L’attacco nazista alla Polonia e la Seconda Guerra Mondiale: le pesanti responsabilità britanniche e polacche
“Hitler e Stalin furono collusi nello scatenare la Seconda guerra mondiale. Questo è un fatto. La Polonia fu una vittima di questo orrendo conflitto“, afferma l’ambasciatore americano in Polonia, Georgette Mosbacher, mentre l’ambasciatore tedesco, Rolf Nickel, ha tenuto a ribadire che “La posizione del governo federale è chiara, il patto Molotov-Von Ribbentrop servì a preparare la criminale guerra aggressiva della Germania di Hitler contro la Polonia. L’Unione sovietica partecipò insieme alla Germania alla brutale spartizione della Polonia” (rainews, 30 dicembre 2019)
Non si tratta solo di una evidente falsificazione storiografica per fini di propaganda politica contro una Russia, quella di Putin, che poco ha a che vedere con l’Unione Sovietica che sconfisse il nazifascismo quasi da sola. Possiamo indubbiamente inquadrare tali irresponsabili affermazioni nel più ampio scenario del conflitto interimperialistico in corso.
In realtà tali tesi hanno un ulteriore obiettivo, per quanto secondario, vale a dire mascherare le pesanti responsabilità delle democrazie occidentali e della stessa Polonia nello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, costruendo una memoria “di parte”, strumentale e contrapposta alla oggettiva ricostruzione degli eventi storici, diplomatici e bellici.
Questo piccolo e modesto contributo sulle fasi precedenti il secondo conflitto mondiale vuole invece fare emergere gli scopi reali dell’azione politica e diplomatica delle potenze occidentali che, già all’indomani della fine della Prima Guerra Mondiale, avevano posto tutte le premesse per una seconda guerra mondiale, che avrebbe dovuto essere sferrata contro la Russia rivoluzionaria all’insegna di un unificante antibolscevismo.
Punto di riferimento per questa analisi è la poderosa opera di William L. Shirer “Storia del terzo Reich”. Shirer è stato un giornalista e storico statunitense, inviato prima del Chicago Tribune e poi della CBS nella Germania da Weimar al 1940, anno in cui dovette abbandonare Berlino perché sospettato di essere un spia degli alleati. Sarebbe tornato in Germania qualche anno dopo, per seguire i processi di Norimberga. Vincitore di molteplici premi giornalistici e storici, nella “Storia del terzo Reich” raccoglie la sua esperienza negli anni più difficili e complessi del XX secolo e rende noti al grande pubblico documenti fino a quel momento inediti, riguardanti le concitate fasi che portarono allo scoppio del conflitto.
Un “fatto” su cui tutti gli storici sono d’accordo è che l’Unione Sovietica fu l’unica nazione ad opporsi coerentemente e pervicacemente alla Germania nazista, al punto che dal 1933 al 1947 la popolarità dell’Unione Sovietica nei paesi occidentali, Stati Uniti in testa, era altissima e quasi impossibile da scalfire. Ne è una prova, tra le altre, il sondaggio di opinione, uno dei primi condotti negli Stati Uniti da Gallup, realizzato nel gennaio 1939: alla domanda su chi avrebbero preferito veder uscire vincitore nel caso di conflitto tra URSS e Germania, l’83% degli statunitensi intervistati si pronunciò a favore dell’Unione Sovietica di Stalin (Eric J. Hobsbawn, “Il secolo breve”).
L’altro “fatto” inconfutabile è che, invece, Londra e Parigi furono estremamente morbide verso Berlino; come fortemente minoritaria è l’opinione tra gli storici che tale “morbidezza” derivasse da insipienza, o più precisamente da incapacità di comprendere che la Germania non era “una nazione qualunque, con qualche ragione di sentirsi insoddisfatta della propria condizione, ma era… una potenza fascista”.
L’opinione prevalente, in quanto sostenuta dai lavori e dagli atti diplomatici, è che Londra e Varsavia agissero per indirizzare la politica hitleriana contro l’Unione Sovietica.
Con l’apertura e soprattutto con lo studio degli Archivi del Ministero degli Affari Esteri della Federazione sono emersi i telegrammi crittografati dell’ambasciatore plenipotenziario sovietico a Londra dal 1932 al 1943, Ivan Mikhailovich Maiskij: tanto per fare un esempio, nel 1937 Maiskij comunicò a Mosca che il governo Chamberlain stava sabotando con ogni mezzo i tentativi francesi di costruire un’alleanza con Mosca, Praga e Varsavia, o quantomeno di giungere ad un accordo per il quale la Polonia, se attaccata dai nazisti, avrebbe consentito il necessario passaggio delle truppe sovietiche su suolo polacco.
Solo con lo scoppio della guerra civile spagnola, una parte ancora largamente minoritaria delle classi dirigenti occidentali inizierà ad intuire il pensiero, i cui termini saranno più nettamente definiti da Hobsbawn decenni dopo, in base al quale la seconda guerra mondiale può “essere meglio compresa se la si interpreta non come una lotta tra stati ma come espressione di una guerra civile ideologica internazionale… In questa guerra civile la divisione fondamentale non era quella tra il capitalismo in quanto tale e la rivoluzione sociale comunista, ma era quella che separava due diverse famiglie ideologiche: da un lato i discendenti dell’illuminismo settecentesco e delle grandi rivoluzioni, compresa, ovviamente, la Rivoluzione Russa; dall’altro, i suoi oppositori. In breve il confine non opponeva capitalismo e comunismo, bensì ciò che in termini ottocenteschi si sarebbe definito “progresso” e “reazione”, anche se questi due termini non erano più perfettamente appropriati” (E. Hobsbawn, op.cit.).
Gli eventi storici ci dicono invece che Londra, Parigi e Washington, per non parlare di Varsavia, erano convinti, almeno fino all’invasione nazista dei Sudeti, che la divisione fondamentale fosse quella tra “capitalismo” e “comunismo” e che sostanzialmente il fascismo ed il nazismo potessero essere gestiti come venivano gestite le tradizionali democrazie liberali borghesi, come si può evincere dalle simpatie della monarchia inglese nei confronti di Mussolini e Hitler e dai finanziamenti al führer da parte dei principali gruppi industriali e finanziari statunitensi, Henry Ford in testa, il cui capo non a caso riceveva la tessera numero uno del partito nazionalsocialista tedesco.
