e coerenza ideologica.
  22. Nel periodo a venire, il Partito Comunista di Turchia correrà contro il tempo per portare avanti la lotta unitaria del popolo lavoratore, la forza principale di una rinascita che possa garantire l’unità, la fratellanza, l’indipendenza, la prosperità e l’uguaglianza della Turchia. Questa lotta, che deve essere completamente chiusa alle politiche identitarie, agli schieramenti nazionalisti e agli inganni liberali, è l’unico modo per liberare dalla disperazione milioni di nostri cittadini – che attualmente sono costretti a mettere in discussione e a riconsiderare la loro turchicità o curdità – proponendo una visione chiara e trasparente della Turchia.
  23. Un’altra questione fondamentale è liberare i segmenti sociali che si oppongono all’AKP da una politica incentrata unicamente su İmamoğlu, il sindaco del CHP incarcerato della municipalità metropolitana di Istanbul. L’operazione contro İmamoğlu è politica: è un attacco al diritto di voto e di elezione. Questo attacco deve essere contrastato, ma l’opposizione non deve cadere nella trappola che il governo ha teso a İmamoğlu. Nella Municipalità Metropolitana di Istanbul, İmamoğlu ha ereditato un sistema costruito dall’AKP, ha continuato a lavorare con quasi le stesse aziende e contemporaneamente ha cercato di allineare questo sistema ai propri obiettivi politici. Questo sistema – utilizzato come fonte di profitto e di affitto da grandi aziende e da varie reti di sette religiose, grandi e piccole – non ha nulla che valga la pena difendere. Attraverso questa operazione politica, l’AKP mira a polarizzare i circoli dell’opposizione intorno a İmamoğlu, per poi esporre e persino scartare le parti inutili di un sistema che conosce fin troppo bene. Così facendo, İmamoğlu verrebbe messo da parte e un ampio segmento della società verrebbe lasciato nella disperazione accanto all’eroe in cui aveva riposto le proprie speranze.
  24. È noto che l’AKP cerca di legare il “processo di risoluzione” alla stesura di una nuova costituzione. Durante i suoi 23 anni di potere, Erdoğan e la sua squadra hanno reso abbondantemente chiaro il tipo di Turchia che immaginano e ciò che hanno da offrire alla società e al popolo. A prescindere dal suo contenuto, qualsiasi nuova costituzione sarebbe in definitiva al servizio del progetto dell’AKP per la Turchia. In ogni caso, nel corso degli anni è stato ripetutamente dimostrato che la Costituzione esistente non ha posto alcun vincolo reale al governo dell’AKP. Pertanto, l’inclusione di alcuni articoli superficiali per ingannare l’opinione pubblica non altererà lo scopo principale di una nuova bozza. Non abbiamo bisogno di un’altra costituzione controrivoluzionaria costruita sulla base di quella imposta dal regime fascista del 12 settembre[11]; non abbiamo bisogno di una costituzione che istituzionalizzi e legittimi la Turchia dell’AKP. La prossima costituzione della Turchia deve essere rivoluzionaria, sociale, egualitaria, antimperialista e laica. Deve mettere al bando lo sfruttamento, il militarismo e il razzismo e garantire a tutti i cittadini il libero accesso ai bisogni primari come l’istruzione, la sanità, la casa, l’acqua e il riscaldamento. A questo proposito, il Partito Comunista di Turchia (TKP) mantiene la sua posizione chiara e ferma sulla questione della nuova Costituzione.
  25. Ancora una volta, si sta diffondendo l’idea che il governo abbia pianificato tutto in anticipo e stia eseguendo in modo impeccabile una strategia preparata da tempo. Come abbiamo sempre detto, il motivo principale per cui ampi segmenti della società oscillano tra la speranza e la disperazione è lo stile di politica imposto al popolo dall’opposizione borghese in Turchia. Poiché questo stile basato su singole personalità e facili ricette di salvezza sostituisce una lotta coerente, basata su principi e programmi, le speranze di milioni di persone che si oppongono al governo dell’AKP possono rapidamente trasformarsi in profonda disperazione. Dopo le proteste di Saraçhane, un ampio segmento della popolazione che credeva che i giorni del governo dell’AKP fossero contati è attualmente demoralizzato a causa del processo tra l’AKP e il DEM, diffondendo il mito che l’AKP non potrà mai essere sconfitto. Il TKP, che sottolinea costantemente che il sistema stesso deve essere messo in discussione per opporsi efficacemente all’AKP e ricorda che il problema non è solo il “regime di Palazzo”, tiene se stesso e i suoi sostenitori lontani da questa spirale di speranza e disperazione. Il motivo è semplice: il TKP non ha mai riposto le sue speranze nella TÜSİAD[12], nei Paesi europei, negli Stati Uniti, nelle sette religiose “buone” o negli ex politici dell’AKP.
  26. Non è vero che l’AKP ottiene tutto ciò che vuole o che governa il Paese interamente alle sue condizioni. Come affermiamo da mesi, la Turchia sta attraversando una crisi di governance e una serie di attori si sta muovendo per risolvere questa crisi in linea con i propri interessi. Il nuovo processo di risoluzione fa parte del tentativo di superare la crisi di governance attraverso un consenso di capitale. Dal 2023, le relazioni della Turchia con gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno mostrato segni di miglioramento. Negli ultimi mesi, questa traiettoria si è intensificata e si è estesa a Israele, evolvendo in un impegno più completo e accelerato. Sebbene sia chiaro che il sostegno che l’AKP sta ricevendo dalle potenze imperialiste è volto ad aiutarlo a superare la sua disintegrazione interna – quella che abbiamo descritto come un processo di disfacimento – la portata di questo sostegno non è ancora stata rivelata. E, cosa ancora più critica, non si sa cosa l’AKP abbia promesso in cambio di questa assistenza. Ciò che è certo, tuttavia, è che la “Pax Capitalistica” o “consenso” che si sta sperimentando a livello interno è rispecchiata a livello internazionale dalla partecipazione della Turchia a un nuovo sistema regionale – dal punto di vista politico, economico e militare – accanto a Stati Uniti, Israele, Egitto e Arabia Saudita. Questa decisione segna l’integrazione della Turchia in quella che può essere definita una “iniziativa di pace” guidata dagli Stati Uniti nella regione. Tuttavia, bisogna capire che questa “pace” si limita a sopprimere una crisi e a spianare la strada a un’altra. Un’alleanza regionale “perfetta e armoniosa” sotto la guida degli Stati Uniti significa nuove guerre all’estero, e all’interno nessuno dovrebbe aspettarsi stabilità da un sistema dominato dai monopoli e dalle sette religiose.
  27. Il Partito Comunista di Turchia (TKP) insiste: non c’è motivo di disperarsi. Ci troviamo di fronte a un sistema sociale che produce povertà, disoccupazione, disuguaglianza, ingiustizia e oppressione e che rende la vita sempre più insopportabile in ogni ambito. Questo sistema non può essere riformato. Ogni iniziativa volta a migliorarlo o ad aggiustarlo fa solo perdere tempo prezioso al nostro Paese e alla nostra gente. Invece di affannarci a cercare di riparare un sistema irreparabile, dobbiamo costruirne uno nuovo, che sia veramente giusto e umano. La Repubblica di Turchia è il nostro Paese. Invece di mettere in discussione le sue fondamenta o i suoi confini, dobbiamo identificare la vera fonte dei problemi che dobbiamo affrontare, eliminarla e condurre la nostra amata patria verso la luce. Rifiutiamo le false “risoluzioni” che promettono solo nuovi conflitti e crisi. Invece di false “risoluzioni” che generano nuovi conflitti e crisi, siamo sulla strada di una trasformazione profonda e storica: quella in cui coloro che hanno fiducia nella loro ragione, coscienza, etica e lavoro, e che credono nel loro Paese, nel loro popolo e nell’umanità, si mettono insieme per unire le loro forze.

