Roma è stata ed è una città interrotta, perché un bel momento si è cessato di immaginarla per progettarla o, meglio, per sfruttarla come se una città potesse essere un mezzo di profitto privato… Per Roma la borghesia italiana non ha fatto un piano di sviluppo, ma un calcolo di sfruttamento: l’interesse privato ha un gran difetto rispetto all’interesse pubblico, è particolaristico invece che universalistico. La borghesia calcola, il popolo, che per definizione è la collettività, può progettare.
Un’idea di Roma, G.C. Argan, 1979
Giulio Carlo Argan in un troppo poco conosciuto libro-intervista sulla sua esperienza come sindaco di Roma, rifletteva su quali fossero state in passato le idee che hanno plasmato Roma e quali invece fossero i piani che la borghesia italiana e locale aveva riservato per la città dopo l’Unità d’Italia.
Oggi, a quasi cinquant’anni dall’uscita di quel libro, proviamo a fare lo stesso esercizio, e dunque interrogarci su quali siano, se esistono, queste idee per la città di Roma, e ancora chi sono le forze in campo, i loro interessi e come si muovono.
Difficile, per quanto stimolante, ricostruire tutti gli episodi e gli attori in gioco, non è questa la sede né l’obiettivo di questo breve articolo, semmai ciò che preme qui stabilire sono le ultime tendenze, le strategie del mercato immobiliare e del settore delle costruzioni per il prossimo futuro, i suoi attori principali, i progetti in campo e come di riflesso la politica locale (e nazionale) tende a incentivare o disincentivare tali processi.
Perché Roma
Roma è una città legata indissolubilmente alla rendita fondiaria prima ed edilizia poi, e dunque abituata alle crisi sistemiche e lunghi periodi di incertezza del settore. Eppure negli ultimi anni, nonostante un lungo periodo di crisi del settore edilizio romano, nuovi ed importanti cantieri sono stati aperti dalla città storica alle zone semicentrali.
Roma già da qualche anno è rientrata prepotentemente al centro degli interessi di grandi gruppi immobiliari e fondi di investimento, non parliamo dei soliti palazzinari “a la noantri” che non hanno mai abbandonato la città, ma soprattutto attori nazionali ed internazionali che hanno di fatto già messo piede in città con nuovi ed importanti progetti già completati o in fase di realizzazione.
La cannibalizzazione selvaggia della città di Milano e i suoi recenti, per quanto prevedibili, guai giudiziari che hanno coinvolto l’assessore all’urbanistica della città lombarda quanto rinomati architetti italiani e imprese costruttrici, hanno nei fatti solamente accelerato lo spostamento degli appetiti immobiliari dalla cosiddetta capitale morale a quella del paese.
Partito Democratico real estate
Complice la sempiterna connivenza tra politica locale e costruttori, il settore immobiliare negli anni si è affinato e sofisticato trovando nella città di Roma e nel Partito Democratico, che esprime in questo momento il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, e la maggioranza in Assemblea Capitolina, un affidabile interlocutore per sviluppare nuove strategie di investimento. Se in passato i principali referenti politici del settore immobiliare erano la DC e la destra in generale, fatta eccezione per una breve, seppur importante, parentesi di governo a guida PCI con Argan, Petroselli e Vetere[1], è indubbio che con le giunte di centro-sinistra di Rutelli e Veltroni[2], si è avuta una vera e propria inversione di tendenza, non solo politica ma anche di contenuti e strategia di sviluppo dei nuovi progetti in città.

Le giunte di centro-sinistra di Rutelli e Veltroni hanno segnato un cambio nella strategia di sviluppo dei nuovi progetti in città
Oggi è il PD ad essere il portavoce dei più importanti processi di speculazione in città. Come già avvenuto a Milano per Expo 2015 dell’allora amministratore delegato Giuseppe Sala, divenuto poi sindaco in quota PD della città lombarda e dunque promotore in fieri della più grande operazione di trasformazione e speculazione urbana degli ultimi decenni in Italia, anche Roma seppur ancora timidamente rispetto alla città lombarda, si accinge a subire importanti e irreversibili cambiamenti.
