Sulla guerra in Medio Oriente
Articolo a cura della sezione rapporti internazionali del Comitato Centrale del Partito Comunista di Grecia (KKE)
5 settembre 2024
Originale: https://inter.kke.gr/en/articles/On-the-war-in-the-Middle-East/
Negli ultimi mesi, il mondo intero ha assistito a un attacco generalizzato da parte della macchina politico-militare dello Stato israeliano contro il popolo palestinese, soprattutto nella Striscia di Gaza. La maggior parte dei media borghesi, che sostengono Israele, cerca invano di convincere il popolo che tutto è iniziato il 7 ottobre 2023, quando Hamas ha lanciato un attacco contro Israele, uccidendo e catturando degli ostaggi israeliani. La stragrande maggioranza dei popoli sa che lo Stato borghese israeliano, con la connivenza degli Stati Uniti e degli altri alleati euro-atlantici, opprime il popolo palestinese e occupa da sette decenni i territori dove, secondo le risoluzioni delle Nazioni Unite, dovrebbe sorgere lo Stato di Palestina.
Il vorace appetito dello Stato borghese israeliano per i territori palestinesi è iniziato con la spartizione della terra palestinese nel 1947-1948, attraverso una risoluzione delle Nazioni Unite che ha istituito lo Stato di Israele e ha aperto la strada alla graduale fagocitazione dei territori palestinesi. Da allora, milioni di palestinesi sono stati cacciati dalla loro terra. Stiamo parlando di un vero e proprio sradicamento, di un’appropriazione pianificata della terra e dello spostamento di oltre sei milioni di persone dalla loro terra. Israele ha preso il controllo di 774 città e villaggi palestinesi, di cui 531 sono stati completamente distrutti e gli altri sono stati consegnati allo Stato occupante. Milioni di persone rimaste sulla loro terra, sia in Cisgiordania, dove ha sede l’Autorità Palestinese, sia nella Striscia di Gaza, hanno vissuto per generazioni sotto un regime di embargo, gravi privazioni, discriminazioni e umiliazioni; in una parola, di apartheid. Nei territori palestinesi occupati da Israele, gli insediamenti sono stati e sono tuttora costruiti come mezzo per estendere e consolidare l’occupazione e l’oppressione di un intero popolo. Infatti, circa il 40% della Cisgiordania, che è stata anche divisa in tre “zone di sicurezza” dalle forze di occupazione, è già nelle mani dei coloni, che si sono moltiplicati per sette volte dalla firma degli Accordi di Oslo nel 1993, arrivando da 115.000 a 750.000. Nel corso degli anni, Israele ha negato al popolo palestinese tutti i suoi diritti e rifiuta ogni possibilità di creare uno Stato palestinese al suo fianco, come previsto dalle risoluzioni delle Nazioni Unite. La presenza di Netanyahu all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite lo scorso anno, dove ha presentato una mappa futura del “Nuovo Medio Oriente”, ovviamente senza uno Stato palestinese, è eloquente. Inoltre, nel corso degli anni, Israele ha approvato leggi per affermarsi come “Stato ebraico”, calpestando i diritti di milioni di altre persone che vivono lì, con origini etniche, tradizioni religiose e culturali diverse: cerca di opprimerle, annientarle e allontanarle. Non è un caso che, anche nel nostro Paese (Grecia – N.d.R.), i dati mostrano che il maggior numero di perseguitati che arrivano come immigrati sono i palestinesi.
Questo sviluppo ha suscitato la reazione dei popoli, degli Stati e delle potenze vicine. Il groviglio di contraddizioni si fa sempre più fitto e il fuoco della guerra minaccia di inghiottire altri Paesi. È già in atto il coinvolgimento dello Yemen (Huthi) e dell’Iran, mentre le ostilità di Israele con gli Hezbollah libanesi si stanno intensificando, provocando centinaia di morti nel Libano meridionale (455 persone) e in Israele (25 persone), nonché lo sfollamento di 150.000 israeliani dal nord di Israele e di decine di migliaia di libanesi che vivono nelle zone di confine con Israele [1]. Va notato che l’uso “diffuso” di munizioni vietate al fosforo bianco da parte dell’esercito israeliano negli scontri con Hezbollah è stato segnalato in almeno 17 aree del Libano meridionale dall’ottobre 2023, anche in zone densamente popolate.
Per avere una valutazione più completa della situazione e dei pericoli che essa rappresenta per i popoli, dovremmo esaminare i principali sviluppi nella regione attraverso la lente dei processi che avvengono a livello globale e regionale in questo momento storico, poiché sono questi ad avere un effetto catalizzatore sulla regione e, come dimostra l’attacco israeliano a un edificio diplomatico iraniano a Damasco, in Siria, e la successiva reazione dell’Iran, possono generalizzare il conflitto militare.
È inoltre necessario soffermarsi su alcune argomentazioni borghesi e opportuniste riguardanti questa guerra, alle quali il KKE si oppone fondamentalmente, nonché tracciare i possibili sviluppi e il pericolo di espansione del conflitto bellico e la sua fusione con il conflitto imperialista in Ucraina.
GLI OBIETTIVI DI ISRAELE E L’ATTUALE CONTESTO INTERNAZIONALE E REGIONALE IN CUI SI SVOLGE IL CONFLITTO
Il fattore principale della guerra in Medio Oriente è lo Stato occupante di Israele. L’obiettivo di Israele è quello di cancellare la soluzione dei due Stati e a tal fine non esita a commettere un genocidio contro il popolo palestinese e persino a spingere nel deserto coloro che sopravvivono al massacro israeliano.
La borghesia israeliana ritiene di avere il potere politico-militare ed economico per imporre tale piano, che la renderà una grande potenza nell’intera regione del Mediterraneo orientale e del Medio Oriente, utilizzando sia la carota degli accordi economici, come gli Accordi di Abramo, sia il bastone dell’aggressione militare, dell’invasione e dell’occupazione di territori stranieri e dell’indebolimento militare di altri regimi borghesi rivali nella regione, come, ad esempio, l’Iran.
Il ruolo della borghesia israeliana può essere rafforzato dalla sua posizione geografica di snodo di transito tra l’Asia e l’Europa, dallo sfruttamento dei territori della preziosa costa della Striscia di Gaza, che deve passare sotto il controllo (o addirittura l’occupazione) israeliano a tutti i costi, nonché dallo sfruttamento degli idrocarburi nel Mediterraneo, compresa la ZEE (zona economica esclusiva), che dovrebbe appartenere allo Stato palestinese.
Gli aspetti di questo piano israeliano saranno esaminati più in dettaglio di seguito, così come il contesto internazionale e regionale in cui si sta svolgendo.
IL CONFRONTO TRA IL BLOCCO EURO-ATLANTICO E IL BLOCCO EURASIATICO IN FORMAZIONE
Gli sviluppi in Palestina e nella più ampia regione del Medio Oriente, del Mar Rosso e del Golfo Persico sono influenzati dalla rivalità generale per la supremazia nel sistema imperialista internazionale tra Stati Uniti e Cina, nonché dal confronto tra l’asse euro-atlantico, guidato da USA-UE, e l’asse eurasiatico in via di formazione, guidato da Cina e Russia. Questo confronto ha già portato alla guerra imperialista in Ucraina, che infuria ormai da tre anni, e occasionalmente scatena conflitti sul futuro di Taiwan e sulla divisione delle ZEE nel Mar Cinese Meridionale (o Mar Orientale), ma anche altrove, come in Africa (ad esempio nel Sahel), nell’Artico, ecc. L’adesione dell’Iran all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai nel luglio 2023 non è un dettaglio o un evento secondario, così come l’allargamento dei BRICS nell’agosto 2023 con 6 nuovi Paesi, 5 dei quali nella regione del Medio Oriente (Egitto, Etiopia, Emirati Arabi Uniti, Iran e Arabia Saudita).
Il confronto tra le due parti viene sempre presentato con diversi pretesti, come la “lotta al terrorismo” e il “diritto all’autodifesa”, che viene sfruttato dallo Stato occupante di Israele e dai suoi alleati, o la formazione di un “asse anti-imperialista”, che lotta per un “mondo giusto e multipolare”, che viene invocato dalla parte avversa.
In realtà, la disputa si svolge tra le due parti per l’accesso alle ricchezze energetiche e minerarie della regione, dato che si stima che il 49,5% delle riserve mondiali accertate di idrocarburi (petrolio e gas) si trovi nella regione mediorientale [2], e per il controllo delle rotte commerciali chiave che attraversano la regione e attraverso le quali passa una parte significativa del commercio mondiale verso l’Asia, l’Europa e il Nord Africa. Il 30% del trasporto marittimo [3] passa attraverso il Mar Rosso: le grandi potenze che esportano i loro prodotti in Europa, come la Cina e l’India, utilizzano questa rotta marittima. In particolare, l’80% di tutte le esportazioni indiane di merci verso l’Europa passa attraverso la regione del Mar Rosso, mentre la Cina si affida al trasporto marittimo per il 95% delle sue esportazioni e ha un forte interesse economico a mantenere aperta la rotta del Mar Rosso [4].
L’accesso a queste risorse e il controllo delle rotte di trasporto influenzano le quote di mercato, il potere economico e politico-militare di entrambe le parti, che sono interessate a promuovere gli interessi dei loro monopoli e ad avere punti di appoggio geopolitici nella regione.
