Seppur il risultato non sia stato ancora ufficializzato, con il 50,1% dei voti il socialdemocratico Pedro Castillo, candidato di Perù Libre, ha vinto il ballottaggio sconfiggendo la candidata neoliberista Keiko Fujimori di Fuerza Popular, con una differenza di circa 44 mila voti1. Maestro di scuola nelle zone rurali nonché leader delle proteste degli insegnanti del 2017, Castillo ha trionfato in particolare nelle aree rurali, indigene e povere del paese con un voto che riflette la polarizzazione di classe della società peruviana2. Un processo elettorale che indubbiamente rappresenta un elemento di novità nella storia del Perù.
Le elezioni peruviane si inseriscono in un contesto di forte ristrutturazione capitalistica e al contempo di enorme fermento sociale e politico nel continente sudamericano. Da più di un mese in Colombia è in corso uno sciopero generale contro le politiche antipopolari di taglio neoliberale del governo di Ivan Duque con agghiaccianti conseguenze: decine di manifestanti uccisi, migliaia gli arrestati, violenze sessuali ad opera delle “Forze dell’ordine”, folle disperse a colpi di fucili automatici e pistole, persone sequestrate dalla polizia ritrovate morte lungo le sponde del fiume Cauca, con evidenti segni di tortura.
In Cile, ad un anno e mezzo dall’inizio delle grandi proteste, si è votato per la nuova Assemblea costituente che dovrebbe cambiare dopo 40 anni la Costituzione pinochetista. La destra di Sebastian Piñera, al governo, non ha ottenuto nemmeno un terzo dei voti, percentuale necessaria per consentire il potere di veto alle proposte di legge, con una maggioranza di eletti dalle liste delle sinistre. Il Partito Comunista del Cile (PCCh), inoltre, è risultato il partito maggiormente votato nell’ultima tornata elettorale in cui ha conquistato anche la capitale, Santiago del Cile, raccogliendo elettoralmente parte della grande mobilitazione popolare e operaia.
Pochi mesi fa, la coalizione di sinistra dei prosecutori della cosiddetta “Revolucion Ciudadana” di Rafael Correa, in Ecuador, ha perso di stretta misura alle elezioni, dopo che l’ex vicepresidente di Correa e candidato del suo stesso partito, Lenin Moreno, aveva assunto la carica di presidente alle elezioni del 2017 imponendo un corso neoliberista. Si prevedono conflitti nel paese come quelli imponenti avvenuti sul finire del 2019.
A novembre del 2020, in Bolivia i socialisti del partito MAS hanno vinto le elezioni dopo il golpe dell’ottobre del 2019 che aveva rimosso Morales3.
In Brasile Jair Bolsonaro ha perso popolarità e le proteste antigovernative si moltiplicano4.
Il Perù si inserisce in questo contesto regionale come uno degli stati la cui classe dirigente è tra le più salde nel sostenere il modello capitalistico nella forma neoliberale, più bendisposta a svendere le proprie risorse alle multinazionali straniere e più attiva nel contrastare qualsiasi fermento progressista dal punto di vista sociale.
Ad emergere nell’ultimo periodo è stato Perù Libre, il cui segretario generale è Vladimir Cerrón Rojas, neurochirurgo laureatosi all’università di scienze mediche di Camagüey a Cuba. Fondato nel 2007 come forza regionale, ha assunto l’attuale assetto e denominazione nel 2019 definendosi come un partito di “sinistra socialista” che abbraccia la “teoria marxista” e che nei suoi riferimenti contempla anche il “leninismo” e il “mariateguismo”5. Si pone in continuità con il progetto liberatore anticoloniale di Tupac Amaru II6, inserendosi nel filone del cosiddetto “Socialismo del XXI secolo” identificato nelle esperienze di Evo Morales in Bolivia e di Raffael Correa in Ecuador.
