La Russia al voto per confermare la costituzione eltsiniana
Riceviamo e pubblichiamo un contributo di Fabrizio Poggi sulla consultazione per le modifiche costituzionali che si terrà nella Federazione Russa il prossimo 1° luglio.
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Da poco meno di trent’anni, il 12 giugno è giorno non lavorativo in Russia: esattamente dal 1991. Dall’anno successivo è anche giornata festiva a tutti gli effetti e dal 1998 porta l’altisonante denominazione di Festa della Russia. Cosa festeggia la Russia in quella data? Celebra l’adozione, nel 1990, da parte del Congresso dei deputati del popolo dell’allora Rossijskaja Sovetskaja Federativnaja Sotsialističeskaja Respublika, della cosiddetta Dichiarazione sulla sovranità statale della RSFSR rispetto all’URSS: un passo fondamentale sulla strada della liquidazione, anche formale, dell’Unione Sovietica.
In Russia si celebra quindi (ma, se si chiede a un cittadino russo, cosa significhi il 12 giugno, è molto probabile che abbia difficoltà a rispondere), come scriveva un paio d’anni fa l’accademico Jusef Kovalčuk, su Sovetskaja Rossija, la formazione di un’entità “che gli Stati Uniti hanno chiamato Russia”; si festeggia, “quale Giornata rappresentativa, lo smembramento dell’URSS e la trasformazione della RSFSR nella morente Russia democratica coloniale”. Dopo il 12 giugno, seguivano di gran carriera l’esempio di Mosca anche Bielorussia (27 luglio) e Ucraina (24 agosto) e i tre presidenti, Boris Eltsin, Stanislav Šuškevič e Leonid Kravčuk concludevano quel 1991 nella Belovežskaja pušča[1], disfacendo a tavolino (ancora una volta, formalmente; di fatto, il processo era cominciato qualche decennio prima) l’Unione Sovietica. C’era poi l’ufficializzazione dei dettami del FMI e il passaggio, anche “legale”, della direzione della Russia in mani straniere. E, dopo le cannonate contro il Parlamento russo del 3-4 ottobre 1993, il tutto veniva incoronato nel dicembre successivo, con l’adozione della nuova Costituzione eltsiniana, approvata dal 58% di quel 54% di elettori che parteciparono al referendum.
Una Costituzione che in questi anni ha visto diversi ritocchi, ma che, nella sua “spina dorsale”, perpetua l’istituzionalizzazione delle privatizzazioni iniziate in epoca eltsiniana e il corso economico-sociale capitalistico. Ora, il prossimo 1 luglio (in realtà, a partire dal 25 giugno, il giorno successivo alla parata per il 75° anniversario della vittoria, e fino al 1 luglio, dichiarato “giorno non lavorativo) i russi sono chiamati ancora una volta a esprimersi su nuovi “ritocchi” a quella medesima Costituzione.
In generale, a proposito delle novità previste, i media nostrani puntano l’accento sulla molto reale possibilità che venga “annullato” il numero di mandati per cui Vladimir Putin ha sinora ricoperto la carica presidenziale e possa così candidarsi ancora, rimanendo al Cremlino fino al 2036. In sottordine, si sottolinea anche la ricca messe di incentivi – in buoni-spesa, viaggi, premi in natura e in denaro – che già quasi tutti i Governatori hanno messo in palio per chi si presenterà ai seggi. C’è da dire che, per quanto riguarda il secondo punto, già anche in tarda epoca sovietica, si lusingavano gli elettori con la presenza, ai seggi, di prodotti alimentari e ricchi buffet: cambiati i tempi, si “allottano” gadget elettronici, pellicce e moderne sorprese. La municipalità di Mosca, col pretesto dello “stimolo alla domanda di beni di consumo”, per “sostenere il settore dei servizi, ristorazione e commercio”, ha inaugurato il programma “Milioni di premi”, che prende il via, guarda caso, proprio il 25 giugno e a cui possono partecipare i moscoviti che andranno a votare.
Proprio in occasione del 12 giugno, lo stesso Vladimir Putin, per incentivare la partecipazione ai seggi, ha puntato ancora sul cavallo di battaglia preferito negli ultimi tempi: le modifiche costituzionali come difesa della storia russa, che dovrebbe comprendere anche il passato sovietico, visto con simpatia da un numero crescente di russi, non solo delle generazioni più adulte. Dunque, ha detto Putin durante la cerimonia alla Poklonnaja Gora, al Parco della vittoria (inaugurato per l’appunto da Boris Eltsin nel 1995, in occasione del 50° anniversario della Vittoria contro il nazismo), è necessario “preservare la memoria degli antenati, la devozione verso genitori e famiglia, l’amore per la propria terra e l’inviolabilità” dei confini della patria; sono queste “le basi che determinano la natura e il destino del nostro popolo, lo sviluppo del paese oggi e in futuro. È quindi naturale che così spesso sia stato proposto di introdurre questi principi fondamentali e basilari nella Costituzione. Sono convinto che la maggioranza assoluta dei nostri cittadini condivida e sostenga questa posizione”. Putin punta sulla carta del patriottismo, consapevole che il suo indice di gradimento, secondo l’ufficiale VTsIOM[2], era cinque giorni fa al 66,6%: il più basso da un anno a questa parte.
