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Home›Copertina›Accordo commerciale tra USA e UE: vittoria e sconfitta per chi?

Accordo commerciale tra USA e UE: vittoria e sconfitta per chi?

Di Lorenzo Vagni
15/08/2025
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Lo scorso 27 luglio è avvenuto nel Turnberry Golf Club, una lussuosa proprietà di Donald Trump in Scozia, un incontro tra lo stesso presidente degli USA e la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. L’obiettivo era raggiungere un accordo commerciale tra USA e UE sull’imposizione di nuovi dazi doganali. I due presidenti sono infine giunti a un patto che, da un lato, rafforza il legame tra Stati Uniti ed Europa, dall’altro mette in luce contraddizioni e interessi contrastanti nel contesto di competizione interimperialistica che caratterizza la presente fase storica.

Le minacce dei dazi

Il tema dei dazi ha rappresentato un vero e proprio braccio di ferro tra USA e UE nei mesi passati; si tratta di tensioni di cui abbiamo spiegato qui l’origine storica ed economica, che ha a che fare con le ineluttabili contraddizioni che il capitalismo nella sua fase imperialista va a produrre a livello globale. Lo scorso 12 marzo l’amministrazione Trump ha imposto l’introduzione di dazi al 25% su tutte le importazioni di acciaio e alluminio negli Stati Uniti; questa misura ha colpito naturalmente anche l’Unione Europea, seppur fosse tra i partner commerciali meno esposti a questo ambito. Ciò nonostante, nella stessa occasione Trump ha minacciato l’UE di introdurre nuovi dazi.

Il 2 aprile Trump ha annunciato un forte aumento delle tariffe di dazi sulle importazioni provenienti praticamente da tutti i partner commerciali. Questo pacchetto prevedeva dazi di base del 10% su tutte le importazioni, con ulteriori tariffe specifiche per paese calcolate in base ai saldi commerciali bilaterali. Per l’UE, ciò significava dazi del 20% sulla maggior parte dei prodotti in vigore dal 9 aprile 2025, in aggiunta alle tariffe precedentemente introdotte. L’UE ha risposto a queste misure predisponendo una risposta commerciale articolata su tre fasi — tra aprile e dicembre — concentrandosi su beni specifici statunitensi per un controvalore di circa €21-26 miliardi.

Il 9 aprile l’amministrazione Trump ha stabilito una sospensione di 90 giorni della piena applicazione di tali tariffe di dazi, ad eccezione della Cina, riducendo l’aliquota tariffaria per l’UE dal 20% al 10% di base. Contestualmente Ursula von der Leyen ha stabilito la sospensione, anche in questo caso per 90 giorni, dell’applicazione delle contromisure previste dall’UE, in attesa di condurre negoziati con gli USA. Nel frattempo, tuttavia, l’UE preparava contromisure da 95 miliardi di euro su beni statunitensi in caso di fallimento dei negoziati.

Il 23 maggio Trump ha annunciato l’introduzione a partire dal 1° giugno di dazi del 50% su una vasta gamma di beni provenienti dall’Europa, la cui entrata in vigore è stata in seguito rinviata, ancora una volta, al 9 luglio per concedere tempo ai negoziati. Questa data è stata infine posticipata al 1° agosto, entro la quale le due parti avrebbero dovuto raggiungere un accordo.

L’accordo del 27 luglio

Come detto, tanto da parte statunitense quanto europea, la situazione si era rivelata tutt’altro che distesa, tanto da far temere una vera e propria guerra commerciale. Tuttavia, l’incontro del 27 luglio tra il Presidente statunitense e la Presidente della Commissione europea ha prodotto un accordo politico di massima, seppur non giuridicamente vincolante. L’UE e gli Stati Uniti negozieranno ulteriormente in futuro per attuare pienamente questo accordo politico.

