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“Tradwives” & “soft girls”: false “scelte” per “legittimare” la disuguaglianza delle donne

Di Redazione
02/03/2025
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Da Odigitis, organo della Gioventù Comunista Greca (KNE)
4 febbraio 2025
Link all’originale

 

Negli ultimi mesi, sui social media, in particolare Instagram, TikTok e YouTube, sono diventate virali diverse tendenze pericolose che propongono percezioni e comportamenti anacronistici come modello di ruolo “moderno” per le donne. Sono tendenze particolarmente apprezzate all’estero, soprattutto in Svezia e negli Stati Uniti. Ma circolano in rete anche da noi attraverso gli “influencer”, che raccolgono migliaia di “like” e di follower.

Queste “influencer”, che si definiscono “soft girls” e “tradwives”[1] — nonostante le loro differenze individuali — presentano la decisione delle donne di rinunciare al lavoro per dedicarsi alla cura della famiglia e della casa come una scelta “libera” e “individuale”.

Glorificano la reclusione delle donne in casa, che presumibilmente può dare loro il tempo di concentrarsi di più su se stesse e su argomenti presentati come attraenti per le giovani donne, come la moda, il trucco, l’alimentazione, lo sport, ecc. Tutto questo è garantito e abbellito dalla loro totale dipendenza economica e sociale dal partner romantico, che dà loro una “quota del suo stipendio ogni mese”!

Si tratta di percezioni anacronistiche e oscurantiste della posizione sociale delle donne, che riproducono in una veste “moderna” l’idea che il ruolo principale delle donne sia quello di “prendersi cura della casa” e “crescere i figli”. Queste tendenze, naturalmente, non sono particolarmente originali… Non sono lontane dalle visioni sociali oscurantiste dei decenni precedenti: “trova un bravo ragazzo da sposare”, “fai attenzione al portafoglio”, “una brava massaia è sia una schiava che una padrona”.

Nel decadimento del sistema odierno, emergono modelli di vita reazionari per le giovani donne

Sulla base delle grandi contraddizioni e delle situazioni di stallo che si creano nella società a causa dello sfruttamento, della disuguaglianza e della frammentazione della vita sociale delle donne, vengono promossi vecchi e “nuovi” stereotipi che perpetuano la loro posizione diseguale in ogni aspetto della loro vita economica e sociale. Questo ruolo è svolto costantemente dai media tradizionali e dai social media — insieme ai meccanismi dello Stato borghese — nel plasmare le tendenze e gli “standard” delle relazioni interpersonali e sentimentali, con grande diffusione tra i giovani.

La ricerca di una soluzione individuale ai problemi della sopravvivenza quotidiana viene promossa massicciamente come modello di vita, portando alla manipolazione e all’integrazione delle donne nel sistema di sfruttamento. Nel terreno della marcia società sfruttatrice basata sulla proprietà privata dei mezzi di produzione, il criterio del successo e della prosperità individuale è l’arricchimento individuale “facile”, legittimando persino il gioco d’azzardo, la mercificazione del corpo e della sessualità e la dipendenza economica e sociale della donna dal suo partner.

“Scelte” costruite sullo schiacciamento dei diritti delle donne lavoratrici

Tali tendenze non diventano virali nel “vuoto” sociale. La “scelta” di rinunciare al lavoro sociale e di dedicarsi esclusivamente al lavoro “domestico” viene presentata come una “soluzione facile” per le giovani lavoratrici sottoposte a ritmi di vita estenuanti. Questi modelli di vita sono plasmati dalle situazioni di stallo e dalle dure realtà vissute dalle donne lavoratrici, dove il loro diritto al lavoro entra in conflitto con l’esigenza sociale di proteggere la maternità, di avere tempo libero creativo, ecc. Tali visioni anacronistiche finiscono per legittimare nella coscienza della nuova generazione di lavoratori l’attacco totale dell’UE, dei governi e del capitale ai loro diritti, in ogni aspetto della loro vita, in particolar modo a quella delle giovani donne.

E questo attacco porta il marchio degli indirizzi strategici dell’UE e dei governi greci nel corso del tempo. La “conciliazione tra vita familiare e professionale” viene sfruttata come mezzo per uno sfruttamento ancora più selvaggio della forza lavoro femminile da parte dei datori di lavoro capitalisti. La “scelta” tra “sviluppo” professionale e mettere su famiglia viene presentata come una questione di responsabilità e capacità individuale delle donne. In sostanza, chiedono alle lavoratrici di accettare un lavoro “flessibile” con diritti molto limitati.

