Altro che italiani indisciplinati: il 55,7% lavora ogni giorno, meno dello 0,5% sanzionato
Italiani indisciplinati in migliaia in coda in autostrada per il weekend fuori porta? La notizia ha fatto il giro del web ed è stata rimbalzata anche sui principali tg e giornali. Ma dati alla mano era falsa. Nelle stesse ore l’ISTAT certifica che oltre la metà degli italiani in questo momento si sta recando regolarmente a lavoro. Incrociamo tutti questi dati.
La maggioranza degli italiani lavora come prima
Secondo l’ISTAT il 55,7% dei lavoratori continua a recarsi regolarmente in ufficio o in fabbrica, come prima dell’adozione delle misure di contenimento. La percentuale aumenta al Sud e nelle grandi città. Ad essere sopra la media nazionale sono Genova (69,6%), Bari (68,7%), Roma (68,5%), Ancona (68,4%), Trento (68,3%), Bologna (67,7%), Milano (67,1%) e Palermo (66,6%), ma anche alcune delle aree più colpite dal Coronavirus, come Lodi (73,1%) e Crema (69,2%).
Lo studio diffuso dall’istituto di statistica si riferisce a dati raccolti a fine marzo. Come da tempo avevamo denunciato, la struttura costruita attraverso i decreti legge e i DPCM consente un ampio regime di esclusione attraverso una generosa individuazione di settori necessari, il modello di autocertificazione ai prefetti privo della possibilità di un effettivo controllo e di sanzioni adeguate in caso di dichiarazioni mendaci, una generosa interpretazione delle norme che consente l’apertura di interi stabilimenti anche quando solo in parte di producono beni essenziali. Il risultato è che ad oggi la maggioranza degli italiani continua a lavorare.
Se analizziamo i dati della Lombardia, la regione più colpita il quadro non muta, anzi. Sempre secondo l’ISTAT quasi la metà delle imprese in regione è al momento attiva: circa 450mila su 800mila totali. La Camera del Lavoro di Milano ha denunciato che nella sola area metropolitana milanese ogni giorno si recano regolarmente a lavoro 520mila lavoratori. Nelle province lombarde il numero delle deroghe richieste ai prefetti è il più alto in assoluto. Solo a Bergamo oltre 2.300 le richieste.
Uno scenario che appare molto diverso dal lockdown descritto dai media e dall’esecutivo che attira le costanti critiche della Confindustria e le relative pressioni per una veloce riapertura delle aziende.
Già in questi giorni è trapelata la pressione di industriali e organizzazioni padronali per evitare l’istituzione di zone rosse in alcuni dei comuni più colpiti, che ha comportato ritardi nelle misure necessarie a arginare la diffusione del virus. Non dimentichiamo che lo scorso 28 febbraio gli industriali lombardi avevano pubblicato un video dal titolo #Bergamoisrunning per rassicurare i “partner internazionali”, mentre la pandemia si diffondeva.
Solo pochi giorni fa sia gli industriali del Nord che quelli Toscani hanno chiesto con forza al governo la riapertura di tutte le imprese.
«Prolungare il lockdown significa continuare a non produrre – dichiarano gli industriali – perdere clienti e relazioni internazionali, non fatturare con l’effetto che molte imprese finiranno per non essere in grado di pagare gli stipendi del prossimo mese». Ma dati alla mano di quale lockdown si parla?
La bufala degli italiani indisciplinati
I furbi esistono, e nessuno intende difenderli. Ciò che si cerca di analizzare è quale sia nel complesso l’incidenza di questi comportamenti rispetto alla popolazione italiana e quale possa essere l’influenza sull’efficacia delle misure di contenimento, specialmente se raffrontata con i dati sui lavoratori attivi in questo momento.