Del resto nel sistema capitalistico la “tolleranza”, o se vogliamo la complicità, verso il nazismo è in re ipsa: nel suo rapporto al VII congresso del Comintern (1935), Georgi Dimitrov individua come punto centrale del fascismo il suo carattere reazionario e antioperaio: “… il fascismo non è né un potere al di sopra delle classi, né il potere della piccola borghesia o del sottoproletariato sul capitale finanziario. Il fascismo è il potere dello stesso capitale finanziario. Il fascismo al potere, come lo ha definito la XIII Sessione plenaria del Comitato Esecutivo dell’Internazionale Comunista, è la dittatura terroristica aperta degli elementi più reazionari, più sciovinisti e più imperialisti del capitale finanziario. …”
Di ciò le classi dirigenti occidentali erano consapevoli; ciò che invece solo l’URSS di Stalin aveva capito era che quella dittatura terroristica, di matrice oscurantista, non avrebbe solo fagocitato il primo stato socialista del mondo, ma anche distrutto le fragili democrazie liberali.
A questo punto è doveroso ricordare che, dopo il durissimo Trattato di Brest-Litovsk, con il quale la Russia bolscevica poneva fine alla Prima Guerra Mondiale e cedeva ai tedeschi la Polonia, le province baltiche, l’Ucraina e la Transcaucasica, le potenze alleate, a guerra non ancora conclusa, accerchiarono la Russia sovietica, finanziando e sostenendo militarmente le truppe controrivoluzionarie sconfitte. La guerra civile russa infatti fu soprattutto guerra “contro il capitale mondiale” dirà Lenin, che continuò a respingere coerentemente l’idea che la salvezza della rivoluzione potesse venire dall’appoggiare un blocco imperialista contro l’altro. Ciò in opposizione a tutti i gruppi politici e sociali sconfitti dalla Rivoluzione, che invece auspicavano l’intervento straniero, ancora prima dell’Ottobre: dagli zaristi alla borghesia russa ed ai generali korniloviani, e poi i menscevichi e Kerensky, tutti andavano elemosinando l’appoggio di questa o quella potenza occidentale.
In una prima fase del conflitto contro la Russia, coincidente con l’ultima fase della guerra mondiale, l’apporto delle varie truppe nazionali fu piuttosto ridotto e non coordinato, rivestendo forme diverse e adottando strategie belliche talora confliggenti: tedeschi, giapponesi e anglo-franco-americani intervenivano in ordine sparso, con una notevole dispersione di uomini e mezzi. L’armistizio del novembre 1918 tra le potenze dell’Intesa e gli Imperi Centrali conteneva nell’articolo 12 una clausola che stabiliva che le truppe tedesche sarebbero rimaste nei territori russi fino a quando gli alleati lo avessero ritenuto opportuno. Banale dedurre contro chi sarebbero state impegnate di lì a poco quelle truppe.
Con la fine della guerra mondiale, la questione russa divenne il principale punto all’ordine del giorno della conferenza di pace di Parigi e l’intervento occidentale si fece massiccio ed implacabile: una coalizione di 14 Paesi, Gran Bretagna, Serbia, Francia, Cina, Giappone, Finlandia, Germania, Grecia, Italia, Polonia, Stati Uniti, Romania, Cecoslovacchia e Turchia, inviò truppe che invasero i territori della Repubblica Socialista Sovietica senza neppure dichiarare guerra, un precedente che risulterà poi utile al Terzo Reich per scatenare in sequenza le sue guerre di invasione.
Fu così che vincitori e vinti si trovarono immediatamente d’accordo nel porre il governo bolscevico sotto attacco militare lungo più fronti e nel più completo isolamento sia diplomatico, ritirando i propri rappresentanti da Mosca e mettendo al bando i pochi delegati bolscevichi all’estero, sia economico, con le navi sovietiche sequestrate in rada nei porti occidentali ed un blocco commerciale totale, dai medicinali ai viveri, anche questo antesignano dei futuri blocchi contro gli altri Paesi socialisti o antiimperialisti. I vecchi nemici diventavano, da un giorno all’altro, alleati contro la Russia rivoluzionaria, con l’Inghilterra di Lloyd George e Winston Churchill quale coordinatrice degli interventi controrivoluzionari internazionali.
Solo quando l’Armata Rossa entra a Vladivostok il 19 ottobre 1922 si potrà affermare che, contro ogni aspettativa, la Repubblica dei Soviet aveva ormai vinto militarmente, ponendo fine alla guerra internazionale e a quella civile scatenata dalle forze controrivoluzionarie, guerra per la quale la Russia rivoluzionaria aveva pagato un ulteriore ed enorme prezzo di sangue: oltre 7 milioni di morti, uomini, donne e bambini.
Ma il conflitto non finiva lì: sul fronte interno, gli occidentali continuarono ad adoperarsi negli intrighi controrivoluzionari che spuntavano in ogni angolo della Russia, dando vita ad ingerenze, complotti più o meno espliciti, sabotaggi più o meno gravi, oltre che all’ovvio appoggio politico e finanziario alle forze zariste e controrivoluzionarie ed alle falsificazioni giornalistiche e storiche. Nessun contatto, se non per via assolutamente informale, continuò ad essere stabilito con il governo sovietico e l’isolamento diplomatico perdurò per più di quindici anni dalla rivoluzione d’ottobre (1917): se Italia, Francia e Gran Bretagna riconobbero l’URSS solo nel 1924, gli Stati Uniti la riconobbero addirittura alla fine del 1933, quando l’espansionismo giapponese nel Pacifico iniziava a preoccupare seriamente gli americani, e l’URSS venne ammessa nella Società delle Nazioni solo nel 1934.
Sotto la bandiera dell’antibolscevismo appena 4 anni dopo la fine della Prima Guerra Mondiale erano state quindi poste le premesse per una seconda guerra mondiale che, nelle intenzioni di Londra e Parigi, avrebbe dovuto essere scatenata contro l’Unione Sovietica.
L’antibolscevismo era un ottimo alibi per coprire interessi di portata vastissima, se consideriamo che l’impero zarista era una sorta di semi-colonia assoggettata agli interessi economici e finanziari inglesi, francesi e tedeschi: prima dell’Ottobre gli anglo-francesi controllavano il 75% della produzione di carbone, ferro e acciaio e più del 50% del petrolio russi, così per fare solo l’esempio dei settori energetici e siderurgici, mentre è stato calcolato che l’ammontare degli investimenti di Francia e Gran Bretagna in Russia arrivava a un miliardo e seicento milioni di sterline, ovvero otto miliardi di dollari. Centinaia di milioni di sterline e di franchi erano estratti ogni giorno dal lavoro dei proletari e dei contadini russi per ripagare gli investimenti stranieri nel regime zarista.