Allo stesso tempo, all’interno dei due blocchi, non si attenuano le contraddizioni e le differenziazioni delle politiche delle classi borghesi dalla direzione generale, che si verificano in condizioni di interdipendenza disomogenea in cui i poteri più forti hanno la prima parola. I casi della Turchia, Stato membro della NATO affiliato all’UE, ma anche dell’Irlanda, della Spagna e della Slovenia, che hanno recentemente riconosciuto lo Stato palestinese, sono particolarmente caratteristici. Si sono così aggiunti ai 145 Paesi che hanno riconosciuto la Palestina, insieme alla Svezia (2014) e ad alcuni altri attuali Stati membri dell’UE che avevano riconosciuto la Palestina in un momento diverso, poco prima dei rovesciamenti nell’Europa orientale, ovvero Bulgaria (1988), Ungheria (1988), Polonia (1988) e Romania (1988).
Allo stesso tempo, dal 2019 si è assistito a un più generale riallineamento delle forze, che si è espresso nelle relazioni tra Emirati Arabi Uniti, Iran, Arabia Saudita, Qatar, Kuwait, il ritorno della Siria nella Lega Araba, ecc. con l’intervento catalizzatore della Cina.
Inoltre, potenti classi borghesi della regione, come quelle della Turchia, dell’Egitto, dell’Iran, dell’Arabia Saudita, degli Emirati Arabi Uniti, del Qatar, ecc. stanno assumendo un ruolo attivo nel conflitto, sia come parte potenziale dello stesso (ad esempio l’Iran), sia svolgendo il ruolo di mediatori. In ogni caso, il loro obiettivo è quello di rafforzare la propria posizione nella piramide imperialista internazionale, di rimanere indenni in caso di generalizzazione del conflitto e di trarne vantaggio.
GLI ACCORDI DI ABRAMO E L’ARABIA SAUDITA
Nell’agosto del 2023, si era verificato uno spettacolare riavvicinamento tra Israele e l’Arabia Saudita e tutto lasciava presagire che questo Paese avrebbe aderito agli “Accordi di Abramo”. Si trattava di un piano di ispirazione statunitense-israeliana in base al quale alcuni Paesi arabi riconoscevano e stabilivano relazioni con Israele, in particolare Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Marocco (2020) e Sudan (2021). In precedenza, Giordania ed Egitto avevano ristabilito le relazioni con Israele.
La leadership palestinese ha valutato nel 2020 che “la decisione degli Emirati e del Bahrein rompe con l’Iniziativa di Pace Araba adottata da tutti gli Stati arabi al vertice del 2002. Questa iniziativa mira a una pace giusta e completa, con il ritiro di Israele da tutti i territori arabi in cambio della piena normalizzazione delle nostre relazioni con esso. Prima il ritiro di Israele, poi la normalizzazione delle relazioni [5]”.
In pratica, questi accordi miravano ad aumentare le attività commerciali e la redditività dei capitalisti della regione, a rafforzare la posizione politica di Israele, che occupa i territori della Siria e del Libano oltre a quelli palestinesi, e ad agevolare gli Stati Uniti nei loro piani contro la Cina e l’Iran. Il grande sconfitto è stato il popolo palestinese, poiché in pratica si è rafforzato l’abbandono delle risoluzioni delle Nazioni Unite sulla creazione dello Stato palestinese e si è promossa la continuazione dell’occupazione israeliana con la conseguente oppressione del popolo palestinese. L’operazione genocida lanciata da Israele contro il popolo palestinese, invocando il falso “diritto di autodifesa” dopo l’attacco di Hamas e causando la morte di decine di migliaia di civili, tra cui più di 15.000 bambini, ha portato a un’inversione di questo piano.
LA DISPUTA SULLA ZEE PALESTINESE
I territori palestinesi prima del 4 giugno 1967, in cui doveva essere istituito lo Stato palestinese con Gerusalemme Est come capitale, comprendevano la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. La Striscia di Gaza è una stretta striscia di terra di 365 chilometri quadrati dove si trova la ZEE palestinese, poiché il resto del territorio palestinese, cioè la Cisgiordania, non ha accesso al Mar Mediterraneo. Poiché la Striscia di Gaza, in quanto parte integrante dello Stato palestinese, ha accesso al Mar Mediterraneo, ha diritto ad avere una ZEE che confina con quelle di Egitto, Israele e Cipro.
Il 1° febbraio 2015, la Palestina ha aderito alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare per ordine del presidente palestinese Mahmoud Abbas. Il 10 ottobre 2019, il ministro degli Esteri palestinese Riyad al-Maliki ha consegnato al Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres una copia delle mappe e delle coordinate dei confini marittimi dello Stato di Palestina, basati sui confini del 1967 e sulla risoluzione 242 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Al-Maliki ha chiesto a Guterres di condividere questi documenti con gli Stati membri dell’ONU per assistere i palestinesi nei loro sforzi di demarcazione dei confini marittimi, soprattutto per quanto riguarda la ZEE. Al-Maliki ha affermato in quell’occasione che questi documenti aiuterebbero lo Stato di Palestina ad affermare il proprio diritto ad una ZEE nel Mediterraneo, sottolineando che i palestinesi hanno il diritto di sfruttare, investire ed esplorare gas e petrolio in quest’area.
Il giacimento di Gaza è stato scoperto alla fine del 1999 e i dati preliminari indicavano che conteneva più di 1.100 miliardi di piedi cubi di gas naturale. L’Autorità Palestinese ha concesso il diritto di esplorare e sfruttare gli idrocarburi a un consorzio composto dalla società britannica BP (poi acquisita da Shell, che si è successivamente ritirata), dal Fondo di Investimento Palestinese e dalla Consolidated Contractors Company (in cui ci sono interessi palestinesi) [6], in base a un contratto di 25 anni [7].
È noto che negli anni passati si era pensato di sfruttare i giacimenti attraverso una partnership transnazionale tra Israele ed Egitto, con una quota dei profitti destinata all’Autorità Palestinese. La cooperazione tra Egitto e Israele è da tempo una delle preferenze degli Stati Uniti. L’Egitto è il più grande Paese produttore di gas del Mediterraneo orientale e anche il più grande mercato di consumo di gas della regione, grazie alla sua popolazione in rapida crescita, che ha raggiunto circa 112 milioni di abitanti. Un gasdotto sottomarino collega attualmente la città israeliana di Ashkelon con Al-Arish in Egitto: il gas israeliano viene liquefatto in Egitto per essere esportato nei mercati europei. Ovviamente, l’Egitto è interessato a sfruttare i giacimenti di Gaza, che confinano con la sua ZEE. Nel febbraio 2021, la società egiziana EGAS ha firmato un memorandum d’intesa con il consorzio del gas per sviluppare il giacimento “per soddisfare il fabbisogno di gas naturale dei palestinesi, con la possibilità di esportare parte della produzione in Egitto [8]”.
Allo stesso tempo, con l’inizio formale della guerra imperialista in Ucraina e l’orientamento dell’Unione Europea a rendersi indipendente dal gas russo, si è intensificato il tentativo di Israele di controllare e derubare la Palestina della sua ricchezza energetica. Questo perché la reazione dell’UE ha portato a un’enorme riduzione delle importazioni di gas dalla Russia, senza tuttavia raggiungere l’obiettivo della completa indipendenza energetica dalla Russia. Allo stesso tempo, ha aumentato la necessità dell’UE di importare gas dalla regione del Medio Oriente e, naturalmente, dagli Stati Uniti. Alla luce di questo conflitto energetico globale, l’Ufficio di Netanyahu ha dichiarato in un comunicato di metà giugno 2023: “Nel quadro degli sforzi esistenti tra lo Stato di Israele, l’Egitto e l’Autorità Palestinese (AP), con enfasi sullo sviluppo economico palestinese e sul mantenimento della stabilità della sicurezza nella regione, è stato deciso di sviluppare il giacimento di gas di Gaza Marine al largo della costa di Gaza. La realizzazione del progetto è subordinata (…) al completamento del lavoro dello staff interministeriale guidato dal Consiglio di Sicurezza Nazionale, al fine di mantenere gli interessi diplomatici e di sicurezza dello Stato di Israele sulla questione [9]”.
Alla fine di giugno 2023, il primo ministro palestinese Mohammad Shtayyeh ha dichiarato in un comunicato ufficiale: “Lo sviluppo del giacimento marino di Gaza è fattibile dopo oltre 24 anni di ostacoli israeliani che ne hanno impedito lo sfruttamento (…) Stiamo lavorando congiuntamente con una società di sviluppo egiziana e con il Fondo di Investimento Palestinese (…). C’erano ostacoli israeliani (…) e ora è possibile sviluppare e sfruttare il giacimento [10]”.
Nel corso dell’estate, Hamas ha intrapreso azioni che sono state interpretate come preparativi per una “guerra del gas”. Tra queste, un tour diplomatico nella regione nel corso del quale il capo dell’Ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh, ha visitato l’Egitto e l’Iran, nonché comunicazioni e visite di suoi rappresentanti in Russia e Turchia [11].
All’epoca, gli analisti ritenevano che Hamas stesse valutando diverse opzioni per impedire il saccheggio delle ricchezze energetiche della Palestina, tra cui il confronto militare, allora considerato un’eventualità improbabile [12].
Va da sé che l’appetito della borghesia israeliana per lo sfruttamento esclusivo di queste ricchezze si sta stuzzicando, visto che Israele sta addirittura elaborando un piano per cacciare i palestinesi da Gaza nel deserto o in altri Paesi “volenterosi”.
