Altri 500 soldati italiani nella guerra di spartizione libica
L’attacco delle truppe del generale Haftar con lancio di razzi nei pressi delle Ambasciate di Italia e Turchia nel quartiere di Zawiat al-Dahmani a Tripoli[1] ha riacceso i riflettori su una guerra che continua inesorabilmente con l’irrisolta disputa interimperialista per la redistribuzione del controllo delle risorse energetiche e delle aree strategiche della Libia, a cui abbiamo dedicato un approfondimento qui e qui agli inizi di aprile. Da allora, la situazione sul campo di battaglia e a livello politico-diplomatico è in rapida evoluzione, soggetta a continui mutamenti. In questo articolo raggruppiamo una serie di eventi delle ultime settimane che aiutano a comprendere il complesso puzzle di contraddizioni e conflitti d’interessi alla base dell’ulteriore escalation del conflitto.
Escalation militare
A fine aprile Haftar si è autoproclamato capo di tutto il paese, dichiarando di avere “il mandato popolare per governare la Libia”[2], decretando l’accordo di Skhirat del 2015, che creava il Governo di Accordo Nazionale guidato da Al-Serraj, “morto e sepolto”. Una dichiarazione che non ha ricevuto il sostegno dei suoi alleati, la Russia ed Egitto, definita dal governo di Tripoli come una “farsa” e un “colpo di stato”.
La mossa del leader dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) è arrivata dopo che, grazie al sostegno militare turco, il Governo di Tripoli (GNA) aveva riconquistato diverse città strategiche della costa occidentale, circondando Tarhuna, la base più avanzata delle truppe di Haftar, a circa 50Km a sud-est di Tripoli. Negli stessi giorni Haftar dichiara un cessate il fuoco “per rispettare la tregua chiesta dalla comunità internazionale”[3] che viene respinto da Al-Serraj. Forte dei mutati rapporti di forza sul campo di battaglia[4], il GNA dichiara come “legittima” la sua offensiva militare, iniziata il 25 marzo, che ha portato all’attacco dello scorso 5 maggio alla base di Al Watya, 140km a sud-ovest della capitale[5], in precedenza occupata dai combattenti dell’LNA di Haftar, per poi invitare a un nuovo “dialogo politico” sotto l’egida dell’ONU[6], per una tregua e una “tabella di marcia” per tenere elezioni.
Apparentemente indebolito sul piano politico e militare, l’LNA di Haftar ha risposto il 7 maggio con l’avvio di un’operazione militare denominata “Ababil Birds” (“uccelli miracolosi”), che “mira a liberare l’ultima parte rimanente della patria dai gruppi armati sostenuti dalla Turchia”.[7]
Ad esser presi di mira sono stati un carico d’armi turco e il comando degli ufficiali turchi a Misurata, con testimoni che parlano della deflagrazione di depositi di armi che si trovano a poche centinaia di metri dall’ospedale da campo installato dall’Italia nel 2016, dove sono tuttora presenti circa 300 militari italiani nell’ambito della Missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia (Miasit). Un’altra forte serie di attacchi è stata lanciata su Tripoli, tra le giornate del 9 e 14 maggio, intorno all’aeroporto Mitiga e in altre aree residenziali della capitale, causando gravi e significativi danni.
Nuovo intervento imperialista italiano dietro la missione europea IRINI
L’attacco dell’LNA a Misurata è arrivato contestualmente alla chiamata intercorsa tra il ministro degli esteri italiano Di Maio e Al-Sarraj, relativa alla missione imperialista dell’UE (“IRINI”), avviata lo scorso 1° aprile ed entrata in operatività proprio in questi giorni. Alcuni media vicini al generale della Cirenaica hanno lasciato intendere che non si è trattato di una coincidenza.
Al-Sarraj ha manifestato al governo italiano l’insoddisfazione di Tripoli, che considera la missione IRINI sbilanciata a vantaggio di Haftar, utilizzando come leva di pressione la questione della partenza verso le coste italiane degli emigranti e rifugiati imprigionati in Libia per ottenere un sostegno più deciso del governo italiano che ha nell’area della Tripolitania la salvaguardia gli interessi dell’ENI tra i suoi primari obiettivi. A questo proposito lo stato capitalista italiano e il governo Conte, per bocca del ministro Di Maio, hanno annunciato l’intenzione di inviare 500 soldati nel quadro della missione IRINI, che dovrebbe essere ufficializzata nei prossimi giorni con il “decreto missioni”, assicurando che sarà “equilibrata”.