Nella prima tornata elettorale il voto popolare, inaspettatamente, ha premiato i socialisti di Perù Libre, che hanno proposto un programma riformista più radicale rispetto agli altri partiti di sinistra raggruppati nella coalizione Juntos por el Perù guidata da Veronika Mendoza, di cui facevano parte anche il Partito Comunista del Perù – Patria Rossa e il Partito Comunista Peruviano, senza però raggiungere il quorum che avrebbe consentito di vincere alla prima tornata7.
Al secondo turno, Castillo – ricevendo il sostegno anche dei partiti comunisti e della coalizione di Mendoza – ha sconfitto la candidata arrivata seconda, Keiko Fujimori, laureatasi in amministrazione d’azienda negli USA e rappresentante della destra autoritaria8. Figlia dell’ex dittatore del Perù, Alberto Fujimori ora in carcere con condanna a trentadue anni per crimini contro l’umanità, corruzione, terrorismo di stato e sterilizzazione forzata, Keiko è già stata condannata nel 2018 per corruzione e rilasciata su cauzione. Votata essenzialmente nelle aree più ricche del paese, non ha accettato la sconfitta e reclama l’annullamento di circa 200mila voti in 802 seggi. Questo apre la strada ad un pericoloso scenario, già visto in precedenza soprattutto in Sud America, in cui si potrebbero mettere in campo tentativi golpisti per ribaltare l’esito del voto.
Per capire meglio ciò che sta accadendo nel paese bisogna però guardare anche al suo excursus storico negli ultimi sessant’anni. Il Perù nella seconda metà del secolo scorso è stato teatro di tentativi di rovesciamento dello stato borghese attraverso la lotta armata. Vi si sono succedute varie organizzazioni guerrigliere, ma le due più importanti sono sicuramente Sendero Luminoso (SL) di ispirazione maoista e il Movimiento Revolucionario Tupac Amaru (MRTA), di orientamento anticapitalista e radicale di sinistra, si definiva ispirato al marxismo-leninismo.
- Sendero Luminoso, fondato sul finire degli anni Sessanta in seguito a una scissione dal Partito Comunista del Perù – Patria Roja, ebbe come leader storico Abimael Guzmàn. Quest’organizzazione riuscì a costruire un contropotere al governo peruviano prendendo il controllo e amministrando porzioni di territorio nell’entroterra del paese. Gli anni ‘80 hanno rappresentato il momento di maggiore scontro e SL era attivo in più della metà del territorio nazionale; il conflitto tra le forze governative e della guerriglia maoista causò la morte di migliaia di civili. Le pratiche di SL l’hanno allontanato dalla base popolare e contadina e con il regime terrorista e genocida del dittatore Alberto Fujimori alla guida del Perù SL venne ridimensionato con la cattura di Guzmàn all’inizio degli anni ’90.
- Il MRTA, il cui leader fu Victor Polay Campos, mantenne invece sempre un certo favore da parte dei campesinos. La loro azione più eclatante fu nel 1996 quando presero l’abitazione dell’ambasciatore giapponese a Lima, durante una festa. Tennero in ostaggio settecento persone tra le più influenti nel paese. Dopo tre mesi di trattative ed il rilascio di più di seicento persone, le forze speciali irruppero uccidendo tutti i militanti ed un ostaggio. Questa conclusione ed il fatto che il leader, Campos, era già stato imprigionato, causò la dispersione e l’annullamento del MRTA.
Da questa eredità storica deriva che le realtà comuniste e socialiste devono far fronte ad una colossale repressione e propaganda antimarxista che addita come un terrorista chiunque si riferisca a certi ideali, seppur hanno un seguito di massa attraverso la confederazione sindacale della CGTP. Sul piano elettorale da più di 30 anni domina sostanzialmente la destra, con una parentesi nel 2011 con l’elezione di Ollanta Humala del Partito Nazionalista che alla guida di una coalizione “progressista” di sinistra prometteva la rottura con il neoliberismo e un cambiamento geopolitico avverso agli USA, tradendo le aspettative una volta al governo nel discredito generale. Nel 2016 si presentò invece il denominato Frente Amplio guidato da Veronika Mendoza che ottenne il 19% senza accedere al ballottaggio. Perù Libre non partecipò a queste esperienze elettorali, ponendosi al di fuori degli schemi di quella che considera come “sinistra tradizionale” di Lima e delle città costiere, radicandosi nelle aree rurali, indigene e più povere delle Ande, senza registrare prima di adesso però un successo elettorale significativo9.
