ABORTO E APPLICAZIONE DELLA LEGGE 194, QUALE FUTURO SENZA LOTTA?
Trascrizione dei contenuti raccolti all’assemblea pubblica promossa dal Fronte Comunista – Calabria alla Casa del Popolo Thomas Sankara di Catanzaro il pomeriggio del 12 gennaio 2023.
Il tema della libertà di scelta della donna circa la prosecuzione della gravidanza è ancora oggi attualissimo. Ha a che fare con il diritto reale, da parte di una donna, di decidere quando avere un figlio o se averlo, anche alla luce della circostanza per cui l’onere della cura, di fatto, spetta ancora alla famiglia e quasi completamente alla donna. Questa libertà ha a che fare con il diritto di portare avanti tale decisione senza rischi. Da questo punto di vista appare già palese come le argomentazioni “pro-vita” di larga parte del mondo cattolico non possano che essere rigettate in quanto valutazioni puramente fideistiche e arbitrarie circa come e quando sia il modo e il momento migliore di concepire un essere umano. Eppure, nonostante la palese assurdità di tale posizione, il graduale smantellamento dei consultori familiari e, soprattutto, la possibilità dell’obiezione di coscienza da parte dei medici ginecologi compromette notoriamente, non solo in Italia ma in tutta Europa, questo diritto riconosciuto.
Nel nostro Paese, poi, soprattutto con l’avvento del governo Meloni è riemersa fortemente la questione dei diritti sociali garantiti alla collettività come, ad esempio, la sanità pubblica e, appunto, il diritto all’aborto. Il problema, però, si è esacerbato notoriamente negli anni a prescindere dal governo in carica, non solo per la forte presenza di medici obiettori ma, anche, per via dei forti tagli alla sanità pubblica, della iniquità nella distribuzione dei fondi sanitari tra i territori e del crescente conflitto di interessi con la sanità privata. Anche grazie all’assopimento della conflittualità sociale da decenni non si riesce a reimpostare un discorso che vada verso la riattivazione reale di tali diritti.
Anche per questo, è stata molto partecipata l’assemblea pubblica promossa dal Fronte Comunista – Calabria alla Casa del Popolo Thomas Sankara di Catanzaro il pomeriggio del 12 gennaio sul tema della reale applicazione della legge 194 del 1978 (la legge che regola l’interruzione volontaria della gravidanza). Abbiamo dunque deciso di produrre un articolo con le esperienze e i dati riportati dai partecipanti, così da farli diventare patrimonio comune.
All’assemblea sono intervenuti Pietro (nome di fantasia) del Fronte Comunista, Adele Murace di Riprendiamoci i Consultori,1 il dottor Giacinto Nanci di Mediass-medici di famiglia e Angela Cerra di Non una di Meno, oltre diversi lavoratori dei consultori e persone dai quartieri popolari.
Nel corso dell’assemblea è venuto fuori come il problema sia da rintracciare in politiche sanitarie con una specifica connotazione di classe, che mirano a consolidare una concezione clinico-contabile e non sociale della sanità, nel ruolo sempre maggiore dell’attore privato nel circuito e quello degli ambienti conservatori patriarcali e religiosi. È emerso, soprattutto
1 – Come il problema dell’obiezione di coscienza sia cruciale per la difficile applicazione della legge 194, così come quello dell’aziendalizzazione della sanità pubblica per cui i consultori familiari sono gestiti dalle istituzioni sempre di più come un peso da svalutare a favore di servizi ambulatoriali puramente clinici o servizi privati.
2 – Come non ci sia consapevolezza sociale e politica di quanto la legge, disapplicata, già impone alle amministrazioni per sopperire al problema degli obiettori di coscienza.
3 – Come il conflitto di interessi tra servizio sanitario pubblico e interesse privato (cliniche private e dirigenza politica legata ad essa) sia assolutamente da superare per ottenere una sanità pubblica efficiente.
4 – Come il problema della ripartizione iniqua tra le regioni del fondo sanitario nazionale (dovuto, nella cornice deleteria del regionalismo, a calcoli irrazionali ed egoistici che non tengono conto del solidarismo e delle reali esigenze dei territori) sia fondamentale quanto i tagli lineari al fondo stesso, in quanto rende palese l’ingiustizia di misure come il piano di rientro sanitario nelle regioni più in difficoltà.