Dalla bulimia del piano regolatore dei primi 2000 firmato dall’allora sindaco Veltroni che ha letteralmente vomitato milioni di metri cubi sulla città per regalare ai suoi cittadini e visitatori memorabili monumenti dell’incompiuto e centri commerciali già fatiscenti perché superati dalla concorrenza del settore dell’e-commerce, si è passati negli anni dieci del duemila ad una quasi totale abulia di investimenti sia pubblici che privati. Questo vuoto di investimenti ed il progressivo smantellamento e sostanziale depotenziamento dei servizi pubblici urbani come conseguenza delle politiche di austerità e di privatizzazione successivi alla crisi economica del 2008, ha generato un malcontento comune tra i cittadini e creato il terreno culturale e politico per cui le categorie del settore immobiliare ed edilizio di concerto con alcuni settori della politica, società civile e media locali,, hanno raccolto e approfittato di tale situazione per poi chiedere a gran voce al governo nazionale un piano di investimenti straordinario.
La candidatura di Roma per EXPO 2030, la pioggia di investimenti arrivata con i fondi per il PNRR senza dimenticare i fondi per il Giubileo 2025[3] e il Giubileo della Redenzione del 2033 (si parla anche di questo oggi) sono da leggere dunque come l’ennesima concessione o aiuto ad un settore ciclicamente e fisiologicamente in crisi. Tutto questo avviene senza una strategia di coordinamento tra i vari progetti (sia pubblici che privati) e dunque un piano sincero di interesse collettivo, ma semplici e parziali iniziative che seguono lo schema dei grandi eventi e dunque inevitabilmente governate da logiche di mercato e di profitto ad esclusivo vantaggio dei privati. Del resto, con la fine dei grandi piani di sviluppo urbani come causa dei processi di deindustrializzazione ed il progressivo smantellamento delle politiche abitative che avevano visto il pubblico attore predominante nel secondo dopoguerra fino ai primi anni ottanta nelle politiche di sviluppo urbane, possiamo affermare pacificamente che sono ormai decenni che non si progetta più la città ma si procede piuttosto per piccole e grandi iniziative di cosiddetta riqualificazione o per essere ancora più à la page di rigenerazione urbana. Parole, oramai di moda e di uso comune, attraenti e ingannevoli allo stesso tempo poiché spesso dietro queste operazioni si nascondono vere e proprie iniziative di speculazione, svendita del patrimonio immobiliare e delle risorse pubbliche. Parole, queste, spesso utilizzate nel vocabolario della politica di oggi per giustificare agli occhi degli elettori tali processi di speculazione. A questo proposito, il Partito Democratico e parte delle realtà e figure politiche ad esso vicino, si è accreditato negli anni come affidabile promotore di tali narrazioni sulla rigenerazione o riqualificazione urbana e questo non è di certo un caso.
Come non è un caso che l’11 dicembre 2024 è stato approvato in Campidoglio il testo che contiene l’aggiornamento delle Norme Tecniche di Attuazione (NTA) del Piano Regolatore Generale (PRG), segnando un cambiamento epocale per la città. L’ultima revisione risale al 2008 e, nonostante le molteplici modifiche normative a livello regionale e nazionale, non era mai stata effettuata una revisione completa fino ad oggi. Anche se non è stato ancora pubblicato il testo completo, possiamo fare delle prime valutazioni dalle dichiarazioni del Campidoglio e le osservazioni di cittadini e associazioni. In tutto sono stati modificati 67 articoli, tra cui lo snellimento delle procedure burocratiche per gli oltre 200 piani integrati di progetti di recupero e rigenerazione urbana (tramite lo strumento del permesso a costruire convenzionato) al fine di attrarre nuovi investitori.
