Nelle ultime 72 ore Israele ha intensificato la campagna di arresti politici dei protagonisti delle mobilitazioni popolari sviluppatesi in queste settimane in diverse città che hanno avuto il loro apice con il grande sciopero generale dello scorso 18 maggio. Negli stessi momenti del “cessate il fuoco”, oltre 500 giovani palestinesi sono nel mirino delle autorità sioniste in quella che definiscono come un’operazione per la “preservazione dell’ordine e della legge”. Secondo il comunicato della polizia israeliana, migliaia di uomini della sicurezza di tutte le unità e brigate, comprese le guardie di frontiera e le brigate di riserva, sono stati reclutati per svolgere questa frenetica operazione nei villaggi e nelle città dei territori occupati nel 1948, dove la popolazione arabo-israeliana rappresenta il 20% della popolazione dello stato di Israele, senza godere degli stessi diritti dei cittadini ebrei.
L’obiettivo di questa operazione è quello di punire, intimidire e spezzare la resistenza nel cosiddetto “fronte interno”, dove migliaia di palestinesi, soprattutto giovani delle classi popolari, hanno dato vita ad una rivolta popolare contro l’occupazione e le politiche d’apartheid dei sionisti, con manifestazioni di massa e lo sciopero generale in tutta la Palestina storica a seguito del quale diverse decine di lavoratori sono stati licenziati (un migliaio gli arrestati).
Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina ha sottolineato che “la risposta a questi crimini dell’occupazione richiede di continuare le manifestazioni di massa e il movimento popolare in tutto l’interno occupato affrontando le decisioni dell’occupazione e le pratiche terroristiche dei suoi apparati di sicurezza per trasformare queste attività di massa nel nucleo di una Intifada popolare che si fonde con i movimenti del nostro popolo in Cisgiordania, Gaza e nella diaspora.” Il FPLP ha concluso il suo comunicato sottolineando “la priorità di continuare le manifestazioni popolari all’interno dei territori palestinesi occupati nel 1948 anche per impedire all’occupazione sionista di dedicare tutte le sue risorse all’oppressione del nostro popolo a Gaza e in Cisgiordania“.
Anche il Partito Comunista Palestinese, in un comunicato sul “cessate il fuoco” ha sottolineato che “la battaglia non è ancora finita, la vera battaglia è nella Gerusalemme occupata nello specifico nel quartiere Sheikh Jarrah, dove si aspetta un attacco forte nel tentativo dell’entità sionista di coprire il suo fallimento nell’aggressione contro la Striscia di Gaza” e chiama a proseguire la lotta contro il nemico in Cisgiordania, nella Gerusalemme occupata e nel territorio del 1948, combinando queste “componenti per contrastare il prossimo attacco, che si prevede feroce“. “Non c’è dubbio che l’insuccesso dell’aggressione nella Striscia di Gaza porterà l’entità sconfitta ad una escalation sui fronti di Gerusalemme, Cisgiordania e territori del 1948“, proseguono i comunisti palestinesi che evidenziano come il discorso di Netanyahu dopo aver annunciato il “cessate il fuoco” sia stata una aperta minaccia contro il “nostro popolo palestinese nel territorio del 1948“, con arresti e repressione nel tentativo dello stato israeliano di scaricare la sua rabbia sugli arabo-israeliani.
Contemporaneamente, anche l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) guidata da Abu Mazen, inerme di fronte all’aggressione militare israeliana mentre continuano ad esser rinviate le elezioni, ha lanciato una serie di arresti mirati contro membri della Resistenza palestinese confermando le sue pratiche di collaborazione con l’occupante.
Questi sviluppi sono occasione per una riflessione in merito a certe visioni che fanno un generico quanto sterile appello alla “pace”, “al dialogo tra le parti in conflitto” e alla cosiddetta “comunità internazionale”. Il “cessate il fuoco” accordato tra Hamas e Israele con la mediazione dell’Egitto, è stato giustamente accolto con un sospiro di sollievo dalla popolazione di Gaza sottoposta ad una barbara aggressione che ha causato 230 morti (tra cui 64 bambini, 38 donne e 17 anziani) e più di 1700 feriti (tra cui 470 bambini e 310 donne), aggravando ulteriormente le disastrose condizioni in cui è costretta a sopravvivere nella Striscia. Ma è chiaro che rimangono inalterate le cause e le condizioni di oppressione, repressione, espulsione, disparità e occupazione imposte da Israele che, con il sostegno degli USA e la complice tolleranza dell’UE e dell’ONU, prosegue nel costante massacro e pulizia etnica contro il popolo palestinese che non ha altra via che la giusta resistenza con ogni mezzo necessario.
Quella regolata secondo i rapporti di forza, i piani e gli interessi delle borghesie, dei loro stati e istituzioni internazionali non può che esser altro che una “pace” ingiusta, la “pace dei cimiteri” che legittima l’occupazione, la spoliazione e l’apartheid, sulla base del sistema di sfruttamento capitalistico e la competizione interimperialista. Questo tipo di reclamata “pace imperialista” si muove in continuità con l’aggressione militare e gli insediamenti coloniali, nella prosecuzione (con le diverse forme) dei piani di spartizione imperialista della regione mediorientale e altrove. In essa non troveranno giustizia gli interessi e le aspirazioni delle masse proletarie e popolari palestinesi che in queste settimane hanno rotto, in tutti i territori dal fiume Giordano al mar Mediterraneo, gli argini imposti dalla divisione territoriale, dall’atteggiamento e impostazione degli ampiamente superati Accordi di Oslo, dal collaborazionismo dell’ANP, rimettendo al centro la questione che non ci può esser alcuna pace tra oppresso e oppressore, così come non vi può esser tra sfruttato e sfruttatore. Questo elemento, in parte nuovo, dell’ingresso preponderante delle masse in rivolta, in cui i lavoratori palestinesi che sopportano il peso maggiore di questa aggressione sono in prima linea nella lotta per la liberazione, va colto e compreso fino in fondo valorizzandolo nell’esercizio attivo della solidarietà e dell’internazionalismo proletario, a partire dalla lotta di classe nel nostro paese.
Solo rimuovendo le cause e le condizioni di oppressione e occupazione ci potrà esser una pace giusta sostenuta su delle nuove basi create attraverso il compimento della lotta del popolo palestinese per la sua completa liberazione, con rapporti di forza a favore dei popoli e delle masse proletarie araba ed ebraica nello specifico, rompendo i vicoli ciechi del capitalismo e i piani imperialisti così come ogni forma di razzismo e fondamentalismo religioso.