Dall’assemblea pubblica si è reso chiaro, infine, come dimostrato dai piccoli-grandi risultati ottenuti dai partecipanti all’assemblea, che ogni miglioramento può essere raggiunto solo con la lotta sui territori da parte degli strati popolari interessati ad avere una sanità veramente universale e pubblica.
Di seguito una trascrizione di alcuni interventi, con il relativo titolo; interventi dai quali si può evincere la necessità impellente di una lotta organizzata sul territorio per smascherare l’ideologia retrograda e reazionaria che ancora persiste in molte istituzioni e sacche sociali su temi quali il ruolo della donna nella famiglia e nella comunità, una lotta che può e deve essere portata avanti insieme alla lotta contro il potere politico ed economico che esercitano coloro che traggono beneficio dallo smantellamento della sanità pubblica. Una lotta che sia portata avanti unitariamente dalle organizzazioni popolari che “dal basso” hanno riportato all’ordine del giorno l’importanza dei consultori familiari e dell’applicazione della legge 194.
Pietro (nome di fantasia), Fronte Comunista, Il diritto alla salute e il buco nero della sanità privata
«Prima di introdurre gli ospiti e relatori di questo incontro mi permetto di fare un piccolo intervento su alcune questioni strettamente legate al tema che affronteremo quest’oggi. Bisogna partire da un veloce excursus su alcuni temi cardine.
Un elemento fondamentale da ricordare è che la malasanità, in tutte le sue forme, viene spesso attribuita alle disfunzioni della pubblica amministrazione che, in quanto tale, sarebbe inefficiente e un “carrozzone” da snellire. Vogliamo ribadire come le distorsioni del settore pubblico e del sistema sanitario in particolare, in uno Stato controllato politicamente dalla classe imprenditoriale, siano a loro volta riconducibili, in larga parte, al conflitto di interessi che esiste tra la nostra classe dirigente e chi ha interessi a lucrare privatamente sul diritto alla salute. Basta vedere i nomi nelle liste elettorali delle ultime elezioni regionali e quelli presenti nei comitati elettorali che trasversalmente e indirettamente o direttamente vedono la presenza di proprietari di cliniche private o loro teste di legno (Citrigno, Parente, Greco, Morrone ecc. ecc.). Attraverso l’azione politica – come, ad esempio, il piano di rientro economico che attanaglia la nostra regione da più di un decennio – è stato reso meno efficiente il servizio pubblico, per indirizzare forzatamente e subdolamente l’utenza verso il privato. Mentre prestazioni sanitarie di prevenzione, terapia intensiva e cura della malattia terminale vengono scaricati sul pubblico, in quanto non remunerativi. Basta vedere il caso dell’Abruzzo, regione soggetta ad un piano di rientro spietato in cui una clinica privata gonfiava i rimborsi delle prestazioni convenzionate del 300% o basta vedere in casa nostra il caso di quell’eccellenza della clinica Sant’Anna, che gonfiava le prestazioni convenzionate di terapia intensiva, senza che ne avesse una e senza avere i permessi burocratici della regione che permettono di fornire quelle prestazioni.
Allo stesso modo possiamo affermare che i consultori sono stati sostituiti dalle cliniche private della fertilità, proliferate negli ultimi anni, nel fornire determinati servizi, mentre viene a mancare l’azione di monitoraggio e di servizio sociale che solo il pubblico può offrire, fondamentale in una regione in cui sono forti la depressione economica e i disagi che ne derivano.
Altro grande tema da cui bisogna partire è naturalmente quello dell’obiezione di coscienza. Il dibattito a riguardo, negli ultimi anni, è concentrato sull’attacco al diritto all’aborto da parte dei fronti reazionari e conservatori. In realtà questo attacco è partito anche da parte del cosiddetto fronte progressista, con i tagli economici lineari perseguiti in nome della tanto cara ideologia neoliberista. Questo attacco si consuma da un trentennio e ha portato al forte abbassamento della presenza dei consultori sul territorio nazionale e della nostra regione; di conseguenza, possiamo dire apertamente che la minaccia al diritto all’aborto non è cosa recente ma un processo in atto, silenziosamente, da decenni. L’obiezione di coscienza è stata dunque uno strumento efficace per legittimare questo regresso: la possibilità di obiezione compromette in tutta Europa questo diritto, il quale è formalmente riconosciuto ma nei fatti negato. Snoccioliamo dei numeri: il 69% dei ginecologi italiani è obiettore, in cinque regioni si arriva all’80%, con il picco del 92,3 % in Molise – regione in cui praticamente è impossibile abortire. Il Servizio di aborto volontario è disponibile quindi solo nel 64,5 % delle strutture sanitarie pubbliche che hanno un reparto di ostetricia e/o ginecologia, senza contare che è uno di quei pochi servizi non espletabili in intramoenia.
