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Home›Rassegna operaia›Melfi, la diffusione del contagio e l’andamento delle lotte nello stabilimento FCA

Melfi, la diffusione del contagio e l’andamento delle lotte nello stabilimento FCA

Di Redazione
02/12/2020
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L’Inail ha comunicato che circa un terzo dei morti sul lavoro nei primi 10 mesi del 2020 sono dovuti al contagio del covid-19. Su L’Ordine Nuovo abbiamo fin da subito sottolineato l’imbroglio del finto lockdown che sacrificava sull’altare del profitto privato milioni di lavoratori, con deroghe e mancati interventi da parte delle aziende e del governo. Oggi, a mesi di distanza, siamo alla seconda ondata e poco è stato fatto per agire strutturalmente sui problemi reali. Nello stabilimento FCA di Melfi, 7000 lavoratori, uno degli insediamenti industriali più grandi del sud Italia, negli scorsi giorni si sono superati i 100 casi di contagio.

Abbiamo intervistato Domenico De Stradis, operaio e sindacalista USB nello stabilimento lucano.

Ciao Domenico, innanzitutto parlaci di quello che sta succedendo a Melfi nelle ultime settimane.

Questo è lo stabilimento FCA con più casi positivi accertati, abbiamo superato i 100 casi, attualmente sono 78 i positivi e una trentina i negativizzati. Rispetto a questa situazione qui non si è fatto nulla, non si è nemmeno tentato di sanificare l’intero stabilimento. Più la situazione degenera e più bisognerà sensibilizzare i lavoratori su questo tema drammatico. A fronte di questo abbiamo fatto sciopero insieme agli studenti il 26 settembre e altre mobilitazioni a novembre.

L’azienda sostiene di sanificare luoghi in cui viene accertato un lavoratore positivo, però di questo non abbiamo prova. Non si sono fatti i tamponi a tutti, come bisognerebbe fare. Si consideri che questo stabilimento interessa quattro regioni: Campania, Puglia, Basilicata e Calabria. Quindi quando scoppia un focolaio in una realtà del genere, si rischia che diventi un vettore di contagio per tutto il meridione.

Cento casi sono una zona rossa praticamente, considerando i kmq che investe questa area industriale e la quantità di persone che quotidianamente lavorano in questo spazio. Ma così non è. Si continua a produrre a ritmi forsennati, a ciclo continuo, tutti i giorni della settimana. Non ci è dato sapere nulla. Anche la mappatura dei contatti è una cosa imbarazzante. Per ogni lavoratore contagiato al massimo sono segnati in numero di due i contatti stretti: neanche al polo nord durante una bufera di neve si incontrano così poche persone come in questo stabilimento. È folle, è inspiegabile, se uno esclude la logica del profitto. Altrimenti diventa tutto estremamente comprensibile.

Lo stesso tema è stato affrontato anche con i compagni del SICOBAS di Pomigliano, abbiamo cercato di unire le due situazioni, le due vertenze e fare fronte comune. Abbiamo denunciato alla Procura della Repubblica le cose che non vanno. Oltre a tutta la dinamica dell’inazione di fronte ai contagi dell’azienda e dell’ASL, abbiamo denunciato anche che le mascherine non sono secondo noi idonee a tutelare la salute dei lavoratori.

Questa non può essere una battaglia solo dei lavoratori di FCA, perché usciti da questa fabbrica si torna a casa, si torna nelle comunità e il virus lo porti in stabilimento e automaticamente lo trasmetti in altri contesti. È un discorso che deve per forza coinvolgere tutta la comunità lucana e non solo.

Cosa vuol dire fare sindacato in uno stabilimento di FCA?

Io sono uno degli “incompatibili” della FIOM CGIL in stabilimento. Organizzammo scioperi con l’area di opposizione in CGIL che all’epoca si chiamava “il sindacato è un’altra cosa”, contro straordinari comandati, contro il lavoro di domenica pomeriggio.

Devo farti una premessa: in questo stabilimento, come in tutti quelli FCA, dall’entrata in vigore del CCSL (Contratto Collettivo Specifico di primo Livello) nel 2010, è passata un’idea, una convinzione tra i lavoratori: cioè che il CCSL vietasse gli scioperi, pena provvedimenti, contestazioni, licenziamenti. L’unico sindacato che poteva e doveva provare che questa era una menzogna era la FIOM, che aveva l’opportunità, grazie alle sue strutture, di arrivare a tutti i lavoratori.

Per fare ciò però dovevi proclamare gli scioperi, uscire dalla fabbrica, rientrare tranquillamente il giorno dopo e dimostrare di non essere stato sanzionato. Avresti dimostrato ai lavoratori che era una cazzata questa cosa del CCSL. La FIOM non l’ha fatto, per tanti anni, almeno per 4-5 anni non si sono organizzati scioperi in stabilimento. Quindi la menzogna è stata ammantata di verità. Gli altri sindacati, l’azienda e anche i lavoratori si sono convinti che siccome la FIOM non proclamava sciopero proprio da quando era entrato in vigore il CCSL, era vero che gli scioperi non si potevano più fare.

