L'Ordine Nuovo

Menu superiore

Menu principale

  • Rassegna operaia
  • Capitale/lavoro
  • Classe e partito
  • Internazionale
    • Notizie dal mondo
    • Imperialismo
    • Vita politica internazionale
  • Politica
  • Terza pagina
    • Film e TV
    • Libri
    • Musica
    • Pillole di storia
    • Storia di classe
    • Manifesti
  • Tribuna
  • Speciali
    • Centenario PCdI
    • Lenin 150
    • Rivista Comunista Internazionale

logo

L'Ordine Nuovo

  • Rassegna operaia
  • Capitale/lavoro
  • Classe e partito
  • Internazionale
    • Notizie dal mondo
    • Imperialismo
    • Vita politica internazionale
  • Politica
  • Terza pagina
    • Film e TV
    • Libri
    • Musica
    • Pillole di storia
    • Storia di classe
    • Manifesti
  • Tribuna
  • Speciali
    • Centenario PCdI
    • Lenin 150
    • Rivista Comunista Internazionale
  • Gli USA inaspriscono l’accerchiamento: la denuncia di Cuba

  • Vita politica internazionale – Trentasettesimo numero

  • Contributi marxisti alla questione ambientale

  • Il momento di Mamdani e la crisi della “sinistra”

  • La Spagna è la “locomotiva” d’Europa, ma ancora non te ne sei reso conto

  • L’ICE non deporta, produce dividendi: l’industria dell’internamento degli immigrati

  • La guerra contro l’Iran: menzogne e pretesti imperialisti

  • Sul criminale vertice NATO dell’Aia

  • Vita politica internazionale – Trentaseiesimo numero

  • Sulle rivolte degli immigrati negli Stati Uniti

Terza pagina
Home›Terza pagina›Lucien de Rubempré e l’infanzia della rivoluzione

Lucien de Rubempré e l’infanzia della rivoluzione

Di Alessandro Barile
19/06/2020
3516
0
Condividi:
Honoré de Balzac

«Da vent’anni, vedo il mondo dalla parte del rovescio, nel suo sottosuolo, e ho capito che nell’andamento delle cose c’è una forza che voi chiamate Provvidenza, che io chiamavo caso, che i miei compagni chiamano fortuna»

(Balzac, Splendori e miserie delle cortigiane, 1838-1847)

Scrivere di Balzac significa esporsi inevitabilmente all’infortunio. La possibilità di dire qualcosa di originale è un’illusione; la certezza di fallire, talmente manifesta, si presenta infine come invito a rischiare. Eppure qualcosa ci convince della necessità, oggi, di rileggere Balzac: una vicenda dell’uomo si è conclusa, quella della maturità delle lotte di classe e del socialismo. Prendere atto di questo fatto non significa arrendersi o rinunciare. Piuttosto, e nonostante il Novecento, significa ricominciare da dove si era partiti: sconfitta la Rivoluzione e restaurato l’ordine, questo 2020 ci ricorda il 1820. Ed è qui che comincia l’educazione sociale di Lucien Chardon, il protagonista di Illusioni perdute.

Lucien in compagnia di Daniel d'ArthezLucien è carico di speranze, e il romanzo un lungo percorso di disillusione attraverso la società francese all’epoca della restaurazione.

Una società che trasuda vendetta: la Rivoluzione non appare davvero “sconfitta”, l’ordine non può essere veramente “restaurato”. È una messa in scena, possibile solo a patto di accettare l’irruzione della storia – ovvero la borghesia al banchetto regale – però annichilendola: è invitata solo quella borghesia che si uniforma ai valori della nobiltà in crisi, che ne accetta i privilegi e ne acquisisce le abitudini. Per chi non sta al gioco c’è la ghigliottina, tragico détournement che allevia le ansie di un’aristocrazia che non può che vivere in uno stato di transitorietà, stritolata dalla borghesia in ascesa e da un popolo umiliato ma non annientato, che si agita e si ricorda: del ’93, della ghigliottina, del terrore. Non sa più come si fa, ma sperimenta, si ingegna, in un’infanzia che presto diverrà adolescenza: le giornate di luglio del 1830 sono là a dimostrarlo, e la “cronaca” delle illusioni borghesi alle soglie della rivolta affidate ad un altro protagonista del realismo francese: Julien Sorel.

Il giovane, borghese, provinciale Lucien, ai margini della vita sociale ma colmo di fiducia nelle sue qualità letterarie, nel suo vitalismo e nella sua bellezza, decide di confrontarsi con Parigi.

