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Home›Terza pagina›Storia di classe›Linea Gotica: l’attendismo degli Alleati per sedare la Resistenza

Linea Gotica: l’attendismo degli Alleati per sedare la Resistenza

Di Redazione
04/12/2020
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Nel mattino del 4 dicembre 1944 la 28a Brigata Garibaldi “Mario Gordini” inizia l’attacco conclusivo contro le difese tedesche a Ravenna di concerto con alcuni reparti delle forze alleate, i cui comandi avevano accettato la proposta di offensiva formulata dal comandante della Brigata Arrigo Boldrini, nome di battaglia Bulow. Alle 12.30 il resto delle forze partigiane assieme alla 5a divisione del primo Corpo Canadese entrano a Ravenna. Nonostante l’importanza del successo di questa iniziativa militare i combattimenti in Romagna, così come lungo tutta la “Linea Gotica”, sono ben lungi dal concludersi rapidamente. L’arresto delle forze alleate in Romagna lungo la linea del fiume Senio e in generale l’attuazione solo di azioni limitate lungo tutta la Linea Gotica fino all’aprile del 1945 sono il segno della strategia “attendista” degli Alleati. In occasione della ricorrenza della Liberazione di una importante città proprio a ridosso di questa linea difensiva è utile sviluppare alcune considerazioni sulle scelte strategiche di quei mesi.

In una fase storica in cui assistiamo al tentativo di ridicolizzare l’impatto della Resistenza nella sconfitta del fascismo o peggio alla sua criminalizzazione, occorre difendersi da ogni narrazione mutilata rispetto al complesso quadro del panorama bellico e negare ogni tentativo di decontestualizzazione. Nella fattispecie lo “sfondamento” della Linea Gotica viene osannato, dalle istituzioni e da buona parte delle personalità politiche del centro sinistra, come il capitolo finale della sconfitta della RSI e della fuga dei reparti militari tedeschi dal nord Italia. Le testimonianze dei pochi ancora in vita, la documentazione ufficiale e la storia senza il filtro di chi vuol seppellire il ricordo di chi lottò sulle montagne e nelle città racconta del sacrificio di migliaia di giovani combattenti a cui venne negato ogni supporto a causa di una strategia che prevedeva la loro dipartita ad opera delle pallottole tedesche.

Infatti, se dovessimo selezionare un evento che, più di ogni altro, mette in luce le logiche politico-militari degli angloamericani durante gli anni della Resistenza, quest’ultimo sarebbe senza dubbio l’arresto sulla Linea Gotica. Quando si parla della Linea Gotica si intende un enorme complesso difensivo che tagliava il centro Italia da mare a mare, passando per L’Emilia-Romagna e la Toscana, e che dall’agosto del 1944 all’aprile del 1945 sembrò separare gli alleati in marcia dalla prospettiva di liberazione delle regioni del nord. Questo è quanto spesso si considera nel complesso della narrazione storica, molti dettagli spesso omessi risultano però determinanti nel giudizio di quell’operazione di fermo.

Va considerato che i tedeschi in realtà dovettero sfruttare in prevalenza la conformazione del territorio e diverse barriere naturali, poiché i mezzi e le risorse per la maggiore potenza bellica europea diminuivano costantemente, situazione dovuta ad una guerra oramai attiva da troppo tempo e che, nonostante la testardaggine del Fuhrer, faceva percepire il peso di una probabile sconfitta su tanti generali. In sintesi, i generali a capo dello stanziamento difensivo, Kesselring, Vietinghoff, Lemelsen per il Reich e Rodolfo Graziani per la RSI non avrebbero potuto assicurare il mantenimento del dominio su quel gigantesco settore strategico di fronte ad un pressante tentativo di conquistarlo.

A causa della stretta sulla Germania dovuta, in gran parte, all’avanzamento ad est da parte dell’Unione Sovietica, che conquistava un chilometro dopo l’altro, e allo sbarco in Normandia l’apparato militare tedesco sulla Linea Gotica divenne, in molti punti, scardinabile da un esercito ben organizzato e armato. Data l’opportunità, seppur con il sopraggiungere dell’inverno, apparirebbe inspiegabile l’attesa per una qualsiasi operazione fino all’ “Offensiva di Primavera” del 21 aprile del 1945 (a pochi giorni dalla liberazione avvenuta il 25) quando la Quinta Armata Statunitense e l’Ottava Armata Britannica passarono allo sfondamento, se non si considerasse la preoccupazione degli angloamericani per il rafforzamento della Resistenza e il conseguente appoggio popolare.

Per gli Alleati, un’entrata trionfale in un’Italia ancora occupata e con le brigate partigiane messe alle corde dai nazifascisti, sarebbe stata l’occasione ideale per debellare gli ultimi soldati fedeli alla causa persa di Mussolini e con essi una storia che macchiava il governo americano ed inglese e le parecchie aziende dei rispettivi paesi come sostenitori e “soci” delle politiche del Duce fino a pochi anni prima del conflitto, oltre che permettere l’instaurazione di un clima più fertile per influenzare il futuro politico dell’Italia postguerra.

Il loro arresto di fronte al nemico e la notizia della sospensione delle iniziative belliche generò un enorme malcontento tra i civili e tra le file della Resistenza che dovettero far fronte, in una prima fase, a tante defezioni dovute a compagni d’armi impauriti da una prospettiva di guerra di logoramento, ancorati nelle basi cittadine e nelle fredde montagne in una stagione che venne ricordata come “l’inverno dello scontento”.

A questa tragedia si aggiunse il proclama radiofonico del generale Harold Alexander (13 novembre 1944) con cui invitava i partigiani a smobilitare, dichiarazione che causò lo scioglimento di diverse brigate e il frazionamento di altre, il messaggio era chiaro: “Non possiamo aiutarvi, cavatevela da soli”. Un messaggio che, se anche avesse trovato riscontro in una situazione di effettiva impossibilità di sfondamento, non sarebbe dovuto trapelare, soprattutto in quella forma, pena la rinuncia a qualsiasi tentativo di riscossa popolare.

Nonostante tutto, questo scenario non si realizzò e la Resistenza determinò, dopo centinaia di battaglie e sacrifici, la sconfitta delle armate nazifasciste in Italia e, in attesa della riunificazione, non furono poche le repubbliche partigiane che amministrarono i territori in quelle frenetiche settimane.

In quegli otto mesi di ambiguità militare le brigate partigiane furono l’attore unico a dover fronteggiare gli invasori città per città, strada per strada, in uno scenario dove la vittoria della Resistenza non era per nulla scontata e che poté sopravvivere e sbaragliare gli avversari con il contributo dell’avanguardia comunista, rappresentativa del settore preponderante e meglio organizzato.

Riccardo Polimeni

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