Con l’accordo tra il Regno del Marocco ed Israele per la cosiddetta “normalizzazione” dei rapporti tra i due stati e la ripresa delle relazioni si aggiunge un altro tassello al puzzle dei piani imperialisti degli USA che mirano a ridisegnare sulla base dei propri interessi economici, politici e militari la più ampia regione che va dal Medio Oriente all’Africa settentrionale, liquidando la questione palestinese a beneficio dell’espansione israeliana e integrando alcuni paesi arabi nella propria sfera d’influenza nella competizione inter-imperialista.
Quest’ultimo accordo segue quelli già firmati nell’ultimo periodo con gli Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Sudan, con cui, come abbiamo già trattato in un precedente articolo a cui rimandiamo per un maggiore approfondimento, Israele e gli USA tentano di gestire il mantenimento della situazione odierna, di aggressione e di continua sottrazione delle terre appartenenti ai palestinesi, promuovendo accordi economici e commerciali con le classi dominanti arabe in cambio di un “alleggerimento” della posizione politica sulla questione palestinese, in primis riconoscendo lo stato di Israele e dando quindi legittimità alle pretese sioniste.

Immagine: MapaSaharaOccidental.svg:, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=18677915
Il Marocco, in cambio della riapertura del dialogo con Israele, ha ottenuto non solo la ripresa diplomatica e degli accordi commerciali ma anche il riconoscimento da parte degli Stati Uniti della sovranità sulla regione del Sahara Occidentale contesa con il governo legittimo riconosciuto dall’ONU della Repubblica Democratica Araba del Sahrawi, fondata il 27 febbraio del 1967 poche ore prima che la Spagna lasciasse la sua vecchia colonia nelle mani del Marocco[1]. Il Sahrawi, che si trova sulla costa nord-occidentale del Nordafrica, ha visto nel 1973, la creazione del Fronte Polisario[2] che dirige la giusta lotta politica e militare del popolo saharawi per conquistare l’indipendenza. L’azione militare del Marocco, che mirava all’annessione della regione, ha portato allo scoppio delle ostilità: per più di un decennio l’esercito marocchino ha cercato di sopraffare la guerriglia del braccio armato del Fronte Polisario – l’Esercito Popolare di Liberazione Saharawi – fino al 1991.
Dopo l’intervento dell’ONU e la lunga resistenza popolare saharawi si è arrivati ad un accordo di cessate il fuoco in cambio di un referendum sull’autodeterminazione della regione. Da allora, le autorità marocchine sono proprietarie delle terre di gran parte del Sahara Occidentale (mentre il Polisario occupa solo una piccolissima parte del deserto, quasi spopolato) e mantengono uno stretto controllo sulla popolazione e sulle risorse naturali dell’area. Dopo quasi trent’anni di attese e tensioni, il popolo del Sahrawi non ha ancora ottenuto il diritto di scegliere il proprio destino, con una continua sequenza di provocazioni e imposizioni di situazioni di fatto della parte marocchina (come ad es. la dichiarazione del gennaio 2020 delle acque del Sahara Occidentale come proprio spazio marittimo) che ha continuato a disattendere gli accordi e le risoluzioni con la complicità delle principali potenze imperialiste e la passività dell’ONU, la cui Missione per il referendum nel Sahara occidentale (MINURSO) non ha mai attuato il suo mandato di tenere il referendum né di proteggere il popolo saharawi sotto occupazione.
Al contrario, negli ultimi mesi, si assiste ad una escalation degli attacchi militari da parte dell’esercito marocchino. In particolare, si pensi allo scorso 13 novembre quando le forze militari marocchine hanno occupato un valico di frontiera con la Mauritania nella zona cuscinetto di Guerguerat, conducendo azioni militari contro i civili saharawi che dal 21 ottobre stavano protestando nella zona contro i 45 anni di occupazione marocchina e la violazione della zona cuscinetto, spesso proprio per trasportare le risorse (quali fosfati, rame, ferro, uranio, pesce ecc.) saccheggiate al Sahara occidentale occupato e vendute all’Unione Europea e altri paesi. Questo ha comportato la ripresa (dopo anni di rinuncia e accettazione unilaterale dei termini imposti dall’accordo di pace che hanno consentito il dominio indiscusso del regime marocchino) della lotta armata da parte dell’Esercito Popolare di Liberazione Saharawi rispondendo all’aggressione con l’obiettivo di difendere la popolazione saharawi della zona, sostenendo la posizione che “la guerra di liberazione nazionale è ripresa e non si fermerà fino alla cacciata dell’occupante”.[3]
Il Regno del Marocco ha potuto contare finora sul sostegno in particolare della Francia, i cui legami con quella che è stata una sua colonia fino al 1956 sono rimasti molto forti, ma anche della Spagna che ha ceduto il Sahara occidentale al Marocco nel 1975, rifiutandosi di assumere il suo ruolo come ex potenza coloniale e amministrativa nello stabilire le misure opportune per garantire l’esercizio del diritto di autodeterminazione per il popolo saharawi. Anche l’attuale governo spagnolo, cosiddetto “progressista”, mantiene una posizione ipocrita nei confronti dei saharawi e di fattiva complicità con il regime marocchino, garantendo così la continuità degli interessi della borghesia spagnola in Marocco e nella regione (dall’importazione di materie prime al controllo dei flussi migratori), con i partiti della sinistra radicale al governo – quali Podemos e PCE – che tradiscono i loro “proclami” falsamente solidaristici presenti fino al giorno del loro ingresso nel governo, limitandosi adesso a timide dichiarazioni di facciata per il rispetto delle “risoluzioni dell’Onu”.
