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Home›Terza pagina›Storia di classe›I morti di Reggio Emilia, la repressione di ieri e la realtà di oggi

I morti di Reggio Emilia, la repressione di ieri e la realtà di oggi

Di Redazione
07/07/2021
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Nell’estate del 1960 l’Italia è stata teatro di un aspro scontro politico e sociale, che ha trovato il proprio apice nei fatti di Reggio Emilia che hanno portato alla morte di 5 operai, i Martiri del 7 luglio. Questa giornata è probabilmente la più conosciuta, ma è inserita all’interno di un contesto che copre un periodo di tempo più ampio e che coinvolge e unisce l’antifascismo con le lotte sindacali, in una Italia nel pieno del boom economico del dopoguerra, che però racchiude tutte le contraddizioni di uno sviluppo capitalistico basato sulla massimizzazione dei profitti e lo sfruttamento della classe operaia. Si pensi ad esempio che se da un lato il reddito nazionale aumentò dal ’51 al ’60 di un 6,1% annuo (una crescita fra le più alte dell’occidente capitalistico), i salari operai rimasero compressi, scontando, per di più, una forte disomogeneità territoriale.

Avvicinandosi ai fatti di quei giorni, va ricordato che il 14 maggio 1960 il Movimento Sociale Italiano ufficializza il suo sesto congresso per la data del 2 luglio 1960 a Genova, città medaglia d’oro alla Resistenza. Questo riconoscimento alla città venne assegnato in seguito all’insurrezione avvenuta tra il 24 e il 26 aprile del 1945, iniziata con uno sciopero generale e guidata dalle forze partigiane, a cui si unirono operai e cittadini. Nel decennio successivo la città ligure fu teatro di un aspro conflitto sociale, con al centro il ridimensionamento produttivo della città, che culminò in importanti momenti di lotta (ad esempio l’occupazione della S. Giorgio, dell’Ansaldo, uno sciopero di 120 giorni nel ramo industriale del porto…). A Genova quindi nel 1960 è ancora presente un forte sentimento di riscatto sociale, nato prima e durante la guerra e coltivato negli anni successivi, guidato dalla Camera del Lavoro e dai comunisti.

Per questi motivi, l’idea di vedere celebrato il congresso del partito erede del fascismo nella propria città viene vissuta come uno sfregio inaccettabile da una gran parte dei genovesi, e in generale dagli antifascisti e dal movimento operaio italiano nel suo complesso. La volontà del MSI di istituire il proprio congresso nel capoluogo ligure nasce delle garanzie fornite dal governo Tambroni, monocolore DC, che in seguito alla “crisi del centrismo” si servì in chiave reazionaria dell’appoggio esterno del partito neofascista. Tale esecutivo possiede pertanto già in partenza tratti fortemente anticomunisti ed antioperai, che influenzeranno fortemente gli eventi che succederanno nell’estate del 1960.

Il 30 giugno del 1960 la CGIL cittadina di Genova proclama lo sciopero generale (tra gli altri sindacati, la UIL si oppone allo sciopero mentre la CISL lascia libertà di scelta in merito all’adesione), al termine di una mobilitazione collettiva durata oltre un mese con la partecipazione preponderante di partigiani, operai e studenti. La situazione è inizialmente pacifica, con la folla che intona canti della Resistenza e fischia le forze dell’ordine, che accerchiano i manifestanti. A livello di piazza De Ferrari, però, la polizia inizia a caricare la folla per disperderla: ne nascono scontri che si propagano in tutta la città, con feriti da entrambe le parti.

Il 5 luglio 1960 a Licata (Ag) viene indetto da tutti i sindacati uno sciopero generale a causa delle gravi difficoltà economiche e sociali del paese, compresa la mancanza di acqua potabile. I carabinieri attaccano la manifestazione di protesta aprendo il fuoco contro il corteo, uccidendo un ragazzo venticinquenne, Vincenzo Napoli e ferendo altre quattro persone. Sempre il 5 luglio, a Ravenna, nella notte viene appiccato il fuoco alla casa dell’on. Boldrini (presidente nazionale dell’ANPI) da parte di un gruppo di neofascisti.

Il 6 luglio 1960 a Roma è prevista una manifestazione promossa da parlamentari di PCI e PSI per deporre alcune corone di fiori presso la lapide di Porta San Paolo che ricorda gli scontri del 1943 contro i nazifascisti. L’autorizzazione alla manifestazione stessa viene revocata la sera prima. Il giorno successivo convergono circa 10.000 persone, e la zona viene circondata da polizia e carabinieri, che disperdono la folla con la forza. Gli scontri che ne seguono durano più di tre ore e portano a 129 feriti e più di 300 arresti tra i manifestanti, che vengono inseguiti per le vie di Roma. Un agente di polizia viene gravemente ferito, e morirà due mesi dopo.