L’obiettivo è sempre lo stesso: evitare che un più che prevedibile (anche con mezzucci quali il voto elettronico da casa, tramite una speciale app, per dirne uno) voto favorevole al Governo, venga inficiato da una scarsa affluenza. Ancora una volta, il Cremlino punta al “70&70”: 70% di sì col 70% di affluenza. Anche se, non trattandosi di referendum e non necessitando di quorum, ci si accontenterebbe forse di superare il 50%. Per di più, un sì che dovrà esser dato al “pacchetto completo” di modifiche costituzionali, in cui, come dicono al Kommunističeskaja Partija Rossijskoj Federatsii[3] (KPRF: non certo un partito infiammato da spinte rivoluzionarie), alcune minime concessioni finto-sociali fanno da specchietto per sostanziali passaggi di potere: tranne il rafforzamento del potere presidenziale, “tutto il resto è una specie di esca per gli elettori disorientati, un insieme di promesse che, nelle condizioni del capitalismo periferico, del diktat della borghesia criminale-compradora, non verrà realizzato”.
Per quanto riguarda il primo e più rilevante punto – la durata in carica di Putin – ancora una volta la stampa main stream nostrana non fa che personalizzare la questione, evitandone accuratamente l’essenza di classe. In Russia, come in qualsiasi altro paese capitalista, c’è una ben chiara “unità d’intenti” di tutta la classe borghese nello sfruttamento dei lavoratori; ma c’è anche una non meno evidente lotta al coltello tra cordate diverse dell’oligarchia dominante.
Ora, non è questa la sede (non lo consente, d’altronde, nemmeno lo spazio di una breve cronaca) per sviscerare quante e quali propriamente siano quelle diverse cordate; ma, non da ora, al di là dell’Atlantico, dove di queste cose se ne intendono bene, si dice che l’unico modo di eliminare Putin dal Cremlino sia una pallottola (vera o virtuale) sparata da un oligarca della sua cerchia. Un oligarca, evidentemente, che in qualche modo voglia o debba cambiare cordata, anche sulla scia dell’aspro confronto internazionale su commercio, tariffe, risorse, ecc.
E nonostante il portavoce presidenziale Dmitrij Peskov, abbia ribadito ancora in questi giorni (Putin lo va proclamando da molto tempo) che “non gli risulta l’esistenza di oligarchi” in Russia che influenzino le scelte politiche, la sola semplice osservazione delle “amicizie” dei vari Potanin, Lisin, Alekperov, Timčenko, Mikhelson, Deripaska, Abramovič, sembra proprio dire il contrario: basti guardare alla loro partecipazione privilegiata agli appalti di programmi governativi, o alla privatizzazione di proprietà statali, insieme ai legami personali (ovviamente “informali”) con funzionari pubblici nella direzione di gruppi finanziari e industriali. Secondo Forbes, nel 2018, nelle mani dei 10 russi più ricchi, era concentrato oltre l’83% della ricchezza privata. Di contro, in base ai dati dell’ufficiale Rosstat (l’agenzia federale di statistica) nel 2019, c’erano 21 milioni di persone con redditi pari o inferiori al minimo di sussistenza. Se Rosstat certifica stipendi medi per tutta la Russia, ad aprile 2020, di circa 51.000 rubli (circa 655 euro; ma il salario più diffuso non supera i 35.000 rubli), il patrimonio personale del più “fortunato” di quei biznessmeny, Vladimnir Potanin, è quotato da Forbes a 19,7 miliardi di dollari. Secondo la Banca Mondiale, il coefficiente Gini di disuguaglianza sociale, due anni fa era in Russia pari a 37,7 (in Italia, ad esempio, considerata la più “diseguale” tra le nazioni europee, era a 33,1), posto pari a zero il massimo di uguaglianza.
ROTFront riportava nei giorni scorsi la “curiosa” notizia secondo cui 25 milioni di russi non possono permettersi di nutrirsi secondo gli standard del Ministero della Sanità. Sergej Mikhajlov, Direttore dell’impresa “Čerkizovo”, maggiore produttore di carne suina e pollame, afferma che un sesto dei russi consuma non più di 50 kg di carne all’anno, rispetto ai 73 kg previsti dal Ministero della Sanità. E ancora Rosstat segnala una riduzione delle spese per alimenti del 9,3% a aprile 2020.