Troppo lungo e dispersivo sarebbe riportare i verbali dei dibattiti nei parlamenti occidentali tra il 1919 ed il 1922, gli articoli dei principali organi di stampa della finanza internazionale e i rapporti delle principali imprese del settore petrolifero ed estrattivo occidentali. Giusto qualche esempio come il Japan Salesman:
“La Russia, con i suoi 180 milioni di abitanti, con il suo fertile suolo che si estende dall’Europa centrale lungo tutta l’Asia fino alle spiagge del Pacifico e dall’Artico fino al Golfo Persico e il Mar Nero…offre delle possibilità a cui nemmeno il più ottimista avrebbe mai osato pensare…la Russia, in teoria e in pratica è il granaio, la riserva di pesca, il deposito di legname, la miniera di carbone, oro, argento e platino del mondo”. R. Martens & co. (il più grande gruppo del carbone britannico dell’epoca, ndr) sul suo giornale aziendale: “La Russia possiede delle riserve di petrolio sfruttabili seconde sole a quelle degli Stati Uniti. Secondo stime pubblicate dall’International Geological Congress, il bacino del Donec (dove stava operando il generale Denikin, ndr) possiede più di tre volte la riserva di antracite della Gran Bretagna e quasi due volte la quantità a disposizione degli Stati Uniti”. Il Bulletin della Federazione delle Industrie Britanniche “Siberia, il premio più grande offerto al mondo civilizzato dalla scoperta delle Americhe!”. “In quanto a petrolio Baku è incomparabile…Baku è più grande di qualsiasi altra città petrolifera del mondo. Se il petrolio è re, Baku è il suo trono” così tuonava The Near East, giornale finanziario britannico. E Sir Francis Baker, presidente del Comitato Esecutivo della Camera di Commercio Russo-Britannica durante un banchetto così si espresse: “Facciamo i nostri auguri all’ammiraglio Kolcak e al generale Denikin. Alzo il bicchiere e vi chiedo di brindare alla salute dell’ammiraglio Kolcak, del generale Denikin e del generale Judenic! La Russia è un grande paese. Lo sapete tutti, perché siete tutti intimamente legati a essa nei vostri affari, quali sono le potenzialità della Russia dal punto di vista delle manifatture, dei minerali o di ogni altra cosa, perché la Russia ha tutto” (in “The Great Conspiracy: The Secret War Against Soviet Russia”, Albert E. Kahn – Michael Sayers, Boston, 1946).
Uno dei primi atti del governo bolscevico fu la nazionalizzazione dei monopoli economici dell’ormai ex impero zarista: miniere, mulini, fabbriche, pozzi di petrolio e le altre grandi imprese economiche furono dichiarati proprietà del popolo sovietico. Il governo dei Commissari del Popolo ripudiò inoltre l’iniquo debito estero, contratto dal regime zarista principalmente per finanziare la repressione dei moti popolari.
A questo punto di fronte alla sconfitta militare l’azione contro la Repubblica dei Soviet si sviluppa lungo tre direttrici fondamentali: in primo luogo, si assiste al tentativo diplomatico di dare vita ad un nuovo sistema internazionale quale camera di compensazione degli interessi imperialistici, sistema del quale la Germania, mutilata e schiacciata dai debiti di guerra ma al tempo stesso al centro degli investimenti occidentali per la ricostruzione post – bellica, facesse parte a pieno titolo, tanto da venire ammessa nella Società delle Nazioni nel 1926; in secondo luogo, il tentativo di far collassare il giovane stato sovietico dall’interno, attraverso non solo l’isolamento economico e commerciale, ma anche sabotaggi e cospirazioni; ed è in questo contesto che dovrebbe essere analizzata la politica interna sovietica dal 1922 al 1939. Infine, l’emergere in tutti gli stati liberali di movimenti nazionalistici e anticomunisti, più o meno apertamente sostenuti e finanziati dal grande capitale, con l’obiettivo dichiarato di reprimere le rivendicazioni operaie e contadine, avrebbe trovato una prima massima espressione nel regime fascista e il suo compimento nel nazifascismo hitleriano.
Versailles, la Società delle Nazioni, Rapallo, Locarno, il Piano Dewes, il Patto Briand-Kellog, il Piano Young sono tutti tasselli di un nuovo sistema internazionale che, seppure in equilibrio instabile, sembrava consentire il giusto contemperamento tra la dura politica “esecuzionista” del governo francese nei confronti della Germania e la più flessibile azione anglosassone di inclusione della Germania in un’ottica antisovietica. Le aspirazioni anglosassoni naufragarono nei fatti a Wall Street nel 1929, che accelerò il deterioramento del precario equilibrio di Versailles: Mussolini reggeva ormai saldamente il potere in Italia e in politica estera, almeno fino a che Dino Grandi ricoprì il ruolo di ministro degli Esteri, poteva ergersi a coordinatore di una graduale azione di revisione del sistema di Versailles; Hitler, dopo le prime battute d’arresto, spazzava via l’evanescente Repubblica di Weimar, mentre i giapponesi creavano su territorio cinese lo stato fantoccio del Manchukuo, in aperto conflitto con la Cina e gli Stati Uniti.
Era evidente a tutti gli attori internazionali che il sistema di Versailles non fosse più riproponibile, ma le cancellerie occidentali, ed in particolare Londra, continuavano a ritenere che, pur non potendo impedire una rinascita della potenza tedesca, tale rinascita fosse tuttavia gestibile nell’ottica del gradualismo delle concessioni e soprattutto indirizzabile contro l’Unione Sovietica.
Hitler dimostrava una spregiudicatezza diplomatica inusitata, accettando tutti i tavoli ai quali la Germania veniva chiamata: così mentre usciva dalla Società delle Nazioni (1934), avviava aleatori negoziati sul disarmo; mentre concludeva con una miope Varsavia un patto decennale di non aggressione (1934), si annetteva la Saar (1935) e ripristinava la coscrizione obbligatoria, violando uno dei punti cardine del trattato di Versailles. Si formò un fragile fronte di Stresa fra Italia, Francia e Gran Bretagna per ribadire l’indipendenza dell’Austria, fronte che andò quasi immediatamente in frantumi di fronte all’aggressione italiana all’Etiopia. La ferma opposizione soprattutto britannica alla politica italiana in Africa spinse Mussolini, nel frattempo liberatosi di Grandi, sempre più vicino ad un’intesa con il Reich tedesco, intesa che divenne vera e propria collaborazione bellica nella guerra civile spagnola. Troppo lungo sarebbe in questa sede analizzare le pesanti responsabilità di Francia e Gran Bretagna nella vittoria di Franco in Spagna e nel conseguente rafforzamento del fronte internazionale fascista.
