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Home›Nessuna categoria›La parabola del M5S da partito alternativo al nuovo centro-sinistra

La parabola del M5S da partito alternativo al nuovo centro-sinistra

Di Domenico Moro
14/04/2021
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Il Movimento 5 Stelle (M5S) rappresenta una delle novità più importanti della vita politica italiana degli ultimi dieci anni e ha contribuito anche nel rendere più difficile – certo insieme ad altri più importanti fattori – la rinascita di una aggregazione politica di sinistra radicale e comunista. Per questo è importante chiedersi le ragioni sia della sua rapida ascesa sia dell’altrettanto rapida discesa che sembra stia attraversando nell’ultimo periodo. Una discesa che è speculare alla sua evoluzione da partito alternativo al sistema politico complessivo a partito che sta in una larghissima maggioranza in appoggio al governo Draghi e che sta diventando una costola del nuovo centro-sinistra progettato dal PD a direzione lettiana.

I numeri dell’evoluzione del M5S sono impressionanti. Alle politiche del 2013 il M5S aveva raccolto il 25,56% dei consensi, risultando pressoché appaiato al PD, che prese il 25,43%. Nel 2018 il M5S, presentatosi sempre da solo alle elezioni politiche, raccolse ben il 32,68% dei voti alla Camera dei deputati, risultando il primo partito e staccando di ben 14 punti il secondo partito, il PD, che raccolse appena il 18,76% dei suffragi. In valori assoluti il M5S ebbe 10milioni e 732mila voti contro i 6milioni e 161mila del PD. Si tratta di un distacco tra la prima e la seconda forza politica che nella storia elettorale italiana si è verificato poche volte con questa ampiezza. Però, in soli tre anni di governo, il M5S ha quasi dimezzato, secondo i più recenti sondaggi, la sua quota di elettorato, scendendo dal primo al quarto posto tra i vari partiti. Infatti, al primo posto troviamo la Lega (22%), seguita dal PD (20%), da Fratelli d’Italia (18%) e dal M5S (17%). Senza contare che un terzo dei suoi parlamentari ha abbandonato il partito.

Per capire il perché del rapido declino del M5S dobbiamo, però, partire dalla sua rapida ascesa. L’ascesa del M5S non è un unicum in Europa. Nell’ultimo decennio sono nati diversi nuovi partiti fuori dal tradizionale bipolarismo, tra centro-destra e centro-sinistra, che aveva prevalso fino ad allora. La crisi del bipolarismo, che in molti paesi si è declinata come crisi del bipartitismo, è stata il terreno su cui ha prosperato il M5S.

La ragione della crisi del bipolarismo/bipartitismo nasce nel contesto di una grave crisi economica che attraversa il modo di produzione capitalistico e, con particolare evidenza, l’Europa occidentale, da oltre dieci anni a questa parte. In particolare, la crisi è stata aggravata dalle normative europee dei trattati a causa delle quali si è risposto alla crisi con politiche di bilancio restrittive, secondo il modello neoliberista, invece che espansive. La globalizzazione, attraverso le delocalizzazioni, ha fatto il resto. Il tessuto sociale europeo ne è risultato devastato: intere aree di storica industrializzazione sono state ridotte a luoghi di desertificazione produttiva e quindi di disoccupazione e inattività. Il crescere della polarizzazione sociale tra una minoranza sempre più ricca e una maggioranza sempre più povera ha condotto alla percezione di una crescente contrapposizione tra élites e masse. In questo modo la crisi economica non poteva non tramutarsi in crisi politica e coinvolgere i partiti, appartenenti alle due grandi famiglie politiche continentali, il Partito Socialista Europeo e il Partito Popolare Europeo, che avevano fino ad allora gestito la crisi e rappresentato le istanze europeiste. Di fatto, la crisi del bipolarismo è anche una crisi dell’UE e dell’Euro. Da qui la nascita di terze forze, ostili sia al centro-destra sia al centro-sinistra e impersonate dai partiti cosiddetti populisti, caratterizzati dallo scetticismo nei confronti dell’Euro e della UE.

