Gli effetti della crisi in Venezuela e la repressione dei comunisti
Negli ultimi anni la situazione delle fasce popolari in Venezuela è andata deteriorandosi: la crisi che si sta approfondendo è dovuta all’effetto combinato dell’aggressione imperialista (economica, mediatica) statunitense e all’applicazione da parte del governo di Nicolás Maduro di politiche a favore del capitale. Privatizzazioni (anche nel settore critico del petrolio), diminuzioni dei salari, annullamento di contratti collettivi e licenziamenti di massa nel settore pubblico e privato, il tutto combinato con l’aggravarsi delle condizioni di salute e di lavoro dovuti alla pandemia negli ultimissimi anni.
Delle complesse vicende del paese latino-americano, sul quale si creano (e si infrangono) spesso illusioni nella sinistra dei paesi occidentali, abbiamo già dato conto in passato diverse volte all’interno della rubrica Vita Politica Internazionale: in particolare un importante punto di svolta è stato l’accordo tra il partito di governo e le opposizioni di destra nel quadro del Patto di Città del Messico dell’agosto 2021.
Le rivendicazioni e le lotte nelle città e nelle campagne venezuelane contro questa involuzione delle politiche governative hanno avuto come risposta nelle città l’incremento della repressione e la persecuzione giudiziaria, mentre nelle campagne l’incremento degli gli sfratti ai danni dei contadini, e la persecuzione fino all’assassinio di dirigenti contadini come Luís Fajardo, quadro del Partito Comunista del Venezuela, nel 2018.
In questo contesto si è prodotta, aggravandosi sempre più, una forte repressione ai danni della formazione comunista dopo la rottura col partito di governo, il Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV). L’ultimo atto si è consumato con la sentenza della Corte Suprema di Giustizia l’11 agosto scorso, come dichiara il comunicato su “Tribuna Popular”, l’organo del partito. Il tribunale ha accolto la denuncia di alcuni ex membri del PCV, più alcune persone rivelatesi agenti governativi, auto-organizzati in una “conferenza per salvare il PCV” che chiede sostanzialmente il commissariamento del partito, per permettere alle forze governative di prenderne il controllo.
Il tribunale ha valutato di non ascoltare la difesa del PCV dalle accuse e si è limitato a prendere atto delle rimostranze presentate da un gruppo che è già stato pubblicamente denunciato come espressione del PSUV e di altre organizzazioni controllate dal governo del Venezuela. Infatti, a portare in tribunale la denuncia è Henry Parra, non più membro del PCV dal 2021 e più volte visto a fianco del vicepresidente del PSUV, Diosdado Cabello, durante le manifestazioni governative.
L’effetto della sentenza del tribunale è essenzialmente un commissariamento del partito agli effetti di legge, che nomina, inoltre, una nuova dirigenza ad interim in aperta violazione sia delle leggi dello Stato sia dello Statuto del PCV. Quest’ultimo infatti ha svolto un regolare congresso nel novembre 2022, nominando i propri organi nazionali e locali: il ruolo di questa dirigenza imposta dall’esterno, secondo la sentenza n. 1160 della Sezione Costituzionale della Corte Suprema, è quello paradossalmente di organizzare “processi democratici interni che garantiscano il diritto alla partecipazione politica dei membri”. Sostanzialmente il tribunale impone la sostituzione della dirigenza del PCV poiché “non gradita” al governo.
La strategia governativa: accordi con la destra, soppressione dell’opposizione di sinistra
E’ dal 2021 che sui media governativi (come il programma TV di Diosdado Cabello) viene portata avanti una strategia volta a dividere il PCV, principalmente ad opera del vicepresidente del PSUV e attraverso i suoi canali social. Sostanzialmente la strategia consiste da un lato nell’insinuare l’eterodirezione del PCV da parte dell’imperialismo USA, insinuazioni che incudono le accuse di ricevere fondi neri e di “mantenere una retorica uguale a quella dei gringos”; dall’altro lato nella creazione e promozione di “lettere di protesta” da parte di fittizie organizzazioni di base del PCV, che denunciano il carattere autoritario della dirigenza del partito stesso, accusata di non dare ascolto a chi vorrebbe che la formazione comunista continuasse a supportare il governo del PSUV e le sue politiche. Diverse volte infatti sono state organizzate anche manifestazioni pubbliche di protesta contro la dirigenza del partito, usurpando i simboli del PCV da parte di finti “militanti di base” più volte riconosciuti come membri del PSUV o a vario titolo legati al governo.