Qui scopre una realtà che si presenta subito in forma insostenibile, un consorzio di interessi che lo attrae e lo rovina. Ogni evento è il risultato di percorsi tortuosi e segreti: le relazioni umane sono improntate al tradimento e al sotterfugio; il denaro è il mezzo, il potere l’obiettivo di una pletora di figure sociali che lottano in un duello esiziale, che impone l’accordo temporaneo solo in funzione di una lotta ancor più estrema nel futuro immediato. Una lotta che però, anche nei suoi momenti più duri, prevede sempre l’accomodamento. Non è una vera lotta per sopravvivere, ma per affermarsi. Dentro questo percorso di affermazione personale, Lucien – pur carico, a parole, di propositi edificanti – cede immediatamente alle sirene della corruzione. Una corruzione umana, professionale, amorosa. Tutto può costituire la contropartita dell’ascesa sociale: una donna, la propria aspirazione letteraria, le amicizie che nel frattempo si crea nella buona società parigina, persino i legami famigliari.

Lucien dunque si corrompe con rapidità sintomatica, perché le sue illusioni si presentano proprio in quanto tali. Il protagonista non ne riconosce l’essenza – per l’appunto – illusoria, ma ne saggia la solidità, pressoché impalpabile. È pronto a vendersi perché ogni modello sociale da lui conosciuto è sul punto di farlo, ed è un’intera società che si presenta in forma alienabile (e dunque alienata). Ebbene, questo apprendistato alla realtà, questa educazione sociale che Lucien compie attraverso durissime lezioni e ancor più rovinose cadute, affrontate con l’animo leggero dell’illuso incantato dalle promesse, un percorso che si dipana da queste Illusioni perdute per finire con Splendori e miserie delle cortigiane, cosa ci racconta della nostra società?

In Balzac tutto è macchinazione. Le sue storie non fanno che presentare l’apparente e il nascosto della società francese tra la restaurazione e la metà degli anni Quaranta, un rapporto che è sempre di causa ed effetto: lo “studio dei costumi”, e cioè la società che si presenta per quello che si vede, è sempre il risultato di azioni profonde, segrete, che determinano la realtà, la creano a prescindere e a discapito degli interpreti momentanei. Come ebbe a dichiarare illustrando la sostanza della sua commedia umana,

Alla base dell’edificio gli studi dei costumi, che rappresentano gli effetti sociali. La seconda parte è costituita dagli studi filosofici, poiché, dopo gli effetti verranno le cause. Poi, dopo gli effetti e le cause, si devono cercare i principi. I costumi sono nello spettacolo, le cause sono nei retroscena e nelle macchinazioni. I principi, è l’autore, ma, man mano che l’opera raggiunge in spirali le altezze del Pensiero, essa si misura e si condensa [corsivi nostri].

Honoré de Balzac

Honoré de Balzac (1799-1850) (Photo by adoc-photos/Corbis via Getty Images)

L’essenza stessa delle relazioni sociali è presentata in forma di complotto. La storia è complotto, ci dice Balzac, e cioè: per capire davvero la realtà, bisogna andare oltre la sua narrazione apparente, oltrepassare il confine dei costumi, della cultura, delle relazioni manifeste, delle idee, dei fatti semplici. Ovvero: delle illusioni. Non è dalla quotidianità, cioè dalla realtà immediata, che è possibile scorgere il significato delle forze che si agitano nella sua profondità. In questo c’è l’anima stessa di quel realismo che aveva impressionato Marx ed Engels, «di gran lunga maggiore di tutti gli Zola del passato», per dirla con le parole dello stesso Engels.

Affermare, come va di moda fare oggi da parte di certuni smaliziati e scaltri commentatori di sinistra, che “i complotti non esistono”, significa ritornare alle soglie del socialismo, alle sue stesse origini storiche, posizionandosi però dalla parte dei legittimisti, difendendo la realtà apparente. Anche Balzac scriveva alle soglie del socialismo, impregnato di utopismo e quindi innocuo, ma colmo di fiducia e quindi potente. E scriveva da convinto sostenitore della reazione, credeva in quei valori che la storia aveva reso anacronistici, e se ne rammaricava. In lui non c’è nostalgia gattopardiana, ma avversione e rassegnazione al nuovo ordine sociale e politico che si presentava, dal suo punto di vista, come oramai inevitabile. Eppure, nel raccontare la società ne svela anche i suoi segreti, perché interessato a condannarli.