L’AREA È UN POMO DELLA DISCORDIA PER QUANTO RIGUARDA LE VIE DI TRASPORTO PER IL COMMERCIO E L’ENERGIA
L’intera area è un corridoio commerciale, come abbiamo già sottolineato. Questo non significa che si sia smesso di tracciare nuove rotte commerciali, legate a interessi concorrenti e a grandi progetti di investimento capitalistico.
Un esempio è il Corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, che utilizza il porto di Jebel Ali negli Emirati Arabi Uniti. Da lì, un collegamento ferroviario attraverserà l’Arabia Saudita, la Giordania e Israele fino al porto di Haifa e poi al porto del Pireo, nonché ai porti italiani e francesi. Il piano iniziale prevede l’estensione della rete ferroviaria esistente che collega gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita e Amman. Questa rotta commerciale costerebbe ai monopoli meno della rotta del Canale di Suez. Gli Stati Uniti, che sono favorevoli a questa rotta, hanno dichiarato apertamente alla riunione del G20 a Nuova Delhi nel 2023 che il loro piano è quello di contrastare il corridoio commerciale cinese “One Belt, One Road”, noto anche come “Via della Seta [13]”.
La costruzione di un canale alternativo a quello di Suez, attualmente controllato dall’Egitto, è un progetto davvero faraonico. Il nuovo canale attraverserà Israele e prenderà il nome del suo primo ministro, Ben-Gurion. La concezione originaria del canale risale al 1963, come riportato nel libro Il nuovo Medio Oriente, pubblicato alla fine degli anni ’90 dall’ex primo ministro israeliano Shimon Peres. Prevedeva l’apertura di un canale di 250 km attraverso il deserto del Negev mediante 520 esplosioni nucleari sotterranee, che collegasse il Golfo di Aqaba sul Mar Rosso (il porto israeliano di Eilat) con il Mar Mediterraneo (il porto israeliano di Ashkelon, a soli 12 km a nord della Striscia di Gaza).
L’ultima versione del piano fa a meno dell’uso di esplosioni nucleari per scavare il canale e parla di 300.000 ingegneri e operai che lavoreranno per cinque anni per aprire un canale largo 200 metri e profondo 50 metri, che consentirà il traffico bidirezionale e sarà in grado di ospitare navi più grandi di quelle che attualmente passano attraverso il Canale di Suez. Sarà più lungo di circa 100 chilometri rispetto al Canale di Suez e la sua costruzione costerà tra i 16 e i 55 miliardi di dollari, ma sarà anche molto redditizio, con un profitto netto di 6 miliardi di dollari (o forse più) all’anno.
Non sono pochi coloro che collegano questo progetto di costruzione al piano di espulsione dei palestinesi dalla Striscia di Gaza per motivi di “sicurezza” e di sicurezza degli investimenti, e all’uso di questa preziosa striscia di terra costiera per gli scopi di transito dei piani commerciali del nuovo canale [14].
Ci sono certamente dei forti poteri economici che vogliono che i piani di cui sopra falliscano, soprattutto coloro che saranno danneggiati dalla loro costruzione. Si tratta dei gruppi monopolistici e delle classi borghesi di molti Paesi (Cina, Egitto, Iran, Turchia, ecc.) che non sono coinvolti e non ne beneficeranno. Inoltre, l’apertura di un nuovo canale garantirebbe a Israele e agli Stati Uniti il controllo di tutto il Mar Rosso, ad esempio delle isole Tiran e Sanafir, cedute dall’Egitto all’Arabia Saudita e situate all’ingresso del Golfo di Aqaba, occupate da Israele nel 1956 (crisi di Suez) e nel 1967-1982. Inoltre, anche l’ingresso del Mar Rosso, lo Stretto di Bab el-Mandeb, o “Porta delle lacrime”, sarebbe sotto il loro controllo. Si tratta quindi di un piano che comporta l’intensificazione dell’aggressione di Israele e dei suoi alleati in Medio Oriente. Non dimentichiamo che nella regione (ad esempio a Gibuti) sono presenti basi militari non solo degli Stati Uniti, ma anche di Cina e Russia, che di recente hanno effettuato esercitazioni militari nel Golfo Persico insieme all’Iran.
Esistono anche altri progetti di gasdotti, come l’Eastern Mediterranean Pipeline (EastMed) e piani concorrenti, come quello di inviare il gas in Egitto o a Cipro per la liquefazione e poi spedirlo verso i mercati di consumo. Inoltre, pochi giorni prima dell’attacco di Hamas a Israele, il Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, in un incontro privato con il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu a margine della 78° Assemblea Generale delle Nazioni Unite tenutasi a New York, ha ribadito la proposta di costruire un gasdotto sottomarino per trasportare il gas israeliano fino alle coste turche e poi al mercato europeo [15]. Naturalmente, un simile progetto sembra al momento impossibile a causa dell’aspirazione della borghesia turca a presentarsi come “protettrice” del popolo palestinese.
È in fase di promozione anche un analogo cavo elettrico sottomarino, che collegherebbe le reti elettriche di Israele e dell’Europa.
In ogni caso, va sottolineato che questi o altri progetti commerciali ed energetici mirano esclusivamente a servire gli interessi dei monopoli e non hanno nulla a che fare con la soddisfazione dei bisogni contemporanei dei popoli. Inoltre, comportano grandi rischi per i popoli, poiché i profitti del capitale sono in contrasto con la protezione dell’ambiente e la sicurezza dei popoli e, come è già chiaro dai fatti, portano con sé i semi della feroce competizione e delle guerre che versano il sangue dei popoli per gli interessi dei monopoli.
UN BRACCIO DI FERRO SULL’INDIA E IL SUO RUOLO
È importante considerare il ruolo dell’India in questi sviluppi e il chiaro desiderio dell’asse euro-atlantico e dell’asse eurasiatico in via di formazione di avvicinare l’India ai loro piani. L’India, il Paese più grande del mondo in termini di popolazione (1,41 miliardi), è una delle economie capitalistiche più forti e in più rapida crescita (terza con una quota del 7,5% del PIL mondiale) ed è la quarta potenza militare del mondo.
Gli Stati Uniti cercano costantemente di creare una partnership politico-militare con l’India e a tal fine hanno istituito il QUAD (Stati Uniti, India, Giappone e Australia), in cui viene apertamente sollevata la questione del contenimento della crescita dell’influenza cinese nella regione indo-pacifica (Oceano Indiano e Pacifico).
D’altra parte, l’India, nonostante la concorrenza con la Cina e le continue dispute di confine sull’Himalaya, partecipa con la Cina a una serie di unioni transnazionali, come i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) e l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, ed è uno dei maggiori acquirenti di armi russe, nonché uno dei principali canali dei capitalisti russi verso il mondo esterno, dopo le numerose sanzioni euro-atlantiche seguite all’invasione russa del territorio ucraino.
Pertanto, la creazione del corridoio IMEC di cui sopra è legata ai piani più ampi del blocco euro-atlantico nel confronto con la Cina, nella lotta per le quote di mercato in Medio Oriente e in Europa. Questo percorso è legato al piano strategico degli Stati Uniti, da un lato, di avvicinare l’India alla propria alleanza e, dall’altro, di ridurre le quote di mercato cinesi in Europa. Per gli Stati Uniti si tratta di una doppia battaglia, sia sull’India che sull’Europa.
Alla luce di quanto detto, non è un caso che le relazioni politiche, militari ed economiche di Israele con l’India, iniziate solo nel 1992, si stiano sviluppando in modo significativo, in particolare nello scambio di know-how militare e di sistemi d’arma nel campo dei sistemi antimissile e dei droni.
Naturalmente, anche l’altra parte, quella del blocco eurasiatico che si sta formando, sta sviluppando relazioni simili e fornisce percorsi alternativi per l’invio delle materie prime prodotte in India ai mercati europei, sia attraverso la rotta Nord-Sud, che passa per l’Iran, il Mar Caspio, la Russia e da lì ai mercati europei, sia attraverso la rotta del Mare del Nord e l’uso di Vladivostok, o anche attraverso un corridoio commerciale che attraverserà l’Iraq e la Turchia.
LA GUERRA COME SBOCCO PER IL CAPITALE STAGNANTE
Oggi il problema della sovra-accumulazione del capitale, che non può più garantire una redditività soddisfacente, ha assunto proporzioni enormi. I governi borghesi stanno cercando di trovare il modo di mitigare questo fenomeno, da un lato con la transizione “verde” (il famigerato Green New Deal) e dall’altro con interventi e guerre imperialiste. Così, “la ‘transizione verde’ crea nuove opportunità per i grandi investimenti capitalistici (ad esempio, i grandi parchi eolici) e allo stesso tempo contribuisce alla distruzione controllata e alla svalutazione di parte del capitale esistente (ad esempio, la chiusura delle centrali a lignite). Allo stesso modo, la guerra imperialista è vantaggiosa per la redditività del capitalismo. Sia la distruzione militare delle infrastrutture ucraine che la cancellazione ‘pacifica’ del gasdotto russo-tedesco ‘Nord Stream II’ aprono al capitale un campo per nuovi investimenti redditizi. Draghi e altri importanti funzionari parlano già della necessità di un nuovo Piano Marshall per la ricostruzione dell’Ucraina, che potrebbe superare il miliardo di euro [16]”.
Diventa chiaro che “la transizione verde, come leva chiave per alleviare la sovraccumulazione, sembra improbabile che sia sufficiente ad affrontare il problema [17]”.
