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Politica
Home›Politica›In Parlamento tutti uniti per l’immunità delle imprese

In Parlamento tutti uniti per l’immunità delle imprese

Di Alessandro Mustillo
07/04/2020
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Fin dall’inizio dell’epidemia è stato chiaro che sarebbe stato impossibile proseguire la produzione senza esporre i lavoratori a rischi sanitari. La pressione delle imprese per tenere aperto tutto, esponeva però i capitalisti a rispondere in seguito delle conseguenze legali di queste scelte. Si è così fatta avanti l’idea – recepita dal Governo a guida PD-Cinque Stelle – di costituire una sorta di scudo legale, anche se non in forma esplicita.

Pochi giorni fa, ha giustamente fatto scalpore un emendamento avanzato dalla Lega con il quale si esentavano politici e proprietari delle cliniche da ogni responsabilità per danni alla salute di medici e infermieri. Ma l’emendamento leghista – poi ritirato – è solo l’ultimo, e non l’unico provvedimento andato in questa direzione.

Il primo è stato il D.L 18 del 17 marzo 2020, più noto come Decreto “Cura Italia”. Nel marasma generale del super decreto, in pochi hanno letto e compreso la portata dell’articolo 16. Leggiamolo insieme: «per i lavoratori che nello svolgimento della loro attività sono oggettivamente impossibilitati a mantenere la distanza interpersonale di un metro, sono considerati dispositivi di protezione individuale (DPI) […]le mascherine chirurgiche reperibili in commercio[..]»

Il riferimento al DL 81/2000 riguarda l’uso dei dispositivi di protezione individuale sui posti di lavoro, ed in particolare all’art. 77 che obbliga i “datori di lavoro” a fornire ai lavoratori DPI conformi ai requisiti previsti. Il significato della norma è duplice: da una parte si autorizza nei fatti una deroga esplicita al criterio della distanza minima interpersonale di un metro, con requisiti molto soggettivi e di difficile verifica. Dall’altra si afferma che la mascherina chirurgica costituisce un dispositivo di protezione adeguato, con la conseguenza che la fornitura di tale dispositivo è sufficiente a eludere ogni forma di responsabilità a cui vanno incontro le imprese in caso di lesione del diritto alla salute dei lavoratori.  In realtà è scientificamente provato che questa circostanza è falsa e la vicenda è ormai ben nota a tutti: le mascherine chirurgiche pur comportando una generale riduzione del rischio non sono idonee ad evitare il contagio in assenza di adeguato distanziamento, specialmente in luoghi chiusi.

Lo scopo della norma quindi non ha nulla a che fare con la salvaguardia della salute dei lavoratori. Il Governo, come si vede già dai termini utilizzati, ha finito per stabilire una presunzione legale in favore delle aziende, che potranno trincerarsi dietro al rispetto di una condizione assicurata come idonea per legge, evitando di rispondere in sede legale e risarcitoria per i danni causati alla salute dei lavoratori.

Che le mascherine chirurgiche siano realmente idonee o meno, poco importa, se la legge le definisce tali. Ai vertici aziendali basterà dimostrare di aver agito nella cornice prevista dalla legge, per vedersi esentati da ogni responsabilità. Questa norma ha una portata generale e vale in ogni luogo di lavoro.  Si tratta però di un decreto legge. Nel nostro ordinamento il decreto legge è una fonte legislativa emanata per ragione d’urgenza dal Governo –  a cui di norma non spetta la funzione legislativa che è propria del Parlamento, ma quella esecutiva –  e per questa ragione deve essere convertita in Legge dal Parlamento entro 60 giorni dall’emanazione. Quindi il testo del Governo, pur essendo già in vigore viene sottoposto al vaglio del Parlamento, che può approvarlo, respingerlo o – come avviene nella stragrande maggioranza dei casi – approvarlo con modifiche.  Sono quindi partite orde di emendamenti dalla maggioranza e dall’opposizione, che lungi dal mettere in discussione l’articolo 16 tentano di aumentarne gli effetti, anche dagli ambiti dai quale attualmente sarebbero esclusi.

