Composizione della classe operaia e frammentazione
Le frammentazioni sono il frutto del lavoro del capitale contro i lavoratori
Nei partiti comunisti della III Internazionale l’analisi delle composizioni di classe era uno strumento metodologico fondamentale, derivante dall’applicazione diretta del materialismo scientifico di Marx e Lenin, propedeutico ad ogni sviluppo analitico di un contesto dentro una fase politica determinata.
La prima esperienza di un tale lavoro, a partire dall’iterazione prassi-teoria-prassi, fu realizzata da Marx ed Engels, con quest’ultimo attore e testimone diretto, intorno alla composizione della classe operaia britannica nella prima metà del secolo XIX. In quel Paese si erano succedute in tempi brevi sia la prima che la seconda rivoluzione industriale, non solo grazie alle invenzioni scientifico-tecniche che le connotarono (telaio meccanico + macchina a vapore), quanto per l’enorme accumulazione primaria che l’impero britannico riusciva a realizzare grazie alle politiche, particolarmente aggressive e piratesche, messe in atto dal suo espansionismo coloniale, a sua volta reso possibile da una marina mercantile imponente, appoggiata da una marina militare tecnologicamente avanzata. Solo la potenza cinese avrebbe potuto, in quel secolo, ma già nel secolo precedente, anticipare quei ritmi e quelle quantità di accumulazione primaria, necessari al salto di paradigma verso una società capitalistica matura. La scelta di politiche puramente mercantili, accompagnata dalla scelta di tecnologie navali che, escludendo le chiglie profonde, avevano limitato le rotte della imponente marina mercantile cinese al solo cabotaggio, avevano bloccato l’evoluzione verso l’applicazione delle tecnologie ad un’economia industriale. Marx ed Engels, dunque, affrontarono la ricerca sulla composizione di quella classe operaia utilizzando le analisi che intanto andavano sviluppando sui modi di produzione capitalistici e sulle teorie che consolidavano sul valore e sul salario.
Il costante utilizzo, quindi, dell’analisi delle composizioni di classe di una società, segnatamente della classe operaia, della Classe, rappresentava per i partiti comunisti terzinternazionalisti lo sbocco obbligato delle teorie elaborate sul campo da Marx ed Engels sul capitalismo e da Lenin sull’imperialismo. Tale pratica teorica poteva assumere talvolta, non spesso, i caratteri della leziosità pedissequa, ma del tutto inaccettabile fu il ridimensionamento, da parte delle direzioni politiche revisionistiche ed opportunistiche, di tale metodologia, che in un primo tempo veniva svuotata di contenuti e di profondità, per sfociare poi nel suo totale abbandono.
Si può senz’altro affermare che il grado di irrilevanza, assunto dalle analisi di classe nel lavoro politico dei comunisti col tempo, sia anche un parametro di misura dell’allontanamento dalla dottrina marxista-leninista.
Lo stesso fenomeno del togliattismo, in Italia ma non solo, si connotò per il suo lento, ma progressivo ed inesorabile allontanamento dall’analisi di classe, per sostituirla con una teoria dei momenti, sostanzialmente continuista e gradualista, che escludeva la possibilità di individuare i salti discontinui di fase, tramite appunto la determinazione dei fattori oggettivi dei mezzi di produzione e delle forze produttive. Si affidava così l’analisi politica agli strumenti triti e ritriti delle teorie liberal-democratiche, prigioniere delle sovrastrutture istituzionaliste e idealistiche, fuori da ogni contesto concreto delle classi, della Classe.
Questa, forse lunga, premessa potrebbe servire a segnalare la fondamentale funzione dell’analisi di classe nel lavoro dei comunisti, una funzione da assolvere con continuità ed estremo rigore, coinvolgendo l’intero corpo militante in tale esercizio eminentemente scientifico, ma non specialistico, dovendo appunto assumere i caratteri di un lavoro dei quadri a tutti i livelli. Tale lavoro ha bisogno, sempre ed in ogni caso, di una ricognizione sul campo effettuata da e sulla classe operaia, un’applicazione delle inchieste operaie da realizzare sia a campione, su esperienze generalizzabili, sia in modo esteso, quando siano mature ipotesi di elaborazione di modelli scientifici, il tutto e con ciò evitando in modo sistematico di ricorrere alle sole e semplicistiche informazioni e modellistiche prodotte dalla borghesia.
Perché questo strumento non diventi puramente empirico è necessario, però, che si accompagni dialetticamente allo studio aggiornato dello sviluppo tecnologico e del conseguente sviluppo dei mezzi di produzione.