Avanzando da questa breve riflessione e dal fatto che la legge 194 è stata promulgata sotto una spinta dal basso e popolare, in un’epoca dominata politicamente e culturalmente dal potere oscurantista della DC, riteniamo che le criticità prima elencate potranno essere spazzate via da un’ulteriore spinta dal basso: una spinta di quelle classi popolari che vengono oppresse in maniera silenziosa e subdola. Tale è il motivo per cui abbiamo invitato a parlare alcune ospiti, tra cui donne provenienti dalle suddette classi oppresse, che quest’oggi ci parleranno della loro esperienza».
Adele Murace, Riprendiamoci i Consultori, Lo stato dei consultori nella locride e nella regione
«Vorrei cominciare il mio intervento mettendo subito in chiaro una cosa: il limite della 194 è la stessa 194, questo è poco ma sicuro. Figlia della società fortemente patriarcale dell’epoca, ha chiuso un occhio sull’obiezione di coscienza nell’art.9 facendoci ritrovare, così, a 44 anni dalla sua promulgazione, con il 100% di personale obiettore nell’unico ospedale della Locride e in tutti e sette i consultori. Il ruolo del consultorio dovrebbe essere fondamentale, sia per le interruzioni volontarie di gravidanza (prima e dopo) che nell’educazione sessuale e sentimentale nelle scuole. Cosa che accadeva fino a un decennio fa e non più possibile a causa delle mancate riassunzioni di personale consultoriale che si ritrova, ad oggi, a meno del 30% di quello basilare previsto dalla legge 405 del 77. Riprendiamoci i Consultori è un movimento nato dal basso tra utenti e attiviste locali, e dalle esperienze personali sul territorio. Abbiamo cominciato frequentando i nostri consultori e il personale rimasto, abbiamo denunciato sui social diverse condizioni che non erano idonee (come nel caso del riscatto del consultorio di Stilo, salvato dall’abbandono e dalle condizioni di fatiscenza dell’immobile facendolo trasferire e sollecitando nuove assunzioni) e ricevuto così attenzioni mediatiche da diverse testate giornalistiche italiane.
Questo stato dei consultori fa il paio con il business che ruota attorno al periodo di gravidanza e non solo, con visite da privato che vanno a costare mediamente 130 euro, consigliate mensilmente anche speculando sulle analisi più sofisticate come il DNA fetale, fondamentale per conoscere con largo anticipo eventuali patologie del feto e che è possibile fare anche nelle strutture pubbliche a prezzi meno incisivi (da privato si parte da 1000€). Il supporto umano e psicologico viene letteralmente trasformato in speculazione clinica che fa leva sul senso di colpa della persona in attesa. C’è stato un periodo in cui la legge 405, quella che ha istituito i consultori, sembrava essere pienamente applicata persino in Calabria: nella Locride c’erano consultori con il sessuologo, la psicologa, la ginecologa, il pediatra, l’assistente sociale, l’ostetrica, la segretaria che rispondeva al telefono. In questi consultori, come a Siderno ad esempio, era evidente il suo fondamentale ruolo sociosanitario, non solo “sanitario”. Oggi assistiamo a un tentativo di smantellamento totale dei consultori e su questo sta facendo da traino la Lombardia, baluardo della sanità privata e con tanti consultori assorbiti da queste case della salute e con, addirittura, i consultori cattolici. Lì come qui stanno fomentando un circolo vizioso: i consultori vengono smantellati e resi inefficienti, ai consultori non ci va più nessuno, nessuno più si registra, non ci sono più i numeri, allora quando il personale va in pensione il consultorio chiude. Oggi, addirittura, raramente trovi persone giovani che sanno di un consultorio sul territorio e di ciò che offre! Al massimo, nell’immaginario comune c’è l’identificazione del consultorio come ambulatorio ginecologico.