Non da meno anche l’Italia, che non riconosce la RDAS ed è al quinto posto tra i partner commerciali del Marocco, con cui nel 2019 ha firmato un partenariato strategico, con una continua crescita negli scambi commerciali, nella vendita di armi e presenza di imprese e investimenti italiani (tra cui ENI, Enel, Fca).[4] Sfruttando a suo vantaggio la priorità agli interessi economici e geostrategici delle principali potenze imperialiste europee e dell’imperialismo statunitense, il Marocco ha potuto mantenere la sua posizione di forza in questi decenni, rifiutandosi di mettere in atto gli accordi internazionali e mantenendo l’illegale occupazione di gran parte del territorio saharawi, lanciando infine la sua offensiva alla vigilia dell’accordo con Israele e il contestuale annuncio di fine dicembre del presidente statunitense Donald Trump che con uno degli ultimi atti del suo mandato ha riconosciuto il Saharawi come possedimento del Marocco.
L’interesse del regime marocchino nell’estendere il proprio controllo su questo “territorio riconosciuto non autonomo”, ha consentito a Trump di sfruttare politicamente la situazione per compiere un altro passo in avanti nella cristallizzazione della questione palestinese e il rilancio dell’alleato israeliano nella regione. Da parte loro, le istituzioni marocchine si premurano a rassicurare sul sostegno alla causa palestinese, come affermato dall’ambasciatore marocchino in Italia, Youssef Balla: “Questa ripresa non significa alcun cambiamento nella costante posizione del Marocco riguardo alla questione palestinese, anzi, è in linea con il suo continuo impegno a contribuire in modo efficace e costruttivo a una pace giusta e duratura in Medio Oriente”.[5] Tuttavia, appare chiaro come la borghesia marocchina abbia in cima alle sue priorità lo sfruttamento delle miniere di fosfati di cui il sottosuolo della regione saharawi è ricco: l’azienda di stato OPC, la più grande del Marocco, è leader mondiale nell’estrazione di questa materia prima (gestisce infatti il 57% del mercato) e il Marocco assieme al Saharawi ne rappresenta il secondo produttore mondiale dopo la Cina. I fosfati, la cui estrazione nel deserto marocchino è ritenuta tra le più accessibili al mondo, vengono ampiamente utilizzati in agricoltura per la produzione di fertilizzanti impiegati soprattutto nei paesi del Nordamerica (Canada e Stati Uniti su tutti). Risulta chiaro come quindi l’interesse statunitense nella regione miri ad ottenere ampie garanzie per evitare la dipendenza dall’economia cinese in un settore strategico per gli USA. Il Marocco, che vede nel mentre accrescere il suo ruolo di potenza regionale, da parte sua sta sfruttando la possibilità di ottenere in breve tempo lo sfruttamento dei giacimenti situati in territorio saharawi e che secondo la FAO rappresentano la metà delle riserve mondiali.[6]
Anche la questione relativa ai flussi migratori, come già avviene per quanto riguarda i criminali accordi UE-Turchia e Italia-Libia, diviene moneta di contrattazione che viene sfruttata dal Regno del Marocco per ottenere l’esplicito riconoscimento, la legittimazione e il sostegno internazionale da parte dell’Unione Europea (da cui riceve circa 100milioni € per il controllo militare delle frontiere), nella lotta contro il Fronte Polisario in cambio del rimpatrio dei migranti arrivati sulle coste delle isole Canarie, utilizzati come elemento di pressione in particolare sul governo spagnolo.[7]
La situazione odierna, favorita anche dalla passività delle Nazioni Unite, è frutto di due decenni di laissez faire che ha consentito al Marocco di costruire 2000 chilometri di muro prima per circoscrivere le sue zone economiche più significative, infine per segregare un intero popolo e cercare di portarlo ad una resa politica, economica, morale e fisica. Difatti, sono centinaia di migliaia i profughi che sono stati costretti a fuggire, a rifugiarsi in condizioni disastrose in campi profughi come quelli di Tindouf in Algeria (senza avere accesso diretto ai beni di prima necessità e con alti tassi di mortalità) mentre si sta sviluppando una campagna di sostituzione della popolazione originaria con coloni marocchini che il regime usa come punta di lancio della sua politica imperialista nella regione, simile a quanto avviene nei territori palestinesi, nelle zone che dal secondo dopoguerra ad oggi continuano ad essere sottratte e colonizzate dagli israeliani con la ghettizzazione del popolo palestinese anch’esso rinchiuso e internato; per questo l’accordo tra Marocco e Israele rappresenta un patto di “occupazione per occupazione”, come lo definisce il Consiglio Mondiale per la Pace[8], e che oggi dimostra che, con il sostegno politico attivo delle principali potenze imperialiste, vedersi togliere il diritto all’autodeterminazione, il diritto alla propria terra e alla propria libertà è una tragica realtà.