Questo scritto non può avere, perciò, la pretesa di sintetizzare conclusioni di un’analisi di classe nel nostro Paese, analisi che non si è mai realizzata nella presente fase applicando il materialismo storico, essendo ciò possibile solo con un lavoro collettivo di lunga lena e di spessore. A tale compito, però, i comunisti m-l non possono sottrarsi, pena la loro irrilevanza, se non inutilità, e questo contributo vuole quindi offrire degli spunti metodologici, di classificazione tramite le nostre proprie categorie scientifiche, delle ipotesi di lavoro circa la presente fase storica, determinata, anche nel nostro Paese, da una rivoluzione industriale in atto.
Qual è la rivoluzione industriale in atto?
Si è aperto negli ultimi anni, a partire dai centri-studio del capitale, una discussione sui caratteri e sulla classificazione da attribuire alla rivoluzione industriale in atto, discussione che ha attraversato anche le scienze e le accademie borghesi, le quali, però, per loro stessa ammissione, non hanno raggiunto i livelli di una sintesi del pensiero complessivo borghese.
Si inizia dalla classificazione che la descrive come IV rivoluzione industriale, volendo sottintendere che vi sia stata una III rivoluzione industriale, quella determinata dallo sviluppo delle tecnologie elettronico-informatiche. Nella realtà si può affermare che già qui vi sia una forzatura di tipo classicamente idealistico: si tende, infatti, ad applicare alla sfera delle discipline scientifiche borghesi, nella quale si introduce una nuova scienza definita Informatica, un paradigma teorico che ha investito solo in modo parziale e laterale il mondo della produzione industriale.
Le tecnologie informatiche, il cui enorme ed accelerato sviluppo è derivato prevalentemente dalle applicazioni spinte in campo militare, aerospaziale, biologico, sono state infatti applicate, fino a qualche anno fa, oltre che nei ristretti settori di spinta iniziali, fondamentalmente nel mondo dei servizi e del management pubblico e privato. Le applicazioni di larga scala nel campo industriale si sono limitate al controllo numerico e al controllo automatico in real time, raramente superando gli aspetti appunto di controllo, verifica, valutazione di qualità delle produzioni industriali in quanto tali. Applicare, quindi, una classificazione di carattere rivoluzionario ad un processo che non ha coinvolto in modo esteso e pervasivo il modo di produzione capitalistico appare per lo meno avventato: stiamo discutendo di eventi epocali ed è quindi d’obbligo la prudenza e la modestia, ma non per questo dobbiamo prendere per oro colato tutto ciò che ci propinano le (false) teorie borghesi, soprattutto quando su di esse gravino dubbi ed incertezze nello stesso campo avversario.
Il complesso industriale automobilistico di Melfi è stato giustamente individuato come un punto di svolta nel campo della produzione in Italia; introducendo in modo complessivo, soprattutto provenienti dalle nuove potenze tecnologiche dell’Estremo Oriente, le modalità robotiche di produzione si sono pure rivoluzionate le classiche organizzazioni del lavoro, da quella storica fordista (catene di montaggio) a quella più moderna toyotista (isole di montaggio integrato).
Ecco, finalmente, che si materializza una vera rivoluzione industriale, che si incardina in nuove tecnologie e strumenti di produzione ed in nuovi modi di produzione, come pure si manifesta una nuova forza lavoro, con implicazione formidabili su una nuova composizione della classe operaia.
L’introduzione dell’Informatica nei processi di produzione è però ancora più estesa e performante, soprattutto in ragione dello sviluppo della comunicazione via web, che va interpretata essa stessa come un moderno mezzo di produzione, riportandosi all’attualità la previsione storica di Marx circa il progressivo spostamento del lavoro da quello manuale a quello intellettuale, con la produzione sempre più massiccia di merci immateriali e di prodotti cosiddetti software, non solo nei settori strettamente informatici.
Anche dal punto di vista della forza lavoro (capitale variabile) questa autentica III rivoluzione industriale ha aperto scenari inediti: telelavoro di prossimità, telelavoro da remoto, intelligenza artificiale. Quest’ultimo aspetto, entro il quale si inscrive, solo in parte qualitativamente, la robotica (facente parte classicamente del capitale fisso), tende a sconvolgere i paradigmi tradizionali, perché introduce nella invenzione umana elementi di riproducibilità, soprattutto per le biotecnologie, e di ripetitività, in ragione della produzione assolutamente automatizzata e creativa di mezzi di produzione (si pensi, a solo titolo esemplificativo, alle stampanti in 3D).
I ragionamenti svolti sino ad ora non hanno riguardato esplicitamente le produzioni primarie, l’agricoltura e il relativo indotto, per le quali, tuttavia, l’introduzione spinta delle tecnologie informatiche avviene per ora solo in Cina ed in limitati contesti nelle Americhe ed in Europa. Rimane intuitivo in questo settore la pervasività delle biotecnologie, delle tecniche di proiezione, programmazione, protezione e pretrattamento conservativo nelle produzioni agricole, a cui iniziano a corrispondere ovviamente articolazioni e frammentazioni della forza lavoro.
