A sessant’anni dalla strage di Reggio Emilia

Quest’anno ricorre il sessantesimo anniversario della strage compiuta a Reggio Emilia il 7 luglio 1960 dalla polizia del governo Tambroni, che lasciò senza vita sul selciato Ovidio Franchi, Afro Tondelli, Lauro Farioli, Emilio Reverberi, Marino Serri. Tutti comunisti, addirittura tre di loro ex combattenti partigiani.
Viene da chiedersi come mai a distanza di tanto tempo è ancora vivo il ricordo di quella giornata, come mai i martiri di Reggio Emilia sono rimasti così impressi nell’immaginario popolare.
Sicuramente molto ha fatto la famosa canzone di Fausto Amodei “Per i morti di Reggio Emilia” che forte di un testo semplice, duro, diretto ed evocativo è stata cantata e suonata in mille piazze, manifestazioni, assemblee etc. La stessa che noi comunisti cantiamo con una forte carica emotiva e ideologica nella stessa piazza (intitolata successivamente ai martiri) tutti gli anni, anche quest’anno. Intere generazioni sono cresciute imparando quelle parole e quella melodia, forse senza sapere nemmeno dove si trovasse esattamente Reggio Emilia.

Scontri di Genova del 30 giugno 1960
La città diventò così un simbolo per identificare quel periodo e quelle tensioni: nei mesi precedenti, infatti, violenti scontri avevano segnato le piazze di molte città d’Italia, da Nord a Sud. Scioperi e manifestazioni avevano dimostrato un sentito e partecipe dissenso nei confronti del nuovo assetto politico targato Democrazia Cristiana e Movimento Sociale Italiano. Dopo gli scontri violentissimi di Genova, città medaglia d’oro al valor militare come Reggio Emilia, in cui i fascisti provocatoriamente volevano tenere il loro congresso, a Licata (AG), pochi giorni dopo, durante una manifestazione di operai e contadini la celere uccide un ragazzo, Vincenzo Napoli, e ne ferisce altri quattro.
Si arrivò a Reggio Emilia al culmine di una stagione repressiva senza uguali nella storia della giovane Repubblica Italiana, che non sembrava fermarsi: il giorno successivo alla strage, l’8 luglio, a Catania venne assassinato il giovane operaio edile Salvatore Novembre e a Palermo uccisi Giuseppe Malleo di 16 anni, Francesco Vella operaio comunista, Andrea Gangitano di 14 anni e Rosa La Barbera.
Quando per il 7 luglio la CGIL proclamò lo sciopero generale la città si paralizzò, le fabbriche si fermarono, braccianti, artigiani, lavoratori di ogni categoria affollarono la piazza principale della città: più di 20.000 lavoratori si concentrarono per il comizio.
Questo blocco sociale non fu frutto dell’eccezionalità del momento, ma si formò negli anni precedenti, a partire dagli anni durissimi della dittatura fascista e dell’occupazione nazista: quando già dall’ottobre del 1943 le prime azioni dei GAP mettevano in allarme le camicie nere la popolazione reggiana aveva scelto da che parte stare, coprendo e aiutando le forze partigiane e tacendo di fronte agli appelli del fascio locale. Dopo la deportazione in Germania dei soldati italiani, le retate sempre più frequenti di antifascisti in luoghi pubblici e le rappresaglie atroci dei fascisti e dei nazisti anche gli ultimi dubbi vennero fugati.
Al termine della guerra quasi tutta la provincia sarà segnata da lutti e stragi che dopo il 25 di aprile verranno ricordate e celebrate con manifestazioni solenni, monumenti o semplici cippi lungo le strade e le carraie ghiaiose, dall’appennino fino alle rive del Po. Ognuna di esse racconta una storia di uomini e di donne, di Resistenza e di coraggio. Saranno più di 600 in tutto il territorio.

La famiglia Cervi
Soltanto per ricordare le più efferate ricordiamo la strage di Cervarolo e Monchio, l’assassinio dei sette fratelli Cervi e Quarto Camurri al poligono di tiro di Reggio Emilia o la strage de La bettola, su cui scrisse una bellissima e struggente canzone anche il gruppo musicale dei Modena City Ramblers, L’unica superstite.
Ancora, una canzone a fermare il tempo su tragedie vissute in questa terra: un filo rosso fatto di note e parole che lega fatti e avvenimenti tragici, distanti soltanto 16 anni gli uni dagli altri. Un tempo relativamente breve in cui le speranze e la passione di un popolo liberato si infransero sempre più con la realtà della nuova Repubblica democratica, in cui faranno carriera i funzionari del vecchio regime fascista e da cui vennero incarcerati, perseguitati, espulsi dalle pubbliche amministrazioni coloro che avevano contribuito fattivamente alla Liberazione del nostro Paese.
E i lavoratori, che avevano vissuto tutto ciò sulla loro pelle e ben ricordavano le nefandezze del nazifascismo, risposero e scesero in piazza col PCI e il sindacato a decine di migliaia. Verranno attaccati dalla celere che inizierà a sparare ad altezza uomo contro la folla.
In cinque quella sera non faranno ritorno dalle loro famiglie.
A distanza di sessanta anni, ancora oggi, lottiamo anche per Ovidio, Afro, Lauro, Emilio, Marino e tutti i nostri martiri, sangue del nostro sangue e nervi dei nostri nervi, per tutti quelli che hanno dato la vita lottando per un futuro diverso. Un futuro di pace e di lavoro, libero dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Cantatelo oggi, ovunque voi siate, e lottate sempre:
Morti di Reggio Emilia uscite dalla fossa
fuori a cantar con noi Bandiera Rossa!
di Emiliano Cervi