Per questo motivo noi siamo molto attive nel lavoro divulgativo: il consultorio è anche un sostegno sociale ed è l’unico posto in cui i minori possono recarsi in maniera anonima e non accompagnata, senza il permesso dei genitori. E questo è molto importante nei casi in cui ci sono gravidanze accidentali, dubbi sulla sessualità e affettività, abusi e violenze in famiglia e non.
Il consultorio, nell’applicazione della 194, era un luogo con persone di fiducia dove ti sentivi protetta e supportata, anche nell’iter dell’intervento, mentre oggi in ospedale abbiamo ravvisato casi in cui delle ragazze sono state messe ad attendere il loro turno per l’intervento di aborto nella cappella dell’ospedale o nella sala con le partorienti.
Una cosa che ci dicono spesso è: “ma perché vi battete così tanto per il consultorio? Ora ci fanno la casa della salute e lo troviamo là il ginecologo!”. La risposta da dare è “vero, ma non è lo stesso servizio. Per prima cosa in consultorio non si paga il ticket, perché il consultorio è gratuito e accessibile a tutti, non è obbligatoria la prenotazione e al consultorio posso andare anche per chiedere un consiglio su una pillola perché so che la ginecologa è là per ascoltarmi e guidarmi. In ambulatorio è mai successo che vi dedicassero un’ora di tempo?”
Noi la prima cosa che abbiamo fatto è stato il giro di tutti i consultori a parlare con il personale e chiedere cosa manca, qual è la situazione, cos’è cambiato negli ultimi anni. Siamo arrivate, poi, al responsabile dei consultori, perché ogni provincia ne ha uno che, solitamente, è anche un dipendente stesso dei consultori. Siamo state successivamente ricevute dalla commissaria delegata da Occhiuto all’ASP di Reggio Calabria che, vedendo le foto del consultorio di Stilo, ha pienamente riconosciuto le nostre istanze. Pochi giorni dopo è arrivata la notizia che la commissaria aveva sospeso il consultorio di Stilo e quando è stata trovata la nuova sede il trasloco è stato immediato. Abbiamo anche ottenuto un bando che porterà una psicologa per ogni consultorio entro fine gennaio e anche un ginecologo.
Infine, voglio concludere ricordando due cose importanti. La prima è che le motivazioni di chi fa obiezione di coscienza possono essere tutt’altro che etiche. Firmare la dichiarazione di obiettore significa rinunciare ai turni per le Ivg, agli aborti urgenti nelle ore di reperibilità. Le motivazioni di chi obietta possono anche essere legate al burn-out di medici ginecologi che si trovano a essere gli unici non obiettori in territori vasti e a operare quasi esclusivamente Ivg, questi possono decidere di obiettare anche dopo anni di applicazione della legge.
La seconda è che i consultori sono nati per supportare la donna nella sua autodeterminazione e questo significa rispettare ogni sua scelta individuale legata al proprio corpo e futuro. Siamo abituati a vedere l’aborto come qualcosa di contrapposto alla maternità, in realtà i dati ci dicono che la maggior parte delle donne che ha abortito aveva già almeno un figlio, da qua lo slogan “L’aborto è un diritto, la maternità è una scelta”.»