Analizziamo ora le condizioni materiali del paese.
In Perù le risorse naturali sono estremamente abbondanti. Sono presenti in grande quantità petrolio, gas naturale, rame, ferro, argento, oro, piombo, zinco ed altri metalli. Risorse però sfruttate solo dalle multinazionali che tengono per sé in media il 70% degli utili, con picchi dell’80 o 90%, reinvestendo nel paese solo una percentuale esigua, in media inferiore al 30%.
Il sistema sanitario è molto simile a quello statunitense: vi è un oligopolio di otto imprese private che ha il controllo del tariffario. Il 75% dei medici specializzati è concentrato nella capitale. Il Perù è anche il paese al mondo con più morti per Covid-19 in percentuale rispetto alla popolazione, con gravissime mancanze di ossigeno e posti letto. Due città hanno anche richiesto l’aiuto a Cuba per poter gestire meglio l’emergenza pandemica. Ci sono quasi tre milioni di persone analfabete e un milione e mezzo di bambini lavoratori, due dati tra i peggiori nel Sud America. Le strade sono in mano a privati stranieri e le ferrovie sono quasi del tutto assenti. Il salario minimo è costituito da 920 Soles, equivalenti a 198€, che oltre a non bastare per una vita dignitosa non viene praticamente mai rispettato. Le otto ore lavorative esistono solo sulla carta, come anche le norme sulla sicurezza sul lavoro. Corruzione, criminalità e prostituzione hanno tassi altissimi. Il Perù è il secondo produttore mondiale di cocaina. Nonostante nel paese ci sia una forte denutrizione nel settore primario si investe solo nelle coltivazioni destinate all’esportazione come avocado, banane, caffè e cotone.
In questo quadro, le classi popolari peruviane sono tornate a mobilitarsi con forza di fronte ad una crisi capitalista che ha registrato una delle peggiori contrazioni economiche in America Latina (meno 11%) dopo decenni di politiche antipopolari, di privatizzazioni e liberalizzazioni che hanno portato ad una enorme diseguaglianza, corruzione e povertà in un paese estremamente ricco di risorse minerarie. Il programma politico di Perù Libre ha raccolto più di altri questa spinta radicale inquadrandola dentro i limiti della rinnovata socialdemocrazia (nel senso classico del termine).
Questo però è bastato per scatenare una campagna mediatica apertamente ostile a Castillo, che viene accusato di avere contatti con le rimanenze appartenenti a Sendero Luminoso, di incitare alla violenza, di voler distruggere l’economia del paese e di voler riportare la nazione ai livelli di guerriglia degli anni del terrorismo. Campagna diffamatoria non molto difficile dato che in Perù i mezzi di comunicazione sono nelle mani di pochi: l’85% di questi appartiene a soli tre gruppi, di cui uno, “El Comecio”, società della importante famiglia di impresari Mirò Quesada, ne detiene da solo il 60%, e possiede l’80% dei giornali.
Emblematico il caso del 24 maggio, in cui sedici persone sono state uccise nel territorio del Vraem. Tutti i mezzi di informazione hanno accusato Sendero Luminoso ed i comunisti, perseguendo una campagna del terrore, salvo poi scoprire che la polizia accusante SL non era nemmeno giunta sul posto, che i testimoni hanno affermato che gli aggressori non erano vestiti da senderisti e che quelle non sono le modalità d’azione del gruppo armato.
In questo contesto, a Castillo viene affibbiata l’etichetta del “maestro comunista” – riprodotta da tutti i media compresi quelli italiani – con una propaganda della destra in campagna elettorale tutta rivolta ad indicare il pericolo dell’avvento del “comunismo”.
