Fondato dalla Olin – Winchester, una multinazionale statunitense specializzata nella produzione di armi e munizioni, situato nella zona boschiva La Macchia, ad Anagni, in provincia di Frosinone, lo stabilimento ora noto come “ex Winchester” rappresenta uno dei simboli più controversi della storia produttiva e ambientale del Lazio meridionale. Iniziato come sito produttivo per munizioni, lo stabilimento ha operato per decenni come centro di produzione di armi. Negli anni ’90, la fabbrica è stata chiusa, per poi essere rilevata dalla Simmel Difesa, azienda specializzata nella demilitarizzazione, ovvero nel recupero e separazione di componenti bellici per il riutilizzo delle parti inerti. Nel 2020, la Simmel è stata acquisita dal gruppo franco-tedesco KNDS, che ha continuato l’attività di demilitarizzazione nel sito[1].
Nel 2025 è stata annunciata la riattivazione dell’ex stabilimento Winchester di Anagni, ora KNDS Ammo Italy, destinato alla produzione di nitrogelatina, un esplosivo ad alto potenziale, per rifornire l’impianto della stessa multinazionale già presente a Colleferro. La riconversione dell’ex Winchester per la produzione di nitrogelatina a uso militare[2] si inserisce in un quadro di investimento che privilegia la filiera bellica in un’area ambientalmente compromessa e socialmente vulnerabile.
Il progetto si inserisce all’interno del programma europeo ASAP (Act in Support of Ammunition Production), varato nel luglio 2023, che ha stanziato 500 milioni di euro per aumentare la capacità produttiva bellica dell’Unione Europea in risposta alla crescente domanda di munizioni da parte degli Stati membri e al sostegno armato all’Ucraina[3].
ASAP è lo strumento operativo immediato del riarmo europeo, e anticipa il più ampio e discusso piano ReArm Europe, ancora in fase di progettazione. Mentre ReArm Europe ambisce a strutturare il comparto difesa europeo su base strategica e permanente, ASAP ha già finanziato direttamente imprese come Rheinmetall, Nammo, Eurenco France e altri attori del complesso militare-industriale.
Contesto industriale e localizzazione

La Valle del Sacco è uno dei siti più inquinati d’Italia. Dichiarata Sito di Interesse Nazionale (SIN) per la bonifica, le operazioni sono lente e incomplete
La scelta localizzativa dell’impianto ricade in un territorio già classificato come Sito di Interesse Nazionale (SIN) per bonifica ambientale: la Valle del Sacco. Le operazioni di risanamento restano in larghissima parte incomplete. L’area continua a presentare livelli elevati di contaminazione chimica e criticità sanitarie ampiamente documentate.
Il SIN del Bacino del Fiume Sacco, istituito nel 2016, si estende per circa 7.200 ettari lungo 60 km del fiume Sacco, attraversando 19 comuni tra le province di Roma e Frosinone. Il sito comprende aree industriali gestite dal Consorzio ASI e oltre 200 aziende, molte delle quali classificate a rischio di incidente rilevante secondo la Direttiva Seveso.
Lo sviluppo industriale della zona risale agli anni ’30, con il polo chimico-bellico della BPD a Colleferro, espandendosi poi verso Ceccano. Le attività produttive hanno incluso la fabbricazione di esplosivi, antiparassitari e insetticidi (tra cui lindano, DDT, β-HCH), causando gravi impatti ambientali.
La contaminazione ha riguardato suolo, acque e catena alimentare, con presenza di β-HCH riscontrata nel latte bovino nel 2005, evento che ha portato alla dichiarazione dello stato di emergenza e alla perimetrazione del SIN. Il β-HCH (beta-esaclorocicloesano), derivato del lindano, è altamente persistente e nocivo per l’uomo e l’ambiente[4][5].
Ulteriori problemi ambientali riguardano la contaminazione da solventi clorurati, metalli pesanti e amianto. Le particolari caratteristiche geochimiche dei terreni vulcanici dell’area richiedono la definizione di valori di fondo naturale per valutare correttamente l’inquinamento.
Dal 2013 la competenza per le bonifiche è passata al Ministero dell’Ambiente, con perimetrazione definitiva approvata nel 2016.
Rischi logistici e ricatto occupazionale