E in questo clima di repressione violenta si arriva al 7 luglio 1960 a Reggio Emilia. La sera precedente, proprio in conseguenza delle inaccettabili violenze commesse dalle forze dell’ordine nelle settimane precedenti su tutto il territorio italiano, la CGIL reggiana proclama lo sciopero generale. La prefettura però proibisce ogni tipo di manifestazione pubblica, concedendo unicamente una sala del teatro cittadino, con capienza assolutamente inadeguata (600 posti a fronte di circa 20.000 manifestanti). Un gruppo di circa 300 operai decide quindi di raccogliersi davanti al vicino monumento ai Caduti, cantando canzoni di protesta. Il clima è in ogni caso disteso, la manifestazione è pacifica. Nonostante ciò, verso le 16:45 polizia e carabinieri caricano la folla utilizzando idranti e lacrimogeni. Incalzati dalle camionette, dai getti d’acqua e dai lacrimogeni i manifestanti si disperdono tra la piazza principale e le vie limitrofe, si rifugiano in un vicino cantiere da cui prendono oggetti per difendersi dalle cariche. A quel punto, le forze dell’ordine aprono il fuoco ad altezza d’uomo.

Lauro Farioli, 22 anni, operaio, ai primi spari, si lancia incredulo verso i poliziotti come per fermarli; gli agenti sono a cento metri da lui: lo fucilano in pieno petto.

Ovidio Franchi, 19 anni, operaio, viene ucciso da un proiettile all’addome.

Emilio Reverberi, 39 anni, operaio tornitore, viene brutalmente falciato da una raffica di mitra che lo colpisce alla testa. Un testimone ricorda: “[…]quando è stato colpito Emilio Reverberi, […] ho visto fuoriuscire del sangue dalla bocca; era stato colpito all’altezza della testa, e lì ho capito che sparavano ad altezza d’uomo”.

Marino Serri, 41 anni, pastore, vede cadere un ragazzo colpito da una raffica (probabilmente Lauro Farioli). Grida la sua disperazione urlando “Vigliacchi, assassini!”. Anche lui è investito da una raffica e muore.

Afro Tondelli, operaio, viene colpito al petto e il proiettile si conficca nella colonna vertebrale dopo aver reciso un’arteria. Trasportato in ospedale, muore nella notte dopo una lenta agonia, durante la quale ha il tempo di parlare con i propri cari, a cui dice: “Mi hanno voluto ammazzare: mi sparavano addosso come alla caccia”, “ho visto che ha mirato bene, e ha preso giusto”. A conferma di questo, esiste una famosa foto che ritrae un poliziotto inginocchiato, arma in pugno, in posizione di tiro esattamente nella zona dove Tondelli verrà trovato agonizzante. Il poliziotto non verrà mai condannato.

Le violenze continuano anche l’8 luglio a Palermo, in quella Sicilia dove l’alleanza DC-MSI era stata creata a livello regionale prima ancora che a livello centrale con il governo Tambroni. Durante una manifestazione antifascista contro le violenze dei giorni precedenti, promossa dalla Camera del Lavoro, la polizia spara e uccide tre manifestanti e una passante. Sempre l’8 luglio, a Catania, durante uno sciopero indetto dalla CGIL rimane ucciso da un colpo di arma da fuoco sparato dalla polizia Salvatore Novembre, giovane lavoratore edile di 20 anni.

La presa di coscienza della classe operaia, guidata dai sindacati e dagli ex partigiani, ha però permesso alla fine di ottenere il risultato voluto, pur pagando un prezzo altissimo: dopo settimane di lotte sanguinose, infatti, il 19 luglio 1960 il governo Tambroni si dimette. La caratteristica principale di quei moti, l’elemento più importante che ha esercitato il ruolo di collante è stato l’antifascismo. È innegabile però che oltre a questo, l’ossatura dei movimenti di protesta si è retta su organizzazioni e rivendicazioni di tipo economico-sociale, volte ad ottenere migliori condizioni di lavoro, tanto è vero che le manifestazioni del giugno/luglio 1960 hanno visto nei sindacati (assieme anche ad ex partigiani) gli elementi in grado organizzare le proteste in modo efficace e strutturato, attraverso scioperi generali.

Questo costituisce una seria minaccia da fronteggiare per un paese capitalista, tanto è vero che la risposta è stata cercare di soffocare queste lotte nel sangue, scaricando tutta la violenza possibile contro la classe lavoratrice, a maggior ragione perché quel governo aveva al proprio interno una matrice chiaramente neofascista.

Anche oggi possiamo vedere che l’atteggiamento del sistema capitalista verso le lotte operaie non è cambiato. Quando si alza la tensione dello scontro sociale, il sistema governato dai padroni reagisce sempre con gli stessi metodi. Oggi come allora, la violenza nei confronti dei lavoratori viene tollerata e addirittura incoraggiata, gli omicidi vengono fatti passare come incidenti imprevedibili, mentre viene creato il clima all’interno del quale questi eventi inevitabilmente prima o poi succedono. Per di più i processi che coinvolgono chi ferisce o uccide i lavoratori finiscono in assoluzioni, nel silenzio, garantendo impunità a chi compie questi crimini. Tutto ciò viene fatto per fiaccare la volontà di lotta dei lavoratori favorendo, inoltre, ulteriori perniciose divisioni in seno alla classe operaia. ”
Gli esempi a riguardo sono tragicamente recenti, ben visibili a chi li vuole vedere.