In realtà Castillo proviene da esperienze politiche moderate essendo stato dal 2005 al 2017 un referente politico di Perù Possibile, di orientamento centrista e liberaldemocratico, dell’ex presidente Alejandro Toledo (2001-2006). “Non siamo comunisti, né chavisti”, si è affrettato più volte a ribadire Castillo, dichiarando anche che non procederà alle nazionalizzazioni: “Respingo completamente coloro che dicono che Pedro Castillo sta per nazionalizzare”, attribuendo alla “frangia di sinistra” i punti programmatici più radicali e ricordando al contempo che “quello che andrà a governare sono io”. Rassicurazioni anche per quanto riguarda la garanzia del “pagamento del debito” e del rispetto “dell’autonomia della Banca centrale“10. “Ho appena avuto conversazioni con la comunità imprenditoriale nazionale che sta mostrando supporto per il popolo. Creeremo un governo rispettoso della democrazia e dell’attuale Costituzione. Creeremo un governo che si basi sulla stabilità finanziaria ed economica”, ha infine affermato nell’annunciare la sua vittoria. Ripetuti sono infatti i suoi appelli agli imprenditori peruviani come riflesso della visione interclassista di Castillo che attribuisce la centralità alle “imprese private nazionali” rispetto alle multinazionali straniere.
In questa direzione, il programma di Perù Libre teorizza la cosiddetta “Economia popolare con mercato” in contrasto con l’attuale “economia sociale di mercato”. Nel modello di sviluppo capitalistico prospettato da Castillo, basato sulla “economia popolare con mercato”, lo stato (borghese) avrebbe il ruolo di “regolatore del mercato” e di “imprenditore collettivo” in cui il ruolo delle multinazionali straniere sarebbe limitato e la proprietà capitalista nazionale supportata e protetta. Nel programma si parla di “difesa del diritto al lavoro, nel lavoro e dopo il lavoro. Il lavoro è intimamente connesso col diritto alla vita”, ma entrando nel concreto tranne che per l’abolizione del lavoro infantile, non si va oltre ad enunciati sulla necessità di migliorare i diritti e i salari dei lavoratori, relazionandoli alla salvaguardia dei profitti dell’imprenditore privato introducendo il rapporto di 20 volte il salario del lavoratore meno qualificato, mentre nelle imprese statali i lavoratori non dovrebbero avere pretese in quanto si tratterebbe di soldi sottratti alla spesa sociale. Questo, inoltre, si lega alla cooptazione dei dirigenti sindacali nella gestione governativa in un quadro di collaborazione interclassista sul terreno capitalista.
Un altro punto programmatico è quello della riforma agraria per poter soddisfare le necessità alimentari nel paese prima che per l’esportazione anche per resistere ad un futuro blocco commerciale, preso già in seria considerazione.
Un punto centrale è quello dell’elezione di un’Assemblea costituente che lavori alla sostituzione della Costituzione scritta nel 1993 dopo il colpo di stato di Fujimori, voluta dalla grande borghesia nazionale ed internazionale. La Costituzione del ’93, ispirata a quella Cilena di Pinochet, promuove il libero mercato, la privatizzazione (228 imprese statali privatizzate), l’irresponsabilità dello stato nei confronti dell’istruzione e della sanità (Art 6, 11, 17, 19), vieta, con l’art. 62, la revisione dei contratti tra stato e multinazionali anche se stipulati decenni prima.
Secondo Castillo, l’Assemblea costituente si dovrebbe però realizzare rispettando i “meccanismi costituzionali vigenti e nel rispetto dello stato di diritto”11 ed esser formata da quelle che considera le “parti sociali che realmente creano la ricchezza nel paese”, includendo come detto anche gli imprenditori, con il compito di scrivere “una costituzione diametralmente opposta a quella odierna: dovrà essere solidale, riscattatrice, umanista e nazionalizzatrice. Dovrà plasmare un nuovo regime economico dello stato”.