“Abbiamo bisogno di regole trasparenti e uniformi per garantire tempi certi agli investitori e rafforzare la regia pubblica delle trasformazioni urbane.”[4]
Queste le parole soddisfatte dell’assessore all’urbanistica Veloccia a termine della votazione che ha visto maggioranza e opposizione in pieno accordo con solo una manciata di voti contrari. Tra le modifiche più importanti non solamente la semplificazione delle norme in materia di cambio di destinazione d’uso e recupero immobiliare sotto la voce rigenerazione e sostenibilità, ma anche l’introduzione di regole per definire il cosiddetto social housing come una tipologia di alloggi in affitto a canone concordato. Vale la pena qui sottolineare che il canone concordato oggi a Roma equivale nei fatti al prezzo del libero mercato e dunque per nulla sostenibile per la maggior parte delle famiglie e lavoratori romani. Un Piano Regolatore più “elastico” rivolto ad attrarre nuovi capitali e lo fa attraverso le formule della messa a rendita del proprio patrimonio immobiliare e fondiario.
Recuperare, rigenerare, speculare
La continua dismissione e vendita degli alloggi di edilizia pubblica; l’alienazione di intere aree pubbliche per iniziative private; l’assenza di misure per governare il fenomeno del turismo di massa e degli affitti brevi in città o ancora la continua e persistente volontà di inseguire la logica dei grandi eventi; la messa a reddito di aree di importanza storico-archeologica, per non parlare della retorica delle battaglie contro il degrado e la sicurezza. Sono questi episodi per nulla casuali ma piuttosto indicano come negli anni il Partito Democratico a Roma, abbia consapevolmente costruito un modello di sviluppo della città lontano anni luce dagli interessi dei suoi cittadini, per inseguire invece quello che sta avvenendo, o già avvenuto, in altre grandi città del mondo, ovvero una competizione su scala internazionale per attrarre capitali. Per fare ciò è necessario presentare l’immagine di una capitale il più possibile efficiente e produttiva, non solamente con opere di miglioramento e potenziamento delle infrastrutture locali e internazionali, ad esempio l’ampliamento dell’aeroporto Leonardo Da Vinci, ma anche attraverso quelle iniziative quali il Laboratorio Roma050, su cui torneremo, le Università o partnership pubblico-privato.
Eppure il risultato di questa nuova convergenza tra politica e investitori, non è da indagare esclusivamente nelle misure di governo della città rivolte a intercettare nuovi capitali, ma è anche la capacità di nuovi e vecchi attori del settore immobiliare di sostenere e fare proprio un linguaggio promosso da certa politica e sfruttarlo dunque a proprio vantaggio come fosse una campagna pubblicitaria.

L’area della stazione Tuscolana è interessata da uno dei principali progetti di “rigenerazione urbana” odierni
Questo perché, oggi, il settore immobiliare ha un sincero bisogno di valorizzare il proprio investimento puntando ad operazioni puntuali in aree già urbanizzate, di qualità e pregio architettonico, prossime ad aree verdi o al centro città. La maggior parte di questi nuovi progetti sono per lo più orientati a coprire nuove categorie di mercato, i cosiddetti city users, nomadi digitali, turisti ma anche studenti fuori sede e una borghesia cittadina che trova in queste soluzioni nuovi profittevoli spunti di investimento. Case sempre più piccole, complice anche la sensibile diminuzione del numero dei componenti per ogni famiglia, a costi più alti. Nei fatti, per quanto possa sembrare una ovvietà in termini generali, è un vero cambio di tendenza rispetto al passato. Tanto per fare un esempio, oggi, è più redditizio, sia in termini di risorse, costo di acquisto, realizzazione, gestione, manutenzione, accesso alle forme di credito per progetti “green” o di riqualificazione, oltre che naturalmente un ritorno d’immagine e dunque pubblicità indiretta, investire recuperando un edificio dismesso o costruire in un’area abbandonata su un’area centrale o semicentrale piuttosto che realizzare centinaia di alloggi in aree ancora da urbanizzare, lontane chilometri dal centro città e infine costi di gestione più alti per un ritorno dell’investimento complessivo presumibilmente più basso e chissà in quanti anni. A tal proposito, i luoghi e le strutture da riqualificare nella Capitale hanno una superficie complessiva pari a 4.250.000 mq, e nei prossimi anni potrebbero attrarre sviluppatori immobiliari alla ricerca di nuove sedi[5]. Questo non vuol dire che il fenomeno di consumo di suolo in aree periferiche sia fermo, ma oggi le nuove tendenze del mercato immobiliare, in particolare quello dei fondi immobiliari, puntano verso il centro, letteralmente, alla riqualificazione del patrimonio immobiliare e fondiario dismesso o sottoutilizzato.