Il principale fronte è rappresentato dalla sanità.

In questo caso esistono due problematiche: una prima legata alla morte e alla malattia del personale medico sanitario, inviato a fronteggiare l’emergenza senza adeguate misure di protezione. Una seconda riguarda i pazienti stessi –  questa a dire il vero non sempre altrettanto meritoria di tutela in questa contingenza –  e oggetto di speculazioni da parte di alcuni avvocati che sono stati sanzionati dagli organismi disciplinari per aver invitato a promuovere azioni contro i medici stessi.

In tema di scudo legale sanitario, un primo emendamento è stato quello leghista firmato da diversi esponenti del gruppo tra cui lo stesso Salvini. Si legge nell’emendamento: «Le condotte dei datori di lavoro di operatori sanitari e sociosanitari operanti nell’ambito o a causa dell’emergenza COVID-19, nonché le condotte dei soggetti preposti alla gestione della crisi sanitaria derivante dal contagio non determinano, in caso di danni agli stessi operatori o a terzi, responsabilità personale di ordine penale, civile, contabile e da rivalsa […]».

L’emendamento leghista scaricava la responsabilità degli enti sanitari sia pubblici che privati, e anche delle catene di comando politiche dell’emergenza, per danni agli stessi lavoratori o a terzi, in particolare pazienti. Dopo pressioni dei sindacati è stato ritirato, ma purtroppo non era il solo

Restano in piedi altri emendamenti a firma di esponenti di centrosinistra (Italia Viva, PD) sia all’art. 1 che all’art. 16. In tutti questi emendamenti non si parla esplicitamente di danni ai lavoratori, ma anzi si includono gli esercenti professioni sanitarie tra i soggetti esclusi da responsabilità. Tuttavia un’interpretazione più larga del testo delle proposte, molto ampio e generico potrebbe far rientrare dalla finestra quello che il ritiro dell’emendamento della Lega ha escluso entrasse dalla porta principale: lo scudo legale per le responsabilità delle strutture sanitarie per la morte e/o per lesioni del diritto alla salute anche dei lavoratori sanitari.

Basta leggere l’incipit dell’emendamento a firma Marcucci per rendersene conto: «Per tutti gli eventi avversi che si siano verificati o abbiano trovato causa durante l’emergenza epidemiologica COVID-19[…]» Nelle leggi le parole sono importanti ed utilizzare un campo tanto esteso ha proprio il sapore di un colpo di spugna generale.

Insomma più sotterraneo dell’emendamento leghista striscia in Senato un emendamento della maggioranza che nei fatti potrebbe avere lo stesso impatto, se non più allargato, grazie a una formulazione letterale particolarmente ambigua e elastica.

D’altronde il Governo stesso dovrebbe rispondere di palesi ritardi nell’affrontare l’emergenza: la prevedibilità della diffusione del contagio e il tempo trascorso dall’inizio dell’epidemia in Cina e lo scoppio in Italia non ha comportato seri investimenti in termini di approvvigionamento di dispositivi di protezione adeguati, specialmente per i lavoratori della sanità.  In ogni caso i diritti dei medici e degli infermieri che nei servizi televisivi e negli articoli di giornale vengono descritti come eroi sono sotto attacco da destra e sinistra. La voce dei lavoratori in generale è già stati tappata da una mascherina con il decreto legge del Governo, senza che nessun emendamento lo mettesse in discussione.  Oltre le divisioni apparenti, quando c’è da difendere gli interessi del capitale la politica da sempre grande prova di unità nazionale. L’idea di uno scudo penale che protegga politici, proprietari di cliniche private, deve solo trovare la piega più idonea per insinuarsi.

 

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Alessandro Mustillo

Alessandro Mustillo, classe 1989, professione avvocato, è tra i fondatori del Fronte della Gioventù Comunista (FGC) di cui è stato il primo segretario nazionale. Collabora con L’Ordine Nuovo su temi di analisi politica e giuridica.

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