Uno dei punti più noti del programma di Perù Libre è quello della rinegoziazione dei trattati con le multinazionali per invertire la ripartizione delle quote: 80% al Perù e 20% alle imprese. Se le nuove condizioni non venissero accettate, si procederebbe alla nazionalizzazione, previa compensazione al privato pari a quanto investito. Grazie ai nuovi proventi ottenuti dalla rinegoziazione dei trattati o dall’amministrazione delle eventuali nazionalizzazioni, l’intenzione sarebbe quella di procedere ad una politica di redistribuzione per finanziare i cosiddetti “programmi sociali” come la campagna di alfabetizzazione e a moltiplicare la spesa pubblica destinata all’istruzione, garantendo una scuola e un’università popolare, meglio distribuita sul territorio e gratuita. Anche il sistema sanitario dovrebbe essere universale e gratuito, con università di scienze mediche e ospedali in ogni regione.
Infine, in politica estera il riferimento è l’”integrazione regionale latinoamericana” per rompere la dipendenza dall’imperialismo statunitense e con le istituzioni sovranazionali come FMI, Banca Mondiale, OSA.
Un programma che sicuramente ha dei richiami a principi di giustizia sociale ma che, in linea con le esperienze del progressismo in America Latina, non mette in discussione i rapporti capitalistici di produzione, il potere dei capitalisti e lo stato borghese, il cui carattere rimane immutato al di là del governo di turno o dell’appellativo che gli si attribuisce “socialista”, “popolare” ecc.
I processi guidati da governi legati al “socialismo del XXI secolo” hanno già dimostrato ampiamente i propri limiti, con sviluppi diversi a seconda del grado di sviluppo capitalistico ma accumunati dal fatto che in nessun caso si è aperta la strada alla costruzione reale del socialismo né alla presa del potere da parte della classe lavoratrice. Al contrario, mentre si facevano o si fanno proclami sul “socialismo”, da raggiungere presumibilmente per “tappe”, “gradini” o “evoluzione”, nella realtà questi processi avanzano una gestione diversa del capitalismo sotto la direzione di settori della borghesia nazionale e piccola borghesia.
Se in un primo momento, le riforme attuate dai governi chiamati progressisti e di taglio socialdemocratico in America Latina hanno favorito temporaneamente le masse operaie, contadine, indigene e popolari (soprattutto in considerazione delle condizioni precedenti) non hanno però propiziato un’accumulazione di forze nella direzione di distruggere il capitalismo ma di gestirlo. Non è con un semplice cambio di governo che scompaiono o mutano le leggi oggettive dello sviluppo capitalista che, invece, avanzano inesorabilmente al di là delle volontà o discorsi pronunciati anche attuando misure politiche apparentemente “radicali” come le nazionalizzazioni o la rottura con il “dominante” imperialismo statunitense per ricercare mercati diversi, saldando alleanze con potenze capitaliste emergenti e favorendo la penetrazione del capitale europeo, russo e cinese ecc., nel quadro della competizione imperialista.
Tutto ciò senza toccare la base economica su cui poggia il potere della borghesia: la proprietà dei mezzi di produzione e distribuzione, il carattere dello stato (tutt’altro che “neutrale”) e la composizione delle forze armate. Ciò comporta inoltre la possibilità di un’offensiva dei settori più reazionari, religiosi e militari della borghesia per mantenere la sua dittatura di classe o comunque per imporre una gestione che corrisponda maggiormente ai suoi interessi e vincoli imperialisti. Questo può avvenire sia attraverso golpe (reali o minacciati), sanzioni, sabotaggio economico e interventi militari, sia attraverso politiche cedevoli, di patto e collaborazione, con aggiustamenti economici a beneficio della borghesia da parte di questo tipo di governi come nel caso del Venezuela12, in un quadro di assimilazione, cooptazione e un generale reflusso e indebolimento dello smobilitato movimento operaio e rivoluzionario. Il che, infine, si traduce anche in discredito ed erosione della stessa base di sostegno.
