Il 7 ottobre 2023 non è “iniziato tutto”: la narrazione dei media borghesi1 che lo definisce come un“fulmine a ciel sereno”, il “male assoluto”, “un pezzo di Shoah in Terra santa” cerca di imporre retrospettivamente una lettura degli eventi astratta dal contesto storico e con l’obiettivo, quindi, di rovesciare il rapporto tra oppressori e oppressi, tra il colonialismo di insediamento di Israele e la giusta e legittima lotta di liberazione della resistenza palestinese.
Quello che è successo il 7 ottobre, e che sta succedendo da un anno grazie alle azioni della resistenza palestinese, è il ritorno dirompente sulla scena mediatica, e quindi nelle coscienze dei popoli, dell’irrisolta questione nazionale e coloniale palestinese, la sua ultra-decennale storia di resistenza all’occupazione, rompendo lo schema che vedeva oramai sempre più normalizzati i rapporti tra i paesi arabi e Israele, come abbiamo raccontato nel precedente articolo sul tema2. L’unità delle fazioni della resistenza palestinese, abbattendo la recinzione che trasforma Gaza in una prigione a cielo aperto, ha smentito l’invincibilità e la perfetta organizzazione della macchina bellica sionista, e ha scatenato un’ondata di solidarietà senza precedenti nella maggioranza dei paesi del mondo, con un movimento di protesta – specialmente a partire dalle università – che è vivo tutt’oggi. Questo articolo vuole fare un breve punto della situazione, ad un anno dall’inizio della recrudescenza del conflitto, presentando alcuni aspetti rilevanti per la lotta in sostegno della Palestina ma rinviando per gli approfondimenti a riferimenti specifici pubblicati in precedenza.
Sulla retorica del “7 ottobre”
Come già anticipato la macchina della propaganda borghese, interessata ai buoni rapporti e agli affari col sionismo dei propri padroni, anziché all’integrità giornalistica, in questo anno si è mossa per costituire una vera e propria “scorta mediatica”3 attorno al genocidio in corso in Palestina. Dalle prime ore del 7 ottobre notizie scioccanti quanto non verificate si sono diffuse, che parlavano di incredibili atrocità commesse da Hamas durante l’attacco alle caserme dell’IDF, ai kibbutz e al Nova Festival (il distopico rave party in quei giorni in programma, a ridosso delle mura del più grande campo di concentramento a cielo aperto del mondo). Quello che si è scoperto in questo anno è che queste “fake news” diffuse dal governo israeliano avevano il compito, come già detto, rovesciare il rapporto tra oppressi e oppressori, tra la violenza dell’occupazione e la legittima risposta ad essa. Secondo il giornale The Intercept, “Al centro della campagna di guerra informativa di Israele c’è una missione tattica per disumanizzare i palestinesi e inondare il discorso pubblico con un flusso di accuse false, non documentate e non verificabili”4. In particolare, è stato rilevato come il ruolo chiave nella diffusione delle false accuse di violenza sessuale e mutilazione da parte dei combattenti palestinesi sia stato dell’organizzazione (non) governativa israeliana ZAKA, per una disumana volontà di auto-promozione. I segni di armi pesanti, proiettili di elicottero e altre prove subito occultate dall’esercito israeliano nei luoghi dell’attacco del 7 ottobre mostrano inoltre come le autorità sioniste abbiano applicato la “direttiva Annibale”5 facendo carne da macello dei propri civili e probabilmente rendendosi responsabili almeno di una parte delle vittime civili di quelle ore.6

Fotogramma da un filmato di un drone rilasciato dall’esercito israeliano mostra ciò che rimane delle auto in fuga dal rave Supernova del 7 ottobre, probabilmente distrutte da droni ed elicotteri israeliani. Fonte RT/IDF
Le notizie false sulle atrocità, come l’uccisione di massa di bambini e le accuse di stupro diffuso e sistematico, sono state ripetutamente utilizzate dai politici in Israele e nei paesi più interessati al sostegno di quest’ultimo per giustificare la ferocia dei bombardamenti sulla Striscia di Gaza, come provato da diverse inchieste indipendenti.7
Un anno di genocidio
Ad ottobre 2024 i dati ufficiali parlano di più di 41.500 palestinesi uccisi (di cui si stima 16.500 bambini) e 96.000 feriti a Gaza. In Cisgiordania, dove negli insediamenti illegali vivono 700 mila coloni israeliani, la violenza coloniale ha portato ad oltre 700 morti, di cui 160 bambini.