Tra questi partiti c’era il M5S, che si è presentato come alternativo a tutti gli schieramenti e ideologicamente come né di destra né di sinistra, con l’intento di superare le vecchie distinzioni politiche. La fortuna del M5S è stata maggiore di quella delle “terze forze” di altri Paesi. Questo per due ragioni. La prima è che l’Italia attraversa una fase di decadenza economica maggiore e di più lunga durata rispetto a quella degli altri Paesi dell’Europa occidentale. La seconda è che in Italia, molto più che altrove, il tema della corruzione e dei costi della politica è stato propagandato a partire proprio dai mass media main stream. Ricordiamo che il tema della “casta”, riassuntivo delle tematiche di critica al livello politico, è stato letteralmente inventato nel 2007 da Stella e Rizzo, due giornalisti del Corriere della Sera1, il quotidiano storicamente rappresentativo del grande capitale italiano. Il M5S è stato abile a sfruttare il terreno favorevole esistente, ponendo la questione “morale” al primo posto. Quindi, il paradosso cui abbiamo assistito è che proprio il partito anti-élite in pratica beneficiava del terreno preparato e dell’attenzione che gli hanno offerto i mass media, che in gran parte erano espressione di quella stessa élite economica. Inoltre, sul successo del M5S hanno pesato il carattere di spettacolarità assunto negli ultimi vent’anni dalla politica e, quindi, le capacità e la notorietà di Beppe Grillo.

Beppe_Grillo_lingua

Un altro aspetto importante è quello della forma organizzativa. Il M5S si è configurato in modo diverso dai partiti classicamente intesi. Anche in questo senso, come per la questione della casta, il M5S si è inserito nello “spirito del tempo”, che poi non è altro che il clima sociale determinato dalla lotta di classe e dalla ideologia dominante a sua volta espressione della classe economicamente dominante. Da tempo i partiti di massa e organizzati, espressione delle classi subalterne in varie forme, avevano lasciato il posto a partiti leggeri o “liquidi”. Quindi, si è affermato un modello di organizzazione partitica fondato su leadership personali, basate sulla capacità di stare in TV. Il M5S è l’ulteriore evoluzione di questa tendenza caratterizzandosi, almeno fino a qualche tempo fa, per i seguenti tratti:

  1. La presenza di un leader con grandi capacità mass-mediatiche e però espressione di un leaderismo atipico, perché nel caso del M5S il leader non gioca in prima persona, ma agisce come “garante” ossia come manovratore dietro le quinte o come deus ex machina che interviene nei momenti decisivi.
  2. L’esistenza di una struttura “forte”, a dispetto della estrema leggerezza del partito e della mancanza di un nucleo dirigente esplicitamente espresso, individuabile nella società di Gianroberto Casaleggio, cofondatore del partito insieme a Grillo; in questo senso il funzionamento del M5S di tutta una fase ricorda, sebbene con grandi differenze, il rapporto tra Fininvest e Forza Italia.
  3. Il modello plebiscitario e referendario del funzionamento interno del partito che sostituisce i congressi e il dibattito nelle strutture decisionali, tipiche della forma partito tradizionale, con una piattaforma elettronica, presentata come espressione di democrazia diretta (Rousseau).

Inizialmente, dal punto di vista di classe, il M5S si è presentato come un partito interclassista, e con la capacità di intercettare il voto di tutti gli scontenti e i delusi. Infatti, secondo una ricerca condotta da un istituto di studi elettorali, alle elezioni del 2018 avevano votato per il M5S ben il 50% dei disoccupati, il 49% degli studenti e il 44% dei giovani tra i 18 e i 30 anni. Ma anche tra le categorie del lavoro il M5S era il più diffuso: il 33% tra i lavoratori autonomi, il 34% tra i dipendenti privati, il 32% tra i lavoratori pubblici2. Solo tra i pensionati e nella fascia d’età oltre i 64 anni il PD superava il M5S. Fra i tanti che, in qualche modo, diedero credito al M5S ci furono anche alcune personalità e organizzazioni di sinistra radicale.

L’entrata nei meccanismi politici della democrazia borghese e nei meccanismi della UE e dell’Euro hanno finito, però, per modificare rapidamente il M5S, il cui cambiamento (e l’erosione della sua base elettorale) è andato di pari passo con il succedersi dei governi della presente legislatura, dal governo Conte I al governo Conte II al governo Draghi. Ciò dimostra la flessibilità e duttilità dei meccanismi della democrazia borghese e la resilienza del sistema bipolare che è risorto dalle sue ceneri. Ma dimostra anche la forza del ruolo del Presidente della Repubblica, essendo stato Mattarella centrale nella scelta dei ministri del governo Conte e soprattutto nella nomina di Draghi, come del resto lo fu Napolitano nella scelta di Monti e per molte altre vicende. E, infine, dimostra la forza dei mass media main stream, TV in testa, che hanno svolto un ruolo decisivo anche nella nomina di Draghi.