Un primo dato arriva dalle grandi multinazionali dell’informatica, Apple e Google, che hanno pubblicato i dati ottenuti dai propri strumenti di rilevazione della posizione. Il risultato non lascia spazio a dubbi. Per Apple in Italia gli spostamenti individuali si sono ridotti dell’85% dall’adozione del DPCM dell’8 marzo[1]. Secondo Google, in Italia gli spostamenti verso centri commerciali si sono ridotti del 95%, del 90% verso i parchi, ma solo del 62% verso i luoghi di lavoro[2].
Passando al fronte istituzionale anche i dati raccolti dal Viminale lasciano poco spazio a dubbi.
Con i dati aggiornati al 13 aprile sono state complessivamente elevate 281.718 sanzioni personali ossia appena lo 0,46% della popolazione italiana, dall’inizio delle misure di contenimento[3]. Da questo dato inoltre è impossibile scorporare quanti sono stati sanzionati perché lavoratori in nero e quindi impossibilitati a fornire una giustificazione del loro spostamento.
Nel complesso i giorni di pasqua e pasquetta hanno registrato un incremento ma molto lontano delle persone denunciate e sanzionate. Se in media nel mese di aprile vengono elevate circa 10.000 sanzioni al giorno si è arrivati a 13.756 a Pasqua e 16.545 il lunedì di pasquetta. I denunciati sono rimasti sull’ordine del centinaio al giorno, dato quindi molto contenuto. Un incremento evidente, dipeso anche dalla strategia delle forze di polizia di incrementare i controlli a tappeto. Le file sull’autostrada fotografate altro non erano che le deviazioni obbligatorie nelle aree di servizio predisposte proprio per poter controllare in modo più capillare.
Sfruttatori e sfruttati o buoni e cattivi cittadini
Comportamenti ingiustificati esistono, ma i dati elencati dimostrano che si tratta di percentuali assolutamente irrisorie rispetto al dato ben più cospicuo del numero di lavoratori impegnati ogni giorno. Un numero che incide sugli spostamenti, sui trasporti e diventa il reale veicolo del contagio, ben più di singoli comportamenti indisciplinati.
Però non è un caso che si continui a indicare il dito e non la Luna. La strategia delle classi dominanti è nascondere l’impossibilità di gestire la pandemia assicurando contemporaneamente la tutela della salute collettiva e il mantenimento dei profitti necessari alle imprese.
Additare il comportamento singolo come responsabile primario della diffusione del contagio significa nascondere la verità e individuare un nuovo nemico contro cui indirizzare il sentimento di rabbia collettiva.
Il bombardamento mediatico che punta a far ricadere la colpa sui furbi è una strategia fine per dividere chi sta subendo in questo momento gli effetti e le conseguenze della crisi, tracciando una divisione orizzontale tra le classi popolari. Se il nemico è il furbo e non i capitalisti, mi dovrò guardare dal mio vicino untore e non ragionare in termini generali su quali siano le ragioni strutturali che stanno impedendo quel vero lockdown che sarebbe necessario per sconfiggere il virus. Una strategia sopraffina, che insieme con il fiorire di nuovi gruppi contro gli sbarchi di immigrati – che non hanno alcun collegamento con la diffusione del virus – è il modo per impedire che da questa crisi, le classi popolari escano con chiari riferimenti dei nemici degli interessi e della salute collettiva.
Al posto della divisione tra sfruttatori e sfruttati, quella tra buoni e cattivi cittadini, divisione essenziale in questo momento di crisi. Contrastare questa narrazione è indispensabile per preparare il terreno alle lotte contro le politiche antipopolari che saranno approvate.
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[1] https://www.apple.com/covid19/mobility?fbclid=IwAR2e0R_Spttx96BDQY_zHz-fw_xFJfPpwEfFhCUGIUXNXXLcSZ1zqrAb5dM
[2] https://www.gstatic.com/covid19/mobility/2020-04-05_IT_Mobility_Report_en.pdf?fbclid=IwAR2k3QDjiAH9Pm662TwGAromYJYlHLWfsvPJ0ETmarvxqzObsBv4hHy-83A
[3] https://www.interno.gov.it/it/coronavirus-i-dati-dei-servizi-controllo