“Questo mondo non mi renderà cattivo”: riflessioni sulla nuova serie di Zerocalcare
Lo scorso 9 giugno ha debuttato, in streaming online, la nuova serie TV di animazione in sei episodi scritta e diretta da Zerocalcare “Questo mondo non mi renderà cattivo“. La pubblicazione della serie arriva dopo il successo riscosso da “Strappare lungo i bordi“, edita nel novembre 2021.
La storia è ambientata in un imprecisato quartiere della periferia est di Roma, dove è stato di recente aperto un centro di accoglienza per richiedenti asilo in cui sono ospitati circa 30 profughi, dopo che questi immigrati erano stati espulsi dal quartiere di “Tor Sta Ceppa“. L’apertura del centro provoca l’immediata reazione di una non meglio riconoscibile organizzazione di estrema destra (i cui militanti sono descritti genericamente come “nazisti”), la quale, tentando di cavalcare il malcontento della popolazione, anche tramite atti intimidatori, ottiene che il municipio locale si riunisca in una seduta straordinaria pubblica per votare la chiusura definitiva del centro di accoglienza.
Il protagonista, impersonato dallo stesso Zerocalcare, vive con insofferenza la propaganda fascista nel quartiere e il recente ritorno di un suo amico d’infanzia, Cesare.
Prima di entrare nel merito di quanto narrato dalla serie, è però importante chiarire da quali fatti Zerocalcare ha tratto ispirazione e quali analogie vi sono con la realtà che ogni giorno viene vissuta dai proletari nei quartieri popolari.
Da quali fatti è tratta la serie?
I fatti che la serie narra traggono ispirazione da alcuni episodi realmente avvenuti nella città di Roma negli scorsi anni. In particolare, la trama della serie ricalca in maniera precisa ed accurata, a meno di alcune variazioni introdotte per rendere la storia originale e maggiormente fluida, i fatti di Tiburtino III del 2017.
Nel settembre di quell’anno poche decine di profughi erano alloggiate presso un centro di accoglienza situato nel quartiere popolare di Roma Est, quando il partito di estrema destra CasaPound Italia inscenò una serie di proteste, spacciate pubblicamente per spontanee e organizzate da residenti, ma in realtà dettate dalla dirigenza del partito. Tramite azioni nei confronti del consiglio municipale e intimidazioni verso gli ospiti del centro di accoglienza, i fascisti riuscirono ad estorcere una convocazione del consiglio presso un centro anziani del quartiere, con ordine del giorno l’espulsione degli immigrati.
Al momento delle votazioni un nutrito gruppo di antifascisti, tra cui i comunisti, che giocarono un importante ruolo nell’organizzare la risposta ai fascisti e alla loro propaganda, si presentò per contrastare il tentativo di ingerenza. In quell’occasione le forze dell’ordine scortarono all’interno dell’edificio i fascisti, i quali tuttavia denunciarono il ferimento di un militante di CPI a loro detta per mano dei manifestanti antifascisti, a cui la polizia aveva negato la stessa possibilità di partecipare al consiglio municipale, che aveva garantito ai fascisti. In realtà alcuni video delle tensioni dimostrarono che il militante ferito era stato colpito da un altro membro di CPI. La seduta straordinaria del consiglio fu infine annullata.
Nei giorni seguenti, per le strade di Tiburtino III si snodò un grande corteo per rispondere alla propaganda razzista e con cui il quartiere prese definitivamente le distanze dalle azioni dei fascisti.
La lettura dei prossimi paragrafi è sconsigliata a chi non voglia ricevere spoiler sugli episodi della serie!
La droga e l’emarginazione
Tornando alla serie, il rapporto tra Zero e Cesare, assente per diversi anni dalla sua vita in quanto in terapia presso un centro di recupero per tossicodipendenti a seguito di problemi legati al consumo di eroina, risulta un filo conduttore della serie. Il protagonista tenta di aiutare l’amico accogliendolo nuovamente nel suo quartiere, rendendosi conto di non essere in grado di farlo uscire dall’emarginazione.
Quello della droga è un tema centrale nei quartieri popolari delle nostre città, e la serie mette in luce come esso rappresenti per molti proletari la causa dell’isolamento che Cesare vive sulla sua pelle. È profondo il legame tra la società capitalistica e il consumo massivo di droga, che fa la sua comparsa nella storia nella forma attuale della tossicodipendenza proprio con lo sviluppo del modo di produzione capitalistico.
