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Home›VPI - Articoli›Tutto in cambio di niente: la dialettica dell’attuale stato dell’imperialismo

Tutto in cambio di niente: la dialettica dell’attuale stato dell’imperialismo

Di Redazione
11/05/2025
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Di José Reguera, da Nuevo Rumbo, organo del Partito Comunista dei Lavoratori di Spagna (PCTE)
21 aprile 2025
Link all’originale

 

Aprile 2025. Il mondo rimane in un incessante stato di tensione instabile. Gli eventi che si susseguono, giorno dopo giorno, dimostrano che siamo in un momento di riordino e di caos in cui le varie potenze cercano di orientarsi, di fronte alla tempesta in arrivo. C’è una logica semplice in ogni cambiamento che avviene, ma l’inerzia che stanno acquisendo provoca un’enorme vertigine che, diciamolo, fa paura. L’Unione Europea non è estranea a questa deriva, anzi ne è una delle principali forze trainanti. Analizziamo lo stato attuale dello scacchiere in cui le potenze imperialiste si contendono tutto.

Raggiungere l’Asia viaggiando verso ovest

I negoziati tra le amministrazioni Trump e Putin sull’Ucraina non riguardano (solo) l’accesso alle terre rare e il controllo delle sfere d’influenza. Al di là dell’estetica e della stridente necessità di aumentare il proprio profilo rispetto alla performance dell’amministrazione Biden, il cambio di rotta formale nei confronti della Russia è altrettanto fedelmente in linea con le linee guida della politica estera statunitense di questo secolo: indebolire la Repubblica Popolare Cinese, il principale contendente al vertice del mondo imperialista.

Finora, l’interesse degli Stati Uniti per l’espansione della NATO nell’Europa orientale aveva a che fare con l’intenzione di indebolire la Russia, alleata del governo cinese e una delle principali economie emergenti raggruppate nel progetto BRICS. La tattica della distensione, oltre a essere possibile dopo tre anni di logoramento in Ucraina, ha molto a che fare con il ritorno della Russia alla normalità commerciale e con l’indebolimento delle relazioni commerciali tra due partner che hanno avuto bisogno e si sono cercati negli ultimi decenni. Se, nello stesso momento in cui gli Stati Uniti indeboliscono il loro principale rivale, riescono a guadagnare un alleato una tantum a Mosca, il guadagno dei gringo si raddoppia finché dura.

Trump può e deve essere accusato di molte cose sgradevoli e terribili. Tuttavia, va anche sottolineato che, al di là dello stridore, bisogna ammettere che in termini di difesa degli interessi dei monopoli americani sta mostrando una capacità politica che, dalla pubblicità ingannevole a cui siamo abituati, lo rende un uomo d’affari pragmatico, cosa che nella mentalità americana conquista molte simpatie. E se la tattica può sembrare una svolta di 180 gradi, non è tanto una scoperta dell’America, quanto il contrario: sta proteggendo un fianco su cui è stato duramente punito negli ultimi anni, mentre avanza verso il suo grande rivale.

Lo slogan degli Stati Armati d’Europa

I negoziati non sono andati bene a Bruxelles. La guerra in Ucraina è stata alimentata per più di un decennio dalle potenze dell’UE per accaparrarsi e proteggere le risorse del “granaio d’Europa” e per sfruttare nelle migliori condizioni possibili – per i monopoli europei – uno dei Paesi con la maggiore forza lavoro e un’infrastruttura industriale invecchiata ma invidiabile, per gentile concessione dell’Unione Sovietica.

La strategia di riavvicinamento al “grande nemico” ha colpito il vecchio continente e all’interno del partner più piccolo del blocco euro-atlantico si levano già voci che chiedono una maggiore autonomia strategica dagli Stati Uniti, il che rafforza le richieste da tempo avanzate da alcuni membri di rafforzare le capacità di difesa (sic) dell’Europa e di promuovere strutture militari proprie dove il “grande fratello” non abbia il controllo che può permettersi attualmente all’interno dell’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico.

L’annuncio di Ursula von der Leyen di un piano di riarmo da 800 miliardi di euro per rinvigorire l’industria degli armamenti – come se le quattro maggiori potenze dell’UE non fossero tra i primi nove esportatori di armi al mondo – è a sua volta accompagnato da misure di flessibilità fiscale condizionate all’aumento delle spese militari. Per dirla senza mezzi termini: la questione dell’austerità è già in secondo piano, perché la priorità è pagare Indra, Navantia e Airbus[1] per le armi di cui insistono che abbiamo bisogno.

