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Capitale/lavoro
Home›Capitale/lavoro›Spettacolo dal vivo in ginocchio, la crisi sulle spalle dei lavoratori.

Spettacolo dal vivo in ginocchio, la crisi sulle spalle dei lavoratori.

Di Filippo Capponi Brunetti
29/06/2020
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Nonostante la crisi economica scatenata dalla pandemia da Covid-19 abbia sicuramente colpito tutti i settori, alcuni sono stati innegabilmente messi in ginocchio.

Il settore dell’intrattenimento dal vivo, riguardi esso la musica o il teatro, è costretto ad attendere disposizioni in un vuoto normativo senza precedenti, che lo lascia nell’incertezza a tutti i livelli, dall’organizzazione (promoters, agenzie di booking, titolari dei locali), ai lavoratori dello spettacolo (artisti, macchinisti, attrezzisti, tecnici luci, mascherine ecc), fino ai consumatori. Tale incertezza si protrarrà probabilmente fino alla diffusione di un vaccino che permetta di fruire degli spettacoli dal vivo, così come di eseguirli correttamente e in tutta sicurezza.

Non va però dimenticato che la crisi del settore, in Italia, era già avviata: i due Decreti Sicurezza del governo Lega – 5 Stelle hanno di fatto severamente limitato la possibilità per piccoli e medi attori, dalle associazioni al locale privato di media capienza, di fare spettacolo dal vivo, tagliando la capienza stessa dei luoghi deputati all’intrattenimento e spingendo le spese per la sicurezza a livelli inauditi: non solo costringendo gli organizzatori ad assumere personale in sovrannumero per le serate, ma anche richiedendo la stesura di documentazioni tecniche (con importi salatissimi) da accompagnare ad ogni evento. Implementare questi obblighi si riflette in primis sui prezzi dei biglietti, aumentati in maniera tangibile e, spesso, ormai fuori portata rispetto alle possibilità dei fruitori di reddito medio-basso. In secundis, la necessità di fornire documentazione tecnica dettagliata con notevole anticipo, favorisce pesantemente chi può permettersi una programmazione di lungo periodo a scapito di chi propone eventi singoli.

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A parte situazioni particolarmente virtuose dal punto di vista del fund-raising, le uniche realtà, non solo in grado di sopravvivere, ma a tutti gli effetti sostenitrici dei Decreti Sicurezza, sono state le grandi multinazionali dello spettacolo: la disponibilità di fondi, i contatti con gli artisti di maggior richiamo, il rapporto di forza esercitato nella contrattazione con gli enti territoriali per ottenere le migliori condizioni di esercizio (strutture, fornitura di energia, fornitura di personale volontario per la realizzazione dell’evento, facilitazioni nella stesura delle documentazioni tecniche) hanno permesso a queste aziende di fagocitare il mercato, accollandosi spese che gli attori medio-piccoli non possono più sostenere e contemporaneamente “rubando” e inserendo gli artisti di medio calibro, “orfani” della maggior parte delle proprie serate (e quindi più ricattabili e sensibili a cedere una fetta anche ingente del proprio cachet da “indipendente” pur di lavorare) nelle scaletta di apertura dei grandi nomi.

Ora, queste stesse imprese, ormai leader di un mercato, come abbiamo visto piuttosto artificiale, si trovano ad affrontare una situazione in cui le fonti di profitto sono state bloccate. Mentre sarebbe stata auspicabile, nella pausa del lockdown, un’intesa tra Governo, associazioni di categoria, imprese e SIAE, per un’adeguata riforma del mondo dello spettacolo dal vivo e per garantire, nel frattempo, una fonte di sussistenza ad artisti e lavoratori, le grandi imprese dell’intrattenimento hanno letteralmente blindato i biglietti già venduti nel 2020, ignorando la possibilità di rimborso ed anzi sostituendolo con il voucher. Si ledono in tal modo due volte i diritti dei fruitori dello spettacolo, negando loro sia la possibilità di tornare a disporre del proprio denaro in tempo di crisi (e abbiamo già ricordato quanto certi biglietti possano “pesare”), sia la possibilità di scegliere gli artisti da tornare a vedere nel 2021, in quanto non è detto che il nuovo tour di un artista sia riprogrammato esattamente come per il 2020.

Questo tipo di politica ha già ovviamente scatenato le ire dell’audience (ovviamente ignorate), nonché quelle di artisti blasonati: l’attacco di Paul McCartney ad Assomusica agli inizi di giugno si pone proprio in quest’ottica. Oltre all’uscita estremamente apprezzabile, sempre di business si parla. Un artista del livello di McCartney deve preservare l’unicità del proprio “prodotto” e mantenere il proprio seguito, spingendo quindi per il rimborso integrale del biglietto e facendo pesare sugli organizzatori quanto potrebbe sparire dalle loro casse, nel caso decidesse di cambiare organizzatore per la riprogrammazione del tour.

Le multinazionali dello spettacolo non hanno impiegato molto a capire che il secondo cappio da stringere prima della fine della pandemia, per limitare i danni economici e al contempo ampliare i margini di guadagno, sarebbe stato quello attorno al collo degli artisti.

Live Nation ha già diramato un comunicato brutale sugli adeguamenti che saranno presi nel 2021: tra questi, il taglio del 20% dell’onorario garantito all’artista per uno show, il taglio del 75% dell’onorario garantito all’artista per uno show annullato per basse prevendite e, cosa inaudita nell’industria dello spettacolo, una penale del 200% dell’onorario dell’artista in caso di annullamento dello show da parte dell’artista stesso per qualsiasi motivo.

Viene in tal modo non solo annullata una giusta causa (in periodo appena post-pandemico, poi) per la mancata esecuzione di uno show, ma viene addirittura tassata. Gli altri provvedimenti sono letterali colpi d’accetta sul bilancio di un artista o di un gruppo, presupponendo che la maggior parte degli introiti di un artista medio nell’era digitale (quindi di basse vendite di dischi “fisici”) deriva dal numero di date fatte e dal merchandise venduto: l’organizzatore trattiene il 30% delle entrate da merchandise, decide in maniera insindacabile il prezzo del biglietto, acquisisce automaticamente tutti i diritti video sullo show, e lascia tutte le spese di viaggio e pernottamento a carico degli artisti. Come dimostrato dall’uscita di Paul McCartney, che ha causato una corsa ai ripari rapidissima da parte di Assomusica, il rapporto di forza tra artisti di massimo livello e organizzatori è ancora impari (senza grandi nomi non esisterebbero i festival, d’altronde), gli artisti emergenti e di media fama si troveranno, alla ripartenza della macchina dello spettacolo dal vivo, estremamente svantaggiati da un punto di vista economico, con la propria scelta di vita praticamente insostenibile.

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Fortunatamente, almeno in Italia, sembra che i lavoratori e gli artisti del settore non accettino in maniera passiva la situazione, e in attesa della ripartenza manifestano, come ieri in gran numero a Roma, per ottenere il riconoscimento delle indennità per i mancati guadagni nei mesi della pandemia (indennità da cui sono stati esclusi grazie alle mille eccezioni contenute nei Dpcm) e regole certe per i lavoratori prima della ripartenza, come salari minimi, regolarizzazioni contrattuali, ferie, malattia e, in generale, tutti i diritti da cui sono stati finora esclusi, rimanendo invisibili dietro le quinte di un mondo ora in sospeso.

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