A Gaza sono state sganciate più di 75 mila tonnellate di bombe, più della somma dei bombardamenti su Dresda, Amburgo e Londra durante la Seconda Guerra Mondiale: sono andati distrutti l’80% degli esercizi commerciali, l’85% delle scuole, il 65% delle strade e dei terreni coltivati. Il collasso socio-sanitario ha fatto riapparire malattie ormai dimenticate, come la poliomielite, che ha un tasso di mortalità fino al 10% in condizioni sanitarie “normali” (non quelle di Gaza, quindi: il portavoce dell’UNRWA ha affermato che “in un contesto del genere è praticamente impossibile non ammalarsi”8) e colpisce principalmente i bambini. Con le operazioni umanitarie ONU temporaneamente sospese, è estremamente difficile la somministrazione dei vaccini, a causa dei continui bombardamenti e dell’accanimento genocida della macchina da guerra israeliana.

Bambini frugano tra i rifiuti in una discarica nel campo profughi di Nuseirat, nella Striscia di Gaza. Fonte: Abdel Kareem Hana/AP
L’autorevole rivista scientifica Lancet nel frattempo ha pubblicato due importanti ricerche scientifiche sulle vittime della pulizia etnica in corso.
Più volte la macchina della propaganda ha accusato le autorità palestinesi a Gaza di “gonfiare” la conta delle vittime, con l’infamante postilla “secondo il Ministero della Sanità di Gaza controllato da Hamas” aggiunta ad ogni atroce aggiornamento delle vittime. La prima ricerca9 riguarda proprio l’affidabilità o meno delle stime riportate dal Ministero della Sanità: il suo titolo è “non ci sono prove di dichiarazioni di mortalità gonfiate da parte del Ministero della Salute di Gaza”, che è più che sufficiente nell’intento di sintetizzarne il contenuto. La seconda ricerca10 invece tiene conto del fatto che il calcolo delle vittime a Gaza è ampiamente per difetto poiché ha a che fare solo con i corpi recuperati e riconosciuti: basandosi sui dati di altri conflitti, la rivista ha stimato la possibilità che le vittime totali arrivino alla cifra di 186 mila, numeri che seppelliscono anche i più disperati tentativi di minimizzare la portata del genocidio in corso. Il continuo bombardamento di scuole, ospedali, orfanotrofi, campi profughi, lo speciale accanimento contro i civili palestinesi inermi anche e in particolar modo a seguito di ordini di evacuazione e identificazione di “zone sicure” da parte dell’esercito di occupazione, ha contribuito ad un sovraccarico assuefacente di violenza. Inoltre, per il “primo genocidio della storia trasmesso in diretta”11 mentre i media borghesi continuano a parlare di “attacchi mirati”12 o “chirurgici” da parte dell’IDF, i social network sono pieni di contributi pubblicati direttamente e privatamente da soldati israeliani che documentano crimini di guerra come assassinii immotivati, la demolizione di interi quartieri residenziali e riferimenti aperti a violenze sessuali (come le foto che li ritraggono “collezionando” indumenti intimi). Molte di queste testimonianze di arroganza nella propria impunità sono state raccolte e documentate da Al Jazeera.13
Un conflitto regionale
Le tensioni regionali sono ulteriormente aumentate nel corso dell’anno, con l’invasione del Libano da parte di Israele, e il successivo attacco missilistico dell’Iran. A differenza delle precedenti rappresaglie iraniane, annunciate e mai effettuate (ad esempio quella legata all’uccisione di Ismail Haniyeh, saltata per le promesse statunitensi, rivelatesi false, di un cessate il fuoco a Gaza14) oppure “simboliche” come quella del 13-14 aprile (con un preavviso che ha permesso l’intercettazione della stragrande maggioranza dei lanci), l’attacco del 1° ottobre 2024 ha avuto tutt’altro esito, con danni reali seppur lievi alle forze aeree israeliane e al Mossad.