Con il pretesto di un innocuo trattato franco-sovietico, Hitler avviò poi la rimilitarizzazione della Renania e acquisiva il via libera italiano per un accordo tra Vienna e Berlino con il quale l’Austria si definiva stato tedesco, preludio all’Anschluss. Ma nemmeno la denuncia degli accordi di Locarno valse a mostrare che la politica di appeasement – di compromesso – nei confronti dell’aggressività nazista sortiva l’effetto diametralmente opposto, ossia alimentare l’aggressività tedesca. Lungo questa linea autolesionista la Gran Bretagna decide di acconsentire anche al riarmo navale tedesco, accettando in un accordo militare la parità dei sommergibili.
La crescente arrendevolezza delle democrazie borghesi di fronte a Hitler e la propensione francese a porsi a rimorchio di Londra convincono il Führer della validità della propria tattica spregiudicata, rafforzandolo nella convinzione di potersi spingere ben oltre un mero riequilibrio dell’assetto uscito da Versailles e di arrivare ad una guerra a Occidente, guerra che riteneva ineluttabile, solo dopo essersi assicurato il Lebensraum ad est. Con la conferenza di Monaco del settembre 1939, nata da un accorato appello di Chamberlain a Mussolini e dalla quale venne deliberatamente esclusa l’Unione Sovietica, la Cecoslovacchia viene servita su un piatto d’argento a Hitler: per insipienza, codardia, o bieche manovre di piccolo cabotaggio, tutte le richieste tedesche a danno della giovane repubblica cecoslovacca vennero accettate senza colpo ferire, dietro l’espressa valutazione che un conflitto per la difesa della Cecoslovacchia avrebbe significato un’intollerabile alleanza con l’Unione Sovietica. Il 15 marzo 1939 i nazisti procedevano alla liquidazione di ciò che restava del mutilato stato cecoslovacco.
“Il 21 marzo 1939 è un giorno memorabile nella storia della marcia dell’Europa verso la guerra” così introduce la descrizione delle ultime settimane che portarono allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale William L. Shirer nella sua opera in due volumi “Storia del Terzo Reich”. “Quel giorno a Berlino, Varsavia e Londra si ebbe un’intensa attività diplomatica. Il presidente della Repubblica francese, accompagnato dal ministro degli Esteri Bonnet, giunse nella capitale britannica per una visita ufficiale. Chamberlain propose ai francesi che i due paesi si associassero alla Polonia e all’Unione Sovietica per dichiarare formalmente che le quattro nazioni si sarebbero immediatamente consultate sui provvedimenti da prendere per impedire ogni ulteriore aggressione in Europa. Proprio come l’anno precedente, dopo l’Anschluss, Litvinov tre giorni prima aveva proposto una conferenza europea, questa volta fra Francia, Gran Bretagna, Polonia, Russia, Romania e Turchia; tali paesi avrebbero dovuto coalizzarsi per fermare Hitler. Ma il primo ministro britannico aveva giudicato l’idea “prematura”. Egli non nutriva alcuna fiducia in Mosca e pensava che una dichiarazione da parte delle quattro potenze, inclusa l’Unione Sovietica, fosse il massimo cui si poteva giungere. La proposta di Chamberlain fu trasmessa a Beck, a Varsavia, dall’ambasciatore britannico il giorno stesso, 21 marzo. Essa incontrò un’accoglienza piuttosto fredda per quanto riguarda la partecipazione dell’URSS. Nei riguardi dell’Unione Sovietica il ministro degli Esteri polacco era ancora più diffidente di Chamberlain e inoltre condivideva le idee del primo ministro britannico circa lo scarso valore militare da parte sovietica. Egli mantenne tale convinzione fino al momento del disastro. Ma l’avvenimento più decisivo per la Polonia ebbe luogo a Berlino sempre il 21 marzo. Ribbentrop pregò l’ambasciatore polacco di recarsi da lui a mezzogiorno. Come Lipski notò in una sua successiva relazione, per la prima volta il ministro degli esteri tedesco fu nei suoi confronti non solo freddo ma addirittura aggressivo. Lo avvertì che il Führer “era sempre più sorpreso dell’atteggiamento della Polonia”. La Germania esigeva una risposta soddisfacente alle sue richieste circa Danzica, nonché circa l’autostrada e la linea ferroviaria attraverso il corridoio…Per essa l’unica salvezza era “una ragionevole amicizia con la Germania e il suo Führer”; ciò comportava una comune “politica antisovietica”…Brauchitsch (capo dell’Oberkommando des Heeres – OKH, ossia Comandante in Capo dell’Esercito – ndr) annotò “Per il momento il Führer non intende risolvere il problema polacco. Tuttavia dovremmo essere preparati. La sua soluzione in un prossimo futuro dipenderà dal presentarsi di condizioni politiche particolarmente favorevoli. In questo caso la Polonia riceverà un colpo tale che dovrà essere eliminata come forza politica per qualche decennio. Il Führer ha in mente, per questa soluzione, una linea di confine spostata dalla frontiera a est della Prussia orientale fino al limite orientale dell’Alta Slesia (la frontiera orientale della Germania ante Prima Guerra Mondiale, il cui ripristino presupponeva la scomparsa della Polonia, ndr)”.
Hitler, i cui obbiettivi comprendevano l’eliminazione dell’Unione Sovietica e delle “plutocrazie” occidentali, continuava a sfruttare pro domo sua le pulsioni antisovietiche polacche e occidentali per la definizione di un’azione diplomatica nazista originale e molto spregiudicata.