Secondo quanto emerso, gli USA applicheranno dal 1° agosto dazi del 15% sulla maggior parte delle merci europee, con l’esclusione di acciaio e alluminio, che saranno soggetti a un dazio del 50%. In cambio di queste tariffe di dazi “contenute” rispetto a quanto stabilito in origine da Trump, l’UE ha assunto una serie di impegni vincolanti: tra questi l’acquisto di 750 miliardi di dollari in prodotti energetici statunitensi (gas naturale liquefatto, petrolio e prodotti di energia nucleare), l’acquisto dagli USA di 40 miliardi di euro di chip di intelligenza artificiale, l’investimento di 600 miliardi di dollari negli Stati Uniti entro il 2029 (rafforzando ulteriormente gli investimenti esistenti già significativi di 2,4 trilioni di euro) e l’acquisto di equipaggiamenti militari statunitensi per un valore di diverse centinaia di miliardi di dollari. Nonostante l’accordo definisca quello del 15% come un “dazio reciproco”, in realtà l’UE ha deciso di non reagire, almeno finora, mantenendo un dazio medio dello 0,9% sulle merci americane e lasciando in sospeso i contro-dazi previsti in caso di mancato accordo.

Gli accordi penalizzano in maniera maggiormente marcata i paesi europei con una forte esposizione commerciale verso gli Stati Uniti, come la Germania e l’Italia. Si stima infatti che l’introduzione dei dazi avrà un impatto sul PIL tedesco e su quello italiano rispettivamente dello 0,3% e dello 0,2%. Alle tariffe di dazi nominali, si aggiunge la svalutazione del dollaro, che ha perso il 13% rispetto all’euro dall’insediamento di Trump; una sorta di “dazio aggiuntivo” che renderà i prodotti europei meno concorrenziali: considerando un esportatore italiano, la combinazione di questi due fattori avrà un impatto del 21%.

Non è un caso se il cancelliere tedesco, Friedrich Merz, abbia affermato che l’accordo commerciale causerà «notevoli danni» all’economia tedesca, pur definendo l’accordo come il «miglior risultato ottenibile nella situazione data». Ciò nonostante, Germania e Italia sono stati tra i paesi europei che più hanno spinto per un compromesso con gli Stati Uniti, considerando il risultato finale come accettabile pur di scongiurare il rischio di una guerra commerciale con il proprio partner principale. Lo stesso Merz ha infatti affermato che «l’unità dell’Unione Europea e il duro lavoro dei negoziatori hanno dato i loro frutti. La Commissione Europea ha il mio pieno sostegno nelle prossime trattative sui dettagli dell’accordo».

Al contrario, i governi di molti altri stati europei, tra cui Francia, Spagna e Ungheria, si sono dichiarati estremamente critici nei confronti dell’accordo. Diverse forze politiche all’interno del Parlamento Europeo e testate giornalistiche internazionali lo hanno definito come sbilanciato e come sintomo di sudditanza europea nei confronti degli USA. Ad esempio il Financial Times ha parlato espressamente di resa dell’UE e di vittoria per gli USA.

Tuttavia, non tutti i settori economici saranno svantaggiati dagli accordi: ad esempio, un settore che accoglierà favorevolmente l’accordo è quello automobilistico, i cui dazi in vigore prima del 2025 ammontavano al 25%. Inoltre, godranno di un regime speciale i prodotti “strategici”; in virtù di ciò, le tariffe statunitensi su aeromobili e parti di aeromobili dell’UE, alcune sostanze chimiche, alcuni farmaci generici o risorse naturali torneranno ai livelli precedenti a gennaio.

Trump ha parlato espressamente di vittoria, affermando che «hanno ridotto le loro tariffe, quindi hanno pagato 600 miliardi e grazie a questo ho ridotto le loro tariffe dal 30% al 15%. Mi hanno dato 600 miliardi, ed è un dono. Ci hanno dato 600 miliardi che possiamo investire in qualsiasi cosa vogliamo».

Maroš Šefčovič, Commissario europeo per il commercio, ha affermato che «è piuttosto evidente che il mondo che esisteva prima del 2 aprile è scomparso e dobbiamo semplicemente adattarci».

«Non posso entrare in tutti i dettagli» di ciò che è stato discusso con Trump, ha detto lo stesso Šefčovič, «ma vi assicuro che non si trattava solo di commercio». E ancora, «si tratta di sicurezza. Si tratta dell’Ucraina. Si tratta dell’attuale instabilità geopolitica». L’allusione è al fatto che nella discussione siano rientrate anche questioni come la sicurezza, l’Ucraina e la Russia, in una fase in cui l’UE sta lavorando duramente per mantenere gli Stati Uniti impegnati nella NATO alla luce dell’insistenza di Trump affinché le nazioni europee sostengano di più le proprie spese per la difesa.