Oltre agli attacchi aerei in Siria, concentrati su obiettivi per lo più militari iraniani, l’invasione del Libano conta già 2083 libanesi morti e più di 9869 feriti15, con un copione che si ripete da Gaza inclusi i bombardamenti alle strutture sanitarie. Anche il singolare attacco con l’uso di cercapersone manomessi e trasformati in bombe testimonia lo sprezzo della vita umana da parte delle forze sioniste, col ferimento di quasi 3000 persone.16 Ad oggi le forze dell’IDF mirano a creare delle zone “cuscinetto” lungo il confine, ma stanno subendo perdite ingenti dal confronto con Hezbollah che è una forza molto meglio equipaggiata e organizzata rispetto alle fazioni della resistenza operanti a Gaza o in Cisgiordania.

Le macerie degli edifici rasi al suolo il 27 settembre 2024, durante l’attacco israeliano mirato ad eliminare il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah a Beirut, in Libano. Fonte: AFP via Getty Images
L’esercito invasore sfida apertamente anche la missione UNIFIL17, composta da 1200 militari italiani, e nemmeno questa presenza e il rischio che possano rimanere vittima dell’escalation bellica sembra sia in grado di spostare il governo italiano dalla sua posizione “per la de-escalation” puramente verbale, ma di fatti di sostegno acritico dell’aggressione israeliana18. Poche ore prima della pubblicazione di questo articolo i primi incidenti19, con i militari israeliani che aprono il fuoco contro i militari dell’UNIFIL, hanno confermato le preoccupazioni di cui sopra e l’approccio di impunità totale da parte di Israele.
La pace molto precaria in Yemen del 2022, tra Ansarallah (detti “Huthi”) e il governo sostenuto da Arabia Saudita, Israele e Stati Uniti ha subito una battuta d’arresto a seguito del coinvolgimento delle milizie nell’“asse della resistenza” a sostegno della lotta di liberazione palestinese20. Sotto la pressione dell’opinione pubblica yemenita, Ansarallah ha lanciato diversi attacchi missilistici soprattutto ai danni del traffico commerciale nel Mar Rosso (che rappresenta ben il 12% di tutto il traffico globale21), paralizzandolo di fatto e costringendo le compagnie commerciali (eccetto le navi cinesi) alla più lunga rotta di circumnavigazione dell’Africa. La minaccia al commercio ha rinvigorito le ostilità verso lo Yemen, con una nuova ondata di bombardamenti statunitensi e israeliani22.
La situazione dell’area è esplosiva e potrebbe raggiungere livelli molto maggiori in caso di scontro diretto tra Israele e l’Iran, e ha a che fare con gli interessi economici e commerciali contrapposti delle potenze capitaliste che vanno a confrontarsi, che hanno poco a che vedere con nozioni come l’“autodifesa di Israele”, “la lotta ad Hamas” o al “terrorismo”, rendendo di fatto i proletari del Medio Oriente, incluso quelli israeliani, vittime di questa guerra imperialista.
La crisi israeliana
Il genocidio in corso a Gaza ha rappresentato tra le altre cose un record per mobilitazione delle forze armate israeliane23, con i relativi costi (stimati sui 60 miliardi di dollari) che vanno a pesare su un’economia in difficoltà: il crollo degli investimenti esteri nel settore high-tech24, il taglio del rating creditizio, un -20% anno su anno di PIL e l’impressionante fuga del capitale umano con almeno 60 mila aziende costrette a chiudere e un aumento del +285% dell’emigrazione permanente25. Le contraddizioni del progetto coloniale sionista stanno venendo sempre più a galla coinvolgendo il cuore del progetto stesso: i coloni. La politica sionista di occupazione ha come vittima anche gli ebrei, con Israele che è diventato per loro il luogo più pericoloso al mondo26, trasformandoli in carne da cannone per alimentare lo stato di guerra permanente. In particolare una repressione di natura apertamente fascista si concentra nei confronti delle poche autentiche voci di dissenso, come quella del Partito Comunista di Israele, con denunce, arresti, violazioni dei diritti anche nei confronti dei parlamentari e chiusure di sedi27.