Il fatto che la tossicodipendenza sia un fenomeno legato alle differenze di classe strutturali al sistema è testimoniato da una parte dal peso del mercato della droga nell’economia capitalistica (in Italia si stima che esso garantisca a chi lo gestisce entrate corrispondenti all’incirca all’1% del PIL nazionale), dall’altra dal fatto che l’abuso di sostanze stupefacenti cresce di pari passo con l’ingiustizia sociale, affliggendo quindi in prevalenza chi subisce disoccupazione, precarietà, incertezza sul proprio futuro, in quanto alla base della dipendenza vi è la ricerca di un’evasione individuale dall’insoddisfazione verso la realtà in cui si vive.
Proprio per contrastare l’emarginazione e la rassegnazione, di cui la droga è al contempo causa ed effetto, emerge l’importanza di contrapporre la lotta contro un sistema che fornisce terreno fertile al proliferare della droga proprio negando l’accesso alla cultura, allo sport, alle attività ricreative a larga parte della popolazione, ed in misura tanto maggiore agli strati popolari.
Precarietà, disoccupazione, razzismo e guerra tra poveri
Emblematica nella storia è la presa di posizione di Sarah, che, pur convinta antifascista, subisce sulla propria pelle tutte le contraddizioni della vita nella periferia, e, mossa dal timore della perdita del lavoro da insegnante, ottenuto dopo anni di disoccupazione, precarietà e sfruttamento a seguito della fine dei suoi studi, si lascia convincere che la presenza degli immigrati possa mettere a rischio la permanenza della scuola dove insegna.
La paura di piombare nella disoccupazione e nella povertà è un tema assolutamente reale e accompagna le vite di milioni di giovani e proletari che, in un sistema per sua natura non in grado di garantire casa, lavoro e diritti agli strati popolari, si vedono privati di una vita dignitosa e di un benessere che al contrario sarebbe possibile garantire a chiunque in una società non fondata su sfruttamento e profitto.
Su queste paure le organizzazioni di estrema destra fondano la loro vile e illusoria propaganda. Quella di soffiare sul malumore dei residenti dei quartieri popolari attraverso parole d’ordine razziste è infatti una strategia comunemente sostenuta dalle formazioni neofasciste. Fomentare la “guerra tra poveri” rappresenta l’evidenza lampante di come anche oggi il fascismo sia del tutto funzionale a ostacolare l’unità nella lotta di chi, come i lavoratori italiani e quelli immigrati, rappresenta la classe che, unica, possa portare al reale superamento di una società fondata su sfruttamento, ingiustizia e sopraffazione. Del resto gli slogan che i militanti neonazisti intonano nella serie (“diritto alla casa, diritto al lavoro: non ce l’abbiamo noi, non ce l’avranno loro“), ispirato alle reali rivendicazioni di questo tipo di organizzazioni, danno perfettamente l’idea del ruolo del fascismo nel sostenere i peggiori interessi padronali a scapito degli strati popolari, sempre più privati di diritti e condizioni di vita dignitose. D’altro canto sarà la stessa serie, negli eventi successivi, a svelare la falsità di questa retorica.
La critica alla politica istituzionale
La descrizione degli schieramenti politici nel consiglio municipale, presentati durante la votazione a cui assistono Zero e gli antifascisti del quartiere e che vedrà passare la mozione sostenuta dai fascisti, rappresenta un’aperta critica alla politica istituzionale, ai partiti borghesi e agli interessi sostenuti da queste forze.
La scena della votazione, resa in maniera allegorica con l’identificazione degli schieramenti (centro-destra, centro-sinistra e un gruppo che richiama il M5S e la sua retorica) nelle varie specie animali, mostra infatti un riferimento per niente velato ai reali partiti della politica borghese, criticando il ruolo che ciascuno di essi gioca nel garantire terreno fertile alla retorica dell’estrema destra, ciascuno per diverse finalità, ma tutte riconducibili ad interessi estranei ai lavoratori e ai residenti dei quartieri popolari.
Gli esponenti di questi partiti sono mostrati come estranei ad ogni tipo di istanza sostenuta dagli abitanti del quartiere (emblematico l’esempio della consigliera del centro-sinistra che, ai tempi della scuola, si schierava contro le occupazioni promosse dai suoi compagni studenti), ipocriti nel sostenere una “democrazia” che lascia spazi alla violenza razzista, dediti al mero perseguimento del proprio tornaconto personale e politico, finendo per consegnare il destino del quartiere nelle mani dei fascisti, facendosi beffe dei residenti e del destino degli immigrati ospiti del centro d’accoglienza.
