Sicurezza sul lavoro e Covid-19, i casi di Mondragone e Viadana
Nelle ultime settimane il numero di casi di Coronavirus in Italia si è mantenuto in discesa dopo le fasi critiche dei mesi precedenti; dal 3 giugno, giorno della fine del lockdown anche parziale su tutto il territorio italiano, il trend ha visto migliorare costantemente tutti i parametri che da mesi i cittadini hanno imparato a conoscere (numero di nuovi casi giornalieri, numero di ricoverati in terapia intensiva, numero di morti quotidiani, etc…). L’allentamento delle misure ha dimostrato come il diffondersi dell’epidemia sia ormai superato nella sua fase acuta e che, con le dovute precauzioni, la vita quotidiana possa riprendere.
Tuttavia, negli ultimi giorni, da Nord a Sud si sono moltiplicati alcuni focolai di coronavirus strettamente legati al mondo del lavoro. Dopo il caso Bartolini a Bologna (già trattato qui) che ha visto il contagio correre all’interno dell’azienda di spedizioni, tra lavoratori senza misure di sicurezza e stipendi da fame, le nuove zone critiche si trovano a Mondragone, in provincia di Caserta e a Viadana, piccolo centro nella provincia di Mantova. La situazione più critica sembra essere quella del comune campano dove al momento si contano 75 contagi rilevati nel corso di due screening. Il contagio, destinato comunque ad essere aggiornato al rialzo con nuovi tamponi, è partito dai lavoratori di un’azienda agricola di Falciano del Massico e localizzato nei palazzi ex-Cirio di Mondragone. Qui, la comunità bulgara dove sono emersi i primi casi è stata subito isolata e le palazzine dichiarate zona rossa per cercare di delimitare il diffondersi del contagio. Fin da subito in questa situazione sono sorte tensioni fra la popolazione italiana e quella di origine straniera con diversi atti vandalici, lanci di oggetti e un intervento massiccio di militari (circa 80 uomini) e di forze dell’ordine (40 poliziotti inviati a supporto). Nella seconda fase di screening, l’Asl di Caserta, tra il 27 e il 29 giugno, ha rilevato altri 27 casi tra i dipendenti dell’azienda agricola e residenti in diversi comuni della zona: il rischio ora è che questo nuovo focolaio non si circoscriva alla città di Mondragone ma si estenda anche nei comuni limitrofi.
La vicenda appare un caso emblematico di come l’esplosione di rabbia per la paura di un futuro incerto e la mancanza di risorse economiche, soprattutto nelle zone più povere, creino un clima perfetto per scatenare una guerra tra gli ultimi, con la politica italiana dei partiti borghesi (sia a destra che a sinistra) pronta ad approfittarne per sviare l’attenzione dalle sue responsabilità e da quelle delle aziende e per mascherare il contrasto evidente fra volontà di massimizzare i profitti e sicurezza sui luoghi di lavoro.
A Viadana invece il punto di contagio iniziale sembra essere stato il Macello Ghinzelli dove i casi rilevati sono saliti oggi a 34 (con 412 tamponi effettuati); anche qui la situazione è in continuo aggiornamento, dopo i soli 3 giorni di chiusura preventiva disposti dall’Azienda per la Tutela della Salute della Valpadana (ex Asl).
Il contagio ha interessato diversi dipendenti di una cooperativa attiva all’interno del macello e anche qui le responsabilità sarebbero da imputare alle insufficienti misure di sicurezza. Il caso ricorda da vicino quello delle scorse settimane scoppiato all’interno del macello Tönnies nel distretto di Gütersloh, nel Nord Reno-Vestfalia, dove a seguito di circa 1500 contagi il governatore del land si è visto costretto a ripristinare il lockdown per circa 560 mila persone. Tutto sarebbe partito dalle assenti misure di sicurezza adottate all’interno dell’attività e negli alloggi forniti dall’azienda e, dopo essersi diffuso tra i lavoratori, il Covid-19 ha contagiato anche familiari e persone esterne mettendo a rischio molte vite.
Anche in Italia i casi di Mondragone e Viadana, entrambi partiti da attività lavorative, rendono l’immagine di un Paese dove il coronavirus, lungi dall’essere scomparso, abbia trovato terreno fertile nei posti di lavoro, dove le tutele e i diritti dei lavoratori vengono costantemente sacrificati da titolari di aziende preoccupati unicamente di fare utili col favore di una classe dirigente che ne sposa la causa.
Infatti, dopo aver infestato le case di riposo, anche qui colpevolmente lasciate indifese da direttori sanitari e istituzioni, il virus ha dimostrato, ancora una volta, che nei paesi capitalisti la salute dei cittadini e dei lavoratori è messa sempre in secondo piano rispetto al profitto. La brama di riaperture, la permissività del Governo sulla non chiusura delle fabbriche nel periodo di marzo-aprile hanno sicuramente contribuito a diffondere il contagio sul territorio nazionale a partire dai centri più industrializzati e popolati. La zona del bergamasco e della Lombardia, così come l’Emilia-Romagna e il Piemonte rappresentano da sole un terzo del PIL complessivo e sono state le regioni più colpite dall’ondata pandemica. In questo ultimo mese il calo deciso dei contagi ha permesso di localizzare e identificare in maniera più efficace e puntuale i nuovi focolai; nuovi focolai che sono scoppiati all’interno di attività lavorative dove le misure di sicurezza e il mantenimento della distanza personale vengono disattesi. A pagare il prezzo più duro sono quindi sempre i lavoratori e le lavoratrici che, dopo mesi di quarantena, con le misure di sostegno economico in perenne ritardo ed ampiamente insufficienti, divengono ancora una volta le vittime sacrificali di un sistema, quello capitalistico, spietato e inumano.