Israele sta anche affrontando la pressione internazionale dell’inchiesta alla Corte Internazionale di Giustizia dal 29 dicembre, quando il Sudafrica ha presentato una denuncia ai sensi della Convenzione ONU sul genocidio del 1948. Contestualmente alla denuncia c’è stata la richiesta di porre fine alle operazioni militari a Gaza. Il team legale sudafricano ha utilizzato come prove anche le dichiarazioni dei leader israeliani, come ad esempio “Ricordate quello che Amalek vi ha fatto” (Primo Ministro Netanyahu, riferimento biblico alla “nazione nemica” di Israele), “La responsabilità è di un’intera nazione. Non è vera questa retorica sui civili inconsapevoli e non coinvolti. Non è assolutamente vero… e combatteremo finché non avremo spezzato loro la spina dorsale” (Presidente Herzog), “Stiamo combattendo contro animali umani e ci comportiamo di conseguenza” (Ministro della Difesa Gallant).

La Corte internazionale di giustizia dell’Aia durante il primo giorno di udienze. Fonte: Piroschka Van De Wouw/Reuters
Durante le udienze pubbliche a gennaio, la Corte ha concluso che l’ipotesi di genocidio da parte di Israele è plausibile, ordinando di prendere misure per evitarlo ma non ha chiesto di sospendere l’intera campagna militare28. Una nuova richiesta di fermare il massacro è arrivata il 24 maggio, che Israele ha ignorato.
L’inchiesta sudafricana ha visto l’opposizione dei tradizionali alleati di Israele come Francia, Germania, Italia, USA e Regno Unito, mentre il favore (oltre quello di Cuba) di numerose potenze regionali o globali in ascesa, come il Brasile, il Messico, la Russia, la Turchia e la Cina, inquadrando quindi anche questo aspetto del conflitto in Medio Oriente all’interno di un più articolato scontro economico-politico internazionale. Sugli interessi delle potenze in ascesa nella regione opposti a quelli israeliani e dei suoi alleati, la spartizione dei mercati, le vie commerciali e il collegamento col più ampio scontro inter-imperialista in atto abbiamo già pubblicato un approfondimento a cui rimandiamo29.
Il ruolo di complicità del governo italiano
I rapporti economici tra la borghesia italiana e quella israeliana, e quindi i relativi monopoli e Stati, sono già stati analizzati in una nostra recente pubblicazione30. Per l’approfondimento dei legami economici, scientifici e tecnologici rimandiamo all’articolo citato: ci soffermiamo qui sugli armamenti.
Prima di tutto è da chiarire che Israele non è solo armato “dall’estero”, non è un’enclave militare incastonata nel Medio Oriente e basta. Israele ha un poderoso settore dell’industria bellica, che è stato capace di generare esportazioni per 13 miliardi di $ nel 202331 principalmente verso i paesi dell’Asia (per la Cina, Israele è il secondo fornitore di armi dopo la Russia32): la competitività dei sistemi d’arma israeliani è dovuta al settore high-tech locale molto sviluppato (grazie a storici investimenti di aziende statunitensi come Intel, ma anche cinesi come Huawei), alle “mani libere” dovute alla mancata firma del Trattato ONU sul Commercio delle Armi ma soprattutto il fatto che le armi vengono testate sul campo, sulla pelle dei palestinesi, garantendo un vantaggio di affidabilità ed efficacia rispetto alla concorrenza.