Gli “autonomisti” ci lasciano stupefatti

Non potevano mancare nel dibattito coloro che da tempo sostengono in astratto la dissoluzione della NATO e la riformulazione dell’UE come “Europa dei popoli”, senza che si sappia come, quando e dove. Sono gli stessi settori che da anni collaborano in Europa, in un modo o nell’altro, con la gestione del capitalismo e che, in Spagna, hanno inserito nelle loro liste elettorali il “macellaio della Libia”[2], responsabile anche delle missioni in Somalia e Afghanistan.

Negli ultimi tempi, in cui molti di loro sono passati dall’essere personaggi pubblici di alto livello a proprietari di bische o semplici portavoce di un settore molto specifico del capitalismo spagnolo, hanno fatto eco a diversi articoli in cui diversi “esperti” europei analizzano la necessità di uscire dalla NATO e di rafforzare l’autonomia strategica dell’Europa. Coloro che sono rimasti nella sfera politica – soprattutto nella barca di Podemos – sembrano dimenticare che non molto tempo fa hanno collaborato all’organizzazione dei vertici della NATO e oggi ci dicono quanto sia cattivo l’imperialismo statunitense che guida questa alleanza criminale. Indipendentemente dai mezzi di espressione che ognuno di questi “autonomisti” ha a disposizione, il messaggio è lo stesso: “l’Europa” è vittima dell’imperialismo statunitense, ma può e deve “aspirare a una qualche autonomia strategica e politica nell’emergente Nuovo Ordine Mondiale” (sic!).

E i comunisti?

Fortunatamente, noi comunisti seguiamo da vicino gli sviluppi internazionali e rimaniamo lontani dalle analisi grossolane di cui si è parlato sopra, che sono puramente classiste, ma non proprio della nostra classe. Purtroppo, è necessario sottolineare e mettere per iscritto questa affermazione categorica che, in altre circostanze, dovrebbe essere sempre superflua.

Quando segnaliamo che sta per arrivare una guerra generalizzata, non è perché ci appassiona spaventare gli anziani, ma perché ci sono tutti i segnali. Nessuno investe in armi e rivaluta le proprie alleanze se non si sta preparando ad agire. E tutti si preparano ad agire perché la capacità di raggiungere accordi con mezzi pacifici – che non è innocua per la classe operaia – si scontra frontalmente con la necessità di mantenere un tasso di profitto che è destinato a scendere. Le posizioni rilevanti nel dibattito pubblico internazionale passano molto tempo a brandire, senza alcun criterio scientifico, falsità basate sul concetto di “geopolitica” o a stabilire quale sia la cifra accettabile nei bilanci per la guerra, ma non si fermano mai a spiegare perché, a livello generale, le potenze stanno cambiando le loro politiche di alleanza e, a livello particolare, nei villaggi della Spagna vuota, cominciano a diffondersi voci, come parchi eolici in mezzo alle montagne, che difendono la collocazione di una fabbrica di armi per “generare occupazione” e “sistemare la popolazione”.

Forse altri che si definiscono comunisti – per esempio gli amici di coloro che sostengono la partecipazione attiva alla Terza Guerra Mondiale a fianco di Cina, Russia e Corea del Nord perché sono la parte con una presunta “superiorità politica e morale” – vogliono vendere il contrario. Noi, ovviamente, possiamo avere una sola risposta: se in una guerra la classe operaia può scegliere solo tra catene più pesanti o tombe più profonde, noi scegliamo di rovesciare il tavolo. Forse questa affermazione è l’unica cosa che non è soggetta a cambiamenti oggi, e conoscerla ci dà una base solida da cui partire per costruire un’alternativa.

 

Note

[1]: https://it.wikipedia.org/wiki/Indra_(azienda)
https://it.wikipedia.org/wiki/Navantia
https://it.wikipedia.org/wiki/Airbus
nota del traduttore.

[2]: Ci si riferisce a Julio Rodríguez, ex Capo di Stato Maggiore della Difesa spagnolo, che ha diretto missioni della NATO in Libia, Somalia e Afghanistan e che fu candidato con Podemos (!) nelle elezioni spagnole del 2015 e 2016. Si veda anche https://es.wikipedia.org/wiki/Jos%C3%A9_Julio_Rodr%C3%ADguez – nota del traduttore.

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