Calabria, le aziende sanitarie e lo smacco agli “eroi” del Covid: nessuna indennità per gli autisti del 118
Gli effetti della disgregazione del Sistema Sanitario Nazionale e, in questo caso, del piano di rientro applicato alle regioni con meno capacità finanziaria (a prescindere dal fatto che esse ricevano o meno fondi adeguati al loro reale fabbisogno sanitario) si ripercuotono, in particolare, sulle figure professionali più delicate durante il picco dell’epidemia Covid. Parliamo dei professionisti che lavorano al Servizio Sanitario di Urgenza ed Emergenza Medica (S.S.U.E.M.), conosciuto comunemente come 118. Nell’ambiente del servizio di emergenza troviamo i disagi più emblematici e grotteschi a carico dei lavoratori che, per la propaganda ipocrita dei media, sarebbero poi gli eroi che affrontano quasi da soli il pericolo sanitario. Si parla di figure che non sono riconosciute nella loro rilevanza sanitaria, come gli autisti delle ambulanze, di differenze di trattamento tra un’azienda provinciale e un’altra (effetto del particolarismo e dell’aziendalismo), della mancanza di concorsi pubblici da più di un decennio, o della commistione di interessi fra professione pubblica e privata – probabilmente, in questo caso, volentieri evitabile da parte di tutti i lavoratori impiegati.
Riportiamo oggi la testimonianza di Giuseppe (nome di fantasia), che è stato tra gli organizzatori, nelle scorse settimane, di un presidio di lavoratori sotto la sede della Regione Calabria per chiedere il riconoscimento di un trattamento economico decente per i professionisti del SSUEM calabrese dell’azienda sanitaria provinciale (ASP) di Catanzaro.
Ciao Giuseppe, com’è considerata la vostra mansione a livello giuridico e a quali problematiche conduce il vostro status?
Noi autisti siamo assunti come operatori tecnico specializzati, i quali sarebbero una figura appunto tecnica, e non abbiamo una indennità di rischio biologico perché ci è stata tolta qualche anno fa. Siamo considerati come “non sanitari” all’interno di una equipe sanitaria, anche se soccorriamo e pratichiamo manovre di rianimazione. Questo è differente da ciò che accade già all’Asp di Cosenza, nella quale i nostri colleghi ricevono regolarmente l’indennità. Siamo l’unica regione nella quale il 118 non fa parte del dipartimento regionale ma è un corpo autonomo, anche se fa capo alle Asp; ogni Asp, così, agisce per conto proprio. Inoltre, abbiamo sollevato la problematica delle ambulanze che sono obsolete: abbiamo un parco macchine di ambulanze che risalgono al 2004 o al 2005, alcune con più di cinquecentomila kilometri.
Avete protestato anche per i riconoscimenti economici dovuti durante la pandemia. Di che si tratta?
Questa problematica riguarda soprattutto il premio Covid, che era stato previsto per tutti gli operatori, indistintamente dalla mansione lavorativa. Esso doveva essere pagato entro dicembre. e così non è stato. Il governo regionale ha messo a bilancio le somme e poi le ha liquidate alle Asp, almeno a quanto afferma il commissario ad acta alla sanità Guido Longo, ma a nessuna delle tre categorie professionali coinvolte nel servizio sono stati attribuiti i premi Covid né gli straordinari Covid. A chi ha superato il monte di 50 ore di straordinario, raggiungendolo a luglio e agosto, non sono stati ancora riconosciuti i soldi.
Il problema delle indennità non riguarda solo gli autisti.
Esatto. Ci sono medici convenzionati col 118 a cui sono state contestate le indennità di 5,50 euro forfettari che percepivano e che avevano ottenuto tramite accordo sindacale; indennità che riconoscevano la mansione del medico del SSUEM rispetto alle altre tipologie, come il medico territoriale. Tali indennità sono state contestate perché i “compiti aggiuntivi” per i quali erano riconosciute non sarebbero loro stati poi affidati, ma in realtà questi compiti aggiuntivi erano lo stesso lavoro al 118! Oggi come oggi questi medici ricevono degli emolumenti pari a quelli riconosciuti ad un infermiere. Inoltre i medici convenzionati, assunti dall’Asp con partita Iva, possono fare anche attività privata, e questo crea un’altra disfunzione intrinseca al sistema. Essi, ricordiamo, non possono essere assunti per il semplice fatto che dal 2009 è bloccato il concorso per i medici.
A cosa sono dovute, secondo te, queste anomalie?
Le disfunzioni riguardo all’erogazione degli emolumenti probabilmente dipendono dal fatto che con i soldi stanziati per i nostri straordinari e premi sono state pagate voci che facevano parte della spesa corrente o che, comunque, non si riuscivano a pagare prima.
Al danno si aggiunge la beffa, per cui noi stiamo facendo il nostro lavoro praticamente in solitario e sotto stress, poiché molti dei medici di base e di quelli in guardia medica, notoriamente, non vengono dotati di dispositivi di protezione individuale e faticano ad aiutarci. Per non parlare delle Unità Speciali di Continuità Assistenziale (USCA), che in alcuni luoghi funzionano veramente poco: basti pensare che a Soverato l’USCA non possedeva inizialmente neanche il numero telefonico.
Tutto questo sistema disfunzionale provoca dei disagi a catena…
Certo, perché l’effetto nefasto di questa situazione ricade anche sui pazienti e su tutti gli utenti del sistema sanitario: è un disincentivo, per i lavoratori, a scegliere il servizio di emergenza rispetto ai più comodi posti da medico di base o nella guardia medica. L’aziendalismo del sistema sanitario trasforma, in altre parole, un lavoro che dovrebbe essere una missione in una gara concorrenziale per accaparrarsi la posizione più leggera o remunerativa.
Ringraziamo Giuseppe e ricordiamo che questa vicenda si situa nella cornice di una regione come la Calabria che ha vissuta una emergenza Covid indotta, come molte altre parti d’Italia, non tanto dalla disattenzione dei singoli cittadini nel seguire le precauzioni anti-contagio ma dal definanziamento del sistema sanitario pubblico regionale, il quale solo negli ultimi dieci anni di piano di rientro ha perso almeno 4000 unità lavorative. La tendenza ad allontanare i professionisti di valore a favore del settore privato, a quanto pare, non accenna a diminuire e sempre più coordinamenti di lavoratori iniziano a mobilitarsi per tentare di arginare un declino che è, in maniera sempre più palese, deciso politicamente per favorire chi ha capitali per lucrare su un diritto universale.