Stand della Rafael, azienda di armi israeliana al Paris Air Show 2023, promuove alcuni sistemi dell’Iron Dome israeliano. Fonte: Defense Update
Ciononostante, Israele non sarebbe in grado di proiettare la propria forza militare nella regione senza le forniture di armi dall’estero: secondo l’Istituto Internazionale di Ricerca sulla Pace di Stoccolma (SIPRI), il 69% delle importazioni di armi da parte di Israele è fornita dagli USA, il 30% dalla Germania e del restante 1% la stragrande maggioranza è rappresentata dalle forniture italiane, che seppur di magnitudo trascurabile rispetto al resto, rendono il nostro governo il terzo fornitore e complice dei crimini di guerra israeliani. La complicità non è solo morale e politica, ma anche legale, visto che l’export di armi verso Israele viola gli obblighi della Convenzione sul Genocidio citata nel paragrafo precedente, in modo simile a ciò che viene contestato, sempre presso la CIG da parte del Nicaragua alla Germania33.
Di fronte all’export complessivo di armi italiano pari a 6.3 miliardi di € nel 2023, la parte verso Israele ammonta a 13.7 milioni di €, mentre l’import di armi da Israele è triplicato nel 2023 da 9 a 34 milioni di €34. Negli ultimi 10 anni, le aziende italiane hanno fornito armi a Israele per 120 milioni di €, ma nello stesso periodo più del doppio (250 milioni di €) è stato il valore delle armi che hanno avuto il percorso inverso.

Fonte: Pagella Politica
In particolare le aziende interessate sono Alenia Aermacchi a Varese (gruppo Leonardo) per i componenti degli aeroplani ma anche i velivoli completi (come gli addestratori M-346, convertito in bombardiere d’assalto dall’aviazione israeliana e tutt’ora in uso su Gaza35), mentre per la categoria “armi e munizioni” le aziende delle provincie di Brescia (Beretta), Lecco, Genova e Roma sono state quelle principalmente interessate36.
Dopo il 7 ottobre lo stato italiano aveva assicurato che avrebbe interrotto le forniture, ma successivamente il Ministero della Difesa ha ammesso che gli ordini effettuati prima del 7 ottobre sono stati consegnati lo stesso37, illegalmente secondo la legge 185/90 che proibisce l’export di armi verso paesi in guerra. Com’era prevedibile sia il governo sia “l’opposizione” parlamentare si stanno muovendo proprio per rimuovere questo tipo di ostacoli ai profitti dei monopoli “a mano armata” italiani: ad agosto è stato presentato un disegno di legge38 con l’obiettivo di superare gli obblighi di trasparenza sull’export delle armi, istituendo un Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (CISD) che è in grado di porre il veto (senza informare nessuno) ai divieti di esportazione di armi proposti dal ministero degli Esteri in applicazione delle leggi e delle decisioni parlamentari. Il DDL è stato presentato da Stefania Craxi per Forza Italia, ma è da segnalare anche il ruolo del PD con tre senatori Alessandro Alfieri, Graziano Delrio e Francesca La Marca che hanno proposto un emendamento che riduce ulteriormente la trasparenza della relazione annuale obbligatoria sull’export di armamenti. Viene anche soppresso l’obbligo di inserire nella relazione la lista delle banche che fanno affari sull’export di armi.
Il rapporto tra la lotta di liberazione palestinese e la lotta di classe nel nostro paese. Un punto di vista comunista.
La causa palestinese è la causa di tutti gli sfruttati del mondo, la comprensione di questo concetto è di estrema importanza strategica. Questo perché è interesse e obbligo, da parte della classe operaia di tutto il mondo, e di conseguenza dei comunisti, il sostenere questa lotta e il diritto del popolo palestinese a condurla, smascherando le collusioni delle borghesie dei paesi capitalisti con Israele: questo sostegno non è solo astratto, ma si declina concretamente nella lotta contro il sistema complessivo della fase imperialista del capitalismo, le cui manifestazioni specifiche, come il colonialismo di sterminio israeliano ma anche il massacro imperialista in Ucraina, sono la punta dell’iceberg più visibile. Brevemente, citiamo alcuni esempi concreti del collegamento fra la lotta di classe in generale e la lotta di liberazione nazionale da parte della resistenza palestinese, al fine di porre le lotte sociali su un livello più avanzato rispetto a quello del movimentismo “single issue”39 o della sua banale unità d’azione o “convergenza” per sommatoria con altre singolarità simili.