Dopo un mese, infatti, la missione IRINI è stata definita e, come detto, resa esecutiva sotto il comando italiano, sia quello operativo, sia quello delle forze in mare (quest’ultimo sarà alternato con la Grecia per un periodo di sei mesi ciascuno). La nave anfibia italiana San Giorgio sarà l’ammiraglia della missione, mentre la Francia ha schierato la fregata Jean Bart e la Grecia la fregata YDRA. Tre aerei da pattugliamento sono schierati da Polonia, Lussemburgo e Germania. L’Italia partecipa anche con un elicottero per il pattugliamento marittimo, un Aeromobile a Pilotaggio Remoto e un aereo da pattugliamento P-72. Come avevamo già fatto notare nel precedente articolo, la partecipazione di Italia, Francia e Grecia è indicativa della natura imperialistica della missione e degli interessi e dei processi contrapposti sullo sfondo: le prime due impegnate nella contesa tra ENI e Total per la ridistribuzione delle ricche risorse di idrocarburi libiche, mentre la Grecia in chiave anti-turca nella disputa nel Mar Egeo. È previsto che saranno resi disponibili altri mezzi speciali necessari ad assolvere i compiti della missione, quali sommergibili, droni e Aerei AEW.
In totale, sono 21 i paesi europei che contribuiranno alla missione con il proprio personale, mentre Malta all’ultimo si è tirata indietro per motivi legati alla questione della gestione dei flussi migratori.
Questo avviene mentre è sempre più realistico il rischio di una ulteriore escalation del conflitto, come afferma lo stesso Di Maio: “Prosegue l’escalation sul terreno, c’è il rischio di uno scontro sempre più violento, resta valida l’analisi secondo cui nessuna delle due parti sia in grado di prevalere militarmente, ma il perseguimento della fragile tregua e del cessate il fuoco appare come un obiettivo ancora difficile da raggiungere“. [8]
L’esperienza dimostra come, seppur mascherata da “operazioni di sostegno alla pace”, sia sotto forma di missioni delle Nazioni Unite, sia nel quadro della Politica di sicurezza comune dell’UE, come appunto la IRINI, queste missioni sono state sempre il pretesto e il veicolo per brutali interventi imperialistici.
Non si può escludere che questo contingente sia il preludio di un ulteriore successivo intervento diretto nel campo di battaglia, se gli interessi dei monopoli italiani lo richiederanno, in un contesto in cui la crisi economica accelera le competizioni e i conflitti. Non a caso il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha parlato di necessità di una “ripresa tempestiva delle attività operative all’estero, dal momento che l’attuale scenario di sicurezza internazionale non presenta prospettive positive ed è al contrario a rischio di ulteriori aggravamenti”. Contemporaneamente, si discute dell’ampliamento dell’ospedale “civile” di Misurata dove già hanno base 300 soldati italiani.
Processi in rapido e intenso sviluppo
In questo contesto, gli USA hanno preso pubblicamente posizione contro l’offensiva militare lanciata da Haftar, per la prima volta da quando è stata avviata nell’aprile 2019, con il dipartimento di Stato che ha dichiarato di “non sostenerla”, accusando contestualmente la Russia e il governo siriano di inviare uomini e materiale militare in Libia a sostegno di Haftar. “Il ruolo della Russia in Libia ha portato a una significativa escalation della guerra: Mosca sta usando la guerra in Libia per ampliare la sua influenza in Nord Africa“, ha dichiarato Henry Wooster, Vice segretario aggiunto per il Maghreb e l’Egitto,[9] sottolineando che “nessuno deve illudersi che la Russia faccia i bagagli e se ne vada ora che si è inserita nel conflitto libico“. Contemporaneamente l’ONU ha reso pubblica la presenza di 800-1200 mercenari del gruppo russo Wagner che combattono al fianco di Haftar, mentre sono presenti sul suolo libico 8.500 mercenari jihadisti del FSA alleati di Ankara che, trasferiti dal fronte nella Siria settentrionale, combattono adesso con il GNA di Al-Sarraj.