Se esaminiamo come viene utilizzata la guerra, vediamo che ha almeno due aspetti: 1) l’aumento della spesa bellica, dove il capitale sovra-accumulato viene investito per portare enormi profitti ai capitalisti e 2) la ricostruzione delle città e delle infrastrutture distrutte dalle guerre, sempre per la redditività delle grandi imprese di costruzione.
Il primo aspetto è oggetto di un rapporto dell’Istituto Internazionale di Ricerca sulla Pace di Stoccolma (SIPRI), che stima che la spesa militare stabilirà un nuovo record mondiale, aumentando del 6,8% in termini reali, corretti per l’inflazione, fino a raggiungere 2,44 trilioni di dollari nel 2023, rispetto ai 2,24 trilioni del 2022, soprattutto a causa della guerra in Ucraina [18].
Allo stesso tempo, non va dimenticato che “l’industria bellica è stata storicamente, e lo è ancora oggi, un importante canale per disinnescare la crisi di sovra-accumulazione, poiché costituisce anche un grande bacino di spesa statale che può stabilizzare la redditività del capitale in diversi settori. Va notato, tuttavia, che l’attenuazione della sovraccumulazione attraverso la spesa statale per gli armamenti aumenta la necessità di usare le armi, altrimenti non ci sarà distruzione di capitale [19]”.
Uno sguardo ai dati della guerra in Ucraina mostra la distruzione di decine di migliaia di veicoli, corazzati e non, aerei, elicotteri e navi da guerra, mentre sono state utilizzate tonnellate di munizioni e armi. All’inizio di febbraio 2024, gli analisti militari hanno stimato che a Gaza erano stati distrutti 1.108 veicoli corazzati israeliani, equivalenti alla distruzione di 3 divisioni corazzate [20].
Inoltre, il costo della guerra è al di là di ogni immaginazione, se si considera, ad esempio, che l’intercettazione dell’attacco aereo iraniano in rappresaglia all’assassinio di funzionari iraniani da parte di un bombardamento israeliano di un edificio diplomatico a Damasco, in Siria, è costato a Israele 1,35 miliardi di dollari [21].
Non è quindi un caso che la Israel’s Aerospace Industries (IAI), azienda leader nei sistemi di difesa aerea marittima e terrestre e nei droni, che lo scorso anno ha acquistato il 90,9% della Intracom Defense (IDE) [22] nel nostro Paese, abbia aumentato i suoi profitti del 49% nel 2023 [23].
Anche il secondo aspetto della redditività del capitale dalle guerre, quello della riabilitazione e “ricostruzione” delle infrastrutture, è una via d’uscita redditizia. È significativo che nei due anni e mezzo di guerra in Ucraina siano stati distrutti almeno 106 ospedali e cliniche, 109 siti religiosi (chiese, templi, moschee e monasteri), 708 istituzioni educative (scuole, college e università) e 210.000 case, secondo stime prudenti [24].
Anche la devastazione della Striscia di Gaza in soli 9 mesi è schiacciante. Sulla base delle immagini raccolte il 3 maggio 2024, il Centro Satellitare delle Nazioni Unite, UNOSAT, ha riferito che il 55% degli edifici di Gaza (per un totale di 137.297, la maggior parte dei quali residenziali) è stato parzialmente o totalmente distrutto [25]. Secondo le fonti dei media, sono stati distrutti 427 edifici scolastici, 248 ospedali e strutture sanitarie, 804 moschee, 3 chiese e 206 siti archeologici [26]. Si pensi che la guerra in Ucraina è tre volte più lunga e si estende per 1.000 chilometri, mentre il fronte di Gaza è lungo solo 40 chilometri.
In sintesi, la ricostruzione di zone di guerra come l’Ucraina orientale o la Striscia di Gaza ha un costo stimato di diversi miliardi di euro ed è un altro modo per aumentare la redditività delle imprese di costruzione.
L’ATTEGGIAMENTO DEL GOVERNO GRECO
Il governo di Nuova Democrazia, come il precedente governo di SYRIZA, sostiene che la Grecia avrebbe una “politica multidimensionale” e sarebbe un “pilastro della stabilità”. In pratica, ovviamente, il nostro Paese si comporta come una cerniera dell’imperialismo USA-NATO tra due focolai di guerra, con il governo di ND che aggiunge benzina al fuoco delle guerre. A questo servono le basi militari statunitensi, la fornitura di munizioni e sistemi d’arma e la partecipazione delle forze armate greche ai piani degli imperialisti UE-NATO.
Per quanto riguarda gli sviluppi in Medio Oriente, il governo Mitsotakis, seguendo le orme dei governi precedenti nel corso degli anni, sta promuovendo la falsa idea che accanto agli Stati Uniti, alla NATO e all’Unione Europea ci sia Israele, un importante “attore internazionale”, capace ed efficiente nel proteggere i diritti sovrani della Grecia, a condizione di fornirgli “spazio vitale” e di legarlo maggiormente ai nostri interessi economici. Da un lato, c’è la cooperazione militare con Israele, le esercitazioni militari congiunte e, dall’altro, i già citati piani commerciali, come i progetti per il gasdotto da Israele all’Europa, il collegamento elettrico tra Israele, Cipro e Grecia e la rotta commerciale “Mumbai-Pireo”.
La percezione coltivata dai circoli nazionalisti e da altri ambienti borghesi, secondo cui il governo greco sostiene Israele come contrappeso all’aggressione turca, in modo che la macchina militare israeliana possa sostenere il nostro Paese in caso di scontro militare, è profondamente fuorviante e pericolosa. È un mito che è stato confutato nel modo più eloquente dall’ambasciatore israeliano uscente in Grecia, quando ha affermato che “nessun Paese dovrebbe esternalizzare la propria sicurezza ad altri [27]”.
Altrettanto infondata è l’idea che i governi greci siano pedine deboli degli Stati Uniti e di Israele, che si rifiutano di contrattare utilizzando i Paesi arabi come contrappeso. Questo approccio non regge, non solo perché i governi greci cercano di sviluppare relazioni con Paesi arabi come l’Egitto, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, ecc. ma anche perché omette di dire che il sostegno a Israele è legato a grandi interessi della borghesia e dei suoi alleati. Sono ragioni profondamente di classe!
Vediamo che la spina nel fianco di questi piani commerciali per aumentare la loro redditività è la giusta causa del popolo palestinese, che vogliono annientare. E poiché gli “interessi nazionali” sono invocati anche dal governo e dai suoi alleati per giustificare il loro sostegno a Israele, dobbiamo sottolineare esplicitamente che nessun “interesse nazionale” della Grecia o di qualsiasi altro Paese giustifica il massacro di 15.000 bambini e di molti altri civili.
“L’‘interesse nazionale’ a cui fa riferimento il governo si identifica con gli interessi e i profitti degli sfruttatori del nostro popolo. La valorizzazione del ruolo dei monopoli greci è alla base del coinvolgimento nel massacro israeliano dei palestinesi, della guerra imperialista in Ucraina tra USA-NATO-UE e Russia capitalista, della partecipazione di navi da guerra alle operazioni della NATO e della concessione di basi [28]”.
IL COINVOLGIMENTO MILITARE DELLA GRECIA NELLA GUERRA
La borghesia greca, che esprime la propria aggressività per rafforzare la propria posizione nel sistema imperialista internazionale, partecipa attivamente ai piani di guerra del blocco euro-atlantico nella regione. Ad esempio, il quartier generale operativo dell’operazione navale in corso “Aspides”, che ha visto il dispiegamento della fregata “Hydra” seguita dalla fregata “Psara”, si trova a Larissa sotto il comando greco. Questa operazione europea è strettamente coordinata con EUNAVFOR “Atlanta”, un’operazione europea di sicurezza marittima nel Golfo di Aden, Bacino somalo e nel Mar Rosso, alla quale le navi da guerra greche hanno partecipato in passato, e con l’operazione “Prosperity Guardian”, guidata dagli Stati Uniti. A quest’ultima, che durerà dodici mesi, partecipano Grecia, Francia, Italia, Germania, Belgio, Spagna e Danimarca.
La Grecia ha anche contribuito con una fregata alla forza “UNIFIL” al largo del Libano per monitorare l’embargo sulle armi all’organizzazione politico-militare libanese Hezbollah.
Dal 2021, la Grecia partecipa all’iniziativa internazionale “Integrated Air Missile Defense Concept” (IAMD), per proteggere le infrastrutture critiche dell’Arabia Saudita dagli attacchi di missili e droni. Una batteria di missili Patriot e il suo personale, noto anche come Contingente Greco in Arabia Saudita, è stata dispiegata in una posizione strategica alla periferia di Riyadh per fornire un ombrello di difesa aerea sulle strutture della compagnia petrolifera statale ARAMCO.
La sua presenza in loco, a sua volta, coinvolge la Grecia nella guerra in Medio Oriente. È significativo che la batteria greca di Patriot sia stata messa in allerta la notte del 13 aprile, quando è avvenuto l’attacco iraniano a Israele. Secondo quanto riportato, il radar del sistema greco ha tracciato il percorso di missili e droni diretti contro Israele mentre passavano sopra o vicino al territorio dell’Arabia Saudita, e ha trasmesso le informazioni ai centri operativi statunitensi e britannici attivati per la difesa di Israele [29].