“Turchia libera dal terrorismo”: uno slogan potente. Ma che ne dite di “Turchia libera dallo sfruttamento”?

Questo è l’obiettivo che raggiungeremo insieme”.

Partito Comunista di Turchia

Comitato Centrale

 

Note

[1] Si veda quanto già pubblicato in merito [NdT].

[2] Il partito di governo di Erdoğan [NdT].

[3] Presidente del partito MHP, in passato all’opposizione ma ora in maggioranza; è anche uno dei fondatori dei Lupi Grigi, l’organizzazione fascista turca [NdT].

[4] Le Forze Democratiche Siriane, alleanza principalmente guidata dalla componente curda che all’interno della guerra civile siriana ha costituito nel 2015 un’amministrazione autonoma nel nord-est del paese [NdT].

[5] Partito dell’Uguaglianza e della Democrazia dei Popoli, oggi principale partito curdo della Turchia [NdT].

[6] Partito Popolare Repubblicano, il principale partito di opposizione al governo di Erdoğan [NdT].

[7] Ci si riferisce alla ribellione nazionalista curda guidata dall’omonimo sceicco nel 1925, orientata a ricostruire un califfato islamico in contrapposizione alla laicità della Repubblica di Turchia, e i cui piani erano almeno in parte sostenuti dall’imperialismo inglese. Una figura reazionaria e storicamente condannata in Turchia, ma che viene riabilitata oggi all’interno del sopraccitato “processo di risoluzione” per riscrivere la storia e utilizzare la religione come fattore unificante [NdT].

[8] Ci si riferisce alla Guerra d’indipendenza turca, si veda qui per approfondire [NdT].

[9] Si veda qui per approfondire [NdT].

[10] Il trattato originario e antecedente con l’Impero Ottomano, mai ratificato dai nazionalisti turchi che andranno poi al potere con la rivoluzione. Si veda qui per approfondire [NdT].

[11] Ci si riferisce al progetto di riforma costituzionale da parte dei golpisti del 1980, per approfondire si veda qui [NdT].

[12] La Confindustria turca [NdT].

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