Continua Shirer “La sera del 30 marzo, Kennard (ambasciatore britannico a Varsavia, ndr) presentò a Beck una proposta anglo-francese per un patto di mutua assistenza in caso di aggressione tedesca. Il telegramma di istruzioni a Kennard teneva esplicitamente in disparte l’Unione Sovietica: “Appare sempre più evidente che i nostri sforzi per consolidare la situazione saranno frustrati qualora l’Unione Sovietica venisse apertamente inclusa nel nostro progetto. Telegrammi inviatici recentemente da un gran numero di rappresentanze diplomatiche di Sua Maestà all’estero, ci hanno avvertito che l’inclusione della Russia non solo pregiudicherebbe il successo del nostro sforzo costruttivo ma provocherebbe altresì un rafforzamento delle relazioni fra i partecipanti al patto anti- Comintern, e susciterebbe apprensione in alcuni governi amici”. Ma anche questo passo fu sopravanzato dagli avvenimenti. Nuove informazioni sulla possibilità di un imminente attacco tedesco contro la Polonia spinsero il governo inglese a chiedere a Beck, quella stessa sera, se non aveva nulla da obiettare a una temporanea garanzia dell’indipendenza polacca da parte britannica…il giorno seguente, 31 marzo, Chamberlain fece ai Comuni la storica dichiarazione che la Gran Bretagna e la Francia avrebbero dato al governo polacco tutto l’appoggio in loro potere se la Polonia, attaccata, avesse opposto resistenza. A tutti coloro che si trovavano a Berlino in quell’ultima settimana del marzo 1939 (come fu il caso dell’autore del presente libro), l’improvvisa garanzia unilaterale data alla Polonia dalla Gran Bretagna sembrò incomprensibile, nonostante essa fosse ben accetta alle nazioni a ovest e a est della Germania…sia nel 1936, quando i tedeschi marciarono nella smilitarizzata Renania, sia nel 1938, quando occuparono l’Austria e minacciarono una guerra europea se non fossero stati ceduti i Sudeti, e perfino due settimane prima, quando si impadronirono della Cecoslovacchia – la Gran Bretagna e la Francia, con l’appoggio dell’URSS, avrebbero potuto intervenire e arrestare facilmente Hitler. Ma Chamberlain …aveva evitato ogni intervento; non solo: era andato fuori strada, aveva rischiato, come egli stesso riconobbe, la sua carriera politica nell’aiutare Adolf Hitler ad ottenere ciò che voleva dai paesi confinanti. Nulla aveva fatto per salvare l’indipendenza dell’Austria, e si era associato al dittatore tedesco nel distruggere l’indipendenza della Cecoslovacchia, l’unica nazione veramente democratica ai confini orientali della Germania, l’unico paese amico dell’Occidente in grado di appoggiare la Società delle Nazioni e il principio della sicurezza collettiva. Egli non aveva neppure tenuto conto dell’importanza che, dal punto di vista militare, avrebbero avuto per l’Occidente le trentacinque divisioni cecoslovacche, ben addestrate e ben armate, trincerate dietro potenti fortificazioni montane, in un momento in cui la Gran Bretagna poteva mandare in Francia soltanto due divisioni e l’esercito tedesco non era in grado di combattere su due fronti, e, secondo l’opinione degli stessi generali tedeschi, neppure di sfondare le difese cecoslovacche (…) Comunque l’azione precipitosa del primo ministro, per quanto tardiva, pose Hitler di fronte a una situazione completamente nuova. Da quel momento, l’Inghilterra sembrava intenzionata ad arrestare ogni altra sua aggressione.”.
Sul fronte russo il 10 marzo 1939 Stalin tenne a Mosca un lungo discorso nella prima seduta del diciottesimo Congresso del Partito Comunista dell’URSS che, per il momento storico nel quale si inserisce, merita che ne siano riportati gli stralci più significativi:
“La Germania, seriamente danneggiata dalla prima guerra imperialistica e dalla pace di Versailles, si è unita al Giappone e all’Italia e ha reclamato l’allargamento dei suoi territori in Europa e la restituzione delle colonie di cui è stata privata dai vincitori della prima guerra imperialistica. Così è venuto formandosi il blocco dei tre Stati aggressori. La questione di una nuova ripartizione del mondo per mezzo della guerra era posta all’ordine del giorno. Ed ecco gli avvenimenti più importanti del periodo considerato, che hanno segnato l’inizio della nuova guerra imperialistica. Nel 1935 l’Italia ha aggredito l’Abissinia e se ne è impadronita. Nell’estate del 1936, la Germania e l’Italia hanno intrapreso un intervento militare in Spagna, durante il quale la Germania si è installata nel Nord della Spagna e nel Marocco spagnolo, e l’Italia nel Sud della Spagna e nelle isole Baleari. Nel 1937, il Giappone, dopo essersi impadronito della Manciuria, ha invaso la Cina Settentrionale e Centrale, ha occupato Pechino, Tientsin, Shangai e ha incominciato ad eliminare dalle zone occupate i propri concorrenti stranieri. All’inizio del 1938, la Germania ha occupato l’Austria, e, nell’autunno del 1938, la regione dei Sudeti della Cecoslovacchia. Alla fine del 1938, il Giappone ha occupato Canton e all’inizio del 1939, l’isola di Hainan…Dopo la prima guerra imperialistica, gli Stati vincitori, soprattutto l’Inghilterra, la Francia e gli Stati Uniti d’America, avevano creato un nuovo regime di rapporti tra i paesi, il regime di pace del dopo-guerra. Questo regime aveva per basi principali, nell’Estremo Oriente, il trattato delle nove potenze, e, in Europa, il trattato di Versailles e un’intera serie di altri trattati. La Società delle Nazioni era stata chiamata a regolare le relazioni tra i paesi entro i limiti di questo regime sulla base di un fronte unico degli Stati, sulla base della difesa collettiva della sicurezza degli Stati. Tuttavia, i tre Stati aggressori e la nuova guerra imperialistica da essi scatenata hanno rovesciato da cima a fondo tutto questo sistema del regime di pace del dopo-guerra. Il Giappone ha fatto a pezzi il trattato delle nove potenze; la Germania e l’Italia hanno fatto a pezzi il trattato di Versailles. Per avere libertà d’azione, questi tre Stati sono usciti dalla Società delle Nazioni. La nuova guerra imperialistica è diventata un fatto. Ma non è tanto facile nella nostra epoca rompere di colpo i propri vincoli e gettarsi senz’altro nella guerra, senza tener conto dei trattati di ogni genere, né dell’opinione pubblica. Ciò sanno abbastanza bene gli uomini politici borghesi. E non meno bene lo sanno i caporioni fascisti. Ecco perché, prima di gettarsi in guerra, i caporioni fascisti hanno deciso d’imbottire i crani nel solito modo all’opinione pubblica, ossia di confonderla, d’ingannarla…Ma la guerra è inesorabile. Non c’è velo che possa nasconderla. Poiché nessun «asse», nessun «triangolo», nessun «patto anticomintern» può nascondere il fatto che nel frattempo il Giappone si è impadronito di un enorme territorio in Cina, l’Italia dell’Abissinia, la Germania dell’Austria e della regione dei Sudeti, la Germania e l’Italia insieme della Spagna, e tutto ciò contro gli interessi degli Stati non aggressori. Così la guerra rimane la guerra, il blocco militare degli aggressori un blocco militare e gli aggressori restano degli aggressori. Il tratto caratteristico della nuova guerra imperialistica è che non è ancora diventata una guerra generale, una guerra mondiale. Gli Stati aggressori fan la guerra colpendo in tutti i modi gli interessi degli Stati non aggressori, prima di tutto quelli dell’Inghilterra, della Francia e degli Stati Uniti d’America, e questi ultimi indietreggiano e cedono, facendo agli aggressori una concessione dopo l’altra. Così noi assistiamo a un’aperta nuova ripartizione del mondo e delle sfere d’influenza a spese degli interessi degli Stati non aggressori, senza nessun tentativo di resistenza e perfino con una certa condiscendenza da parte loro. Sembra