Giacinto Nanci, Mediass-medici di famiglia, La sanità pubblica e la sperequazione dei fondi sanitari regionali
«Quello che vorrei mettere al centro io nel mio intervento è una delle radici dei problemi di cui stiamo discutendo. Da tempo, con lettere, conferenze e iniziative pubbliche, denuncio la gravissima ingiustizia dei criteri vigenti di ripartizione del Fondo sanitario, che ritengo la causa principale del Piano di rientro sanitario. La storia comincia da lontano: dalla fine degli anni ’90 le Regioni e le Province autonome ricevono le risorse statali per la sanità sulla base della spesa storica (più bassa al Sud) e, sempre di più, sulla base del calcolo della popolazione pesata. Questo significa che per un bambino di dieci anni lo Stato ha corrisposto 70 centesimi di euro e per un anziano di 75 anni, invece, due euro e sette centesimi. Pertanto, regioni come la Calabria, con più giovani in rapporto al totale della popolazione, hanno preso meno fondi per il loro Servizio sanitario. Le regioni con più anziani, per esempio l’Emilia-Romagna e la Liguria, hanno invece avuto molte più risorse. Così si è giunti anche a cifre astronomiche. Per esempio, nelle recenti ripartizioni l’Emilia-Romagna è riuscita ad avere 400,5 euro in più pro capite rispetto alla Calabria. In breve, se noi avessimo avuto i fondi della Regione Emilia, in un anno avremmo preso 779 milioni in più di quelli che abbiamo avuto, visto che siamo quasi due milioni di abitanti. Come tutte le regioni del Sud, per il proprio Servizio sanitario la Calabria ha ottenuto meno fondi rispetto alle necessità dei malati che vi risiedono. Ma l’aspetto ancora più grave è un altro: la Calabria è la regione che ha più malati cronici rispetto al resto dell’Italia. Il decreto numero 103 del commissario al Piano di rientro dal disavanzo sanitario, varato nel 2015, ha certificato che ci sono oltre il 14% di malati cronici in più in Calabria, nei suoi circa due milioni di abitanti rispetto a due milioni di altri italiani. La nostra regione ha più malati cronici, per cui avrebbe dovuto avere più finanziamenti. Anche un bambino sa che è un malato cronico che non si cura poi peggiora, sicché curarlo tardi costa molto di più. Il malato cronico che risiede in Calabria deve quindi rivolgersi ai centri di eccellenza del Nord. Nel 2021 siamo arrivati alla cifra stratosferica di 329 milioni di spesa sanitaria per prestazioni eseguite fuori regione.
Il Piano di rientro, che ha imposto ulteriori tagli rispetto ai fondi ordinari già insufficienti, ha prodotto un effetto collaterale gravissimo: i malati cronici non si possono curare nel proprio territorio. La spesa è allora aumentata. Per questo, dopo 13 anni di Piano, avviato il 9 dicembre 2009, nonostante i diversi commissari del governo abbiamo visto che la spesa è cresciuta. È un circolo vizioso, i tagli non permettono cure adeguate nella regione, i pazienti cronici peggiorano e i costi sanitari lievitano. La Calabria arriva all’11% di diabete, mentre la Lombardia ha il 4%. Ebbene, in una regione che ha l’11% avremmo dovuto avere almeno cinque o sei centri per la cura del piede diabetico. Consideriamo che la Lombardia ne ha dieci. Purtroppo, i miei pazienti sono dovuti andare a farsi amputare il piede in Lombardia. Infatti, in Calabria non abbiamo i centri che occorrono, non avendo i soldi per realizzarli. Si tratta di strutture di eccellenza che costano dai 40 ai 50 milioni. Se noi avessimo la giusta ripartizione del Fondo sanitario, di questi centri potremmo realizzarne quattro o cinque all’anno, invece che costringere i malati ad emigrare nel Nord. Peraltro, nel merito talvolta ci hanno persino preso in giro. Ci sono dei procedimenti in corso: le spese per le cure non venivano controllate bene e il ministero dava i soldi direttamente alla Lombardia. Quindi c’era qualcuno che segnava tutto quello che voleva, sicché i costi lievitavano ancora di più. E questa, diciamo, è un’altra storia bruttissima. Nel 2017, per bocca del suo presidente, la Conferenza Stato-Regioni, cioè l’organo che definisce la ripartizione delle risorse, annunciò una parzialissima modifica: invece del mero calcolo della popolazione pesata, fu considerato anche l’indice di deprivazione, che tiene conto della mortalità al di sotto dei 75 anni, dei livelli di disoccupazione e di altri fattori. Ebbene, nel 2017 la Calabria prese 29 milioni in più rispetto al 2016 e tutto il Sud ebbe 408 milioni in aggiunta. Se quella modifica fosse stata invece completa, moltiplicando almeno per quattro i riferiti importi, noi avremmo avuto 100 milioni in più su base annua e tutto il Sud avrebbe avuto quasi due miliardi in più ogni anno. Ebbene, per il 2018 questa parzialissima modifica non fu poi ampliata né riproposta.