Appena dopo il raggiungimento dell’accordo, USA e UE hanno lanciato minacce reciproche: Trump ha affermato che «scatteranno dazi al 35% se l’Unione Europea non rispetterà gli investimenti da 600 miliardi di dollari promessi sui beni statunitensi. L’unica ragione per cui li ho abbassati al 15% era questa»; la Commissione Europea ha indicato che, sebbene abbia sospeso per sei mesi le misure di ritorsione contro gli Stati Uniti a seguito dell’accordo commerciale, monitorerà gli sviluppi delle relazioni commerciali tra UE e Stati Uniti e potrà reintrodurre le contromisure se gli Stati Uniti non dovessero rispettare i loro impegni o se i negoziati dovessero bloccarsi.

Conclusioni

L’accordo raggiunto tra USA e UE sui dazi rappresenta una chiara dimostrazione di alcuni aspetti della politiche dei paesi euroatlantici. L’estrema integrazione tra i capitali statunitensi ed europei (definita come la più significativa relazione commerciale e di investimento bilaterale al mondo) ha spinto l’UE a stringere un accordo per molti aspetti svantaggioso, ma che scongiura il rischio di compromettere un rapporto privilegiato con il proprio partner commerciale principale (basti pensare che gli scambi di beni e servizi tra l’UE e gli Stati Uniti sono raddoppiati nell’ultimo decennio, superando 1.600 miliardi di euro nel 2024).

D’altro canto, le contraddizioni interne all’UE sono tutt’altro che superate, anzi si intensificano, come dimostrato dalle differenti prese di posizione tra i propri paesi membri, in parte apertamente contrapposte.

Gli Stati Uniti confermano la tendenza ad affrontare attraverso il protezionismo la fase di intensificazione dello scontro interimperialistico, con l’intenzione di condurre una guerra commerciale non solo contro i propri avversari espliciti, ma anche a scapito dei propri alleati. I dazi doganali, a tal proposito, sono intesi dalla classe dirigente statunitense — in un confronto ideologico tutto interno alla borghesia — come uno strumento che punta a ripristinare la capacità industriale all’interno degli Stati Uniti. La natura di classe delle politiche protezionistiche non è però diversa da quella delle politiche liberiste/globaliste: i dazi colpiscono in modo sproporzionato e predominante la classe operaia, poiché portano a prezzi al consumo più alti, riduzione del potere d’acquisto e insicurezza lavorativa nei settori non direttamente protetti da queste misure.

Al contempo l’UE approfondisce ulteriormente la contrapposizione alla Russia, contro la quale intensifica il proprio coinvolgimento in Ucraina. In nome di questo scontro e intenzionati a proseguire anche a caro prezzo la collaborazione con i monopoli statunitensi, i settori dominanti del capitale europeo sono disposti ad accettare una netta sconfitta negoziale e il mantenimento della dipendenza strategica dagli USA. È in questa chiave che vanno interpretate le politiche energetiche dell’UE a tratti apertamente masochiste, volte a ridurre la dipendenza energetica da Mosca ma che al contempo contraddicono i proprii interessi economici immediati; anche in questo caso le scelte politiche del capitale europeo saranno scaricate sul proletariato attraverso il carovita, il taglio alla spese sociale, l’aumento degli investimenti militari e della spinta bellicista.

Ciò che è chiaro è che gli accordi tra Stati Uniti e Unione Europea, due tra i principali attori dell’imperialismo su scala globale, non avverrà di certo in favore degli strati popolari europei o nordamericani, ma sulla loro pelle. Anche per questo la domanda da porsi non dovrebbe essere chi ha vinto o perso tra USA e UE con gli accordi del 27 luglio: piuttosto dovrebbe essere chiaro che a vincere è il capitale, mentre a perdere, fintanto che non alzeranno la testa, saranno i popoli e la classe operaia. Mentre la crisi capitalistica trascina sempre di più le potenze verso la guerra generalizzata, i padroni e i loro rappresentanti politici continuano a condurre i propri sporchi affari sulla pelle della grande maggioranza della popolazione del mondo.

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Lorenzo Vagni

Lorenzo Vagni, classe 1993, laureato in Ingegneria Elettronica. Militante comunista dal 2015 nel FGC e dalla sua fondazione nel FC, ha ricoperto per anni incarichi di rappresentanza degli studenti all'Università di Roma "La Sapienza". È autore di diversi articoli per il giornale della gioventù comunista, Senza Tregua. Collabora con L'Ordine Nuovo su argomenti di politica e attualità.

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