Gli interessi degli stati capitalisti, delle borghesie e del capitale internazionale mostrano, ancora una volta, che il profitto dei monopoli viene prima di ogni popolo il quale diventa inevitabilmente vittima sacrificale del capitalismo e dei suoi attori principali e che nessun legame etnico, religioso, culturale sia abbastanza forte da sopravvivervi. Il popolo saharawi continua ad esser costretto a sopravvivere sotto l’oppressione, prima sotto il dominio coloniale spagnolo, poi sotto il tallone della borghesia marocchina indipendente, con il beneplacito delle potenze imperialiste interessate alle risorse naturali dell’area, al mantenimento di un ordine e dei piani imperialisti nella regione, avendo come alleato una potenza regionale forte come il regime marocchino. Così come avviene per il popolo palestinese. Con buona pace del “diritto internazionale” e delle “risoluzione Onu”.
Quelle dei popoli della Palestina e del Saharawi sono due tra le ultime lotte di liberazione nazionale ancora in corso, che oggi sono ancora di più legate nella conquista del loro vitale diritto di emanciparsi dall’oppressione nazionale e di classe. L’esperienza dimostra come le lotte di liberazione nazionale – dove esse sono ancora all’ordine del giorno – e il diritto di “autodeterminazione”, continueranno ad esser usate, calpestate e tradite da ogni borghesia e da ogni forza collaborazionista, se non sono inserite nel solco della lotta di classe dei lavoratori e del loro internazionalismo. Solo su questo terreno potranno, in definitiva, aprire la strada alla fine di ogni oppressione e dello sfruttamento capitalistico.
Giovanni Sestu
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[1] L’usurpazione dei territori sahariani fu pianificata freddamente in una serie di incontri che si conclusero con un patto segreto e sinistro tra Henry Kissinger, l’allora capo del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, re Hassan II, padre dell’attuale monarca marocchino Mohamed VI e Juan Carlos I. L’accordo consolidò quella che divenne nota come la Marcia Verde, una convulsa processione iniziata il 6 novembre 1975 attraverso il deserto di 25 mila soldati dell’esercito marocchino, accompagnati da circa 300 mila contadini poveri e da ogni tipo di indigente cui era stato promessa la terra. Quando i manifestanti raggiunsero il confine, alle forze armate spagnole della Legione fu ordinato di non sparare per evitare spargimenti di sangue. Gli spagnoli sminarono anche alcune zone precedentemente minate. Si arrivò così agli accordi di Madrid tra il governo franchista e il re del Marocco per il ritiro della Spagna dalla regione il 28 febbraio 1976. Nel mentre, la giovane RDAS aveva occupato circa 200 mila kmq della parte settentrionale. Nessun contadino marocchino ricevette un metro di terra e tutti tornarono alla loro povertà.
[2] Fronte di Liberazione Popolare di Saguia el Hamra e del Río de Oro, fondato il 10 maggio 1973 con l’intento di ottenere l’indipendenza del Sahara Occidentale dall’occupazione militare della Spagna, del Marocco e della Mauritania. È erede del Movimento di Liberazione del Sahara, fondato nel 1967 e represso militarmente dal regime franchista. Dal 1975 si stabilisce a Tindouf, nell’Algeria occidentale.
[3] Il Fronte Polisario (partito membro osservatore dell’Internazionale socialista – socialdemocratica), nel suo ultimo congresso, ha adottato la posizione di non partecipare più ad alcun processo politico che non preveda l’attuazione del diritto di autodeterminazione: “Consideriamo che qualsiasi implicazione futura nella soluzione pacifica del conflitto passerà sotto la nuova logica di guerra saharawi, basata sul principio di intraprendere negoziati mentre continua la guerra di liberazione e con l’unica condizione, perché ci sia una tregua, di porre fine all’occupazione marocchina”, ha dichiarato il membro del Segretariato Nazionale del Fronte Polisario e Ministro della Presidenza Incaricato per gli Affari Politici, Bachir Mustafa Sayed. https://www.resistenze.org/sito/te/po/sa/posakn08-023416.htm
[4] https://www.infomercatiesteri.it/section7_exp.php?id_paesi=110
[5] https:/www.agi.it/estero/news/2020-12-12/intervista-ambasciatore-marocco-rapporti-israele-10644260/
[6] http://www.agricolturaeambiente.it/di-fosforo-limmenso-e-solitario-tesoro-del-deserto-marocchino/
[7] https://www.resistenze.org/sito/te/po/sa/posakn05-023401.htm
[8] https://www.resistenze.org/sito/os/lp/oslpkn14-023446.htm