Quel che invece non poteva fare Balzac – sebbene i vertici della commedia umana sembrano predisporsi a superare anche questo limite – era inquadrare i fenomeni sociali da lui descritti non dentro verità profonde composte di altri fenomeni, cioè quel complotto di sottofondo che costituisce il lato oscuro correlato e necessario che informa lo sviluppo delle relazioni capitalistiche, ma dentro un’essenza delle relazioni sociali che spiega tanto la realtà apparente quanto il complotto necessario. Il complotto, dunque, esiste veramente (amara verità per quei commentatori di sinistra smaliziati e scaltri), ma non è questo che spiega la società, la sua evoluzione, il suo significato (e qui si situa il limite del “complottismo”, che riduce la realtà a macchinazione personale, a sommatoria di interessi privati e indicibili). La realtà – ed è una delle tracce più interessanti da seguire in Balzac, per cogliere fino a che punto la commedia umana procedeva emancipandosi dalle idee del suo autore e dai limiti del suo tempo – si riproduce in forma impersonale, servendosi però dei soggetti che la compongono e la animano.

La macchinazione, dunque, è un effetto, e non la causa. Ma questo è già intravisto dallo stesso Balzac, come abbiamo visto.

VautrinNei due romanzi – in realtà in tre romanzi: oltre che Illusioni perdute e Splendori e miserie delle cortigiane, va aggiunto, come premessa temporale indispensabile, Papà Goriot – trova però posto un personaggio che personifica tanto il disincanto quanto la presa di coscienza: Jacques Collin, ovvero il Vautrin di Papà Goriot e il Carlos Herrera di illusioni perdute e Splendori e miserie delle cortigiane. È la figura del cinico, di chi ha capito e, forte di questa presa di coscienza, volge a suo favore i segreti del meccanismo sociale. L’estremo realismo, d’ispirazione machiavelliana, ne fa un deus ex machina degli altrui destini, e in primo luogo proprio di Lucien de Rubempré. Ma è un realismo sprovvisto di ideologia, ancora incapace di organizzare un discorso collettivo. A mancare, e non poteva essere altrimenti, è la politica, intesa come comunità di destino degli sfruttati e non come, anche qui, macchinazione delle classi possidenti. Quella politica che, in forme embrionali, ingenue e illusorie, farà la sua comparsa in Jean Valjean o in Frédéric Moreau, e cioè con Hugo e Flaubert che scrivono, per l’appunto, a Quarantotto avvenuto. Balzac lo sente, e prova ad anticiparlo.

Collin è il Mefistofele goethiano, e poi il Parvus di Solženicyn. Colui che pensa di manovrare la realtà in forma speculare a quel movimento di cui ne ha compreso l’essenza. Non può che essere il re della società criminale, cioè il capo dell’antistato illegale. In assenza di politica, non potrà infine che diventare il capo della polizia segreta, sulle orme di quel Vidocq grande criminale e, infine, grande capo della Sûreté francese. Destini che si incrociano e si confondono, perché tutti pensati dentro uno scontro tra soggetti coscienti, piuttosto che manovrati dal caso e dalla storia. Eppure, alla fine della sua vicenda, contrattando oramai la sua nuova vita “legale” – o meglio: mettendo la sua educazione criminale al servizio di un’altra forma di “criminalità”, stavolta legalizzata – Collin-Balzac lascia intuire, con l’uso dell’imperfetto, il possibile compimento di una vicenda: «Da vent’anni, vedo il mondo dalla parte del rovescio, nel suo sottosuolo, e ho capito che nell’andamento delle cose c’è una forza che voi chiamate Provvidenza, che io chiamavo caso, che i miei compagni chiamano fortuna». Se polizia e criminalità continuano ad affidarsi chi alla provvidenza chi alla fortuna, nel Collin all’apice del suo “realismo” si avverte un cambiamento.

Ciò che “chiamava” caso adesso è qualcos’altro. Una forma di coscienza diversa, forse. In ogni caso, il segno di una storia che si compie – l’elaborazione del lutto della rivoluzione, apparentemente sconfitta – e di un’altra che si va aprendo alle spalle delle macchinazioni proprietarie: dall’infanzia del popolo all’adolescenza del proletariato.

Per concludere: Balzac illustra lo stato di coscienza del suo tempo, così simile al nostro. Rileggerlo oggi può attivare nuovi processi interpretativi, soprattutto nei più giovani. Può insegnare, oggi più di qualche decennio fa, a capire meglio la realtà. Una realtà parziale, ma non meno “vera” della smaliziata impotenza di quei commentatori di sinistra figli dello scorso secolo, e proprio per questo impreparati a capire questi, di anni. La morte di Rubempré è la morte delle illusioni, certo; ma la strada del disincanto è faticosa: non esistono “pasti gratis”, neanche in politica. Occorre passare, forse, per nuove e ingenue speranze. Balzac può aiutare a metabolizzare l’inevitabile perdita di ogni illusione, porta d’accesso alle ragioni della rivoluzione.