LA LOTTA IDEOLOGICO-POLITICA DEL KKE CONTRO LE ARGOMENTAZIONI E LE CORRENTI BORGHESI E OPPORTUNISTE
SUL “TERRORISMO”
Per giustificare il suo coinvolgimento nella guerra e negli sviluppi in Medio Oriente, dove ha preso le parti di Israele e dei suoi alleati, il governo di ND, insieme a SYRIZA, PASOK e alle formazioni nazionaliste, etichetta la lotta di un intero popolo come “terrorismo” e, inoltre, cerca di giustificare il massacro commesso contro di loro in nome del “diritto di autodifesa di Israele”. È arrivato persino ad astenersi dal votare una risoluzione delle Nazioni Unite che chiedeva un cessate il fuoco immediato e una tregua umanitaria a Gaza, votata da 120 Stati. Inoltre, invita provocatoriamente tutti, compreso il KKE, a “condannare il terrorismo”.
Il KKE sa bene che per diversi decenni il concetto di terrorismo è stato utilizzato dalle classi borghesi e dalle potenze imperialiste per promuovere i loro piani antipopolari e per giustificare interventi e guerre imperialiste. Il “terrorismo” è diventato un concetto elastico che può essere utilizzato a piacimento. Nell’UE vengono promosse le cosiddette leggi antiterrorismo, che prendono di mira le lotte dei lavoratori, dei contadini e degli studenti. Di conseguenza, una manifestazione di massa o l’occupazione di un luogo di lavoro o di uno spazio pubblico, come una strada, può essere caratterizzata come un “atto terroristico” e le relative disposizioni di legge possono essere applicate per perseguire i lavoratori, gli agricoltori e gli studenti coinvolti. Allo stesso modo, la “lotta all’azione terroristica e alla radicalizzazione” viene utilizzata per giustificare misure di sorveglianza e repressione preventiva di massa anche all’interno dei Paesi, ad esempio in “situazioni di emergenza”, con un continuo inasprimento dell’arsenale legislativo repressivo – e non solo quello.
Allo stesso modo, il concetto di “terrorismo” viene utilizzato anche a livello internazionale per servire gli obiettivi delle classi borghesi. Ad esempio, il cosiddetto Esercito Libero Siriano, responsabile di una serie di crimini in Siria, non è una “organizzazione terroristica” per gli Stati Uniti e i suoi alleati, mentre Hamas è considerato tale. Esempi simili si possono trovare per altre organizzazioni armate politico-militari, come i Talebani o i Curdi in Siria, a seconda di ciò che fa comodo alle classi borghesi di tutto il mondo.
Inoltre, la propaganda borghese accomuna organizzazioni come “Al-Qaeda” e i Talebani, che sono state create, sostenute e armate dagli imperialisti per i loro scopi prima di perderne il controllo, a forze come Hamas, che è arrivata prima alle elezioni del 2006, dimostrando che questo potere borghese, per varie ragioni legate alla violenza dell’occupazione israeliana e alla debolezza dell’azione di altre forze politiche nella Striscia di Gaza, è stato sostenuto dalle forze popolari che lottano per la liberazione della Palestina.
Il KKE ha posizioni ideologiche, politiche e filosofiche completamente diverse da questa organizzazione politico-militare. Tuttavia, non permetterà mai che il bombardamento di massa di Gaza e l’uccisione di migliaia di bambini, presumibilmente per eliminare Hamas, vengano accettate nella coscienza del popolo per giustificare l’occupazione israeliana di lunga data, quando tutte le prove dimostrano i reali obiettivi criminali di Israele contro il popolo palestinese.
Inoltre, non diamo credito alle prove di “atrocità di Hamas” fabbricate dalle autorità israeliane. Molte di queste fake news sono già state sfatate, anche attraverso la presentazione di prove in occasione di eventi pubblici tenuti da giornalisti greci.
Teniamo conto di un altro aspetto. L’occupazione israeliana di lunga data, l’oppressione e l’apartheid possono effettivamente portare a grande rabbia, ritorsioni ed eccessi. La guerra stessa, condotta per sette decenni contro il popolo palestinese, è un’atrocità in cui centinaia di migliaia di palestinesi sono stati uccisi e torturati. È fondamentale che i lavoratori si concentrino sulle cause e sulla natura della guerra, sulle tragiche conseguenze della lunga occupazione israeliana e sul massacro del popolo palestinese, che lotta e ha il diritto di lottare per la propria liberazione con tutti i mezzi, compresa la rivolta armata e la lotta contro gli invasori e gli occupanti.
SULLO “SCONTRO DI CIVILTÀ”
Alcuni ripropongono la confusa teoria dello “scontro di religioni” o “scontro di civiltà” [30], secondo cui tutto ciò è dovuto al conflitto tra la civiltà ebraica o addirittura giudaico-cristiana e quella musulmana. Non c’è assurdità più grande, poiché questo approccio cancella le contraddizioni di classe, la lotta tra le classi, che è la vera forza motrice della storia. Tuttavia, questo approccio è molto comodo per le classi borghesi per cooptare i popoli nel sistema. Così, oggi vediamo che sia la “politica identitaria” sia la “difesa dei valori tradizionali” vengono utilizzate rispettivamente nel blocco euro-atlantico e in Russia, a seconda delle priorità di ciascuna borghesia.
Nel caso del Medio Oriente, gli “accordi di Abramo” firmati negli ultimi anni da alcuni Paesi arabi e musulmani con Israele per aumentare i profitti dei capitalisti – arabi ed ebrei – sottolineano l’ingenuità o l’opportunismo di tali approcci, come il recente aiuto fornito dall’Israele ebraico all’Azerbaigian musulmano per sopprimere gli armeni cristiani del Nagorno-Karabakh.
Se si toglie il velo a visioni disorientanti che cercano di dare la colpa a culture e religioni diverse o, più spesso, al terrorismo islamico, si possono scorgere tutti i già citati interessi del capitale e delle grandi imprese, il capitalismo e le sue leggi di movimento, che sono la causa delle guerre ingiuste dell’imperialismo.
SULLA QUESTIONE DELL’ESISTENZA DELLO STATO E DEL POPOLO DI ISRAELE
La nascita dello Stato borghese israeliano, che oggi è una realtà, è iniziata pochi anni dopo la seconda guerra mondiale. Il massacro degli ebrei da parte dei nazisti e l’antisemitismo promosso dalle classi borghesi in molti Paesi capitalisti prima della Seconda Guerra Mondiale hanno portato all’accettazione da parte dell’URSS e del movimento operaio internazionale dell’istituzione dello Stato israeliano accanto allo Stato palestinese. Questa decisione è stata palesemente violata dallo Stato borghese di Israele, la cui borghesia ha calpestato per decenni i diritti del popolo palestinese occupando gran parte dei territori palestinesi.
Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno trovato nella borghesia israeliana e nel suo Stato il loro indispensabile alleato, che ha concesso loro il diritto di arbitrato insieme alle altre classi borghesi della regione, anch’esse desiderose di rafforzare la propria posizione. Questo gioco geopolitico, che si è svolto in termini ancora più drammatici dopo il rovesciamento del socialismo in URSS, ha come vittima un intero popolo, quello palestinese, a cui è stata promessa una patria per tutti questi anni, ma il cui sogno rimane irrealizzato.
Anche il popolo di Israele sta pagando il prezzo perché è vittima delle politiche della borghesia israeliana e del suo Stato. Il KKE esprime la propria solidarietà al Partito Comunista d’Israele, ai comunisti d’Israele, ebrei e arabi, che attualmente lottano nella fossa dei leoni e alzano una voce di resistenza alla barbarie contro il popolo palestinese.
Il KKE ha espresso piena solidarietà e sostegno al popolo palestinese, alla necessità di avere un proprio Stato e di essere padroni della propria terra. Allo stesso tempo, ha sottolineato che anche il popolo israeliano è vittima delle politiche dello Stato borghese di Israele e del governo reazionario di Netanyahu.
Questa dichiarazione è stata accolta con ostilità da alcune forze della “Piattaforma Mondiale Antimperialista”, che non riconoscono l’esistenza dello Stato di Israele, né l’esistenza della borghesia israeliana e del popolo israeliano, definendolo una base statunitense che deve essere distrutta.
Queste forze si rifiutano di vedere che la causa principale di tutto ciò che i popoli stanno vivendo è il barbaro sistema di sfruttamento nella sua fase attuale, quella monopolistica, in cui la lotta tra i monopoli e le classi borghesi si sta intensificando e viene condotta con tutti i mezzi, per lo sfruttamento non solo dei lavoratori dei loro Paesi, ma anche di altri Paesi per le materie prime, le vie di trasporto delle merci, gli snodi geopolitici e le quote di mercato. Lo Stato borghese di Israele e la sua borghesia sono un punto di appoggio geopolitico per gli Stati Uniti e l’Unione Europea e non solo una base militare.
SULLA SOLUZIONE DEI DUE STATI E SUI CONFINI CHE ESISTEVANO PRIMA DEL 1967
In precedenza abbiamo notato che l’URSS sosteneva l’istituzione dello Stato di Israele, e in particolare la delegazione sovietica all’ONU affermava che “l’istituzione di un unico Stato arabo-ebraico con uguali diritti per gli ebrei e gli arabi può essere considerata (…) uno dei metodi più degni di nota per la soluzione di questo complicato problema”. Allo stesso tempo, sottolineava che “se questo piano si rivelasse impossibile da attuare, in considerazione del deterioramento delle relazioni tra ebrei e arabi, allora sarebbe necessario prendere in considerazione il secondo piano (…) che prevede la suddivisione della Palestina in due Stati autonomi indipendenti, uno ebraico e uno arabo. Ripeto che una tale soluzione del problema della Palestina sarebbe giustificabile solo se le relazioni tra le popolazioni ebraiche e arabe della Palestina si rivelassero effettivamente così negative da rendere impossibile la loro riconciliazione e la coesistenza pacifica tra arabi ed ebrei”. La delegazione sovietica criticò anche gli “Stati dell’Europa occidentale” affermando che “il fatto che nessuno Stato dell’Europa occidentale sia stato in grado di assicurare la difesa dei diritti elementari del popolo ebraico e di salvaguardarlo dalla violenza dei carnefici fascisti, spiega le aspirazioni degli ebrei a fondare un proprio Stato [31]”.