incredibile, ma è un fatto. Come spiegare questo carattere unilaterale e strano della nuova guerra imperialistica? Come è potuto accadere che i paesi non aggressori, i quali dispongono di enormi possibilità, abbiano rinunciato così facilmente e senza resistere alle loro posizioni e ai loro impegni per compiacere agli aggressori? E’ ciò forse dovuto alla debolezza degli Stati non aggressori? Evidentemente, no! Gli, Stati democratici non aggressori, presi insieme, sono indiscutibilmente più forti degli Stati fascisti, sia dal punto di vista economico che da quello militare. Come spiegare allora le concessioni che questi Stati fanno sistematicamente agli aggressori? (…) Il motivo principale è costituito dalla rinuncia da parte della maggioranza dei paesi non aggressori, e innanzi tutto dell’Inghilterra e della Francia, alla politica della sicurezza collettiva, alla politica della resistenza collettiva contro gli aggressori, dal loro passaggio alla posizione del non intervento, alla posizione della «neutralità». Formalmente, la politica del non intervento si potrebbe caratterizzare in questo modo. «Che ogni paese si difenda dagli aggressori come vuole e come può; noi non ci entriamo e faremo degli affari tanto con gli aggressori quanto con le loro vittime». In realtà, però, la politica del non intervento significa la condiscendenza all’aggressione, lo scatenamento della guerra, e, di conseguenza, la sua trasformazione in guerra mondiale. Dalla politica del non intervento trapela la volontà, il desiderio di non ostacolare gli aggressori nella loro tenebrosa azione; di non impedire, per esempio, al Giappone di ingolfarsi in una guerra contro la Cina o, ancor meglio, contro l’Unione Sovietica; di non impedire, per esempio, alla Germania di impegolarsi negli affari europei e di ingolfarsi in una guerra contro l’Unione Sovietica; di lasciare che tutti i belligeranti sprofondino nel pantano della guerra, di incoraggiarli di nascosto, di lasciare che si indeboliscano e si logorino reciprocamente, e poi, quando saranno sufficientemente spossati, farsi avanti con forze fresche, agire, naturalmente, «negli interessi della pace» e dettare ai belligeranti indeboliti le proprie condizioni. Con poca spesa ed elegantemente! (…) Oppure prediamo, ad esempio la Germania. Le hanno ceduto l’Austria, nonostante l’impegno assunto di difenderne l’indipendenza; le hanno ceduto la regione dei Sudeti, hanno abbandonato in balia della sorte la Cecoslovacchia, violando ogni specie di impegno, e poi hanno cominciato con gran fracasso a mentire sulla stampa a proposito della «debolezza dell’esercito russo», della «decomposizione dell’aviazione russa», dei «disordini» nell’Unione Sovietica, spingendo i Tedeschi più avanti verso l’Oriente, promettendo loro una facile preda e ripetendo loro: «Basta che voi cominciate la guerra contro i bolscevichi, poi tutto andrà bene». Bisogna riconoscere che anche questo assomiglia molto a un incitamento, a un incoraggiamento all’aggressore. E’ caratteristico il chiasso sollevato dalla stampa anglo-francese e nord-americana in merito all’Ucraina Sovietica. I rappresentanti di questa stampa hanno gridato fino alla raucedine che i Tedeschi marciavano contro l’Ucraina Sovietica, che essi avevano ora in mano la cosiddetta Ucraina Carpatica con una popolazione di circa 700 mila abitanti, che i Tedeschi, non più tardi della primavera di quest’anno, avrebbero annesso alla cosiddetta Ucraina Carpatica l’Ucraina Sovietica che ha più di 30 milioni di abitanti. Sembra che questo fracasso sospetto avesse per scopo di provocare la collera dell’Unione Sovietica contro la Germania, di avvelenare l’atmosfera e di provocare senza motivi palesi un conflitto con la Germania (…) E ancora più caratteristico che alcuni uomini politici e rappresentanti della stampa dell’Europa e degli Stati Uniti d’America, avendo perduto la pazienza nell’aspettare «la marcia sull’Ucraina Sovietica», cominciano essi stessi a smascherare i veri motivi della politica di non intervento. Essi dicono apertamente e scrivono nero su bianco che i Tedeschi li hanno crudelmente «delusi», poiché, invece di spingersi più avanti verso Oriente, contro l’Unione Sovietica, essi, vedete, si sono rivolti verso Occidente e reclamano delle colonie. Si potrebbe ritenere che si sono cedute ai Tedeschi le regioni della Cecoslovacchia come compenso, per l’impegno assunto di iniziare la guerra contro l’Unione Sovietica, e che i Tedeschi si rifiutano ora di pagare la cambiale e mandano a spasso i creditori. Non ho nessuna intenzione di fare della morale sulla politica di non intervento, di parlare di tradimento, di fellonia, ecc. È ingenuo predicare la morale a gente che non riconosce la morale umana. La politica è la politica, come dicono i vecchi e consumati diplomatici borghesi. È necessario, però rilevare che il grande e pericoloso giuoco politico iniziato dai partigiani della politica di non intervento può terminare con un loro grave fallimento. Tale è il vero aspetto della politica di non intervento oggi imperante. Tale la situazione politica nei paesi capitalistici. (…) Il pacifismo e i progetti di disarmo sono stati sotterrati. Essi sono stati sostituiti dalla febbre degli armamenti. Tutti hanno cominciato ad armarsi, sia i piccoli, sia i grandi Stati, soprattutto gli Stati che applicano la politica di non intervento. Nessuno crede più ai discorsi melliflui secondo cui le concessioni di Monaco agli aggressori e gli accordi di Monaco avrebbero inaugurato una nuova era di «pacificazione». Non vi credono neanche gli stessi partecipanti all’accordo di Monaco, l’Inghilterra e la Francia, che non meno degli altri Stati si son messi a rafforzare i loro armamenti. E’ chiaro che l’U.R.S.S. non poteva restare indifferente di fronte a questi minacciosi avvenimenti. Non vi è dubbio che ogni guerra, anche piccola, iniziata dagli aggressori in qualunque punto sperduto del mondo, rappresenta un pericolo per i paesi pacifici. Tanto più serio è il pericolo costituito dalla nuova guerra imperialistica che ha già trascinato nella sua orbita più di 500 milioni di abitanti dell’Asia, dell’Africa, dell’Europa. Perciò, il nostro paese, pur applicando con fermezza la politica del mantenimento della pace, nello stesso tempo ha sviluppato un serio lavoro per rafforzare il valore combattivo del nostro Esercito Rosso, della nostra Marina militare Rossa. Nello stesso tempo, allo scopo di rafforzare le proprie posizioni internazionali, l’Unione Sovietica ha deciso di prendere certi altri provvedimenti. Verso la fine del 1934, il nostro paese è entrato nella Società delle Nazioni, ritenendo che la Società delle Nazioni, nonostante la sua debolezza, potesse tuttavia servire come tribuna per smascherare gli aggressori e come strumento, sia pur debole, di pace, atto a frenare lo scatenamento della guerra. L’Unione Sovietica ritiene che, in un periodo agitato come questo, non si debba trascurare neanche un’organizzazione internazionale così debole come la Società delle Nazioni. Nel maggio 1935 è stato concluso un trattato di mutua assistenza tra la Francia e l’Unione Sovietica, contro un eventuale attacco degli aggressori. In pari tempo veniva concluso un trattato analogo con le Cecoslovacchia. Nel marzo del 1936, l’Unione Sovietica ha concluso un trattato di mutua assistenza con la Repubblica Popolare della Mongolia. Nell’agosto del 1937 è stato concluso un trattato di non aggressione tra l’Unione Sovietica e la Repubblica Cinese. In queste difficili condizioni internazionali, l’Unione Sovietica ha applicato la sua politica estera, difendendo la causa del mantenimento della pace. La politica estera dell’Unione Sovietica è chiara e comprensibile.