TagBalzaccomplottismorivoluzionesinistra
Articolo precedente

Seattle, il caso della zona autonoma di ...

Articolo successivo

Crisi Sino-Indiana: uno scontro tra imperialismi

1
Condiviso
  • 1
  • +
  • 0
  • 0
  • 0
  • 0

Alessandro Barile

35 anni, ricercatore in Storia contemporanea e studioso delle trasformazioni della città globale. Redattore della "Rivista di Studi Politici" e della rivista di Storia della conflittualità sociale "Zapruder", collabora con "il manifesto" e "Le Monde Diplomatique". Tra le sue ultime pubblicazioni, "Il tramonto della città" (Derive Approdi 2019) e, di prossima uscita, "Il secondo tempo del populismo. Sovranismi e lotte di classe" (Momo edizioni 2020).

Articoli correlati Altri articoli dell'autore

  • Storia di classe

    Fidel Castro annuncia il carattere socialista della Rivoluzione. 16 aprile 1961

    16/04/2020
    Di Redazione
  • Vita politica internazionale

    Vita politica internazionale – Quindicesimo numero

    07/11/2021
    Di Redazione
  • Lenin150

    Lenin e la lotta all’opportunismo

    21/04/2020
    Di Tiziano Censi
  • Distruzione del porto di Hungnam_1950_Guerra di Corea
    Storia di classe

    Guerra di Corea: la propaganda americana e il mito sulle responsabilità

    25/06/2021
    Di Redazione
  • Gino Donè Paro
    Pillole di storia

    Gino Donè Paro: “l’Italiano” tra Fidel Castro e Che Guevara

    18/05/2020
    Di Redazione
  • Notizie dal mondo

    Cuba: i danni dell’embargo ed i successi del sistema cubano

    03/11/2020
    Di Redazione

Ti potrebbe interessare

  • Distruzione del porto di Hungnam_1950_Guerra di Corea
    Storia di classe

    Guerra di Corea: la propaganda americana e il mito sulle responsabilità

  • Marcello Mastroianni
    Film e TV

    Cinema Ritrovato. Allonsanfàn, di Paolo e Vittorio Taviani, 1974

  • Dire la verità è rivoluzionario. Sull'informazione e la disinformazione nel mondo di oggi
    VPI - Articoli

    Dire la verità è rivoluzionario. Sull’informazione e la disinformazione nel mondo di oggi

Leggi anche…

Fallout: la guerra e le contraddizioni del capitalismo

Fallout: la guerra e le contraddizioni del capitalismo

28/04/2024 | By Lorenzo Vagni
Sulla guerra in Medio Oriente

Sulla guerra in Medio Oriente

09/09/2024 | By Redazione

Ascesa della destra e miseria del riformismo: un’analisi critica delle elezioni francesi

04/08/2024 | By Redazione

Il sostegno alla causa palestinese sotto attacco anche in Danimarca

11/07/2024 | By Francesco Cappelluti

L’approvazione della “Ley Bases” e la situazione nell’Argentina di Milei

10/07/2024 | By Redazione
Da Suviana a Casteldaccia: la sicurezza sul lavoro resta una chimera

Da Suviana a Casteldaccia: la sicurezza sul lavoro resta una chimera

04/06/2024 | By Daniela Giannini
I settemila passi. Morire di lavoro accanto a una passerella elettorale

I settemila passi. Morire di lavoro accanto a una passerella elettorale

01/02/2024 | By Redazione
La vergognosa strumentalizzazione del Giorno della Memoria

La vergognosa strumentalizzazione del Giorno della Memoria

27/01/2024 | By Lorenzo Vagni

Investimenti in crescita e interdipendenza: gli interessi del capitale italiano in Israele

26/01/2024 | By Domenico Cortese
Confindustria BDI MEDEF

Il padronato europeo batte cassa: più soldi alle imprese e più mobilità del lavoro

15/05/2020 | By Redazione
Riaprire scuole e università: mille dubbi, nessuna certezza

Riaprire scuole e università: mille dubbi, nessuna certezza

26/08/2020 | By Redazione
49° Festival della KNE-Odigitis

Vita politica internazionale – Ventiquattresimo numero

15/10/2023 | By Redazione

seguici:

  Facebook  Instagram  Twitter

contattaci:

  Contattaci
Quest’opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 3.0 Italia. Possono dunque esserne ripresi altrove i contenuti: basta citarne la fonte. "L'Ordine Nuovo" è un sito web di informazione indipendente e non rappresenta una testata giornalistica ai sensi della legge 62/2001. Qualora le notizie o le immagini pubblicate violassero eventuali diritti d’autore, basta che ci scriviate e saranno immediatamente rimosse.