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Home›Terza pagina›Gianni Rodari, l’assalto all’ordine linguistico costituito

Gianni Rodari, l’assalto all’ordine linguistico costituito

Di Redazione
14/04/2020
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Quarant’anni fa moriva Gianni Rodari, scrittore tra i più amati della letteratura per l’infanzia nel nostro Paese. Ma anche giornalista e militante comunista, animatore dell’esperienza dei pionieri, grande pedagogista oggi letto e apprezzato in tutto il mondo. È stato il solo italiano a vincere il premio Hans Christian Andersen. 

La vita di Rodari è il paradigma di una fase della nostra storia in cui la migliore intellettualità esprimeva una vocazione progressista e trovava nel comunismo e nelle sue organizzazioni il naturale riferimento ideale e pratico. Rodari è parte di quella stagione straordinaria in cui una parte importante degli intellettuali, abbandonati i panni della forzosa ricerca di autonomia individuale, sentivano di poter aderire organicamente al processo di emancipazione politica della classe operaia dando il loro contributo diretto alla realizzazione di quel cambiamento.

In questo Rodari fu un intellettuale organico al Partito Comunista ancor più di quanto lo furono Calvino, Vittorini, Pasolini, pur facendo parte di quella stessa straordinaria stagione. Ancor di più perché interpretò la sua partecipazione generale alla causa comunista con la dedizione di un operaio comune, privo di qualsiasi protagonismo tipicamente connaturato agli intellettuali. E nonostante questo non si conformò rinunciando alla sua creatività, e a un modo nuovo di intendere la letteratura per ragazzi, avanguardista allora, poco compreso ancora oggi.

Nel 1974, ormai famoso, dichiarò: «Il mio committente non è Einaudi, ma il movimento operaio, per questo faccio il possibile per parlare a tutti, con una lingua chiara, un pensiero limpido»

Rodari militò nella Resistenza tra le fila del Fronte della Gioventù, aderendo al PCI nel 1944. Dopo la guerra fu chiamato a dirigere «l’Ordine Nuovo» all’epoca giornale della federazione comunista di Varese per poi approdare alla redazione milanese dell’Unità. Fu tra i fondatori di «Avanguardia», la rivista della FGCI, e infine redattore di Paese Sera con lo pseudonimo di «Benelux».

Proprio all’Unità Rodari, che da giovane si era diplomato alle scuole magistrali, inizierà la sua carriera di scrittore per ragazzi. L’episodio è ricordato sulle pagine dell’Unità, in una testimonianza scritta all’indomani della morte dello scrittore da Quinto Bonazzola, dirigente del Fronte della Gioventù durante la Resistenza poi sindacalista della Fiom e redattore dell’Unità, che introdusse Rodasi nella redazione milanese del quotidiano comunista.

«Una sera, quasi per scherzo – ricorda Bonazzola – compose una filastrocca per una bambina che conosceva. Sempre quasi per caso, venne pubblicata sull’Unità nell’ «angolo del bambino» della «pagina della donna», di cui si stava ancora definendo la struttura. Una mamma allora scrisse al giornale perché anche al suo bambino malato venisse dedicata una filastrocca. Poi ne scrisse un’altra con un altro pretesto. E Rodari fu quasi costretto a continuare per quella strada. Non avevamo saputo quella sera, noi lì presenti e neanche lui di avere assistito all’inizio di un cammino che avrebbe arricchito la cultura di tutti i ragazzi del mondo».[1]

La rubrica ebbe molto successo, e si inseriva nella strategia comunicativa del PCI che intendeva abbracciare ogni ambito della società. Fu chiamato l’anno seguente a dirigere «il Pioniere» periodico per bambini e ragazzi. L’attivismo del PCI in campo giovanile, che rompeva il secolare monopolio cattolico – interrotto solo e parzialmente dal periodo fascista – suscitò le ire delle gerarchie ecclesiastiche.

Subito dopo la pubblicazione del suo primo libro pedagogico, “Il manuale del Pioniere”, nel 1951 Rodari fu scomunicato dal Vaticano, in quanto “ex-seminarista cristiano diventato diabolico”. Nei cortili delle parrocchie i suoi libri venivano bruciati insieme con il Pioniere per educare le famiglie cattoliche a evitarne la diffusione tra i loro figli.

Messo all’indice in Italia, la fama di Rodari crebbe velocemente nel mondo socialista. Sempre nel 1951 diede alle stampe i sui primi racconti per ragazzi: «Il libro delle filastrocche» prima e «Le avventure di Cipollino» in seguito. Cipollino, rappresenta un giovane ortaggio povero, figlio della povera cipolla, che lotta contro il potere degli ortaggi più ricchi, tra cui il cavaliere Pomodoro e il principe Limone, e alla fine libererà gli ortaggi poveri dall’oppressione dei ricchi e più forti. Non ci vuole molto a vedere in questa storia la metafora della lotta di classe e del processo di liberazione delle classi sociali subalterne proprio della visione marxista.