Come dicevamo, il M5S in tre anni si è fortemente modificato. Per rendercene conto vediamo i suoi cambiamenti di linea sui seguenti temi principali.

  1. Europa. Nel programma del 2014 era scritto “chiederemo agli italiani di valutare le ragioni del Sì e del No all’euro con un voto”. Oggi l’europeismo e l’appartenenza alla UE e all’Euro è un tratto distintivo del nuovo M5S che Conte vuole rifondare.
  2. Famiglia di appartenenza politica al Parlamento europeo. I pentastellati facevano parte del gruppo EFDD, di orientamento euroscettico. Dal 2019, quando il raggruppamento si è sciolto, l’M5S fa gruppo a sé. Oggi la dirigenza del M5S, in accordo con il PD di Enrico Letta, sta trattando per l’ingresso nel Partito Socialista Europeo.
  3. Alleanze. Il M5S è sempre stato alternativo al “sistema dei partiti” e contrario a ogni alleanza pre-elettorale. Oggi l’alleanza con il PD e l’appartenenza al campo dei progressisti è un principio non negoziabile per Conte.
  4. Finanziamento ai partiti. Il M5S è sempre stato contrario a ogni forma di finanziamento pubblico della politica. Oggi il M5S sta valutando il sì al meccanismo volontario del 2 per mille in favore dei partiti, fino ad ora rifiutato.
  5. Doppio mandato. Per il M5S “uno vale uno” e dopo due mandati il deputato deve andare a casa. Oggi, si va verso un sistema di deroghe al limite del doppio mandato.
  6. Da movimento a partito più strutturato. Il M5S ha un contenzioso con la piattaforma Rousseau gestita da Davide, figlio di Gianroberto Casaleggio, che chiede 500 mila euro di contributi arretrati da parte dei parlamentari pentastellati. L’orientamento odierno è quello di avere una piattaforma per le consultazioni online interne integrata nel nuovo partito e non più affidata a una società esterna. Soprattutto, a differenza che nel passato, comincia a emergere un gruppo dirigente, che ruota attorno a una leadership più definita, quella di Conte. Infine, un altro punto che avvicina il M5S a un partito più tradizionale: verrà aperta una sede fisica nazionale nel centro di Roma.
  7. Posizionamento internazionale. Dalla fascinazione per la “Nuova via della seta” del governo cinese il M5S è tornato alla stretta osservanza atlantica.

In definitiva, l’evoluzione del M5S può essere letta secondo la categoria leninista dell’opportunismo. La mancanza di una ideologia di riferimento precisa e strutturata lo rende disponibile a modellarsi secondo l’ideologia dominante e secondo gli stati d’animo collettivi prevalenti. Un tempo, infatti, il tema di riferimento è stato quello della “casta” e dell’euroscetticismo, oggi è rappresentato dalla transizione ecologica e dall’europeismo. Non è un caso che Grillo, con la sensibilità verso gli stati d’animo di massa che gli è propria, abbia individuato nella questione ambientale un tema attorno al quale ricostruire il nuovo M5S. Infatti, Grillo ha usato l’accettazione da parte di Draghi della sua proposta di trasformare il ministero dell’Ambiente in ministero della Transizione ecologica come una vittoria politica, giustificando così, agli occhi della sua base di massa, l’entrata nella nuova maggioranza di governo. Il problema per il M5S non sono mai stati i rapporti sociali concretamente esistenti (il modo di produzione), ma ieri la casta politica e oggi il riscaldamento globale e la transizione ecologica. Naturalmente non vogliamo dire che non esista un problema di corruzione o che non esista il riscaldamento globale. La questione è la gerarchia dei problemi e la definizione di rapporti corretti di causa-effetto. Non prendere in considerazione il modo di produzione, e più precisamente il capitale come rapporto sociale, da una parte impedisce di capire la radice dei problemi e, dall’altra, dà la possibilità al M5S di essere accettato dalla classe dominante come attore politico.