L’ipocrisia di polizia e media
L’autore, nel rappresentare i tafferugli tra i militanti di estrema destra e gli antifascisti, esprime una critica all’operato delle forze dell’ordine, che in un primo momento permettono ai due schieramenti di scontrarsi, disinteressandosi della tutela dei molti giovani scesi in piazza e tollerando le violenze dei fascisti. A tal proposito è emblematica la scena in cui la celere, che non interveniva quando Cesare viene linciato dai suoi stessi camerati, carica al contrario i manifestanti antifascisti, diversi dei quali vengono arrestati e condotti in commissariato, insieme allo stesso Cesare. Una volta rilasciati, Zero e i suoi amici subiscono le intimidazioni di un agente del commissariato, il quale minaccia il gruppo di amici, chiedendo di confessare chi fosse l’aggressore di un giovane militante di estrema destra rimasto ferito negli scontri, altrimenti sarebbero stati tutti denunciati, condotti a processo e avrebbero visto pregiudicate le proprie vite lavorative a causa delle ritorsioni legali.
Ironico come, quando si scopre che il ragazzo ferito proveniva da una famiglia estremamente facoltosa e potente, gli agenti si attivino con solerzia nell’assecondare le richieste di ricchi padroni, minacciando al contrario, in maniera del tutto classista, l’impossibilità di trovare lavoro con la logica dei “carichi pendenti” chi ovviamente di lavorare ha bisogno (non quindi dei ricchi borghesi).
Anche in questo caso le analogie con i fatti di Tiburtino III sono notevoli. Seppur in quel caso la polizia fosse già presente in forze sul luogo del consiglio municipale, anche allora la celere contrastò il presidio antirazzista, impedendo l’ingresso alla seduta a chiunque non fosse un militante fascista. Purtroppo invece sono molti i casi di violenze da parte delle forze dell’ordine contro manifestanti, perlopiù lavoratori in lotta o studenti, scesi in piazza in maniera pacifica e oggetto di soprusi solo perché contrari al governo e alle sue politiche. Chi lotta ogni giorno sa bene quindi quanto il comportamento della polizia nella serie sia realistico e si riferisca alla realtà delle cose.
Mentre accadono i fatti, i giornalisti (rappresentati come sciacalli) speculano sulle scene di violenza per dipingere nei loro articoli le periferie come luoghi abbandonati al degrado e all’inciviltà. Anche questo rappresenta al meglio quanto accade ogni giorno. Spesso è proprio la stampa a sovraesporre la propaganda dell’estrema destra, fornendogli visibilità, attribuendo ai quartieri popolari in cui i fascisti intervengono una connotazione politica che non rappresenta affatto chi vive nelle periferie e legittimando le peggiori pulsioni che il sistema produce.
La necessità della lotta per i diritti sociali
L’intervento di Domenica, una vecchia bidella in pensione della scuola, smaschera la propaganda xenofoba, parlando alla piazza del fatto che in realtà la scuola perdeva iscritti già da diversi anni a causa dell’abbandono della struttura, che per mancanza di finanziamenti cadeva ormai a pezzi, e per l’assenza di mezzi pubblici che consentissero ai genitori di portarvi i propri figli.
Anche in questo caso si ripresenta con forza il punto centrale, ossia l’illusorietà delle parole d’ordine di chi semina divisioni e dissidi tra gli sfruttati della nostra società. Se oggi mancano le case, le scuole, gli ospedali, i servizi per i quartieri popolari, le colpe non vanno di certo attribuite ai più svantaggiati, rei di “avere troppi diritti”. Al contrario è solo l’unità tra gli oppressi di questo sistema, attraverso la lotta di classe per conquistare benessere e diritti realmente universali e pertanto garantiti a tutti, ad essere ciò che può produrre un miglioramento nelle condizioni di vita di quanti vivono le contraddizioni del capitalismo.
Considerazioni finali
“Questo mondo non mi renderà cattivo” rappresenta senz’altro un passo avanti dell’opera di Zerocalcare rispetto alla precedente serie del 2021, in quanto affronta un numero molto maggiore di problematiche sociali che ogni giorno sono vissute dai proletari, oltre a introdurre esplicitamente delle tematiche politiche nette e riconoscibili, seppur non volendo a tal proposito costituire un manifesto e mantenendo un taglio godibile, divertente e ricco di riferimenti alla cultura giovanile.
Il merito di introdurre su media di diffusione di massa temi fondamentali come quelli della droga, del razzismo, dalla disoccupazione narrati dal punto di vista di giovani degli strati popolari è innegabile.
Il giudizio sulla serie non può pertanto che essere positivo, e la visione consigliata, specialmente a chi vive sulla propria pelle tutte le contraddizioni e le difficoltà che ogni giorno lavoratori, studenti degli strati popolari, disoccupati e pensionati riscontrano nei quartieri popolari delle nostre città.