La Pravda scrisse che “la risoluzione di spartizione dell’ONU (…) assicura la liberazione della Palestina dalla dipendenza straniera, realizza le speranze nazionali dei popoli ebraico e arabo, consente alle popolazioni ebraiche e arabe della Palestina di diventare padrone della propria terra, libere dall’influenza imperialista straniera [32]”. Il conflitto arabo-israeliano fu denunciato come “il risultato delle politiche britanniche e americane” nella regione.
Tutto questo per sottolineare che c’è una continuità storica nella questione e che la risoluzione delle Nazioni Unite sulla soluzione dei due Stati si è evoluta nel corso degli anni [33], mentre ciò che è vero oggi è che lo Stato israeliano è uno Stato occupante che viola palesemente questa risoluzione delle Nazioni Unite e i diritti del popolo palestinese.
Oggi, quindi, approcci come quello del MeRA25 (Y. Varoufakis) e della sua alleanza internazionale Diem 25, che si oppone alla soluzione dei due Stati dal 2021, sostenendo che è ormai impossibile che esista uno Stato palestinese dato che gli insediamenti israeliani hanno creato un fatto compiuto che deve essere accettato, si inchinano all’aggressione di Israele e accettano la realtà imposta dalla sua potenza militare e da quella dei suoi alleati. Questo approccio, che ci invita a rinunciare al diritto del popolo palestinese di stabilire il proprio Stato sui confini esistenti prima del 1967 con Gerusalemme Est come capitale, che è la richiesta internazionale più accettata (145 Stati l’hanno riconosciuta), e a trasformare la questione palestinese da “questione nazionale a questione di diritti umani”, è in realtà un’accettazione dell’occupazione israeliana; un’accettazione del fatto che il popolo palestinese non avrà una patria, fintanto che alcuni “diritti umani” saranno concessi ai palestinesi sotto occupazione. Questo approccio cosmopolita, che cancella le caratteristiche nazionali e di altro tipo dei popoli in nome di un vago “universalismo”, è tutt’altro che progressista, perché cerca di seminare il disfattismo tra il popolo palestinese e tutti i popoli che lottano all’interno di rapporti internazionali di forza negativi.
LA LOTTA PER IL SOCIALISMO E LA QUESTIONE DELLA LIBERAZIONE NAZIONALE
Diverse forze trotskiste, che hanno una tendenza intrinseca a offuscare le questioni riguardanti la lotta per il socialismo e a negare la possibilità di costruirlo in un solo Paese, esprimono dubbi sulla lotta di liberazione nazionale del popolo palestinese e sulla possibilità che tale lotta possa esistere sotto l’imperialismo, soprattutto quando diciamo che la nostra epoca è l’epoca della transizione dal capitalismo al socialismo. Alcuni criticano il KKE, affermando che mentre in tutti gli altri casi parla della necessità e dell’attualità del socialismo, in questo caso si concentra solo sul diritto del popolo palestinese di fondare il proprio Stato [34].
Tuttavia, queste forze sembrano ignorare il fatto che, sebbene il mondo intero sia dominato dai monopoli e ci troviamo nella fase monopolistica del capitalismo, che Lenin definiva imperialismo, ciò non significa che non possano aver luogo lotte di liberazione nazionale contro l’occupazione straniera. Da parte palestinese, si sta combattendo una guerra di liberazione nazionale giusta, una guerra contro l’occupazione, con l’obiettivo di affermare il diritto del popolo palestinese alla propria patria. Su questo non ci possono essere dubbi o discussioni. Da parte di Israele e dei suoi alleati (USA, NATO, UE), si tratta di una guerra imperialista ingiusta, volta a perpetuare l’occupazione e a servire i loro interessi nella regione.
Dopo tutto, è stato nell’era dell’imperialismo che il KKE ha condotto una simile lotta, formando il Fronte di Liberazione Nazionale (EAM), l’Esercito Popolare Greco di Liberazione (ELAS) e le altre organizzazioni di resistenza contro l’occupazione fascista straniera (tedesca, italiana e bulgara) nel periodo dal 1941 al 1944. Il KKE è stato la mente, l’organizzatore e la linfa vitale di questa grande epopea di resistenza. Siamo orgogliosi del nostro Partito per essere stato in prima linea in questa lotta, e ogni critica che facciamo riguarda l’incapacità ideologica e politica del nostro Partito di collegare questa grande lotta alla causa del potere dei lavoratori.
Per il KKE, il socialismo è necessario e opportuno per il mondo intero, per ogni Paese capitalista. Tuttavia, nelle condizioni in cui si svolge la lotta operaia e popolare in ogni Paese, emergono importanti “legami” che possono dare impulso alla lotta di classe. È una questione cruciale per il Partito Comunista e il movimento operaio preparare, radunare e mobilitare le forze operaie e popolari per tenere conto di questi legami nella lotta per il socialismo. E in Palestina, oggi, il “legame” chiave è l’eliminazione dell’occupazione straniera israeliana e la lotta per la creazione dello Stato palestinese.
Pertanto, è compito della classe operaia palestinese e della sua avanguardia, il Partito Comunista, formulare una linea che colleghi questo “legame” con la causa della lotta per l’emancipazione sociale, il potere dei lavoratori e la costruzione della nuova società socialista.
Il nostro compito, quello dei lavoratori e dei giovani di altri Paesi, è di sostenere questa lotta e di stare al suo fianco ora nel conflitto con le forze di occupazione. Il KKE mantiene relazioni con il PC palestinese e con il Partito del Popolo Palestinese, nato dalla scissione all’interno del PC palestinese nel 1991, e ha contatti con il Fronte Popolare e il Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina. Il nostro Partito rispetta la lotta di tutte queste forze, che si svolge in condizioni particolarmente difficili, ed esprime la sua solidarietà con loro in vari modi in ogni occasione possibile.
IL PRESUNTO “DIRITTO ALL’AUTODIFESA”
Oggi il Diritto Internazionale sta diventando sempre più reazionario e viene utilizzato dalle potenze imperialiste come meglio credono, nell’ambito della loro competizione e a scapito dei popoli. I comunisti devono lottare contro le opinioni che oscurano questo fatto. Uno di questi è l’invocazione del “diritto di autodifesa di Israele”, riproposto in Grecia dal governo ND e dagli altri partiti borghesi (SYRIZA, PASOK, ecc.) che hanno votato una serie di risoluzioni al Parlamento europeo che legittimano i crimini di Israele in nome del suo “diritto di autodifesa”.
Formalmente, il diritto internazionale prevede attualmente tre casi di conduzione di operazioni militari sul territorio di un altro Stato: 1) su risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, come nel caso della Libia; 2) su invito del governo legittimo dello Stato in questione, come nel caso delle operazioni militari della Russia in Siria; 3) per motivi di “autodifesa”.
L’“autodifesa” e l’“articolo 51” della Carta delle Nazioni Unite sono stati invocati da Stati Uniti e Turchia fin dall’inizio per giustificare le loro operazioni militari aeree e di terra in Siria.
Vale la pena notare che l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, che riguarda il diritto di autodifesa di un Paese contro un attacco armato, non è sempre stato formulato in questo modo. In origine si applicava solo in caso di “invasione da parte di un esercito straniero” di uno Stato membro dell’ONU e dava a quest’ultimo il diritto, fino all’adozione della relativa risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, di rispondere all’attacco contro lo Stato aggressore con un attacco di autodifesa, anche al di fuori dei suoi confini.
Tuttavia, dopo l’11 settembre 2001, gli Stati Uniti si sono appellati al Consiglio di Sicurezza dell’ONU per una “interpretazione estesa” di questo articolo, in modo da poterlo invocare nell’invasione e occupazione dell’Afghanistan, nella guerra contro i Talebani. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU (e la Russia) hanno accettato la richiesta degli Stati Uniti e ora l’autodifesa non si riferisce a una risposta a un attacco (invasione militare) da parte di uno Stato specifico, ma a un attacco armato in generale, il che è ovviamente aperto all’interpretazione.
Nel caso di Israele, l’invocazione di questo diritto è una provocazione senza precedenti, dal momento che ha violato palesemente ogni concetto di diritto internazionale, occupa territorio straniero, si rifiuta di rispettare le risoluzioni delle Nazioni Unite (ad esempio sul ritorno dei rifugiati), ha stabilito insediamenti illegali ed è essenzialmente una potenza occupante, che agisce come tale e commette genocidio contro un popolo. Coloro che invocano il “diritto di Israele all’autodifesa”, cioè il diritto di una potenza occupante a difendersi, sono come coloro che giustificano come “autodifesa” i massacri nazisti di Distomo, Kalavrita, Kommeno e tanti altri crimini commessi dagli occupanti fascisti nel nostro Paese.
