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Ci sarà poesia dopo Gaza?

Di Redazione
12/10/2025
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Di Marcos Castellano, da Adelante!, organo del Partito Comunista Paraguaiano (PCP)
30 settembre 2025
Link all’originale

 

Nel 1949, il filosofo Theodor Adorno scrive un saggio intitolato “Critica della cultura e società”. Questo saggio riflette la profonda crisi etica ed estetica che la catastrofe dell’Olocausto impose alla produzione culturale e alla riflessione filosofica europea. In quell’opera, l’autore sostiene che “scrivere poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie”. Comunemente, questa citazione viene ricordata nella parafrasi “Ci sarà poesia dopo Auschwitz?”, attribuita ad Adorno. Il quesito sul fatto che possa ancora esistere poesia dopo una tragedia come l’Olocausto ci aiuta a riflettere sul progetto genocida attuale di Israele.

Ogni giorno ci svegliamo e assistiamo a una grande quantità di crimini contro la popolazione palestinese trasmessi in diretta. Cresce il numero di persone che scappano dalle crisi, di persone affamate, di palestinesi bisognosi di cure mediche, di persone senza tetto, vittime degli attacchi israeliani. Di fronte a questa tragedia, è evidente il silenzio di quella che viene chiamata Comunità Internazionale e dei media al suo servizio.

La domanda “Ci sarà poesia dopo Auschwitz?” nasce dallo stupore che gli intellettuali europei provarono nel scoprire gli orrori commessi, apparentemente in maniera celata, nei campi di concentramento nazisti. È comune sentire dire con convinzione che, se loro avessero vissuto in quell’epoca, non sarebbero rimasti in silenzio. Eppure, oggi lo sono. Altri si chiedono: “Com’era vivere in quell’epoca con gli ingranaggi della macchina della morte che giravano a pieno ritmo?”. Oggi non serve più chiederselo: assistiamo ad un genocidio e ci alziamo comunque ogni lunedì mattina per prendere l’autobus affollato e andare al lavoro.

La Palestina è un punto di svolta nella storia. Rappresenta il crollo dell’idea di progresso lineare della storia umana e del progresso dei diritti umani dalla prima Rivoluzione Industriale. La Palestina rappresenta la fine del multilateralismo liberale degli organismi internazionali, come sottolinea il filosofo Vladimir Safatle: “Gaza ha segnato la fine de facto delle Nazioni Unite come organismo vincolante, poiché persino una richiesta di cessate il fuoco da parte del loro Consiglio di Sicurezza viene ricevuta dallo Stato di Israele con sovrana indifferenza”. Inoltre, la Palestina è un messaggio. Uno che dobbiamo ascoltare con attenzione, perché non è difficile immaginare uno scenario in cui potremmo essere noi i prossimi.

In un testo intitolato “Palestinizzazione del mondo”, la sociologa Berenice Bento sottolinea: “Il contributo maggiore di Israele al mondo globalizzato è stata la sua tecnologia letale. Il gas lacrimogeno ad alto rischio di mortalità, il tracciamento biometrico dei corpi, l’intelligenza artificiale che genera liste di presunti terroristi, tecnologie combinate con armi chimiche già note come il fosforo bianco, e tecniche esportate da Israele capaci di produrre corpi mutilati in massa con precisione chirurgica e senza sprecare munizioni”.

La Palestina è un laboratorio in cui le forze di occupazione israeliane testano le loro armi di distruzione. Ma è anche una vetrina in cui viene esibita l’efficacia della tecnologia israeliana nel controllare i corpi. Considerando i legami stretti tra il coloradismo[1] e i sionisti, chi ci garantisce che presto anche il Paraguay non diventerà una vetrina mondiale della qualità delle armi israeliane? Noi, come i palestinesi, siamo poveri. Chi si prenderà cura di piangere i nostri morti?

La Palestina è la necessità di un risveglio brusco. È la crudele illustrazione della frase di Lenin: “Oltre il potere, tutto è illusione”. Non possiamo più difendere progetti politici conciliatori con l’illusione che gli Stati-Nazione rispettino un presunto ordine democratico.

Infine, la Palestina mette anche in evidenza la bancarotta politica e ideologica dei paesi centrali del capitalismo. È facile e ovvio condannare la violenza della Russia contro l’Ucraina, ma perché sembra così complesso difendere la vita degli innocenti palestinesi? Anche intellettuali come Jürgen Habermas, uno dei presunti luminari delle scienze sociali contemporanee, un mese dopo il 7 ottobre 2023, si sono espressi sul genocidio affermando che la reazione di Israele è “inizialmente giustificata”.

Come critica al cinismo degli intellettuali europei, Aimé Césaire nel suo libro “Discorso sul colonialismo” argomenta che l’Europa è indifendibile. E continua: “Alla fine del capitalismo, desideroso di perpetuarsi, c’è Hitler. Alla fine dell’umanesimo formale e del rinuncio filosofico, c’è Hitler”. La Palestina è la conferma di questa tesi. Nessuno ci libererà, se non noi stessi. Per questo rimane fondamentale organizzarci, parlare della Palestina, investire in progetti politici che difendano la sovranità del nostro paese e quella della Palestina.

Il titolo di questo articolo è una domanda: Ci sarà poesia dopo Gaza? Il tempo lo dirà. Per ora, mi aggrappo a frammenti di testi per non perdere la speranza. In un breve passaggio de “Il dolore paraguaiano” di Rafael Barrett, si legge qualcosa come: se combattiamo e alla fine scopriamo che il bene non esiste, noi inventeremo il bene. E in alcuni versi di Bertolt Brecht: “Nei tempi oscuri / si canterà anche? / Sì, si canterà anche. / Dei tempi oscuri”.

 

Riferimenti

BENTO, Berenice. Palestinizzazione del mondo. Blog Boi Tempo, 30 maggio 2024. Disponibile su: link. Accesso il 22 set. 2025.

CÉSAIRE, Aimé. Discorso sul colonialismo. Madrid: edizioni Akal, 2006.

SAFATLE, Vladimir. Pensare dopo Gaza. Blog Boi Tempo, 15 maggio 2024. Disponibile su: link. Accesso il 22 set. 2025.

 

[1] Nota del traduttore: si riferisce al Partito Colorado del Paraguay (Asociación Nacional Republicana – Partido Colorado, ANR-PC), uno dei principali partiti politici del paese, al potere per lunghi periodi nella storia recente, incluso durante la dittatura di Alfredo Stroessner (1954-1989).

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