Ed è così che oggi le parole sostenibilità, rigenerazione, recupero sbandierate come slogan di modernità dal PD, ma non solo, sono entrate di prepotenza nel vocabolario degli investitori immobiliari per giustificare operazioni che non hanno nulla a che fare con i contenuti da loro promossi, ma utili semmai a generare nuovo valore e fonte di rendita.
Del resto, in assenza di un attore pubblico in grado non solo di governare l’agenda di sviluppo di una città ma anche di portare avanti progetti genuinamente in linea con gli interessi dei suoi abitanti, è sufficiente ai grafici e pubblicitari a servizio di questi fondi immobiliari, inserire nei loro verdeggianti rendering, sempre più alberi o pannelli fotovoltaici per dire che il progetto è sostenibile.
Molto social poco housing
Un articolo del WSJ di luglio scorso[6], invitava i suoi lettori ad investire nel settore immobiliare della capitale, in particolare quello del lusso, in quanto tra le città europee, Milano compresa, è quella coi prezzi più bassi e aspettative di crescita maggiore dell’investimento.
Tuttavia, i nuovi attori del real estate, fondi di investimento, immobiliaristi, SGR (Società di Gestione del Risparmio) che siano, tendono non solamente a generare nuovo valore costruendo o recuperando, si fa per dire, questo o quell’edificio, poi venderlo e dunque capitalizzare per reinvestire da qualche altra parte, ma anche di inglobare nella propria catena di rendita, le fasce meno abbienti e i lavoratori, ovvero quelli esclusi dalle nuove tendenze del mercato immobiliare ed espulsi dai quartieri centrali o semicentrali della città. Del resto se i lavoratori hanno sempre più difficoltà ad acquistare un alloggio e l’accesso alla casa popolare è un miraggio, negli anni, complice l’assenza di politiche abitative, le formule di social housing e co-housing sono diventate per queste categorie l’unica soluzione alloggiativa. Di origine anglosassone, la parola social housing indica quella formula secondo cui le varie forme di partnership pubblico-privato si affiancano a quelle di edilizia pubblica per orientarsi a quelle fasce di popolazione che come si suole dire sono “troppo ricche per accedere alla casa popolare ma troppo povere per poterne acquistare una propria”. Tuttavia in Italia in virtù di un’assenza endemica di politiche abitative, il patrimonio abitativo pubblico viene progressivamente venduto (solo a febbraio sono state vendute all’asta un’altra decina di alloggi ATER) e per sopperire a questa mancanza in parte lasciato in gestione a cooperative e società private che possono decidere in autonomia gli aventi diritto e il prezzo di locazione minimo.
A Milano, città all’avanguardia in termini di processi immobiliari e finanziari, il fondo di investimento COIMA, uno dei più importanti e conosciuti, ha stretto una partnership, una collaborazione, con CCL, Consorzio Cooperativo Lavoratori “per realizzare opere di fair and social housing secondo il principio mutualistico cooperativo”[7]. Questo per dire che il settore dei fondi di investimento immobiliare ha necessità di diversificare il proprio portafoglio di offerte e dunque stringere accordi e legami commerciali anche con categorie e associazioni che si occupano di sociale. È questo un esempio di quello che l’autrice Lucia Tozzi definisce il pericoloso abbraccio tra privato sociale e finanza immobiliare. Operazioni un tempo impensabili, ma che oggi all’interno di una nuova cornice di valori e interessi, sono fondamentali per giustificare talune operazioni immobiliari.
COIMA, è la società immobiliare autrice della realizzazione di Porta Nuova e del bosco verticale, collabora stabilmente con diversi rinomati studi di architettura di livello internazionale per promuovere “La sostenibilità, come fattore distintivo e qualificante… in un mercato sempre più selettivo e polarizzato, contribuisce alla resilienza ai cicli economici preservando la performance per gli investitori”[8].