Domenica 3 maggio, Agulah Saleh, presidente del parlamento libico eletto, con sede a Tobruk, nella Libia orientale del generale Haftar, ha tenuto una conversazione telefonica con l’ambasciatore degli Stati Uniti a Tripoli, Richard Norland. Secondo le notizie, Saleh avrebbe accolto “l’importanza di un approccio costruttivo congiunto tra la Libia e gli Stati Uniti“. Secondo quanto riferito, hanno anche convenuto che il conflitto dovrebbe concludersi al fine di riprendere i colloqui di pace volti a risolverlo politicamente.
Questo avviene mentre si aprono delle crepe all’interno della Cirenaica tra Haftar e Saleh, che gode anche di ottimi rapporti con l’intelligence saudita e con l’Egitto. Anche la Russia, dal canto suo, ha criticato le mosse di Haftar: “Non approviamo le dichiarazioni con cui il Maresciallo Haftar sembra voler decidere da solo la vita del popolo libico” ha dichiarato il ministro degli esteri Lavrov, non gradendo nemmeno il tentativo di allontanare Saleh dopo l’annuncio, lo scorso 28 aprile, di un suo “piano per una soluzione politica”, redatto, per sua stessa ammissione, insieme alla Russia, secondo quanto riportato dal The Libia Observer[10].
Anche sul lato di Tripoli, nonostante gli avanzamenti sul piano militare, la situazione politica è tutt’altro che stabile, approfondendosi lo strappo tra il premier Al-Sarraj e il governatore della Banca Centrale, Al Sadiq al Kabiir, dopo una serie di dichiarazioni e scambi di accuse tra i due sulla politica monetaria durante lo scorso aprile e l’inizio di maggio, il che rende molto difficile la crisi finanziaria del GNA.
A rafforzarsi è sicuramente il ruolo della Turchia, con Erdogan che si dichiara pronto ad intervenire con maggiore forza e a compiere “nuovi passi” se Haftar non si ritirerà. “Se le nostre missioni e interessi in Libia sono presi di mira, considereremo le forze di Haftar obiettivi legittimi“, ha affermato il Ministero degli Esteri turco in risposta agli attacchi subiti. La borghesia turca è tra i maggiori investitori in Libia, con accordi per realizzare progetti d’intervento, in particolare nel settore delle infrastrutture, che superano i venti miliardi di dollari attraverso la Turkey Contractors’ Association. Da rilevare anche come il recente volo di un aereo turco sull’isola di Gerba, in Tunisia con il cosiddetto “aiuto umanitario contro la pandemia”, abbia reso evidente la crescente relazione della Turchia e del Qatar, che sostengono Tripoli, con la Tunisia, con i suoi riflessi sul confinante scenario libico. Una situazione che sta creando tensioni interne alla Tunisia, con i partiti di opposizione che hanno accusato il premier Said di essere sottomesso alle ambizioni turche denunciando anche “l’attività turca sul suolo tunisino in cerca del sostegno di militanti e terroristi e l’invio di mercenari nella vicina Libia”.
L’obiettivo del governo borghese turco è quello di accrescere la sua influenza nella più ampia regione per promuovere gli interessi dei monopoli turchi dal Medio Oriente all’Africa settentrionale fino al Corno d’Africa[11] e, naturalmente, inserire un cuneo negli interessi energetici competitivi dal Mediterraneo orientale fino a quello meridionale e dunque alla Libia.