L’ingresso della KNDS Ammo Italy di Anagni
L’impianto sarà autorizzato alla produzione di circa 40 tonnellate al mese di nitrogelatina, una sostanza esplosiva, che verrà trasportata per circa 20 km fino allo stabilimento KNDS di Colleferro per l’assemblaggio finale, in un tragitto che prevede il passaggio di mezzi pesanti carichi di materiale esplosivo su strade ordinarie in un contesto nel quale, con infrastrutture obsolete e assenza di bonifiche, l’aumento del rischio ambientale è evidente.
La riconversione viene giustificata con la promessa di posti di lavoro, in una zona colpita da deindustrializzazione e disoccupazione strutturale. Tuttavia, la produzione militare garantisce bassa intensità occupazionale, necessità di competenze tecniche specializzate, difficilmente reperibili a livello locale e finanziamenti elevatissimi a scarso ritorno sociale.
Queste dinamiche alimentano il ricatto occupazionale: si offre lavoro subordinato alla produzione di armamenti, in assenza di alternative. Il lavoro diventa condizionato all’accettazione di un modello industriale pericoloso e non sostenibile, né dal punto di vista ecologico né da quello politico.
Ospedale depotenziato, fabbrica di esplosivi attiva
L’elemento simbolico della distorsione delle priorità pubbliche è rappresentato dal contrasto tra la riapertura dell’impianto e la chiusura dell’ospedale di Anagni.

L’ospedale di Anagni è stato duramente colpito dai tagli alla sanità pubblica
L’ospedale di Anagni è stato chiuso “temporaneamente” il 5 novembre 2012, con una decisione dell’ASL di Frosinone motivata da presunti problemi di sicurezza. Questa chiusura avvenne nonostante un’ordinanza del Consiglio di Stato del 2011, la quale stabiliva che l’ospedale non dovesse essere chiuso per non recare danno alla sua numerosa utenza[6]. Dopo la chiusura, la struttura è stata progressivamente svuotata, con la disattivazione di reparti come ortopedia e l’Unità di Terapia Intensiva Cardiologica (UTIC), e la riduzione dei posti letto[7]. Nonostante ciò, nel 2017 è stato istituito il Presidio Ospedaliero Frosinone-Alatri-Anagni, che prevedeva il mantenimento della struttura di Anagni in vista di un possibile ripristino delle attività ospedaliere di pronto soccorso. Nel novembre 2021, dopo anni di lotta di associazioni e comitati cittadini, l’ospedale di Anagni è stato riaperto come “Ospedale di Comunità”, segnando una parziale ripresa delle attività sanitarie nella zona, risultando però depotenziato rispetto alla sua funzione originale, con la popolazione che continua a registrare alti tassi di malattia correlata a fattori ambientali e a subire la mancanza di molti servizi.
Oggi, mentre si finanziano impianti di produzione bellica con fondi europei, nessun investimento è stato programmato per riaprire o potenziare l’offerta sanitaria territoriale. La sanità pubblica viene smantellata mentre viene accelerata la produzione militare. Si tratta di una precisa scelta politica, che definisce le priorità dello stato in termini di spesa, infrastrutture e logistica.
Mobilitazione sociale: il presidio del 3 maggio
Il 3 maggio 2025, si è svolto davanti ai cancelli dell’ex Winchester un presidio organizzato dall’Assemblea No War Valle del Sacco, con la partecipazione di cittadini, sindacati, comitati locali, studenti e realtà antimilitariste del territorio[8].
La mobilitazione ha denunciato l’assenza di trasparenza sul progetto, la pericolosità dell’impianto, la mancanza di bonifiche e la totale esclusione della cittadinanza dalle decisioni.
Durante il presidio è stato ribadito il rifiuto della militarizzazione del territorio, l’urgenza di investimenti pubblici nei settori della sanità, della bonifica ambientale e della riconversione ecologica e la necessità di una pianificazione alternativa alla logica bellicista.
Il caso di Anagni non è un’eccezione, ma un esempio paradigmatico della trasformazione dei territori in piattaforme logistiche e produttive del settore bellico europeo. La sinergia tra i principali attori del riarmo europeo espone alla luce del sole un modello che privilegia la produzione bellica a discapito delle necessità sociali.
Il presidio del 3 maggio ha posto le basi per un’opposizione che va oltre il “no alla guerra”, rivendicando una riconversione produttiva pianificata e un modello di sviluppo centrato sulla salute, la tutela dell’ambiente e il lavoro utile e sicuro, in funzione degli interessi collettivi.
Di fronte a un’economia di guerra sempre più promossa da governo Meloni, Unione Europea e NATO e pagata dagli strati popolari con tagli in nome delle spese belliche e militarizzazione dei nostri territori, è sempre più urgente un’opposizione operaia e popolare ai piani di guerra degli imperialisti, contro le politiche di morte promosse dal capitale in barba agli interessi della grande maggioranza della popolazione.
Francesco Maria Minerva
Note
[1]: Portale documentale
[4]: Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica » Bacino (idrografico) del fiume Sacco
[5]: Microsoft Word – SIN Bacino del Fiume Sacco – Audizione VIII Commissione 04.07.2023.docx