Un esempio è la lotta contro il razzismo e contro la sua strumentalizzazione, diffuso anche nella nostra classe, ma in riferimento particolare a quello di Stato, che si manifesta nei CPR e nei naufragi nel Mediterraneo. L’accusa falsa e strumentale di antisemitismo per chiunque critichi la politica di Israele è un’appropriazione da parte dell’apparato ideologico del capitale di questa giusta lotta, che non gli appartiene, e serve per silenziare e reprimere il supporto alla lotta del popolo palestinese: senza questa strumentalizzazione, il sionismo non avrebbe l’entità della complicità e sostegno internazionale che osserviamo oggi. Opporsi alla politica che punta a dividere la classe operaia col razzismo anti-islamico o anti-ebraico impone quindi di schierarsi apertamente a sostegno della lotta del popolo palestinese.
Un altro collegamento è rappresentato dalla questione della lotta della classe operaia nei paesi al vertice del sistema mondiale imperialista, come l’Italia: si traccia spesso all’interno delle fraseologie dei movimenti di lotta una linea di demarcazione tra “l’operaio bianco” e il resto del proletariato mondiale. In questo ambito di privilegio e divergenza degli interessi materiali oggettivi (secondo i sostenitori di questa teoria) l’unità del proletariato sarebbe impossibile. La lotta di liberazione della Palestina invece, al di là dei piani delle forze politiche che la egemonizzano, mostra che sì, degli avanzamenti sul piano politico-militare sono possibili per la resistenza, ma una vittoria completa è impossibile se il popolo israeliano continuerà ad appoggiare in larga parte il regime coloniale: è per questo che la classe operaia israeliana non è nemica della lotta di liberazione palestinese, ma deve diventarne alleata, “la prima condizione per la loro stessa emancipazione sociale”40. Ne ha dei legittimi interessi materiali, seppur largamente non percepiti immediatamente come tali: il superare la strumentalizzazione da parte della borghesia israeliana dello stato di guerra permanente per fomentare la divisione di classe, tra israeliani e palestinesi, all’interno tra israeliani arabi e non, tra ebrei “europei” e non… ed è questa conquista di consapevolezza il compito principale dei comunisti in Israele.
In modo del tutto similare si deve articolare la lotta contro la nostra borghesia, in un paese in cima alla piramide imperialista come l’Italia, che sebbene non abbia un progetto coloniale di larga scala, proietta la propria forza su scala quantomeno regionale41 e sfrutta, come detto prima, il razzismo sistemico per gli interessi di classe della propria borghesia, partendo banalmente dal mercato del lavoro “a due velocità” dove a fianco dei (sempre più sotto attacco) contratti collettivi nazionali ci sono immensi strati di lavoro sottopagato semischiavistico riservato ai lavoratori immigrati. In tal senso la lotta per il sostegno alla Palestina libera come un tassello della più generale lotta degli oppressi di tutto il mondo, deve essere posta all’ordine del giorno dei bisogni immediati del proletariato italiano, e similmente questo è il compito principale dei comunisti in Italia.

Roma, manifestazione a supporto della lotta di liberazione della Palestina. Fonte: Fronte Comunista
Questo anche perché, e veniamo al terzo aspetto esemplificativo del collegamento della nostra lotta con quella palestinese, gli stessi processi che hanno portato alla fascistizzazione del regime israeliano sono in atto, in quanto tipici della fase decadente (quella imperialista) del capitalismo, anche in Italia: è da inquadrare in questo senso l’intensificazione della repressione nei confronti delle lotte sociali negli ultimi anni42, in particolare e l’accelerazione verso il progetto di uno “stato di polizia”43 con il recente DDL 1660 “sicurezza” di cui abbiamo dato spazio di approfondimento in un recente articolo44. In particolare gli inasprimenti repressivi del DDL avranno molto a che fare con le lotte contro il traffico di armi che interessa le fabbriche e i porti italiani, contro la produzione e la distribuzione delle stesse. Nel momento in cui il fenomeno della collaborazione della borghesia italiana e dei suoi monopoli col genocidio in atto in Palestina riesce, grazie alla resistenza palestinese e anche al poderoso movimento di protesta attivo oramai in tutto il mondo, ad essere portato all’attenzione dell’opinione pubblica, non a caso il governo (sulla scia di quelli precedenti) tenta di scoraggiare definitivamente il consolidarsi di avanguardie politiche attorno alle lotte sociali. Nessun parallelismo improprio, ma il processo che muove il DDL 1660 a quello che ha portato alle migliaia di palestinesi (e anche ebrei45) rinchiusi arbitrariamente nelle carceri israeliane rimane lo stesso.