Andiamo avanti. Nel 2011 lo Stato ha concesso un prestito forzoso alla Calabria, cioè un’anticipazione di cassa per risanare il presunto deficit. Mi riferisco ai 422 milioni che noi stiamo restituendo in 30 anni, che alla fine saranno 924 milioni, con un tasso del 5,89 per cento. Tra parentesi, il tasso da usura è del 6,3 per cento. Normalmente un prestito del genere si fa ad un tasso dell’1 per cento. A causa del Piano di rientro, inoltre, i calabresi pagano più tasse di tutti gli altri italiani, perfino in questo momento in cui lo Stato fa debito per sostenere le famiglie sulle bollette. Con un imponibile di 20mila euro lordi, il contribuente calabrese paga 408 euro in più di Irpef a causa del Piano di rientro. Dal 2019, oltre alla sanità regionale in toto, tutte e cinque le Asp calabresi e i tre ospedali regionali più importanti della Calabria sono a loro volta commissariati. Questo accanimento indica che c’è una grande miopia davanti alla realtà. La sanità calabrese è paralizzata, perché lo stesso commissario non può pubblicare alcun decreto, se prima non è stato validato dal ministero dell’Economia, che ne valuta la conformità rispetto ai rigidi paletti del Piano di rientro, e poi dal ministero della Salute, che ne verifica gli aspetti relativi all’organizzazione sanitaria. In altri termini, prima vengono i tagli e i risparmi, poi viene la salute dei calabresi.
Un’ultima chicca: negli anni scorsi avevano commissariato anche le commissioni per l’invalidità civile. Si sosteneva che in Calabria si dava l’invalidità a tutti quanti. Ebbene, c’è un dato ufficiale nel decreto numero 103 del 2015 che ho citato prima. La Calabria ha 153 malati su 1000 con tre o più malattie rispetto ai 129 del resto dell’Italia. Ciò significa che noi abbiamo 50mila malati cronici che hanno tre o più malattie ciascuno. Che cosa vuol dire questo? L’invalidità è data dalla presenza di più malattie croniche nella stessa persona. Ebbene, dopo anni di commissariamento da parte dell’Inps, le pensioni di invalidità sono aumentate. Perciò i malati cronici ci sono davvero e gli invalidi sono quelli che hanno più malattie. Si tratta dell’ulteriore conferma della cattiva salute dei calabresi, che poi non si possono curare».
Angela Cerra, Non una di meno, Applicazione della Legge 194/1978 e obiezione di coscienza
«Sono qui stasera perché questo nuovo governo di destra rappresenta un pericolo e una minaccia per tutta una serie di diritti che noi donne abbiamo conquistato in tanti anni di dure lotte e sacrifici e ha fatto emergere l’esigenza, ora più che mai, di dover stare molto attente ed essere preparate e pronte a scendere in piazza e lottare affinché questi nostri diritti non vengano calpestati o peggio ancora, non ci vengano tolti e denunciare le istituzioni laddove dovesse accadere. Uno di questi diritti è il diritto di aborto previsto dalla Legge 194 del 1978, un diritto che è minacciato fortemente soprattutto negli ospedali e nelle Asl del Sud (ricordiamo il caso dell’ospedale di Cosenza) perché sovente si scontra con un altro diritto: l’obiezione di coscienza.
Ho ritenuto perciò necessario analizzare sul piano giuridico alcuni aspetti relativi al diritto di aborto e alla sua salvaguardia e la questione di un eventuale e possibile conflitto tra il diritto di aborto e il diritto all’obiezione di coscienza e come si risolve sul piano giuridico anche tenendo conto dell’interpretazione della giurisprudenza. Il problema che viene in rilievo è l’elevato e crescente numero di medici obiettori di coscienza che a fronte della disorganizzazione degli ospedali e delle regioni, determina molteplici difficoltà o addirittura l’impossibilità di accedere al servizio di interruzione della gravidanza. Si riscontra sempre più una mancata o carente organizzazione che invece dovrebbe essere tale da garantire “in ogni caso”, (così recita l’art. 9 della legge 194 del 1978) il servizio di interruzione di gravidanza, pur a fronte dell’elevato numero di medici che decidono di sollevare obiezione di coscienza.
