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Home›Capitale/lavoro›Come è andato lo sciopero dei braccianti

Come è andato lo sciopero dei braccianti

Di Redazione
23/05/2020
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sciopero braccianti 21 maggio

Il 21 maggio, si è tenuto lo “sciopero degli invisibili”, come da essi stessi chiamato lo sciopero dei braccianti irregolari.

Una marcia da Torretta Antonacci (San Severo), fino ad arrivare alla prefettura di Foggia, un’intera giornata in cui non saranno raccolti asparagi, mirtilli e verdura. Alla loro testa Aboubakar Soumahoro, noto sindacalista e anima della manifestazione: “ Il governo ha scelto di aver maggiore attenzione verso la verdura e la frutta che rischiano di marcire anziché rilasciare a tutti un permesso di soggiorno per l’emergenza sanitaria, un permesso che sia convertibile al lavoro”, ha spiegato Aboubakar a Radio Popolare: “Per questi motivi, e anche per la questione dello sfruttamento che c’è all’interno della filiera agricola anche per via della concentrazione dei poteri nelle mani dei giganti del cibo, abbiamo deciso di indire questo sciopero che non interesserà solo i braccianti, ma che avrà la solidarietà anche da parte dei consumatori e delle consumatrici facendo lo sciopero della spesa”. Una manifestazione di settore dunque che punta ad avere un importante effetto moltiplicatore: come per il settore della logistica, gli operai dell’agricoltura sono nelle condizioni oggettive di essere fra i primi ad innescare una catena di lotte che rappresenti l’unità di classe dei salariati di tutti i comparti.

sciopero braccianti 21 maggio

Fonte: ilfattoquotidiano.it

La situazione fra i braccianti era in realtà calda da tempo, già a marzo, quando molti di loro si ritrovarono confinati dalle misure emergenziali in baraccopoli senza acqua corrente, fu indetto un primo sciopero. Ma è con l’estate che, rendendosi sempre più necessario il loro lavoro (sottopagato), si intensifica la contraddizione. Basti pensare che gli asparagi prima citati vengono pagati 3 euro ogni 500 grammi sul bancone, a fronte di una paga oraria per la raccolta è invece 3,50 euro. Per il pomodoro, è abitudine pagare a cottimo dai tre ai cinque euro per ogni cassa da 300 chilogrammi. L’uva invece si paga a cottimo tra i 30 e i 40 centesimi al chilogrammo, nei supermercati costa invece circa 2,50. E si badi bene che si sta parlando dell’industria regolare, non del caporalato.

 

Ecco quindi spiegata la protesta. Le ragioni, la richiesta di migliori condizioni di vita, di salario e di orari di lavoro, ma soprattutto la richiesta di quel riconoscimento che gli viene costantemente negato. La scintilla, l’assoluta insufficienza del decreto rilancio, modificato rispetto alla bozza dei precedenti giorni. Due le possibili strade per i lavoratori irregolari, la prima, nel caso il lavoratore fosse in nero, di venire regolarizzato dal padrone stesso al costo di 500 euro. La seconda possibilità invece, è che il permesso sia richiesto dallo stesso l’immigrato irregolare, pagando 160 euro. Il permesso di soggiorno così sarebbe valido per sei mesi, e può esser convertito in permesso per motivi di lavoro portando in questo lasso di tempo prova di aver lavorato in uno dei seguenti settori: agricoltura, allevamento, zootecnia, pesca, acquacoltura e attività connesse, oppure assistenza alla persona, lavoro domestico. In pratica, braccianti badanti e colf. Gli altri invece, facchini, logistica, riders, edili e ristorazione si ritrovano esclusi, ed ecco una delle ragioni della protesta. Esclusi anche tutti coloro che sono presi di mira da un decreto di espulsione, vertiginosamente aumentati a seguito dell’entrata in vigore del decreto sicurezza. Nei fatti quindi, gli interessati saranno una strettissima minoranza, secondo un’impostazione che vede questi non come lavoratori ed esseri umani, ma come “forza lavoro” da gestire al meglio per assicurarsi la raccolta, il cui permesso è sottoposto al lavoro, aprendo la strada ulteriore strada alle varie e ben note forme di sfruttamento che permeano la vita di questi campi.

La trasformazione della crisi sanitaria in crisi economica sta iniziando a colpire pesantemente la classe lavoratrice in tutta Italia. Si stanno creando focolai di rivolta in varie zone geografiche e in vari settori – agroalimentare, logistica, operai industriali, stagionali del turismo.

Da queste singole mobilitazioni, di per sé, non verrà automaticamente fuori una mobilitazione generale dei lavoratori nel nostro paese. Ma partire da queste mobilitazioni singole e settoriali è imprescindibile per favorire la creazione di un movimento di massa e di classe in Italia

TagAboubakar Soumahoroagricolturabraccianticapitalismocoronavirusimmigratiimpreselavoratoriscioperosindacato
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