I comunisti peruviani, che hanno sostenuto Castillo al secondo turno per “sbarrare la strada” alla destra di Fujimori e all’oligarchia, hanno salutato l’espressione della volontà popolare di cambiamento e invitano alla mobilitazione popolare per far rispettare il voto e “aprire un nuovo ciclo con protagonismo popolare” per far in modo che il nascente governo sia coerente con le aspettative13.
Ma non si può sfuggire alla dicotomia: con i capitalisti o con i lavoratori. L’esperienza dimostra che il riformismo, anche il più sincero, è una strada ingannevole che porta ad un vicolo cieco.
Vedremo in che modo il governo guidato da Castillo si rifletterà sulla strada del radicale cambiamento reclamato dagli strati proletari e popolari della società peruviana e se quindi questo processo avanzerà favorendo lo sviluppo della loro lotta di classe o se, come avvenuto nelle altre esperienze, ristagnerà perpetuando la gestione del capitalismo. Fondamentale sarà il protagonismo che la classe operaia, i contadini poveri, le classi popolari saranno in grado di esercitare in modo indipendente per prendere nelle loro mani la direzione del processo guidati da un’avanguardia comunista che faccia tesoro dell’esperienza acquisita che dimostra come il potere politico o è proletario o è borghese mentre i tentativi di soluzioni intermedie sono falliti non avendo una base oggettiva.
Come comunisti in Italia dobbiamo guardare a questi processi con spirito di reale internazionalismo proletario ma proprio per questo è fondamentale la chiarezza, non la promozione di caricature del “socialismo” e illusioni riformiste che da un lato non contribuiscono alla costruzione del partito della classe operaia e della rivoluzione socialista, in Italia così come in ogni altro paese, e dall’altro alimentano solo linee e progetti opportunisti destinati a produrre nuovi fallimenti e arretramenti.
2 Castillo ha vinto in 17 dei 25 distretti del paese, con successi schiaccianti nelle regioni andine e meridionali più povere: Ayacucho 82%, Huancavelica 85%, Puno 89%, Cusco 83%. Importante risultato anche nella sua provincia d’origine, Cajamarca (71%), una regione dove ci sono state massicce proteste contro le miniere. Significative anche le vittorie nelle città minerarie: a Chumbivilcas (Cusco) 96%; Cotabambas (Apurímac), sede della miniera Las Bambas della cinese MMG, oltre il 91%; Espinar (Cusco), dove opera la anglo-svizzera Glencore, oltre il 92%; oltre l’80% a Huari (Áncash) dove c’è una miniera di proprietà di una joint venture BHP Billiton – Glencore. Fujimori ha vinto invece in modo schiacciante solo a Lima (65%), spinta dal voto nei quartieri più ricchi: San Isidro (88%), Miraflores (84%) e Surco (82%).
3 Per approfondire sul processo politico e sviluppi della lotta di classe in Bolivia, leggere questa intervista al SG della Gioventù Comunista di Bolivia (JCB): “Da marxisti-leninisti assumiamo il socialismo scientifico come strumento e guida della trasformazione della società”.
5 Da José Carlos Mariátegui, tra i primi e più importanti marxisti in America Latina. Fondatore nel 1928 del Partito Socialista Peruviano, che successivamente passerà a denominarsi Partito Comunista Peruviano, e della Confederazione Generale dei Lavoratori del Perù nel 1929. Le sue posizioni da giornalista lo mettono in contrasto con il governo che lo allontana dal Perù, così all’età di 25 anni, nel 1919, viaggia in Europa dove si trova immerso nel fervore rivoluzionario prima degli spartachisti in Germania e poi in Italia, dal 1919 al 1923, vivendo tra Roma e Torino dove, durante il biennio rosso, fu presente all’occupazione delle fabbriche e conobbe da vicino il gruppo de “L’Ordine Nuovo” e Gramsci. Nel 1921, come corrispondente del giornale peruviano El Tiempo, assiste al Congresso di Livorno dove la frazione comunista fonda il Partito Comunista d’Italia, sezione dell’Internazionale Comunista. Con l’ascesa del fascismo fa ritorno in Perù dove, sulla base dell’esperienza in Europa, sviluppa la sua analisi sulla realtà peruviana e la trasformazione rivoluzionaria aderendo al marxismo-leninismo dell’Internazionale Comunista, criticando il riformismo della II Internazionale e della socialdemocratica APRA. Identifica il carattere della rivoluzione peruviana come socialista e tappa della rivoluzione mondiale, ma attribuisce un ruolo preminente ai contadini e alle masse indigene rispetto alla classe operaia. Muore nel 1930, all’età di 35 anni, a causa di complicazioni di una malattia che aveva dall’infanzia.