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Noi siamo per la pace e per il rafforzamento dei rapporti d’affari con tutti i paesi; siamo e resteremo su questa posizione, nella misura in cui questi paesi manterranno gli stessi rapporti con l’Unione Sovietica, nella misura in cui non cercheranno di violare gli interessi del nostro paese.
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Noi siamo per dei rapporti pacifici, amichevoli e di buon vicinato con tutti i paesi che hanno un confine comune con l’U.R.S.S.; siamo e resteremo su questa posizione, nella misura in cui questi paesi manterranno gli stessi rapporti con l’Unione Sovietica, nella misura in cui essi non cercheranno di attentare, direttamente o indirettamente, all’integrità e all’inviolabilità dei confini dello Stato Sovietico.
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Noi siamo per l’appoggio ai popoli vittime di un’aggressione e che lottano per l’indipendenza della patria.
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Noi non temiamo le minacce degli aggressori e siamo pronti a rispondere con un doppio colpo a quello dei fautori di guerra che cerchino di violare i confini sovietici.
Tale la politica, estera dell’Unione Sovietica.
(…)
I compiti del Partito nel campo della politica estera sono i seguenti:
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Continuare la politica di pace e di rafforzamento dei rapporti d’affari con tutti i paesi;
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Essere prudenti e non lasciar trascinare in conflitti il nostro paese dai provocatori di guerra abituati a far cavare dagli altri le castagne dal fuoco;
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Rafforzare in tutti i modi la potenza combattiva del nostro Esercito Rosso e della Marina militare Rossa;
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Rafforzare i rapporti internazionali di amicizia con i lavoratori di tutto il mondo, interessati a conservare la pace e l’amicizia tra i popoli.”
(Stalin, Rapporto tenuto al XVIII Congresso del Partito Comunista (bolscevico) dell’U.R.S.S., in Opere complete).
Shirer nella sua opera riprende alcuni passaggi del discorso di Stalin:
“Dal discorso di Stalin e dai vari contatti diplomatici che subito seguirono, risultò che la politica estera sovietica, per quanto cauta, era ancora molto aperta. “Sono parole assai significative – annota l’11 marzo 1939 Joseph E. Davies, già ambasciatore americano a Mosca e ora in servizio a Bruxelles – esse ammoniscono una volta per tutte i governi britannico e francese che i sovietici sono ormai stanchi dell’opposizione “non realistica” agli aggressori…Si tratta senza dubbio del segnale d’allarme più significativo che abbia mai udito” Il 21 marzo egli scriveva al senatore Key Pittman “Hitler sta facendo uno sforzo disperato per staccare Stalin dalla Francia e dalla Gran Bretagna. Se gli inglesi e i francesi non si sveglieranno, temo che vi riuscirà”. La garanzia unilaterale data dal governo britannico alla Polonia il 31 marzo contribuì probabilmente a convincere Stalin che la Gran Bretagna preferiva un’alleanza coi polacchi a un’alleanza coi sovietici e che Chamberlain si adoperava, come già ai tempi di Monaco, per tenere l’Unione Sovietica fuori del concerto delle potenze europee. Ivan Majskij (ambasciatore sovietico a Londra, ndr) disse in seguito al deputato conservatore Robert Boothby che il rifiuto della proposta sovietica (di una conferenza di pace, ndr) era stato un colpo disastroso alla politica per un’effettiva sicurezza collettiva, e che ciò aveva segnato il destino di Litvinov (…) Nello stesso giorno dell’incontro tra Göring e Mussolini, il 16 aprile 1939, il commissario agli Esteri sovietico ricevette l’ambasciatore britannico a Mosca e avanzò la formale proposta di un patto tripartito di mutua assistenza fra Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica. Occorreva poi una convenzione militare fra le tre potenze per fare osservare il patto, e una garanzia da parte dei firmatari (ai quali, se lo desiderava, poteva associarsi la Polonia) a tutte le nazioni dell’Europa centrale e orientale che si fossero sentite minacciate dalla Germania nazista. Fu l’ultima offerta di Litvinov per un’alleanza contro il Terzo reich (…) Come disse Churchill in un discorso pronunciato il 4 maggio, nel quale lamentava che l’offerta russa non fosse stata ancora accettata da Londra, “senza un aiuto attivo della Russia non c’è modo di mantenere un fronte a est contro l’aggressione nazista””.
Il colpevole protrarsi del silenzio franco-inglese, indotto certamente dall’ottusa opposizione polacca ad una qualsiasi intesa con l’Unione Sovietica, portò il 3 maggio alle dimissioni di Litvinov ed alla sua sostituzione con Molotov, presidente del Consiglio dei Commissari del Popolo. Continuare ad attendere francesi, inglesi e polacchi minacciava di spingere l’Unione Sovietica a una guerra con la Germania, guerra dalla quale le democrazie occidentali avrebbero certamente tentato di tenersi fuori, nella pia illusione che l’appetito di Hitler si sarebbe saziato ad est.