Come ultimo aspetto di collegamento, qualche parola sul legame che c’è per i comunisti tra lotta di liberazione nazionale e la lotta per il socialismo. Quest’ultima, facendo fede agli insegnamenti di Lenin e ad un’analisi critica della storia del movimento comunista mondiale, è e rimane l’obiettivo immediato di lotta all’ordine del giorno in tutti i paesi in questa fase di sviluppo del capitalismo. Sia in Italia, che è tutt’altro che una “colonia”46 ed essendo parte del cuore imperialista è perfettamente matura, come dimensioni delle forze produttive, per la transizione verso il socialismo: ed è questo l’obiettivo verso il quale i comunisti dovrebbero lottare, liberandosi dalle suggestioni delle “tappe intermedie”47 tra la nostra società decadente e il socialismo, rimandato a data da destinarsi. Sia in Palestina, dove la lotta contro lo stato coloniale di Israele è la lotta contro la forma più reazionaria e sciovinista di oppressione a radice pur sempre capitalista, ponendo all’ordine del giorno la lotta per una Palestina rossa e socialista, anche nelle condizioni di una delle poche lotte anticoloniali ancora esistenti al giorno d’oggi – eccezione alla regola delle interdipendenze asimmetriche tipiche del sistema mondiale imperialista. La liberazione nazionale non è per i comunisti l’obiettivo strategico finale, ma rappresenta quel “centro di nucleazione” attorno al quale solo i comunisti possono aggregare la più larga parte della classe operaia (della nazionalità oppressa ma anche di quella colonizzatrice) nella lotta per la sua emancipazione. Per questo aspetto nel collegamento tra la questione nazionale e la questione sociale la posizione dei comunisti è incompatibile con quella delle altre forze borghesi. Un forte movimento comunista, internazionalista, che attraversi Italia e Palestina, rafforzerebbe reciprocamente in modo incommensurabile le rispettive specificità nella lotta per l’abolizione di tutte le forme di sfruttamento e oppressione.
Note
[1]: https://www.editorialedomani.it/7-ottobre-memoria-editoriale-svdkmjn9 [2]: https://www.lordinenuovo.it/2023/11/15/la-questione-palestinese-non-riguarda-solo-la-palestina/ [3]: Termine utilizzato dal giornalista Raffaele Oriani, collaboratore di Il Venerdì di Repubblica, nella sua lettera di dimissioni. [4]: https://theintercept.com/2024/02/07/gaza-israel-netanyahu-propaganda-lies-palestinians/ [5]: https://it.wikipedia.org/wiki/Direttiva_Annibale [6]: https://www.haaretz.com/israel-news/2024-07-07/ty-article-magazine/.premium/idf-ordered-hannibal-directive-on-october-7-to-prevent-hamas-taking-soldiers-captive/00000190-89a2-d776-a3b1-fdbe45520000 [7]: https://www.youtube.com/watch?v=_0atzea-mPY [8]: https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/08/27/vaccini-anti-polio-in-arrivo-a-gaza-ma-lonu-non-puo-distribuirli-mancano-carburante-e-sicurezza-serve-una-tregua-adesso/7671078/ [9]: https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(23)02713-7/fulltext [10]: https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(24)01169-3/fulltext [11]: https://www.youtube.com/watch?v=uPvkMT9nDso [12]: https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/mediooriente/2024/10/06/idf-raid-mirati-su-depositi-di-armi-di-hezbollah-a-beirut_6aff9149-b377-478a-a6a7-14cf30b558b2.html [13]: https://www.youtube.com/watch?v=kPE6vbKix6A [14]: https://www.aa.com.tr/en/middle-east/iran-says-us-european-promises-of-truce-for-not-responding-to-haniyeh-s-assassination-were-false-/3346007 [15]: https://www.aa.com.tr/en/middle-east/lebanon-says-nearly-2-100-killed-in-israeli-attacks-since-last-year/3354386 [16]: https://www.bbc.com/news/articles/cz04m913m49o [17]: https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2024/10/05/unifil-dice-no-a-israele-restiamo-in-libano_fef69d97-438f-44a4-ae62-463a4883bbe6.html [18]: https://www.ilsole24ore.com/art/libano-1200-soldati-italiani-bunker-governo-allerta-AGs9kPK [19]: https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/10/10/israele-governo-vota-risposta-iran-libano-uccisi-comandanti-hezbollah/7725390/ [20]: https://www.palestinechronicle.com/from-our-fighters-to-the-fighters-in-gaza-who-are-yemens-ansarallah/ [21]: https://interactive.aljazeera.com/aje/2024/mapping-red-sea-shipping-attacks/ [22]: https://www.theguardian.com/world/2024/sep/29/israel-launches-fresh-airstrikes-at-houthi-targets-in-yemen [23]: https://www.washingtonpost.com/world/2023/10/10/israel-military-draft-reservists/ [24]: https://www.jpost.com/israel-hamas-war/article-822671 [25]: https://www.middleeastmonitor.com/20240719-285-spike-in-israelis-leaving-country/ [26]: https://www.youtube.com/watch?v=Apq0Jw1a-Ao [27]: https://www.frontecomunista.it/2024/09/02/solidarieta-con-il-partito-comunista-disraele-vittima-della-repressione-sionista/ [28]: https://www.reuters.com/world/middle-east/israel-braces-world-court-ruling-focuses-attack-south-gaza-2024-01-26/ [29]: https://www.lordinenuovo.it/2024/09/09/sulla-guerra-in-medio-oriente/ [30]: https://www.lordinenuovo.it/2024/01/26/investimenti-in-crescita-e-interdipendenza-gli-interessi-dellimperialismo-italiano-in-israele/ [31]: Dati del Ministero della Difesa israeliano. [32]: https://web.archive.org/web/20080516232241/http://www.atimes.com/atimes/Middle_East/FL21Ak01.html [33]: https://altreconomia.it/la-causa-del-nicaragua-contro-la-germania-alla-corte-dellaia-per-la-sua-complicita-con-israele/ [34]: https://pagineesteri.it/2024/06/13/in-evidenza/litalia-acquista-da-israele-i-missili-anti-carro-utilizzati-per-gli-attacchi-a-gaza/ [35]: https://aircraft.leonardo.com/it/products/m-346 [36]: https://altreconomia.it/litalia-continua-a-esportare-armi-a-israele-il-caso-delle-forniture-per-i-caccia/ [37]: https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/19/Resaula/0/1411260/index.html?part=doc_dc [38]: https://www.osservatoriodiritti.it/2024/01/31/esportazioni-di-armi-italiane/ [39]: https://it.wikipedia.org/wiki/Single-issue [40]: https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1870/vogt.htm [41]: https://www.lordinenuovo.it/2020/06/03/italia-paese-centrale-e-imperialista/ [42]: https://www.frontecomunista.it/2023/02/07/ingiustizia-borghese/ [43]: https://www.senzatregua.it/2021/02/17/repressione-quotidiana/ [44]: https://www.lordinenuovo.it/2024/09/29/il-ddl-sicurezza-e-la-repressione-come-soluzione-dei-problemi-sociali/ [45]: https://www.aljazeera.com/news/2023/12/27/who-are-the-israeli-refuseniks-picking-jail-over-the-gaza-war [46]: https://www.lordinenuovo.it/2020/12/10/le-multinazionali-in-italia/ [47]: Ci si riferisce qui alle varie teorie opportuniste, che prefigurano tappe intermedie di “democrazia antimonopolistica”, di “ripristino della sovranità popolare” eccetera.