Con la costituzione dell’area di minoranza in CGIL ci siamo legittimati della possibilità come area autonoma di proclamare scioperi. Questo non è propriamente vero statutariamente ma l’abbiamo giocata così. Ci siamo conquistati una forza di autonomia al congresso e per noi l’autonomia significava anche proclamare scioperi, anche se indetti da una minoranza di RSA.

E così abbiamo agito. L’abbiamo fatto per gli straordinari dal 2014 al 2016. L’abbiamo fatto un paio di volte sulla domenica pomeriggio per contrastare non solo l’idea che non si poteva scioperare ma anche l’idea che bisognava lavorare venti turni la settimana. Fin quando, con il pretesto che avevamo creato un coordinamento con USB, SICOBAS e CUB, la dirigenza del nostro sindacato ci ha dichiarato incompatibili. La CGIL ci ha processati e ci ha messi di fronte a una scelta: restare nei coordinamenti oppure fare solo CGIL?

Io ho pensato questo: se la CGIL era disposta a sputtanarsi esponendo dei suoi delegati di fabbrica, in FCA tra l’altro, non in una fabbrica qualsiasi, dove c’era tutta la rappresaglia della “cultura Marchionne”, voleva dire che i coordinamenti erano importanti. E allora io ho scelto di restare nei coordinamenti e di andarmene dalla CGIL.

In tutto questo i lavoratori hanno visto e capito che gli scioperi si sarebbero potuti fare. Noi dal 2016 da quando siamo passati in USB abbiamo proclamato degli scioperi. E l’obiettivo nostro era lo stesso che avevamo qualche anno prima: convincere i lavoratori, convincere tutti i nostri colleghi che si può scioperare senza essere sanzionati. Che si può scioperare anche se lo proclama un sindacato di base. Sindacati di base che sono stati tra l’altro massacrati dall’azienda. Quindi anche la paura stessa che non solo non lo facessero le grandi organizzazioni ma addirittura che lo facesse un sindacato di base era dura da scardinare.

Quanto ha inciso in questo il CCSL?

Nel CCSL le giornate di straordinario erano raddoppiate rispetto a tutti gli altri operai metalmeccanici. A febbraio del 2017 c’erano gli straordinari comandati, e abbiamo pensato di mettere lo sciopero sugli straordinari comandati e per le domeniche pomeriggio per tutto l’anno. E da quel momento non ci siamo più fermati. Noi ogni anno proclamiamo per tutto l’anno lo sciopero. Si potrebbe chiedere: a cosa serve proclamare questo tipo di sciopero per tutto l’anno, quando magari su certi periodi non vengono chiesti straordinari o non si lavora la domenica, o addirittura si sta in cassa integrazione? Serve a restituire nelle mani degli operai il diritto di sciopero. Fino a quando tu lo metti una volta, due volte, tre volte, gli operai devono sempre aspettare che sia tu organizzazione sindacale a proclamare di volta in volta lo sciopero. Se, come e quando lo vorrai fare. Sempre che l’azienda non ti contatti, non ti inviti a un tavolo e si discuta di altro. Noi abbiamo voluto dare la sicurezza ai lavoratori che lo sciopero c’è e vale per sempre, e ve lo fate voi e ve lo gestite voi. Noi non lo abbiamo aperto questo cancello e non lo apriamo a convenienza nostra, perché a noi di sederci al tavolo con l’azienda non ci interessa. Perciò non abbiamo problemi a proclamarlo per tutto l’anno.

Questo lavoro continuo ha fatto sì che allo sciopero del 13 novembre abbiano aderito oltre 200 lavoratori. In qualche caso, sulle domeniche, contando tutte le squadre arriviamo a 400 lavoratori che scioperano. I numeri non sono enormi rispetto a una fabbrica che ha 7000 persone. Però sono molti di più di quelli che riuscivamo a fare all’inizio. Ogni volta che un lavoratore esce in più rispetto allo sciopero precedente è la dimostrazione del fatto che gli scioperi si possono fare anche in FCA.

Cosa pensi dei percorsi di coordinamento che si stanno sviluppando particolarmente durante questo periodo di emergenza?

Rispetto ai coordinamenti ti dico: se sono fatti dagli operai vanno benissimo. Se ad organizzarli sono le burocrazie sindacali, anche se poi li danno in mano agli operai, vanno meno bene. Perché poi casomai succede che è comunque una questione gestita dalle burocrazie sindacali, fossero anche le migliori, fossero anche del SICOBAS, per i quali nutro forte stima.

Se un’iniziativa di coordinamento intersindacale non proviene dai lavoratori e non viene gestita dai lavoratori non mi convince fino in fondo. Io ho partecipato a Bologna alla prima Assemblea dei lavoratori combattivi e ho avuto l’onore di poter sedere al tavolo della presidenza. Seguo la vicenda, anche con sincero interesse. Il mio interesse è innanzitutto capire se questa cosa verrà data nelle mani degli operai. Ma proprio praticamente, che la organizzino loro, che la gestiscano loro, che loro decidano le date, loro decidano gli incontri, che loro utilizzino i fondi laddove si raccolgano e siano a disposizione. Perché abbia veramente un’identità operaia. Quella sarebbe realmente una svolta.

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