6 José Gabriel Condorcanqui, capo della rivolta indigena nella seconda metà del ‘700 contro la dominazione spagnola nel Perù coloniale. Assunse il nome di Tupac Amaru II, in quanto rivendicava una diretta discendenza da Tupac Amaru, ultimo imperatore Inca vissuto nel XVI secolo.
7 Al primo turno il voto è stato molto frammentato: Perù Libre è stato il più votato con il 18.9% dei voti, mentre Juntos por el Perù ha ottenuto il 7,8%. Il partito di destra della Fujimori al secondo posto con l’13,4%, mentre al terzo posto il partito conservatore di destra Renovación Popular con l’11,7%.
8 A suo sostegno anche il vecchio partito socialdemocratico Alleanza Popolare Rivoluzionaria Americana (APRA), dell’ex presidente Garcia (1985-1990 e 2006-2011). Collocato nel campo liberale del centrosinistra, ha fatto appello al voto per Fujimori in funzione “anti-comunista”.
9 Alle elezioni parlamentari del 26 gennaio 2020 aveva ottenuto il 3.4% dei voti senza eleggere alcun rappresentante in Parlamento.
10 “In un eventuale governo del professor Pedro Castillo Terrones, candidato alla presidenza di Perù Libre, – recita un comunicato stampa del 7 giugno – rispetteremo l’autonomia della Banca centrale, che ha fatto un buon lavoro mantenendo bassa l’inflazione per più di due decenni. Ribadiamo che non abbiamo previsto nel nostro piano economico nazionalizzazioni, espropri, confische di risparmi, controlli sui cambi, controlli sui prezzi o divieti di importazione. L’economia popolare con il mercato, che sosteniamo, promuove la crescita delle aziende e delle imprese, in particolare l’agricoltura e le PMI, al fine di generare più posti di lavoro e migliori opportunità economiche per tutti i peruviani. Manterremo un dialogo aperto e ampio con i vari settori dei capitalisti e degli imprenditori onesti, il cui ruolo nell’industrializzazione e nello sviluppo produttivo è fondamentale. Garantire il diritto alla salute e all’istruzione per tutti richiede il miglioramento della qualità e l’aumento della spesa sociale, che deve fondarsi su riforme fiscali rispetto alle miniere per aumentare la riscossione nel quadro di una politica di sostenibilità fiscale, con una graduale riduzione del deficit pubblico e nel rispetto di tutti gli impegni di ripagare il debito pubblico peruviano.”
11 Passando dal Congresso dove non ha la maggioranza. Attualmente la composizione del Congresso vede una maggioranza della destra con 88 seggi su 130. Perù Libre ha 37 seggi a cui si aggiungono i 4 di Juntos por el Perù.
12 Per approfondire: Lettera del Partito Comunista del Venezuela ai partiti comunisti e operai del mondo; Il PCV al Presidente Maduro: o con i lavoratori o con i capitalisti; Carattere e natura di classe dell’Alternativa Popolare Rivoluzionaria.
13 Comunicato del Partito Comunista del Perù – Patria Rossa: “Ha trionfato la volontà di cambiamento del popolo peruviano” ; Comunicato del Partito Comunista Peruviano: “Mobilitazione permanente in difesa del voto popolare e atto democratico del 6 giugno”.