L’enorme aumento della produttività del lavoro non è accompagnato da una riduzione generale dell’orario di lavoro, ma al contrario dall’intensificazione dello sfruttamento. Nelle condizioni dell’economia “digitale” si stanno promuovendo e consolidando nuove forme di sfruttamento, con la conseguente perdita di ogni distinzione tra tempo di lavoro e tempo non lavorativo e una crescente intensificazione del lavoro. Forme di lavoro flessibili, contratti a tempo determinato, orari di lavoro eccessivi, con turni spezzati e irregolari, giornate di 13 ore, lavoro domenicale, telelavoro che elimina ogni stabilità negli orari e nei luoghi di lavoro sono la dura realtà che i giovani lavoratori devono affrontare oggi, portandoli a sindromi da burnout. Secondo i dati (Eurostat 2022), il 28% delle donne lavoratrici nell’UE lavora part-time (8% tra gli uomini). In Grecia questa percentuale raggiunge il 30%.

Allo stesso tempo, l’UE, il governo di Nuova Democrazia e tutti i governi precedenti pongono principalmente sulle spalle delle donne la responsabilità della cura dei neonati, dei bambini piccoli, degli anziani e dei disabili, in condizioni in cui i servizi di istruzione e assistenza prescolare, l’istruzione speciale, le attività creative per i bambini e le strutture di assistenza agli anziani sono privatizzati.

In breve, la “normalità” capitalista per le donne si traduce nella scomparsa del tempo non lavorativo per la partecipazione all’attività sociale, per l’impegno sportivo, culturale, ma anche per la partecipazione all’azione di classe e politica.

Naturalmente, non è la prima volta che dei modelli di vita anacronistici diventano una tendenza, mascherando il ritiro delle donne dal lavoro sociale con un mantello apparentemente moderno. Simili opinioni sono state riprodotte anche durante la precedente crisi economica capitalista per legittimare gli alti tassi di disoccupazione, soprattutto tra i giovani e le donne. È possibile che queste tendenze ricorrenti forniscano un alibi e preparino la legittimazione nella coscienza delle giovani donne di sviluppi corrispondenti, in condizioni in cui i preludi di una nuova crisi economica capitalista hanno fatto la loro comparsa anche nelle forti economie capitaliste.

Lavoriamo per vivere! Non viviamo per lavorare! Con il KKE, le nostre esigenze sono in primo piano!

Le giovani lavoratrici non hanno alcun interesse a rimanere intrappolate in stereotipi e percezioni anacronistici sul ruolo delle donne. Con la loro partecipazione attiva all’azione sociale, nei sindacati, nelle organizzazioni di massa, nei circoli femminili dell’OGE[2], affiancando il KKE e la KNE, possono rafforzare la rivendicazione delle loro esigenze moderne. Rafforzare la lotta per un’occupazione permanente e stabile, con accordi di contrattazione collettiva, riduzione dell’orario di lavoro e orari fissi, per settimane lavorative di 7 ore, 5 giorni e 35 ore con aumenti salariali, con misure di protezione sociale per la maternità, per il corpo femminile e per la famiglia, per liberare le donne dal peso della responsabilità individuale della cura della casa e dei familiari a carico.

Di fronte a modelli putrescenti di atteggiamento verso la vita e il benessere individuale, ogni giovane può trovare una via d’uscita sulla strada del conflitto con la barbarie capitalista, con la strategia borghese, con lo Stato borghese e il capitale ostile al popolo. Sulla strada della conoscenza e della lotta per una società liberata dalle catene capitalistiche, la società socialista-comunista, si coltivano i “semi” di un altro atteggiamento verso la vita. Contro l’individualismo, il pensiero e gli atteggiamenti egoistici, si sviluppano la solidarietà, l’altruismo e il rispetto reciproco. La vita diventa ricca e creativa, non secondo i criteri borghesi di beatitudine individualistica, ma secondo le nuove esperienze, le lezioni, le conoscenze date dalla partecipazione alla lotta di classe.

Ogni giovane lavoratrice ha un posto in questa lotta, affinché con la propria volontà e azione possa lottare in modo militante per cambiare la propria vita, contribuendo all’evoluzione sociale, di cui anche noi siamo parte.

 

[1]: rispettivamente, “ragazze dolci” e “casalinghe tradizionali”, nota del traduttore. Per un approfondimento ulteriore nei media generalisti, rispettivamente si può vedere qui e qui.

[2]: l’OGE (Federazione delle Donne della Grecia) è un’organizzazione femminile radicale a livello nazionale, nota del traduttore.

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