Ebbene, non è un caso dunque, che proprio il PD locale abbia chiamato a capo del cosiddetto “Laboratorio Roma050”, l’architetto milanese Stefano Boeri, autore delle celebri torri ribattezzate entusiasticamente bosco verticale, assunte come simbolo della rinascita di una città, Milano. Boeri è per così dire, l’architetto del PD, l’architetto della rinascita della città lombarda, ma anche e soprattutto l’architetto di COIMA. Di recente la stessa COIMA si è affacciata nella capitale con un “timido” investimento di 200 milioni di euro per l’acquisto di tre palazzi storici nel centro di Roma mentre è risaputo oramai che sta reclutando anche nella capitale risorse e conoscenze tra i quali architetti, ingegneri e imprese per portare avanti i propri interessi anche qui a colpi di rendering fotorealistici e pannelli solari.
Quali progetti per la Capitale
È dunque proprio in quei quartieri governati dal PD che questo nuovo modello di sfruttamento e calcolo della città si fa prepotentemente avanti. Parliamo del quadrante sud della città e in particolare del Municipio VIII, roccaforte, per così dire, del PD e delle sigle più o meno “a sinistra” ad esso legate. Proprio questa zona di Roma è al centro degli interessi speculativi di grandi fondi di investimento e palazzinari locali sotto nuovi nomi più accattivanti. In particolare l’area tra Tor Marancia e via di Grotta Perfetta, complice alcune caratteristiche inalienabili dell’area, ovvero la presenza di un parco prosecuzione di quello dell’Appia Antica come di ampie aree dismesse, un elevato tasso di alloggi popolari (Tor Marancia, Montagnola, Garbatella) e naturalmente la prossimità con il centro della città, fa di questa parte di Roma un’area particolarmente attraente per gli investitori.

Il Municipio Roma VIII, amministrato da sigle legate al centro-sinistra, è al centro degli interessi speculativi di grandi gruppi speculativi
Nel quadrante sud della Capitale si stanno concentrando il più alto numero di progetti e investimenti immobiliari come mai visto prima d’ora. Possiamo contare diversi progetti già realizzati ed altri in cantiere o in fase di discussione con i vari dipartimenti di Comune e Municipio. Parliamo del progetto I-60 in Via di grotta Perfetta del Consorzio Tor Marancio delle famiglie Mezzaroma, Ceribelli e Marronaro, FO.RO ad opera dello studio bolognese MCA architects dell’architetto Mario Cucinella finanziato e promosso da Impreme (di nuovo Mezzaroma), l’abbattimento e la rifunzionalizzazione dell’ex Fiera di Roma sulla Colombo ribattezzata “Città della Gioia” ad opera dello studio milanese ACPV degli architetti Antonio Citterio e Patricia Viel, il nuovo hotel Radisson che sorgerà dalla ristrutturazione del palazzo bianco mai inaugurato e da anni in stato di abbandono, soprannominato “bidet” dai cittadini, a Viale Augusto Imperatore, la nuova sede RAI negli uffici una volta WIND-TRE sulla Colombo che sposterà temporaneamente 1200 dipendenti dalla sede storica di Viale Mazzini in fase di ristrutturazione, e ancora il bando internazionale per la demolizione e ricostruzione dell’area AMA di piazzale dei Caduti della Montagnola, con un investimento di circa 100 milioni di euro che porterà nuovi uffici della municipalizzata capitolina, un parco attrezzato e naturalmente nuovi alloggi e parcheggi privati. Senza entrare nel merito e nelle forme che queste iniziative prenderanno di cui ci sarebbe comunque da discutere anche da un punto di vista qualitativo, è indubbio che questi progetti che si trovano a distanza di poche centinaia di metri l’uno dall’altro saranno destinati a cambiare inevitabilmente il tessuto urbano e umano del quartiere. Si tratta perlopiù di progetti residenziali con una piccola parte destinata al famigerato housing sociale, di cui però non sono chiare le regole di accesso, e poco o niente a servizi per la collettività. Ognuno di questi progetti ha una storia a sè, per forma, volumi di realizzazione, soluzione e investitori diversi ma tutti sicuramente sono accomunati dal fatto di essere stati fortemente criticati dalle associazioni e abitanti di quartiere. Non parliamo di singoli cittadini affetti dalla sindrome NIMBY (“not in my backyard”) come qualcuno vorrebbe farli passare, ma osservazioni e critiche fondate sul semplice quanto ineludibile fatto che in una città dove la popolazione urbana non cresce da decenni mentre decine di migliaia di alloggi sono vuoti o dismessi, perché realizzare nuove abitazioni a prezzi insostenibili trascurando o addirittura depotenziando i servizi per la collettività.