Scomposizione e frammentazione della forza lavoro in Italia
Come si è cercato qui di dimostrare, o per lo meno di esporre, i fenomeni di articolazione, in termini di scomposizione e frammentazione della forza lavoro, rispondono a evoluzioni del rapporto di trasformazione operati dall’uomo verso la natura, sempre e comunque in risposta alle esigenze di sussistenza e di produzione dei mezzi di sussistenza, ma ciò nella fase capitalistica dello Storia umana, risponde pure all’esigenza del capitale di frenare e limitare la caduta tendenziale del saggio di profitto del capitale stesso, che si realizza comunque in modo convergente.
Tutto questo avviene nel nostro Paese in modo ancora più amplificato, per i caratteri storici peculiari della borghesia italiana, non a caso levatrice e sostenitrice delle forze reazionarie e fasciste. L’attacco alla stabilità, alla compattezza ed al salario dei lavoratori è stato negli ultimi decenni sistematico e costante, assecondando TUTTE le tendenze disgregatrici del mondo del lavoro. Ciò è avvenuto, come spesso si ricorda, attaccando e demolendo tutte le conquiste dei lavoratori ottenute da oltre un secolo di lotte proletarie, ma è anche avvenuto indipendentemente dai processi cosiddetti di ammodernamento e di preteso sviluppo delle forze produttive, così come è avvenuto nelle altre grandi potenze industriali in Europa. Poca cura si è dedicata ai settori ed a prodotti definiti ad alto valore aggiunto, non utilizzando le alte potenzialità scientifiche e culturali del tessuto formativo e della ricerca italiano, comprimendolo, mortificandolo, riducendone pure il riverbero sul livello generale della stessa istruzione, istituzionale ed indiretta, tramite media sempre più squalificati e squalificanti.
Queste tendenze hanno favorito, dunque, l’abbassamento generalizzato del livello di coscienza della Classe, della sua formazione, dei suoi contenuti professionali e di abilità. Limitati ed isolati sono i settori della classe operaia che si avvalgono di un miglioramento qualitativo del proprio lavoro, anche in controtendenza rispetto ai processi in atto nelle altre potenze industriali, seppure anch’essi parziali.
Le analisi desunte dai dati ufficiali, di fonte pubblica o padronale, tendono sempre ad oscurare la complessità della situazione sopra descritta a larghe linee, rischiando di trascurare, o più spesso ignorare le fenomenologie borderline che si muovono intorno alle categorie classiche. Così la semplicistica assegnazione al settore terziario di attività storicamente interne ai cicli produttivi integrati, che però oggi sono esternalizzate nella gestione e negli assetti proprietari. Emblematica è la questione che riguarda i lavoratori della logistica, che assommano oggi in Italia ad oltre 250.000 unità, in continuo aumento, anche se con tassi di crescita in diminuzione; di essi oggi oltre la metà derivano dalle esternalizzazioni dei servizi di stoccaggio e traporto delle merci prodotte. Erano tutti addetti che operavano sui vecchi piazzali o nei magazzini delle fabbriche, essendo tutti considerati a tutti gli effetti come operai di fabbrica. Come operai di fabbrica erano considerati gli addetti alle pulizie ed alle sanificazioni dei locali degli opifici, oggi in carico a ditte esterne in appalto e rubricati anch’essi come addetti ai servizi.