L’11 maggio, i ministri degli esteri di Egitto, Emirati Arabi Uniti, Grecia, Francia e Cipro hanno rilasciato una dichiarazione congiunta di condanna delle azioni del governo turco in Libia e nel mediterraneo orientale[12], suscitando la dura reazione del ministro degli esteri tripolino che ha lamentato le ingerenze negli affari libici e puntato il dito principalmente contro gli EAU, così come a stretto giro ha fatto anche il ministro degli esteri turco che ha parlato di “asse del male” e accusato gli Emirati Arabi Uniti, schierati con il generale Haftar, di “portare il caos” in Libia e Yemen attraverso i loro interventi in quei paesi. Sulla stessa scia, anche le “autorità” del sedicente “stato turco-cipriota” (che occupa illegalmente la parte settentrionale di Cipro) hanno lamentato le ingerenze negli affari relativi alla spartizione del Mediterraneo orientale e sfruttamento delle risorse, rivendicando che ”la Turchia e la TRNC sono determinate a proteggere i loro interessi nel Mediterraneo orientale e nella “Patria blu”. Non si può tornare indietro da questo“. In questo contesto, la sospensione – ufficialmente a causa del Covid-19 – delle piattaforme di perforazione, pianificate nel Mediterraneo sud-orientale da giganti dell’energia come ExxonMobil, Eni, Total[13], ha alimentato le discussioni sulla “rivalutazione” dei progetti energetici, con la Turchia che ha chiamato ad un “dialogo autentico e realistico“, osservando che le “difficoltà economiche incontrate da vari paesi e società hanno dimostrato che l’apertura alla comunità internazionale del gas naturale nel Mediterraneo orientale attraverso la Turchia è l’opzione più economica e logica“.
Negli stessi giorni il parlamento greco ha votato (con l’opposizione del KKE) la ratifica dell’accordo per la costruzione del gasdotto EastMed (sostenuto da Grecia, Israele, Cipro, USA e UE) che collegherà i giacimenti Leviatano israeliano e Afrodite cipriota dal Mediterraneo orientale alla Grecia, trasportando il gas verso l’Europa attraverso l’Italia, progetto sostenuto dall’UE come ulteriore mezzo per diversificare l’approvvigionamento energetico e ridurre la dipendenza dalla Russia, tagliando fuori anche la Turchia. Da notare come il ministro dell’energia greco, riferendosi all’Italia, abbia affermato di “aspettarsi risposte positive” per l’adesione al progetto.
In reazione, la Turchia ha confermato che continueranno le attività di esplorazione nel Mediterraneo orientale alla luce del memorandum d’intesa siglato lo scorso 27 novembre a Istanbul tra la Turchia e il GNA di Al-Sarraj per la delimitazione dei confini marittimi.[14] Il ministro dell’energia turco ha provocatoriamente risposto che questo accordo “ha rafforzato la presenza della Turchia nel Mediterraneo” e ha aggiunto che “coloro che volevano tenere la Turchia fuori dall’equazione nel Mediterraneo adesso sono fuori gioco“.
Contemporaneamente il segretario generale della NATO, Stoltenberg, rilascia una intervista al quotidiano Repubblica (particolare di non poco conto) in cui dichiara che “la NATO è pronta a sostenere il governo di Tripoli”, precisando che “siamo 30 paesi della NATO e possiamo avere posizioni diverse su questioni diverse, ma Ankara è un alleato importante”.[15] Una dichiarazione accolta con grande soddisfazione da Tripoli e Ankara, che ha particolarmente spiazzato il governo greco che si è affrettato a dichiarare di “aver ricevuto assicurazioni che le dichiarazioni del segretario generale non sono state riportate correttamente”, a testimonianza delle contraddizioni interne alla NATO.
Possiamo così notare come la guerra in Libia sia sempre più intrecciata con quella in Siria e con le dispute nel Mediterraneo orientale e nello Stretto di Bab El Mandab, che si inseriscono in un parziale rimescolamento delle alleanze sulla scena mediorientale con l’emergere di potenze regionali con propri interessi sempre più forti.