L’INACCETTABILE EQUIPARAZIONE DELLA SOLIDARIETÀ CON IL POPOLO PALESTINESE ALL’ANTISEMITISMO
In alcuni Paesi capitalisti le cui classi borghesi sostengono apertamente le azioni omicide di Israele, come gli Stati Uniti e la Germania, si è scatenato un meccanismo repressivo contro le manifestazioni di solidarietà con i palestinesi massacrati, in contraddizione anche con le proclamazioni borghesi di “libertà di parola”. Negli Stati Uniti, studenti e professori sono stati arrestati ed espulsi dalle università, mentre in alcune città della Germania sono state vietate le manifestazioni a favore del popolo palestinese.
L’intera operazione repressiva è condita dall’inaccettabile equiparazione della solidarietà con il popolo palestinese all’antisemitismo. La solidarietà viene etichettata come discorso d’odio per legittimare molte altre misure di censura, anche preventive. In Grecia, una parte dei media e alcuni funzionari governativi hanno tracciato un’equazione simile. Le dichiarazioni del ministro dell’Istruzione, K. Pierrakakis, dopo un incontro con i membri del Presidium del Consiglio centrale delle comunità ebraiche, in cui ha cercato di identificare la solidarietà del movimento sindacale degli insegnanti con il popolo palestinese con l’antisemitismo, sono state eloquenti.
Il KKE e i sindacati non hanno tardato a prendere posizione contro queste dichiarazioni disorientanti, che si basano sull’ignoranza del ruolo svolto non solo dall’URSS ma anche dal movimento sindacale organizzato nella creazione dello Stato israeliano. Ad esempio, la conferenza di fondazione della Federazione mondiale dei sindacati (WFTU) nel 1945 adottò una risoluzione speciale a favore della creazione dello Stato israeliano [35], mentre pochi anni dopo la WFTU condannò nuovamente le azioni aggressive ed espansionistiche di Israele contro i popoli arabi [36]. A tutt’oggi, la WFTU continua a lottare per una Palestina libera e indipendente sui confini che esistevano prima del 1967.
Per quanto riguarda il nostro Paese, è noto che durante l’occupazione nazista e quando parte della borghesia collaborò con i nazisti e attuò i piani di olocausto degli ebrei, si distinse il ruolo dell’EAM e dell’ELAS che, seguendo la direzione impartita dal KKE, salvarono gli ebrei dalle atrocità naziste e ne reclutarono molti nella lotta armata di liberazione [37].
Oggi, le manifestazioni negli Stati Uniti, in Germania, in altri Paesi europei e in Israele, con la partecipazione di molti ebrei, contro le politiche antipopolari del governo reazionario di Netanyahu, sono la migliore risposta a questo approccio antistorico. È ovvio per qualsiasi persona ragionevole che la critica, persino la polemica, contro gli Stati e i governi borghesi, ad esempio contro gli Stati Uniti o il governo reazionario ucraino di Zelens’kyj, non si identifica in alcun modo con l’odio nazionalista contro gli Stati Uniti o il popolo ucraino. C’è una chiara distinzione, e questo vale anche nel caso della separazione tra lo Stato criminale di Israele e la condanna dei suoi crimini, e gli ebrei in generale, o la popolazione ebraica di Israele.
IL CONCETTO DISTORTO DEI “DUE ASSI”
Dato che la guerra in Palestina è oggettivamente intrecciata con la competizione tra le potenze imperialiste (USA, NATO, UE da un lato e dall’altro Russia, Cina, Iran, ecc.) nella regione e a livello internazionale, sorgono due percezioni diverse, ma ugualmente sbagliate:
- a) una che sostiene che si sta formando un “asse anti-imperialista” (Iran-Russia-Cina) che deve essere sostenuto contro gli imperialisti statunitensi e i loro alleati;
- b) una seconda, attualmente meno diffusa ma altrettanto errata, che sostiene che non possiamo sostenere la lotta di liberazione del popolo palestinese perché fa parte del conflitto imperialista.
Questi due approcci partono dalla corretta constatazione che si stanno formando blocchi di forze contrapposte; da un lato c’è il blocco imperialista delle forze euro-atlantiche, dall’altro è evidente la formazione del blocco eurasiatico (Russia-Cina-Iran ecc.), che la prima visione distorce come un presunto “asse anti-imperialista”.
In pratica, si abbandona l’approccio di classe e si limita l’imperialismo alla politica aggressiva degli Stati Uniti e dei loro alleati, ignorando che in Cina e in Russia prevalgono i monopoli e che anche le classi borghesi di questi Paesi stanno cercando di promuovere i loro piani.
Russia, Cina e Iran non appoggiano il popolo palestinese perché sostengono la sua giusta causa, ma perché vogliono ostacolare e danneggiare i piani degli Stati Uniti nella regione. Pertanto, non esiste un “asse anti-imperialista” formato da queste potenze; esse lavorano per i propri interessi e monopoli, ed è per questo che non possono essere coerenti nel sostenere la lotta palestinese. Altra cosa è che i palestinesi, come qualsiasi movimento di liberazione nazionale o addirittura rivoluzionario, hanno ragione a sfruttare queste contraddizioni nella loro lotta contro l’occupazione israeliana.
Il secondo punto di vista, pur affrontando correttamente la natura di classe dei blocchi imperialisti coinvolti, commette il grande errore di buttare via il bambino con l’acqua sporca, poiché rifiuta la giusta lotta del popolo palestinese in nome della guerra imperialista. Tuttavia, come la storia ha dimostrato, in condizioni di confronto imperialista internazionale, persino di guerra, non è escluso lo scoppio di giuste guerre di liberazione nazionale. Lenin affrontò in dettaglio queste questioni nelle condizioni della Prima guerra mondiale, in risposta alle corrispondenti posizioni errate della Luxemburg.
Oggi che esiste la possibilità concreta di una generalizzazione del conflitto in Medio Oriente, persino di una sua fusione con la guerra in Ucraina o dell’apertura di nuovi fronti, la natura imperialista del conflitto e delle principali potenze che competono per le proprie aspirazioni geopolitiche non deve portare a un ritiro del sostegno al popolo palestinese. Al contrario, è imperativo continuare a sostenere la loro giusta lotta.
Il KKE è dalla parte giusta della storia sia nel caso del conflitto in Ucraina sia nel caso della Palestina, perché sta dalla parte del popolo e lotta contro gli imperialisti, i monopoli e il capitalismo, che stanno versando il sangue dei popoli.
I RISCHI DI UNA GENERALIZZAZIONE DEL CONFLITTO E LA SUA CONFLUENZA NEL FRONTE DELLA GUERRA IN UCRAINA
In diversi punti di questo articolo abbiamo già accennato alla relazione e all’interazione tra le due guerre in corso in Ucraina e in Palestina. Questa interazione ha a che fare con l’apertura di nuove rotte commerciali ed energetiche o la chiusura di altre e con il rafforzamento o la rottura delle relazioni economiche, politiche e militari tra gli Stati borghesi. La domanda è se queste due guerre possano fondersi in una sola, che potrebbe portare a una conflagrazione.
Guardando la mappa, ci sono tre aree in cui un’accensione di conflitti attualmente considerati locali, di piccola scala o latenti potrebbe portare a una convergenza geografica dei due focolai di guerra.
1) Gli sviluppi nei Balcani ruotano attorno alle inaccettabili rivendicazioni della borghesia turca nell’Egeo, che sollevano questioni di diritti sovrani e di sovranità, ad una possibile nuova fiammata nel protettorato del Kosovo (incitata soprattutto dalla narrativa della “Grande Albania”), ad un incidente nel protettorato della Bosnia (che potrebbe portare alla sua improvvisa fine), l’instabile situazione politica in Moldavia (in cui Romania e Russia sono attivamente coinvolte) e nella regione separatista della Transnistria, il ritorno dell’irredentismo nella Macedonia del Nord, che è stato nascosto dall’accordo di Prespa per consentire l’adesione del Paese alla NATO, e così via. In questa particolare regione, potrebbe verificarsi una potente recrudescenza della “Grande Idea” (legata al nazionalismo greco, consiste nella rivendicazione di territori albanesi, macedoni, bulgari e turchi – N.d.R.), che nel secolo scorso ha portato a guerre, irredentismi e cambiamenti di confine, in cui potrebbero essere coinvolti i Paesi capitalisti più forti.
2) Nel Caucaso, dove gli sviluppi della guerra in Ucraina hanno già lasciato il segno. Il calo dei flussi ferroviari dall’Asia all’Europa attraverso la Russia ha portato a rilanciare la soluzione del collegamento ferroviario Azerbaigian-Turchia, noto anche come Corridoio di Mezzo. Il percorso era bloccato dalla presenza militare armena al valico di Zangezur, fatto che è cambiato con la vittoria dell’Azerbaigian, sostenuto da Turchia e Israele, nel conflitto armato con l’Armenia sul Nagorno-Karabakh. Questo sviluppo, che tocca gli interessi dell’Iran, così come l’espulsione di decine di migliaia di armeni dal Nagorno-Karabakh, crea ulteriore volatilità, così come gli sviluppi in Georgia, che ha perso il 20% del suo territorio, da quando l’Abcasia e l’Ossezia del Sud hanno dichiarato la loro “indipendenza” e stabilito relazioni con la Russia. In Georgia, la lotta intra-borghese sulle alleanze internazionali della borghesia sta prendendo piede.