La fama di Rodari si diffuse nel mondo socialista e in particolare in URSS dove divenne conosciutissimo, apprezzato sia da giovani e oggetto di studio da parte dei pedagogisti sovietici. Ancora oggi Rodari è considerato l’autore italiano per ragazzi più conosciuto nell’est. Nel 1953 fu Paolo Robotti – storico dirigente del PCI – dalle colonne dell’Unità a informare il pubblico italiano del fatto che Cipollino «senza chiedere il passaporto ha superato il “sipario di ferro” ed è andato nell’Unione Sovietica a farsi conoscere […] ed anche nel Paese dei Soviet è piaciuto, è stato ben accolto, ha divertito». Nel suo articolo Robotti riportava i giudizi positivi espressi in URSS complimentandosi con Rodari per aver creato un personaggio che aveva travalicato i confini nazionali, definendo Cipollino un «ambasciatore di tutti i ragazzi italiani agli occhi di quelli sovietici, simbolo della partecipazione della gioventù al movimento democratico progressivo». Il rapporto con l’URSS si interromperà solo con la sua morte, avvenuta proprio a poca distanza dal ritorno da un viaggio in Unione Sovietica, a causa di una complicazione di un intervento alla gamba.  

Ora bisogna considerare che allora – per certi versi come oggi – la letteratura per ragazzi veniva considerata un genere minore. L’impegno intellettuale militante di Rodari fu proprio la ricerca di un approccio innovativo con le nuove generazioni, che trasmettesse le categorie e i valori nuovi della futura società stimolando un senso critico e un’abitudine alla sovversione delle categorie esistenti. Proprio in questo risiede la funzione progressiva delle fiabe, come scrisse nel 1970 su Paese Sera:

«le fiabe sono alleate dell’utopia, non della conservazione. E perciò noi le difendiamo: perché crediamo nel valore educativo dell’utopia, passaggio obbligato dall’accettazione passiva del mondo, alla capacità di criticarlo, all’impegno per trasformarlo»[2]

La fiaba diventa quindi terreno immaginario per innescare un processo di liberazione.  «È difficile – scrive Rodari in Parole per Giocare –  fare le cose difficili: parlare al sordo, mostrare la rosa al cieco. Bambini, imparate a fare le cose difficili: dare la mano al cieco, cantare per il sordo, liberare gli schiavi che si credono liberi».

Come recentemente ha notato chi ha cercato di riscoprire una lettura organica e complessiva della letteratura di Rodari anche la rottura della rigidità grammaticale e sintattica, la valorizzazione dell’errore nella ricerca di strade di comprensione e significati alternativi, diviene modo per esercitare una visione dialettica e di cambiamento della società. «Attraverso la parola noi nominiamo la realtà, facendola nostra, pezzo per pezzo e nelle sue relazioni. E sempre attraverso la parola noi possiamo dare intelligibilità ad ogni possibile cambiamento […] Le tecniche surrealiste che Rodari utilizzava e di cui scrisse con tanta generosità nella Grammatica della Fantasia, erano volte a questo scopo. Non erano solo un gioco e non erano un gioco come un altro. Erano il modo che Rodari trovò perché i meccanismi della creatività umana, rivolti ad un cambiamento sociale collettivo e radicale, potessero sopravvivere ad una fase così contraddittoria come fu quella della seconda parte del secolo scorso, nel mondo ed in Italia»[3]. Forzare lo schema linguistico, con il quale noi leggiamo il mondo significa liberare dialetticamente categorie nuove, strade nuove, nella costruzione di una società nuova.

La questione non sfuggì a un linguista del calibro di Tullio De Mauro, che nel commemorarlo sull’Unità ricordava proprio come «La mancata simpatia per uno scrittore come Rodari ha forse qui la sua ragione. Rodari è stato uno scrittore profondamente plurilingue, uno scompaginatore genialmente irriverente e sapiente dell’ordine linguistico costituito»[4]

L’ordine linguistico costituito come metafora dell’ordine sociale: scardinare idealmente il primo per abituare all’idea che anche il secondo potesse essere rovesciato e mai accettato passivamente.

È in questo che l’approccio di Rodari non diviene mai semplice propaganda rivolta a bambini, ma punta piuttosto a sviluppare un senso critico, una visione dialettica per l’appunto che porta a spingere a scoprire nuove strade, non accontentandosi di accomodarsi al presente. «Il problema – scriveva Rodari su Paese Sera nel 1958 –  non è mai stato tanto quello di trasmettergliene di bell’e fatti, ma quello di avere fiducia nella loro capacità di costruirseli e di usarli».  

Cosa resta di tutto questo? Come in tutti i casi oggi si vorrebbe Rodari innocuo creatore di carine favolette per giovani. Al pari di ogni altro intellettuale comunista la rappresentazione caricaturale che ne sopravvive nel mondo borghese di oggi, punta a distruggere il senso complessivo della sua opera. In ogni caso, anche la contingenza negativa che il movimento comunista attraversa oggi, ci spinge a guardare in quelle figure tutta la portata innovatrice, e ragionare sulla necessità impellente di ripristinare forme di legame organico tra intellettuali e progetto politico di emancipazione delle classi popolari. Costruire in nuove forme quel tipo di legame è essenziale per la ripresa della prospettiva di cambiamento della società, che necessita del contributo di un’intellettualità che si metta al servizio di questo processo.

 

________

[1] L’Unità 16 aprile 1980

[2] G. Rodari, James Bond litigherà con il lupo cattivo?, in Paese sera, 11 dicembre 1970

[3] https://www.resistenze.org/sito/te/cu/po/cupoed15-014332.htm

[4] Tullio De Mauro «Perché è stato tanto ignorato» in L’Unità 16 aprile 1980

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