Gli eventi a questo punto si susseguono rapidi ed inesorabili. L’8 maggio il governo britannico rifiuta categoricamente la proposta sovietica di una conferenza multilaterale, il 20 maggio a Mosca l’ambasciatore tedesco von Schulenburg ebbe un lungo colloquio con Molotov, il 22 maggio a Berlino viene firmato il Patto d’Acciaio, il 23 maggio sempre a Berlino Hitler riunisce lo stato maggiore tedesco nel quale definisce i suoi piani d’attacco alla Polonia. “Non si possono ottenere altri successi senza spargimento di sangue” afferma Hitler, secondo il resoconto della riunione tenuto dal suo aiutante, Rudolf Schmundt “Danzica non è affatto il vero motivo della disputa (…) Non ci resta che questa decisione: attaccare la Polonia alla prima occasione propizia”.
A fine maggio i preparativi per la guerra che sarebbe iniziata al più tardi in autunno erano pressoché ultimati. L’unica preoccupazione dei nazisti era evitare l’errore del Kaiser Guglielmo nella Prima Guerra Mondiale, la contemporanea guerra su due fronti a seguito dell’Intesa di Francia e Inghilterra con la Russia zarista. Il Reich sarebbe stato in grado di sconfiggere Inghilterra, Francia e Unione Sovietica, ma in due tempi.
L’azione diplomatica del Führer a questo punto puntava ad impedire che quell’alleanza militare che Litvinov aveva insistentemente cercato, Chamberlain rifiutato, nonostante le pressioni di Churchill, giungesse a compimento.
Giugno e luglio trascorrono frenetici, con incessanti trattative su tutti i fronti diplomatici ancora aperti; ma, mentre il Reich definiva i piani di annientamento della Polonia e di protezione a occidente, la Polonia, sostenuta dalla Gran Bretagna e da una Francia ormai ammansita, continuava ad opporsi ad un accordo che prevedesse il passaggio delle truppe sovietiche sul territorio polacco in caso di attacco nazista.
“Alla metà di agosto le conversazioni militari a Mosca fra le democrazie occidentali e l’Unione Sovietica” conclude Shirer “era virtualmente giunte ad un punto morto – e la colpa era da ascriversi, in gran parte all’intransigenza dei polacchi. Dopo essersi imbarcata su una lenta nave per Leningrado, la missione militare anglofrancese era giunta a Mosca l’11 agosto (…) si trattava ora di elaborare una convenzione militare che fissasse dettagliatamente come, dove e con quali mezzi occorreva affrontare le forze armate naziste (…) però la missione militare anglofrancese era stata invita a Mosca per discutere non già i dettagli, ma piuttosto “i principi generali” (…) La risposta del Ministro della Difesa sovietico Kliment Efremovic Vorosilov fu: “troppo astratti e irreali, non obbligano nessuno a far qualcosa…Noi non siamo qui – dichiarò freddamente – per fare dichiarazioni astratte, bensì per studiare una precisa convenzione militare”.
Nonostante l’atteggiamento assurdo e irreale della delegazione anglofrancese, i negoziati proseguirono ma quando (14 agosto) i sovietici posero la questione cruciale (“Se la Polonia non era disposta a fare passare le truppe sovietiche sul suo territorio per muovere contro i tedeschi, come potevano gli alleati impedire all’esercito tedesco di invadere rapidamente la Polonia?”) Vorosilov si vide rispondere che la delegazione non era autorizzata ad assumere impegni in merito e che il problema andava posto al governo polacco … Il massimo che i sovietici riuscirono ad ottenere fu l’impegno dei militari britannici e francesi a chiedere ai loro governi di fare pressioni sul governo polacco affinché addivenisse a più ragionevoli consigli !!! Soltanto la sera del 15 agosto Molotov ricevette la proposta di nazista della visita di Ribbentrop a Mosca (mentre l’omologo inglese aveva apertamente rifiutato). “Almeno fino al 14 agosto” continua Shirer “quando Vorosilov esigette una risposta inequivocabile alla richiesta di permettere alle truppe sovietiche di affrontare i tedeschi in Polonia, il Cremlino era ancora incerto sulla scelta dei suoi alleati”. Mentre il Ministro egli esteri polacco, Jozef Beck, il 20 agosto, convocava l’ambasciatore francese a Varsavia per dichiarare “Non ammetto che si possa in alcun modo discutere l’eventualità che truppe straniere usino una parte del nostro territorio (i sovietici chiedevano il permesso di attraversare il varco di Vilna e la Galizia per venire a contatto con le truppe naziste, ndr). Non abbiamo nessun accordo militare con l’URSS, né lo desideriamo (sic!)”, Chamberlain e Halifax rispondevano negli stessi termini a Bonnet che avanzava la medesima proposta: “Downing Street non vuole giungere a questo estremo”. Ciononostante ancora il 21 agosto Vorosilov, a conoscenza delle intenzioni di Stalin e del prossimo arrivo a Mosca di Ribbentrop, parlava così alla delegazione militare anglofrancese: “Le intenzioni della delegazione sovietica erano, e sono tuttora, di giungere a un accordo sull’organizzazione della collaborazione militare delle forze armate delle tre nazioni…Non avendo l’URSS una frontiera comune con la Germania, essa potrà essere d’aiuto alla Francia, alla Gran Bretagna, alla Polonia e alla Romania, solo se le sue truppe avranno il permesso di attraversare il territorio polacco e romeno… La delegazione militare sovietica non riesce a comprendere come i governi e gli Stati maggiori della Gran Bretagna e della Francia, nell’inviare le loro missioni nell’URSS non abbiano dato istruzioni su questa questione così elementare…Ciò può solo dimostrare che vi sono ragioni per dubitare del loro desiderio di venire a una seria ed effettiva collaborazione con l’URSS”. Il silenzio delle delegazioni e dei governi occidentali avrà conseguenze disastrose. Il 23 agosto la delegazione tedesca atterrava a Mosca.
I “fatti” definiscono in modo chiaro e netto le responsabilità inglesi, francesi e polacche, in particolare. Il resto è solo becera e falsa propaganda.
Fronte Militante per la Ricostruzione del Partito Comunista
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Bibliografia
- Polonia, ambasciatore Usa a Putin: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Polonia-ambasciatore-Usa-a-Putin-Urss-corresponsabile-II-Guerra-mondiale-704aaf36-114c-4c1b-a600-a9e1e2313c0a.html.
- William L. Shirer “Storia del terzo Reich”.
- Eric J. Hobsbawn, “Il secolo breve”.
- Albert E. Kahn e Michael Sayers, “The Great Conspiracy: The Secret War Against Soviet Russia”.
- Stalin, opere complete.
- Joachim Fest “Hitler”.
- Antonio Varsori “Storia internazionale. Dal 1919 ad oggi”.
- Rapporto al VII congresso del Comintern (1935), Georgi Dimitrov.
- Tomaso Napolitano “Il Partito Comunista dell’URSS. I congressi e la linea generale”.