3) In Asia centrale, sebbene i Paesi della regione facciano parte di unioni regionali con la Russia come forza trainante, allo stesso tempo esistono conflitti di fondo tra le classi borghesi della regione. I conflitti più caratteristici sono quello tra Tagikistan e Kirghizistan per l’acqua e quello tra Kazakistan e Uzbekistan, in cui entrambe le parti sfruttano le questioni etniche e linguistiche e le specificità delle popolazioni della regione, mentre dietro si nasconde la feroce competizione per le materie prime e le vie di trasporto delle merci, un conflitto in cui sono coinvolte anche le potenze imperialiste più forti.
CONCLUSIONI
Da quanto detto sopra è chiaro che la guerra in Medio Oriente, segnata dalla brutalità dello Stato occupante di Israele contro il popolo palestinese, fornisce un terreno fertile per la generalizzazione e l’espansione dello spargimento di sangue.
Oggi, le imponenti lotte dei popoli e degli studenti in molti Paesi del mondo, contro la propaganda delle classi borghesi di Israele, degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, hanno un grande impatto, innanzitutto all’interno dei Paesi. Esercitano pressioni sui governi borghesi, come dimostra la decisione di alcuni Paesi di riconoscere la Palestina, o la prevenzione dei piani di abolizione degli aiuti umanitari attraverso l’UNRWA invocando le sue relazioni con Hamas, o ancora l’adattamento ipocrita delle tattiche statunitensi. Questi e altri esempi dimostrano il potere del movimento operaio e popolare, dei giovani e degli studenti di influenzare gli sviluppi nazionali e internazionali.
Insieme alla ferma espressione di solidarietà con la lotta del popolo palestinese per la sua giusta causa, è necessario rafforzare ulteriormente la lotta contro il coinvolgimento del nostro Paese nei piani imperialisti, per il rientro di tutte le Forze Armate greche nelle varie missioni imperialiste all’estero. Per la chiusura delle basi USA-NATO, che sono un trampolino di lancio per le guerre e prendono di mira il nostro popolo. Per il disimpegno del nostro Paese dalle unioni imperialiste, con il popolo padrone della propria terra, in conflitto con la borghesia e le sue aspirazioni di potenziamento geostrategico, contro il governo di ND, SYRIZA, PASOK, Soluzione Greca e gli altri partiti borghesi, che insieme sostengono e attuano la strategia euro-atlantica e i piani imperialisti.
[1] Giornale EFSYN, 5 e 6 giugno 2024.
[2] Secondo un rapporto pubblicato sul sito arabo https://attaqa.net/ alla fine del 2023, tratto dai dati pubblicati in “Global oil and natural gas reserves both increase”, https://www.ogj.com/general-interest/economics-markets/article/14302481/global-oil-and-natural-gas-reserves-both-increase
[3] Associazione per gli Affari Internazionali ed Europei, “Mar Rosso: il ‘Grande Gioco’ e l’operazione europea Aspides”,
https://odeth.eu/%CE%B5%CF%81%CF%85%CE%B8%CF%81%CE%AC-%CE%B8%CE%AC%CE%BB%CE%B1%CF%83%CF%83%CE%B1-%CF%84%CE%BF-%CE%BC%CE%B5%CE%B3%CE%AC%CE%BB%CE%BF-%CF%80%CE%B1%CE%B9%CF%87%CE%BD%CE%AF%CE%B4%CE%B9-%CE%BA/
[4] “Mar Rosso: la catena commerciale globale sta scricchiolando”,
https://www.newsit.gr/oikonomia/erythra-thalassa-trizei-i-alysida-tou-pagkosmiou-emporiou/3964847/
[5] Mahmoud Abbas, “La posta in gioco per la Palestina nell’East Med Gas Forum è la ZEE e il mercato regionale”,
https://energypress.gr/index.php/news/ampas-aoz-kai-perifereiaki-agora-ta-zitoymena-gia-tin-palaistini-apo-east-med-gas-forum
[6] Con sede ad Atene
[7] Walid Khadduri, “Gaza Marine: Quale destino dopo la guerra?”, https://www.palestine studies.org/en/node/1654991
[8] Ahmad Ismail, “Prima del previsto. Lo sviluppo del giacimento palestinese ’Gaza Marine’ inizierà il prossimo ottobre”, settembre 2023, https://cnnbusinessarabic.com/
[9] L’Ufficio del Primo Ministro ordina l’attuazione del progetto di sviluppo del giacimento di gas al largo della costa di Gaza, https://www.gov.il/en/pages/spoke-gas180623
[10] Mohammad Shtayyeh, “Lo sviluppo del giacimento ‘Gaza Marine’ è diventato fattibile”, 19.6.23, https://www.aa.com.tr/ar/
[11] Nur Abwaisa & Iyad Nabulsi, “Come affronterà Hamas lo sviluppo del giacimento di gas di Gaza Marine?”, https://www.aa.com.tr/ar/
[12] Ibidem
[13] “IMEC: cosa c’è nei piani del corridoio commerciale India-Europa?”,
https://www.powergame.gr/diethni/510998/imec-ti-provlepei-o-eborikos-diadromos-indias-evropis/
[14] Gennady Smakov, “Il Canale Ben-Gurion come fattore di azione militare in Medio Oriente”, https://fondsk.ru/news/2023/11/10/kanal-ben-gurion-kak-faktor-voennykh-deystviy-na-blizhnem-vostoke.html
[15] https://hellasjournal.com, 20.9.23.
[16] Makis Papadopoulos, “Sostenitori verdi della guerra e della povertà energetica”, Rivista comunista, numero 3/2022
[17] Grigoris Lionis, “Gli sviluppi dell’industria bellica e le posizioni del KKE”, Rivista comunista, numero 3/2023
[18] “La spesa militare globale sale alle stelle. Oltre 2,4 trilioni di dollari nel 2023”, https://www.902.gr/eidisi/kosmos/362376/ektoxeytikan-oi-stratiotikes-dapanes-pagkosmios-pano-apo-24-tris-dolaria-2023, 22.4.24
[19] Grigoris Lionis, “Gli sviluppi dell’industria bellica e le posizioni del KKE”, Rivista comunista, numero 3/2023.
[20] https://www.aljazeera.net.
[21] https://www.middleeastmonitor.com.
[22] https://www.moneyreview.gr/.
[23] “Israel Aerospace Industries vede un aumento del 49% del reddito netto nel 2023”, https://www.jpost.com/israel-news/article-791966.
[24] NYT, “In Ucraina sono stati distrutti più edifici che se ogni edificio di Manhattan fosse stato raso al suolo quattro volte”,
https://www.liberal.gr/diethni-themata/nyt-i-rosia-katestrepse-210000-spitia-stin-oykrania-tesseris-fores-tin-ektasi-toy
[25] UNOSAT, “Striscia di Gaza 7° valutazione globale dei danni – maggio 2024”, https://unosat.org/products/3861
[26] Statistiche dell’attacco alla Striscia di Gaza, https://m.sa24.co/
[27] L’ambasciatore uscente di Israele in Grecia parla a Kathimerini,
https://www.ekathimerini.com/opinion/interviews/1186559/no-country-should-outsource-its-security-to-others/
[28] Giorgos Marinos, “Rafforziamo la nostra solidarietà con il popolo palestinese, aumentiamo la nostra vigilanza di fronte agli sviluppi”, Rivista Comunista, numero 5/2023
[29] “Sviluppi con il patriota greco in Arabia Saudita – Nuovo programma di cooperazione militare”,
https://www.kathimerini.gr/politics/563022976/exelixeis-me-toys-ellinikoys-patriot-sti-saoydiki-aravia-neo-programma-stratiotikis-synergasias/, 13.5.24
[30] Pandelis Kapsis, “Uno scontro di civiltà?”,
https://www.athensvoice.gr/epikairotita/diethni/820544/israil-palaistini/ , Konstantinos Ginis, “L’attacco terroristico di Hamas e lo scontro di civiltà”,
https://www.liberal.gr/diethni-themata/i-tromokratiki-epithesi-tis-hamas-kai-i-sygkroysi-politismon
[31] Nazioni Unite, Le origini e l’evoluzione del problema della Palestina: parte II (1947-1977),
https://www.un.org/unispal/history2/origins-and-evolution-of-the-palestine-problem/part-ii-1947-1977/
[32] Pravda, 29.5.1948. La Pravda era l’organo del Comitato Centrale del Partito Comunista di tutta l’Unione – bolscevico (come si chiamava il PCUS prima del 1952).
[33] Per saperne di più, si veda l’articolo di Anastasis Gikas, “Rassegna storica sulle radici e l’evoluzione della questione palestinese”, pubblicato su Rizospastis in 6 puntate (dal 4.11.23 al 2.3.24).
[34] Jorge Martín, “Il Partito Comunista di Grecia e la lotta per la liberazione della Palestina: un dibattito necessario”,
https://www.marxist.com/the-communist-party-of-greece-and-the-struggle-for-the-liberation-of-palestine-a-necessary-debate.htm
[35] Enciclopedia Ebraica Digitale, “Le relazioni dell’URSS con Israele”, https://eleven.co.il/
[36] G.V. Sharapov, “Federazione mondiale dei sindacati”,
https://www.booksite.ru/fulltext/1/001/008/007/057.htm
[37] Ioanna Kotsiavra, “Sulla partecipazione della popolazione ebraica alla Resistenza, alla lotta antifascista e alla lotta armata di liberazione nelle file dell’EAM-ELAS”, https://www.katiousa.gr/istoria/gia-ti-symmetochi-tou-evraikou-plithysmou-stin-antistasi-stin-antifasistiki-pali-kai-ton-apeleftherotiko-enoplo-agona-me-to-eam-elas/