Le considerazioni precedenti ci dovrebbero indurre a considerare con prudenza la ripartizione classica dei settori in agricolo, industriale, terziario, essendo oggi le dinamiche nel mercato del lavoro sempre più consistenti, anche per effetto dei processi di privatizzazione dei servizi pubblici. Per effetto di esse ci troviamo, per esempio, a dover organizzare e tutelare i lavoratori delle ditte di pulizia, alcuni dei quali, come abbiamo già scritto, operano in aziende private dirette o in appalto con ditte private di altro settore, altri dei quali operano in enti pubblici, ma incardinati in aziende specializzate private, operanti in regime di appalto. Ci si renderà conto che, nonostante ci si debba riferire a contratti nazionali coincidenti, tra l’altro firmati dai sindacati collaborazionisti, ciò rappresenti un’ulteriore frammentazione della Classe, non foss’altro per la circostanza che i lavoratori operano in contesti differenti e spesso con controparti multiple (padroncino dell’azienda appaltatrice e dirigente pubblico). Risulta evidente che questa frammentazione agisca in modo violento quando un operaio addetto alle pulizie di una grande fabbrica, una volta tutelato dal complesso dei lavoratori organizzati dalla stessa categoria (metalmeccanici, chimici, agroalimentari, ecc.), deve oggi difendersi dal padrone della fabbrica e dal padroncino dell’azienda delle pulizie, con i relativi “scagnozzi”, potendosi tutelare con i sindacati di categoria che organizzano lavoratori del settore sparpagliati in centinaia, migliaia di siti lavorativi. Il massimo del riconoscimento di tale frammentazione è avvenuto proprio da parte del maggior sindacato, una volta sindacato di classe, la CGIL, nel momento in cui decise di fondare la federazione NIDIL, che avrebbe associato i lavoratori in somministrazione, interinali, ad intermittenza, atipici, indipendentemente dal settore qualitativo proprio del lavoro svolto. Dopo il regalo, dunque, dei governi di centrosinistra e centrodestra, a partire dalla legge Treu, arrivava dunque il regalo del sindacato, che ghettizzava i lavoratori già vessati da vergognosi contratti precari, separando l’operaio assunto a tempo indeterminato con contratto nazionale dall’ operaio assunto a tempo determinato con contratto locale, lavorando magari i due operai nello stesso impianto, nello stesso reparto, magari alla stessa linea.
Come si vede oggi i lavoratori sono frammentati a livello categoriale, logistico, contrattuale, giuridico, essendo le sinergie tra i vari aspetti tutte e vantaggio dei padroni, pubblici o privati che siano, e tutte a svantaggio dei lavoratori, frastornati come sono, anche sul piano soggettivo, dalla miriade contorta di leggi, contratti di vario livello, normative generali e particolari, le quali, anche quando denominate a tutela, nei fatti diventano esse stesse vessatorie.
A proposito di ciò, in via incidentale, va segnalata la torsione che nell’ultimo decennio sta subendo la giurisprudenza in campo lavoristico, una volta connotata da esperienze avanzate e nettamente a difesa degli interessi dei lavoratori, nella fase dei cosiddetti pretori di assalto. Oggi, un po’ per effetto di una sconfitta culturale, maturata nei campus universitari e nelle accademie, abbandonate alle destre anche da docenti cresciuti nel ’68 e accomodatisi sulle loro comode cattedre, un po’ per il segno antioperaio delle nuove produzioni legislative, comprese quelle europee, il quadro che si offre alle vertenze legali in campo lavoristico è sconfortante, con pochi e valorosi avvocati a difesa della forza lavoro, impegnati a contrastare gli agguerriti studi multimilionari del padronato. La frammentazione qui agisce con un tasso sempre minore di vertenze collettive e con l’introduzione di nuove spese legali, che scoraggiano le vertenze individuali.
Come si legge il quadro è complessivamente molto arretrato, richiamandoci non solo ad un impegno militante rinnovato e crescente, ma ad una qualità di tale impegno che ci faccia uscire dalle secche della semplice improvvisazione volontaristica, imprimendo al nostro lavoro il segno della continuità e del rigore metodologico.
Alla frammentazione della Classe ci si oppone a partire dal conflitto esercitato e non enunciato, accompagnando ad esso lo studio delle caratteristiche di tali processi, l’individuazione dei relativi fattori oggettivi e soggettivi, individuati questi ultimi denunciandoli nelle responsabilità individuali e collettive, esponendoli al giusto odio di classe, sconfiggendoli in battaglie anche parziali, ma significative.
Questo è un lavoro eminentemente politico, anche quando si implementa in un quadro di lotte sindacali, e non può che essere favorito da una incessante attività di inchiesta operaia, qui già evocata. Sul piano generale, il processo di creazione del Partito Comunista m-l in Italia non può considerare le attività dell’inchiesta operaia e dello studio della composizione di classe in tutti i contesti e ad ogni livello come semplici orpelli, con cui impreziosire analisi più elaborate e meno stringenti. Dovrebbero, invece, innervare ogni attività teorica ed ogni elaborazione di modelli di lotta e di organizzazione: nessuna politica dei quadri, dei nuovi quadri del proletariato giovanile, si potrà mai affermare, senza che si sappia da dove essi possano provenire e come essi possano essere selezionati, nel fuoco della lotta di classe.
Contro la frammentazione, per una rinnovata forza unificante della classe operaia, occorre meno lavoro politicista, meno comunicazione nei circuiti borghesi, meno interazioni con gli ambiti istituzionali, finalmente il ritorno al lavoro organizzato nelle fabbriche ed in tutti i luoghi di lavoro, allo studio dei problemi veri, concreti dei lavoratori, vivendo la loro stessa vita.
Fronte militante per la ricostruzione del partito comunista