Eppure inizialmente il Comune ma soprattutto il Municipio erano stati accoglienti perfino solidali con talune rivendicazioni di associazioni e cittadini. I fatti però dimostrano il contrario, rivelando la completa complicità nel tollerare se non addirittura sostenere tali iniziative di trasformazione urbana sotto il nuovo vangelo della sostenibilità e rigenerazione a cui tutto è concesso e dovuto. Non sorprende dunque se questi progetti potrebbero portare con sé altre iniziative simili in futuro, magari su terreni o immobili di proprietà di qualche nota famiglia con il vizio dell’immobiliare e con il placet di Municipio o Comune. Così come non sorprende neanche come i famigerati progetti di utilità pubblica che dovrebbero essere realizzati dallo storno dei pagamenti delle opere private, i cosiddetti oneri concessori, non se ne ha traccia, vedi il caso del progetto del centro culturale di Tor Marancia che dovrebbe sorgere al posto della scuola Mafai, progetto vinto e finanziato ma dalla sorte ancora incerta o il discusso iter del cosiddetto bidet a Viale Augusto Imperatore dalla storia indicativa della subalternità del Comune agli interessi privati e che ora è stato venduto ad una famosa catena alberghiera e commentato come “un fatto positivo” da parte del minisindaco Ciaccheri. Per non parlare poi dello stato di abbandono del patrimonio abitativo pubblico di Tor Marancia vero e proprio punto di caduta tra lo smantellamento delle politiche abitative e gli interessi dei privati nell’area con le facciate attraenti appena dipinte e diventate meta di turisti della street art per far sembrare il quartiere più alla moda ma dietro solai puntellati, calcinacci e infiltrazioni d’acqua mentre le opere di manutenzione straordinaria risalgono al 1978. O ancora i progetti promessi e mai realizzati come l’auto-recupero, quello vero previsto dalla legge regionale 55 del 1998, dell’ex clinica San Michele a Tor Marancia o dei locali della scuola elementare su Via di Grotta Perfetta, ad opera rispettivamente del Movimento per il diritto all’abitare il primo e della cooperativa Inventare l’abitare il secondo. È indicativo, infine, come l’attuale minisindaco, come altre figure del municipio governato ormai da quasi vent’anni dalle stesse sigle, cresciuto in seno a occupazioni sociali e per il diritto all’abitare, che si fregia di fare della partecipazione e sensibilità nei confronti dei più deboli la propria vocazione chiuda un occhio o addirittura sostenga allo stesso tempo le più importanti iniziative di speculazione urbana degli ultimi decenni in questa città.
Negli anni 2000 la fine delle grandi stagioni di lotta per il diritto all’abitare ha lasciato ben presto il passo agli attivi sostenitori dei beni comuni e dunque a coloro che dalle Università fino in Campidoglio predicavano attivamente la partecipazione sana ed equilibrata tra pubblico e privato. Una sinergia prontamente appaltata ad una più efficace logica di subalternità del pubblico agli interessi privati. È questo dunque, il vero cambio di paradigma rispetto al passato, che rientra in una logica comune a molte città del mondo, ovvero quella di “accaparrarsi” nuovi investitori promuovendo operosamente sempre nuovi progetti, collaborazioni, iniziative di rigenerazione o recupero di intere aree urbane o quartieri. Del resto, le dinamiche di flussi di capitali e le trasformazioni urbane sono largamente interconnesse, con le prime che rispondono a logiche di mercato e dunque internazionali per definizione, mentre le seconde sono il risultato delle strategie delle prime. Le città sono, a livello mondiale, in continua competizione per attrarre nuovi investitori, promuovendo di continuo nuove iniziative di sviluppo e strategie di investimento, stressando di continuo le città stesse e i suoi abitanti.
Segreteria della Federazione di Roma del Fronte Comunista