L’11 giugno 2021 alla Zampieri di Tavazzano (Lo), hub TNT-FedEx, un presidio di lavoratori Fedex di Piacenza viene aggredito a colpi di bastoni, frammenti di bancali, sassi e bottiglie da una cinquantina di bodyguard assoldati dai padroni, travestiti da lavoratori. La polizia, a pochi passi di distanza, non muove un dito. Un lavoratore viene ferito gravemente alla testa. Un analogo episodio è accaduto il 27 maggio, a un presidio davanti alla TNT-FedEx di San Giuliano Milanese.

Il 16 giugno 2021 il presidio di operai della Texprint di Prato viene spazzato via da un gruppo di uomini, tra i quali uno dei proprietari dell’azienda tessile, che malmenano gli operai con calci, pugni e colpi di mattone. Tre operai vengono trasportati in ospedale. Gli operai della Texprint stanno conducendo da mesi una lunga battaglia per ottenere condizioni di lavoro dignitose (semplicemente, lavorare 8 ore su 5 giorni settimanali).

Il 18 giugno 2021 a Biandrate (No), il sindacalista SI-Cobas Adil Belakhdim viene travolto e ucciso da un camion che forza il picchetto composto da una decina di lavoratori fuori dal deposito territoriale Lidl. Adil viene schiacciato e trascinato per circa dieci metri, e muore sul colpo. Il camionista scappa in autostrada, per poi fermarsi pochi chilometri dopo. Adil lascia una moglie e due figli piccoli. Questo episodio ricorda in modo inquietante la morte di Abd El Salaam, operaio, anch’esso ucciso da un camion durante un picchetto davanti alla GLS di Piacenza nel 2016. Il conducente del camion è stato assolto.

Per questo motivo, il 7 luglio deve essere un momento di lutto, di riflessione e di richiesta di giustizia, pur consapevoli della natura delle istituzioni borghesi verso le quali i lavoratori non devono riporre alcuna illusione. Il nostro passato recente, e i fatti di Reggio Emilia in particolare, ci forniscono un’ulteriore prova di come l’esaltazione acritica della “Repubblica nata dalla Resistenza”, i richiami sacrali alla Costutizione o all’unità nazionale nei momenti di crisi non siano altro che vuota retorica, volta principalmente a celare il carattere antioperaio dei governi che nei decenni si sono susseguiti nel nostro paese. La commemorazione dei Martiri di Reggio Emilia deve, però, essere soprattutto un’occasione di rivendicazione e di lotta incentrata sul presente e sul futuro. Un elemento attorno al quale è necessario unirsi per fare una volta di più fronte comune contro il capitale e la sua spinta repressiva che mirano a sacrificare nel silenzio le vite dei lavoratori, nel nome del profitto.

Nino Frodisi

 

FONTI:

https://www.istoreco.re.it/per-i-morti-di-reggio-emilia-5-luglio-licata-ag/

https://www.istoreco.re.it/per-i-morti-di-reggio-emilia-6-luglio-roma-porta-san-paolo/

http://www.reti-invisibili.net/reggioemilia/

http://www.lestintorecheamleto.net/tondelli.htm

https://polizianellastoria.wordpress.com/2016/07/17/la-rivolta-di-genova-gli-scontri-di-porta-san-paolo-la-strage-di-reggio-emilia-1960/

http://www.reti-invisibili.net/reggioemilia/

Periodico ANPI Provinciale di Reggio Emilia, giugno-luglio 2010

Periodico ANPI Provinciale di Reggio Emilia, giugno-luglio 2014

Il sole contro, documentario di G. Bugani, 2015.

http://sicobas.org/2021/06/11/italia-aggressione-armata-alla-fedex-zampieri-di-tavazzano-ld-un-lavoratore-in-fin-di-vita-e-la-polizia-sta-a-guardare/

https://www.fanpage.it/milano/san-giuliano-milanese-lavoratori-picchiati-durante-un-presidio-fuori-da-un-magazzino-della-fedex/

https://www.fanpage.it/attualita/prato-aggressione-a-colpi-di-mattone-agli-operai-in-protesta- davanti-alla-texprint/

https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/05/26/giugno-1960-genova-brucia-la-rivolta-nellanno.html

http://sicobas.org/2021/06/18/italy-it-was-not-an-accident-adil-was-killed-in-the-name-of-the-profit/

https://riccardogazzaniga.com/la-liberazione-genova/

http://www.liguria.cgil.it/regionale/notizie-cgil-regionale/30-giugno-1960-genova-non-dimentica/

https://www.strisciarossa.it/tambroni-e-le-magliette-a-strisce-la-rivolta-del-tragico-luglio-1960/

https://www.patriaindipendente.it/persone-e-luoghi/interviste/palermo-8-luglio-1960-cero/

https://www.collettiva.it/copertine/italia/2021/03/25/news/tambroni-948279/

TagCGILlavoratorilottaoperaiReggio Emiliarepressionescioperosi cobas
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