Prendiamo come esempio caratteristico quello degli Emirati Arabi Uniti (EAU) che, tra i principali sostenitori di Haftar[16], stanno compiendo mosse diplomatiche alla ricerca di un’intesa con la Siria in chiave antiturca, contro la quale, fino a poco tempo fa, sostenevano le milizie jihadiste. L’obiettivo è quello di spingere il governo di Damasco a riprendere il controllo di parte del suo territorio settentrionale per deviare l’attenzione della Turchia dal teatro libico e concentrarsi maggiormente nel conflitto che si svolge a ridosso dei suoi confini e di indebolire le aspirazioni egemoniche turche sul Mediterraneo orientale, ricco di giacimenti di gas, rivendicati anche da Cipro e da Israele[17] con relativi progetti di pipeline verso l’Europa in competizione tra loro. Significativo a riguardo è l’accordo firmato tra gli EAU e Israele (che formalmente non riconoscono ma con cui sono sempre più strette le relazioni con conseguenze sulla questione palestinese) per la fornitura di un sofisticato sistema di difesa aerea destinato all’LNA di Haftar. Negli ultimi due anni gli EAU hanno mostrato un attivismo regionale molto intenso, fatto di scelte audaci per far avanzare i propri interessi, a volte in collusione e a volte in collisione con l’Arabia Saudita, il loro partner più forte. Oltre a sostenere e rifornire Haftar in Libia, gli EAU sono impegnati nel conflitto in Yemen, puntando il loro mirino in particolare contro un’altra forte potenza regionale nell’area del Golfo, l’Iran, e con l’obiettivo di promuovere le loro ambizioni strategiche sul Mediterraneo, visto come proprio prolungamento geopolitico, creando continuità per una serie di scali portuali che risalgono dalla Penisola Arabica al Corno d’Africa fino a Suez e proseguono verso la Libia. Sistema che gli emiratini vorrebbero sovrapporre alla “Nuova Via della Seta” cinese, che fa rivivere le vecchie rotte commerciali della seta in competizione con gli interessi degli Stati Uniti e dell’UE.
La Libia stessa fa parte del puzzle dell’iniziativa della Cina che non è di certo indifferente al conflitto in corso, mantenendo apparentemente contatti con entrambe le parti in guerra.
Gli sviluppi si stanno accelerando pericolosamente nel groviglio di competizioni interimperialiste
Il ruolo delle potenze imperialiste nella regione è molto complesso, in un groviglio di interessi di potentissimi monopoli che si scontrano per la ripartizione di zone d’influenza, mercati, rotte commerciali, risorse energetiche, gasdotti e punti geostrategici cruciali. Il conflitto libico è una delle arene della contesa interimperialista nell’ampia regione collegata a tutti gli altri fronti aperti dalla Siria allo sfruttamento dei giacimenti del Mediterraneo orientale, al controllo dei crocevia commerciali del Canale di Suez, dello stretti di Bab el-Mandeb e Hormuz, del golfo Persico e di quello di Aden in Yemen, a loro volta tasselli di una competizione globale che si va acuendo sempre di più con la pandemia di coronavirus e la crisi capitalistica, con il rimescolamento di alleanze e posizioni di forza nel sistema imperialista internazionale.
Dopo aver distrutto la Libia con gli attacchi USA e NATO nel 2011, i centri imperialisti tornano pesantemente per spartirsi la “torta” con i preparativi di un nuovo saccheggio a danno del popolo libico, cercando di massimizzare la loro parte della vasta ricchezza naturale e minerale della Libia e di assicurarsi le loro posizioni, nel contesto del più ampio confronto interimperialista. L’importanza geostrategica della Libia, che non si limita solo allo sfruttamento delle sue ricche risorse energetiche si estende alla presenza nel Mediterraneo e ai riassestamenti nell’Africa settentrionale, costituisce una “porta” di penetrazione nel continente africano, dal Sahel al Corno d’Africa[18] – Etiopia, Somalia, Eritrea, Sudan, Gibuti – dove avanza la penetrazione di potenze come Turchia, Russia, Cina, EAU, Arabia Saudita, Israele.
Caratteristica la situazione di Gibuti che ospita la prima base militare cinese nel continente, ma anche basi e contingenti militari di USA, Francia, Giappone, Arabia Saudita, Germania, Spagna e Italia.
Dalla Libia al Sahel (Niger), al Corno d’Africa (Gibuti), l’Italia ha una propria presenza militare ed è tra i primi paesi per esportazioni di capitali nel continente africano in cui il monopolio energetico ENI conserva il primato di principale attore energetico, con una presenza in 13 paesi in cui produce oltre la metà della produzione totale di greggio e gas naturale del gruppo. In questi scenari pericolosi, le brame della borghesia italiana e di monopoli come l’ENI sono sostenute dalla politica del governo dietro il paravento degli “interessi nazionali”, coinvolgendoci sempre di più nella complessa situazione sul terreno libico, nel groviglio di potenze imperialiste globali e regionali con i loro rispettivi interessi geopolitici dietro le due parti in guerra.
