La piaga del caporalato si elimina con i diritti
Il caporalato, piaga dei nostri giorni, colpisce non solo sfruttando i lavoratori ma uccidendo ferocemente chi a esso si oppone; è così che è morto Adnan Siddique, 32 anni, immigrato da 5 anni dal Pakistan in Sicilia, nella città di Caltanissetta in cui svolgeva il lavoro di manutentore di macchine tessili, la cui colpa è stata quella di aver aiutato un connazionale a denunciare i propri sfruttatori.
Testimonianze di amici riportano, infatti, che già da tempo aveva ricevuto minacce ed era stato aggredito almeno una volta, cosa che purtroppo si è ripetuta la sera del 3 giugno ma, questa volta, 4 suoi connazionali lo hanno circondato e ripetutamente colpito fino ad ucciderlo con una lama da 30cm.
Adnan, prendendo a cuore gli interessi dei suoi connazionali sfruttati dalle imprese agricole, si era messo contro ad una spietata organizzazione di caporalato la quale, oltre che reclutare lavoratori e portarli a lavorare nei campi in condizioni di semi schiavitù, li privava anche del 50% dei loro guadagni, guadagni ottenuti dopo turni nei campi di 11 ore al giorno.
Le reazioni a questo efferato omicidio sono state dure ed è stata indetta dalla Comunità Pakistana e Afgana di Caltanissetta, con i mediatori culturali Gul Noor Senzai e Adnan Hanif, dalla Casa delle culture e del volontariato, dalle associazioni Iside, MigrantiSolidali, un presidio di protesta in piazza Umberto I a Caltanissetta per venerdì 13 giugno per chiedere che sia fatta giustizia.
La rete del caporalato tra le province di Caltanissetta e Siracusa è molto estesa poiché i lavoratori immigrati rappresentano il 10% del totale dei lavoratori agricoli arrivando a punte del 20% nella zona di Caltanissetta.
Opporsi, dunque, a questo sistema, instillare nei lavorati sfruttati la possibilità di ottenere la giusta retribuzione, i propri diritti sul posto di lavoro, avrebbe potuto compromettere addirittura i rapporti di forza tra lavoratori e padroni e naturalmente questi ultimi non potevano di certo permetterlo.
La piaga dello sfruttamento dei braccianti è dunque un fenomeno ampio e pericoloso che al sud, ma non solo, troppo spesso non dà alternative ai migranti se non quella di sottomettersi ai “caporali” nonostante la recente introduzione da parte del Ministro Bellanova di nuove regolamentazioni per le regolarizzazioni dei migranti. È stato infatti messo in attuazione l’articolo 103 del d.l. n.34/2020, che ha previsto la possibilità:
- per il datore di lavoro italiano o straniero di sottoscrivere un nuovo rapporto di lavoro subordinato o di dichiararne uno irregolarmente instaurato con cittadini italiani o stranieri presenti sul territorio nazionale prima dell’8 marzo 2020;
- per gli stranieri con permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019 di chiedere un permesso di soggiorno della durata di sei mesi.
Ad uno sguardo superficiale potrebbe sembrare, questa, una soluzione vantaggiosa per i lavoratori ma è evidente che mette nelle mani degli imprenditori l’ennesimo strumento di ricatto e di controllo dei braccianti. L’azienda agricola potrà disporre come vorrà della vita lavorativa dei dipendenti, scegliere se rinnovare o meno il contratto, sostituirli con lavoratori più assoggettabili; senza contare che il termine del 31 ottobre 2019 lascia fuori dalla regolarizzazione un cospicuo numero di immigrati extracomunitari.
Queste norme, come immaginavamo, non hanno prodotto alcun incremento cospicuo delle regolarizzazioni, nei primi 10 giorni da quando le procedure sono state iniziate, nonostante ci troviamo in un periodo molto importante per la raccolta della frutta, sono pervenute solamente 9500 domande.
A ennesima dimostrazione di quanto gli interessi della Grande Distribuzione e degli imprenditori agricoli siano preminenti rispetto ai diritti dei lavoratori, vi è l’operazione portata a termine dalla Guardia di Finanza alle prime luci dell’alba di oggi tra le province di Cosenza e Matera dove sono state sequestrate 14 aziende agricole ed emessi mandati di custodia cautelare e domiciliare a carico di ben 60 persone accusate di “caporalato” e sfruttamento dell’immigrazione clandestina.
La questione della regolarizzazione dei migranti e dei braccianti agricoli dovrebbe essere posta in maniera più ampia e con fermezza: se lavori in Italia devi avere gli stessi diritti di un lavoratore italiano.
Per gli immigrati essere irregolari è come non esistere: nessuno si curerà di loro quando moriranno dopo 12 ore sotto il sole, nessuno di loro potrà aspirare ad avere un contratto, nessuno riceverà il giusto salario commisurato ad un orario di lavoro dignitoso mentre tutti saranno vittime dei ricatti degli imprenditori e dei caporali che potranno così aumentare i profitti a discapito dei lavoratori, non solo stranieri.