Non si tratta di una questione ideologica, ma politica. La retorica dell’onestà come panacea a tutti i mali del paese si è scontrata con una realtà più complessa che ha rivelato tutti i limiti programmatici, di personale politico e di visione generale della realtà del M5S.

Il crollo dei consensi elettorali dipende dalla incapacità dei pentastellati di affrontare una realtà più complessa di quella che si erano dipinti nella loro visione del mondo e della politica. Tagliare il numero o ridurre lo stipendio dei parlamentari, le bandiere del M5S, non risolve i problemi dei lavoratori italiani. Anche il reddito di cittadinanza, la proposta forse più “popolare” del programma dei pentastellati, non ha inciso sulla questione nodale costituita da un mercato del lavoro strutturalmente depresso e da una disoccupazione e una inattività particolarmente alte, dovute alla scarsità di investimenti produttivi, a sua volta dipendente dalla sovraccumulazione in cui ristagna l’economia capitalistica, in particolare quella italiana.

La mancanza di incisività sul piano sociale unitamente all’alleanza con il PD, per anni attaccato virulentemente dal M5S e da Grillo, hanno finito per disilludere una parte notevole del suo elettorato. Tuttavia, sempre stando ai sondaggi, il M5S ha mantenuto, nonostante il contesto di profonda crisi e di pandemia (o forse proprio per la situazione di emergenza dovuta a quest’ultima), una quota importante di consensi e, in fin dei conti, il M5S sta a soli 5 punti percentuali dalla Lega e a 3 dal PD. Sebbene ridotta, permane una base di massa del M5S, che comprende sempre meno i settori più penalizzati della società, mentre la base di classe è sempre più quella borghesia che sin dall’inizio ha favorito l’ascesa del M5S. Bisognerà vedere se Di Battista e Italexit di Paragone riusciranno a intercettare almeno una parte della base di massa persa dal M5S, ma ciò appare poco probabile specie se non avranno spazio sui media main stream. È, invece, più probabile che il voto in uscita dal M5S vada alla Lega e in particolare a Fratelli d’Italia (specie nel Mezzogiorno, che nel 2018 votò massicciamente per il movimento) oppure che ritorni al non voto.

La parabola descritta dal M5S è la dimostrazione che nessun partito è realmente alternativo se espunge il modo di produzione dal suo discorso politico e quindi se non capisce che è il capitale il vero problema e non problemi fittizi o subordinati come possono essere la “casta” politica o il riscaldamento climatico.

Ed è anche la dimostrazione che il partito “liquido”, cioè il partito politico caratterizzato da una linea programmatica e da una struttura non precisamente definite, che dovrebbe consentirgli di adeguarsi alle istanze di volta in volta avanzate dalla società civile, è il migliore contenitore dei temi e degli obiettivi che sono cari al capitale. Per altri versi, il M5S segue la stessa parabola dei partiti di alternativa che l’hanno preceduto. Bisognerà vedere se la sua adesione al nuovo centro-sinistra a guida lettiana col tempo lo porterà a dissolversi, come già successo alla sinistra radicale, drenando voti al PD, oppure lo porterà a trasformarsi stabilmente in un partito coerentemente di sistema. Ad ogni modo, in questa fase, il M5S è ancora utile (opportunamente indebolito) come spalla del PD, che ha vistosamente fallito la “vocazione maggioritaria” veltroniana, cioè la determinazione a essere il partito unico (o per lo meno largamente egemone) del centro-sinistra.


1 Stella e Rizzo, La casta. Così i politici italiani sono diventati intoccabili, Rizzoli editore, Milano 2007. Il libro ha venduto oltre 1,3 milioni di copie.

2 https://www.t-mag.it/2018/03/05/elezioni-2018-cosi-la-sociologia-del-voto/

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Domenico Moro

Ricercatore Istat, si interessa di statistiche economiche. Ha scritto numerosi volumi, tradotti nelle più importanti lingue europee, tra cui “La gabbia dell’euro, perché uscirne è internazionalista e di sinistra”, “Globalizzazione e decadenza industriale”, “La terza guerra mondiale e il fondamentalismo islamico”, “Il gruppo Bilderberg, l’élite del potere mondiale”, “Nuovo Compendio del capitale”. Scrive anche su riviste italiane ed estere. Da sempre militante nel movimento comunista italiano, oggi dirige la rivista Laboratorio 21.

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