E dunque: il voto. I comunisti, nelle loro diverse organizzazioni, invitano o a votare contro (principalmente: KPRF e Movimento per un nuovo socialismo) l’adozione del “pacchetto di maquillage” costituzionale, oppure al boicottaggio attivo (ROTFront, RKRP[4], Fronte di sinistra e, presumibilmente, VKPB[5]) recandosi ai seggi non per votare, ma per controllare la regolarità delle procedure. Tanto più che vengono già denunciati casi in cui, anche col ricatto del lavoro (col pretesto della pandemia, il Governo ha annullato il divieto di licenziamento e, secondo alcune fonti, 1/3 del lavoratori rischia la disoccupazione. Nel 2020 il livello ufficiale di disoccupazione è “appena” al 5,7%, ma l’economista Konstantin Ordov parla della possibilità che il numero di disoccupati raggiunga i 15 milioni a fine anno e che il 12,5% dei lavoratori si veda dimezzare il salario), intere categorie vengono “invitate” a dare il proprio consenso al Cremlino tramite il voto elettronico. Si può votare anche con una settimana d’anticipo: pur di votare: Dato il periodo estivo, e dunque, tempo di vacanze in dača, il Governo sta pensando anche di allestire seggi negli agglomerati fuori città in cui sono più concentrate le dače.
Secondo i sondaggi del Centro Levada, il 45% degli interpellati andrà sicuramente a votare, il 21% potrebbe recarsi ai seggi e solo il 13% è sicuro di non andare. Un sondaggio condotto da un’emittente vicina al KPRF indica che il 34% non ha intenzione di votare, il 61% darà voto contrario, il 4% è indeciso e l’1% voterà a favore.
Quanto ai vertici si tema un flop di affluenza e di risultati, lo testimoniano anche alcune misure repressive, tipiche di tempi non proprio “normali”. Il 4 giugno è stato fermato (è tutt’ora agli arresti domiciliari) il leader il, Nikolaj Platoškin – in sostanza, poco più che un blogger – per aver eccessivamente ironizzato su Vladimir Putin. Come rilevato dal segretario del RKRP (Rossijskaja Kommunističeskaja Rabočaja Partija), Viktor Tjul’kin, “il socialismo di Platoškin è circoscritto alla critica di Putin, sullo sfondo di una bandiera rossa con l’aquila bicipite, e alla promessa di un socialismo con la stessa Duma e lo stesso Presidente. Ciononostante, il suo arresto testimonia dell’inasprimento dell’apparato repressivo, dato che il Cremlino averte la debolezza della propria posizione in vista del 1 luglio”.
Secondo l’esponente del Fronte di sinistra, Maksim Ševčenko, gli “spazi di democrazia borghese si stanno riducendo drasticamente e passiamo da una “società-spettacolo virtuale”, imitazione della “volontà popolare”, a una reale lotta politica sempre più acuta. Lo dimostrano anche le lotte ai vertici: in sostanza, per contendersi la successione a Putin quando verrà il momento. Il vertice non è mai stato compatto: è unito solo dall’interesse comune a spremere risorse per l’arricchimento personale. Ma, in generale, il destino della Russia dipenderà dalla congiuntura generale di questo regime, che non è altro che un “manager per la svendita della Russia all’imperialismo circostante: una congiuntura che andrà sempre più peggiorando”. Sergej Udaltsov, coordinatore del Fronte di sinistra, afferma che sia necessario propagandare la “non legittimità del voto e soprattutto di questo potere, che non si regge affatto sul sostegno popolare”. Lo testimonia il semplice fatto, come nota il deputato del KPRF Dmitrij Novikov, che, anche con l’incidente dello sversamento di petrolio a Norilsk, il governatore locale ha “meno paura di giustificarsi di fronte a Putin che di fronte agli oligarchi locali. È questa l’ennesima dimostrazione di quali interessi serva l’attuale potere”.
Udaltsov dice ancora che “le modifiche costituzionali proposte sono solo uno schermo. La Costituzione rimane quella eltsiniana delle cannonate del 1993. Aumenta l’insoddisfazione, anche tra i cittadini che finora erano apolitici o fedeli al potere: si rendono conto della schizofrenia di chi a parole “esalta” il passato sovietico, ma conduce una politica di genocidio del popolo”.
Oggi, dicono al RKRP, Vladimir Putin, successore di Eltsin, scelto personalmente da lui, organizza il suo sondaggio secondo lo stesso schema di Eltsin dopo il sanguinoso ottobre 1993, senza ammettere alternative o obiezioni. Cerca di legittimare la Costituzione eltsiniana (per conferirle un’apparenza di legalità e sostegno popolare), consolidare la dittatura di classe dei padroni di “fabbriche, giornali, navi” e il proprio potere personale. Allo stesso modo di Eltsin, il presidente fa affidamento su questi padroni, su oligarchi e grande capitale. Non a caso, Putin ha affermato la necessità di stabilire nella Costituzione “la garanzia dell’impossibilità di una marcia indietro”. D’altronde, non c’è da stupirsi dato che lui stesso ha iniziato con il famoso slogan eltsiniano: “non ci sarà alcuna revisione della privatizzazione!”.
Fabrizio Poggi
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[1] Foresta di Beloveža
[2] Vsyerossijskij Tsentr Izučenija Obščestvennogo Mnenija, Centro di Ricerca Panrusso sulla publica opinione
[3] Partito Comunista della Federazione Russa, di cui è segretario generale Gennadij Zjuganov.
[4] Rossijskaja Kommunističeskaja Rabočaja Partija, Partito Comunista Operaio Russo
[5] Vsesoyuznaya Kommunisticheskaya Partiya bol’shevikov, Partito Comunista Bolscevico di tutta l’Unione