Il crescente accumulo di “materiale infiammabile” nella regione accelera questi pericolosi sviluppi con la concorrenza, sempre più intensa, tra potenti centri imperialisti e con il coinvolgimento di potenze regionali con i loro interessi particolari, che giocano un ruolo sempre più decisivo, sul piano delle alleanze strategiche, per il successo dei piani delle grandi potenze imperialiste, cosa che avvicina il rischio di una guerra generalizzata. In ogni caso, è chiaro che i “desideri” di promuovere una “soluzione politica” in Libia sono collegati con i piani militari e di spartizione che hanno gli interessi dei monopoli e degli stati capitalisti come base.
L’Ordine Nuovo continuerà a tenere alta l’attenzione e l’informazione su questi sviluppi. La lotta contro i pericolosi piani di guerra e di spartizione imperialista, proiezione militare e diplomatica dello sfruttamento di classe per i profitti dei monopoli, contro la partecipazione e il coinvolgimento del nostro paese, contro gli interessi della borghesia e dei monopoli italiani, al cui servizio operano lo Stato e il governo, e le loro alleanze internazionali come UE e NATO, deve essere tempestivamente posta al centro della mobilitazione dei lavoratori del nostro paese.
[1] https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/africa/2020/05/08/in-libia-attacco-vicino-alla-residenza-dellambasciatore-italiano_ac1035ac-0d20-4b76-99bf-6128afb00f75.html
[2] https://www.agi.it/estero/news/2020-04-27/haftar-si-proclama-capo-libia-8456233/
[3] https://www.agi.it/estero/news/2020-04-30/libia-haftar-tregua-ramadan-tripoli-8479662/
[4] https://www.agi.it/estero/news/2020-04-30/libia-tregua-haftar-8487041/
[5] Dopo giorni di aspri combattimenti le forze regolari del GNA hanno conquistato la base il 18 maggio https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/africa/2020/05/18/libia-governativi-presa-base-di-watiya_2d7965d9-db87-410d-a374-b5de499635df.html
[6] https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2020/05/05/libia-riprende-loffensiva-base-delllna-al-sarraj-sostiene-dialogo-politico/
[7] https://www.agenzianova.com/a/5eb52e92bd8d00.90241424/2925869/2020-05-07/libia-lna-lancia-un-operazione-militare-aerea-nella-libia-occidentale
[8] http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/libia-di-maio-razzi-ospedale-civili-armi-stop-ingerenze-66ac8ce9-3c8f-435e-8aea-0f7bfcd90818.html?refresh_ce
[9] https://www.repubblica.it/esteri/2020/05/07/news/libia_gli_usa_denunciano_la_russia_e_assad_assoldano_miliziani_per_haftar_-256000761/
[10] https://www.libyaobserver.ly/news/hor-speaker-says-his-political-initiative-drafted-russia-warns-imminent-defeat-south-tripoli
[11] http://nena-news.it/petrolio-aiuti-umanitari-e-basi-militari-la-turchia-si-prende-il-corno-dafrica/
[12] https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2020/05/12/emirati-arabi-uniti-lincontro-sulla-libia-un-messaggio-diplomatico/
[13] Monopoli che possiedono le concessioni da parte della Repubblica di Cipro per l’esplorazione delle aree assegnate nella ZEE cipriota che non viene riconosciuta dalla Turchia che rivendica parte di quest’area inviando proprie navi perforanti e militari in contrasto.
[14] https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/europa/2020/05/14/turchia-continueremo-le-trivellazioni_d2024779-4c4b-49bf-bd36-d4a680167314.html
[15] https://rep.repubblica.it/pwa/intervista/2020/05/13/news/stoltenberg_con_il_virus_russia_e_cina_vogliono_destabilizzare_l_occidente_-256546000/
[16] Alcuni giorni fa, gli aerei da combattimento UAE Mirage 2000-9, presumibilmente decollati da una base militare in Egitto, hanno distrutto depositi di armi turche e aerei telecomandati UAV Bayraktar TB2 all’aeroporto di Misrata, che viene utilizzato dal governo di Al-Sarraj.
[17] http://www.senzatregua.it/2019/12/22/sui-pericolosi-sviluppi-nel-mediterraneo-orientale/
[18] Che si affaccia sullo stretto di Bab el-Mandeb, Mar Rosso verso il Canale di Suez e golfo di Aden.