Addirittura a marzo 2023 è trapelato un messaggio vocale di Jesús Faría Tortosa, membro della Direzione Nazionale del PSUV, in cui traccia un resoconto delle cosiddette “assemblee spontanee” organizzate dal governo di Nicolás Maduro per intervenire nel PCV, ammettendo implicitamente la mano governativa dietro queste finte proteste.
Secondo la dirigenza del partito sotto attacco, “questa escalation di aggressioni della leadership del PSUV contro il PCV inizia, accelera e si approfondisce in concomitanza con l’intensificarsi delle proteste dei lavoratori per ottenere salari dignitosi. Ci sono stati quattro mesi di mobilitazioni continue e massicce dei lavoratori in tutto il Paese, che chiedono salari adeguati rispetto al paniere alimentare di base e il ripristino dei loro diritti lavorativi. L’indignazione popolare sta crescendo dopo i recenti scandali di corruzione in cui un’intera rete mafiosa di leader del PSUV, prestanome e dirigenti d’azienda sembra essere coinvolta in una truffa alla nazione per oltre 20 miliardi di dollari.”
Durante le elezioni del dicembre 2022, il PCV ha raggiunto un buon risultato (170mila voti pari al 2,73%, di fronte ad un’astensione record del 70%) nonostante le condizioni di grande disparità, a causa della censura mediatica subita e l’indebito vantaggio del PSUV e dei partiti di destra. Infatti, mentre si applicava la censura contro il PCV, i candidati della destra godevano di ampio spazio mediatico nei mezzi di comunicazione pubblici e privati. Inoltre i deputati eletti col PSUV hanno beneficiato di un consistente premio di maggioranza, in violazione dei principi costituzionali, garantendosi il 91% dei seggi a fronte del 69% dei voti ottenuti, mentre il PCV con il 2,73% dei voti ha ottenuto un solo deputato, lo 0,36% dei seggi.
L’aggressività degli attacchi governativi al PCV è cresciuta dopo il 16° Congresso Nazionale (novembre 2022), durante il quale si è approvata una linea di profonda critica e demarcazione rispetto alle politiche del governo di Nicolás Maduro. Infatti, gli attacchi precedenti non hanno minato la direzione politica e l’unità interna del PCV, e per questo la strategia del governo si è concentrata sul far credere all’opinione pubblica che ci fosse un “malcontento” nella base del partito rispetto all’opposizione al governo.
Alla radice c’è la rottura tra il PCV e il governo, a causa della violazione, da parte di quest’ultimo, dell’accordo PSUV-PCV del 2018 e l’attuazione, sempre da parte del governo, a partire dallo stesso anno, di un programma di manovra economica aggressiva, antipopolare.
Nel suo dossier il PCV denuncia che “la decisione politica adottata dal PCV di rompere con un Governo che non solo non ha rispettato gli accordi programmatici, ma ha adottato un percorso diametralmente opposto agli interessi della classe operaia e degli strati sfruttati, è stata – e continua ad essere – utilizzata dalla leadership del PSUV per scatenare una violenta campagna contro il PCV.” Si sottolinea, inoltre, che la possibilità che il PCV venga messo fuori legge è caldeggiata con favore dalle associazioni imprenditoriali e dai partiti dell’ultradestra.
L’Ufficio Politico del Comitato Centrale del PCV, dopo aver appreso della decisione del tribunale, ha commentato: “questa frode procedurale, che viola i diritti politici del PCV e dei lavoratori venezuelani, non solo crea un grave precedente nella storia politica e giuridica del paese, ma mette anche in luce la natura autoritaria, antidemocratica e reazionaria del governo e del PSUV, che crede erroneamente che con questa manovra sottometterà i comunisti venezuelani”.
Le reazioni militanti all’aggressione governativa
La volontà governativa di sopprimere o prendere il controllo del PCV era già stata denunciata recentemente con un comunicato di solidarietà congiunto di oltre 50 partiti comunisti e operai (tra cui il Fronte Comunista, per l’Italia), in cui si denuncia “l’intenzione pubblica e in malafede del signor Diosdado Cabello, con l’intento di promuovere ed eseguire il piano di aggressione al PCV e di usurpazione dei suoi simboli e della sua figura giuridico-elettorale, attraverso l’inaccettabile manovra di utilizzare persone estranee al PCV”.
Un’altra dichiarazione di solidarietà più recente riporta: “Mentre il Partito Comunista del Venezuela lotta per l’aumento dei salari, dei redditi e dei diritti dei lavoratori in generale, il governo venezuelano sceglie la strada pericolosa della criminalizzazione della lotta e della persecuzione anticomunista. Non potendo sottomettere il Partito Comunista del Venezuela e trasformarlo in uno strumento al servizio di politiche antipopolari che portano al deterioramento permanente delle condizioni di vita del popolo venezuelano, l’obiettivo del PSUV rimane quello di creare una parodia di “Partito Comunista” composto da prezzolati, membri del PSUV e funzionari governativi per giustificare poi attacchi e azioni legali contro il Partito Comunista del Venezuela.”
Alla sentenza del tribunale che commissaria di fatto il PCV, non hanno tardato le reazioni dei partiti comunisti e operai: il Partito Comunista di Grecia (KKE) ha scritto in una nota che “condanna questo colpo di stato inaccettabile e qualsiasi formazione che possa apparire con il nome e i simboli del Partito Comunista Venezuelano e che sarà un burattino del governo socialdemocratico e dello Stato venezuelano.”
Sotto lo slogan “Yo defiendo al PCV!” (“Io difendo il PCV!”), i militanti del Partito Comunista del Messico hanno occupato l’ambasciata venezuelana nel loro paese: “quando i comunisti messicani furono messi fuori legge negli anni ’20, i partiti comunisti occuparono le ambasciate messicane, oggi siamo coerenti con quel gesto di internazionalismo proletario. Le ambasciate dell’anticomunismo devono essere bloccate dai lavoratori”, hanno dichiarato i portavoce del PCM.
Messaggi di solidarietà sono arrivati dagli altri partiti comunisti dell’America Latina, come ad esempio il Partito Comunista colombiano, uruguayano e brasiliano ma anche dai partiti comunisti europei.
Le ambiguità del processo “rivoluzionario” in Venezuela
Alcuni partiti comunisti, a causa della disgregazione politico-ideologica del movimento comunista internazionale, portano avanti delle fascinazioni riguardo il cosiddetto Socialismo del XXI Secolo, concentrando l’attenzione sulla storia recente del Venezuela e, più in generale, sui governi “progressisti” in America Latina. Sostanzialmente si tratta della pretesa di creare un processo rivoluzionario a partire da una serie di riforme radicali nel sistema parlamentare borghese, senza una completa rottura rivoluzionaria e mantenendo gli aspetti strutturali del sistema capitalistico, come la proprietà privata. L’involuzione del “processo rivoluzionario bolivariano” in Venezuela, in termini di mancato progresso verso il potere popolare, verso la pianificazione industriale e verso la nazionalizzazione dei settori produttivi, contesto in cui si svolge l’attacco anticomunista di cui si è dato conto in questo articolo, sta a testimonianza dei limiti di questa impostazione.
Tuttavia, nonostante questi preoccupanti avvenimenti, non può mancare la solidarietà internazionalista verso il popolo venezuelano, al centro dell’aggressione da parte dei principali centri imperialisti (USA in testa) soprattutto interessati alle risorse petrolifere del paese latinoamericano, quinto in classifica mondiale per riserve di idrocarburi. Fra gli esempi più eclatanti delle interferenze statunitensi si prenda ad esempio la messa in scena di Juan Guaidó, autoproclamatosi presidente della repubblica nel 2019. La manovra dell’imperialismo nordamericano in quel caso, pur sottolineando la distanza dalle politiche governative, fu duramente contestata dal Partito Comunista del Venezuela.