Veniamo dunque all’analisi dei due diritti:
L’obiezione di coscienza consiste nel diritto di rifiutare un obbligo giuridico ritenuto in contrasto inconciliabile con una regola morale, che vieta al soggetto di tenere il comportamento prescritto. Il suo contenuto si snoda, quindi, in una duplice direzione: una negativa, di rifiuto di una norma posta dallo Stato; ed una positiva, di adesione da parte del soggetto a un valore o a un sistema di valori morali, ideologici o religiosi. L’ordinamento giuridico italiano, nel tempo, ha disciplinato quattro diverse forme di obiezione di coscienza:
– al servizio militare con L. 772/1972
– agli atti di sperimentazione su animali con L. 413/1993
– alle pratiche di procreazione medicalmente assistita con L. 40/2004
e alle pratiche di interruzione della gravidanza con la L. 194/1978, che consente al personale sanitario di essere esentato dal compimento di attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, salvo che l’intervento “sia indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo”.
Possiamo notare che tutti questi casi di obiezione di coscienza sono previsti dalla legge. Ma c’è chi sostiene che l’obiezione di coscienza si fondi direttamente sulla tutela prioritaria della persona rispetto allo Stato e sul rispetto della libertà di coscienza (artt. 2, 19 e 21 Cost.; art. 18, Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo; artt. 9 e 10 CEDU) e tende a qualificare la stessa come diritto inalienabile di ogni uomo, il cui riconoscimento prescinde dall’interposizione di una legge. Per tale dottrina, “il diritto sussiste prima del riconoscimento da parte del legislatore, tuttavia sempre auspicabile”. Di contro, la giurisprudenza non costruisce l’obiezione di coscienza come diritto naturale, ma ritiene che il diritto, per esistere, debba essere previsto dalla legge. Solo una legge, infatti, può sottrarre l’individuo dal compimento di obblighi imposti da un’altra legge.
In particolare, la Corte costituzionale ha più volte affermato che è la legge “a dare riconoscimento e quindi ingresso [nell’ordinamento] all’obiezione di coscienza” e questo sia in considerazione della necessità di prevedere regole certe dell’esercizio del diritto, sia in ragione del potenziale pregiudizio al buon andamento delle strutture organizzative sanitarie e dei servizi di interesse generale. Nel caso della Legge 194 del 1978, Il diritto all’obiezione di coscienza, nei limiti in cui è legittimamente esercitabile, costituisce una libera scelta del medico, che tuttavia impone all’amministrazione sanitaria di predisporre un’organizzazione in grado di assicurare in ogni caso il buon funzionamento del servizio. Perciò, se da un lato abbiamo il diritto all’obiezione di coscienza, dall’altro abbiamo una imposizione all’amministrazione sanitaria.
L’art. 9, comma 4, della legge n. 194/1978 prevede, infatti, che “gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure previste dall’art. 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli artt. 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l’attuazione, anche attraverso la mobilità del personale”. La regolazione organizzativa, pertanto, non è una semplice facoltà per le aziende sanitarie, ma è un obbligo posto a tutela dei diritti della persona e dei principi di imparzialità e buon andamento dell’attività amministrativa, la cui violazione può assumere rilievo anche penale, qualora si risolva nell’interruzione o nel turbamento del pubblico servizio.
Esistono, in proposito, casi di procedure di reclutamento riservate a soggetti specificatamente destinati a svolgere interventi abortivi e, perciò, condizionate all’accettazione di apposite clausole, che escludono la possibilità di sollevare obiezione di coscienza, al cui inadempimento consegue la risoluzione del contratto di lavoro, per sopravvenuta indisponibilità a svolgere le prestazioni per i quali il dipendente è stato assunto. Basta ricordare il concorso bandito dal policlinico Umberto I, per la selezione di due specialisti in ginecologia per il conferimento di un incarico di collaborazione annuale “per la esclusiva e totale applicazione della legge 194/1978”; il posto di dirigente medico in Ginecologia e Ostetricia, a tempo determinato per un periodo di sei mesi “riservato ai soli dirigenti medici non obiettori di coscienza”, bandito dall’Azienda ospedaliera Pugliese-Ciaccio di Catanzaro.
Innanzitutto, bisogna ribadire che la clausola prevista da questi bandi di concorso per medici non obiettori “per l’applicazione esclusiva della legge n. 194”, non viola il diritto di obiezione di coscienza, ma non fa altro che attuare gli obblighi organizzativi di ospedali e regioni. Il problema si pone qualora il medico non obiettore assunto a seguito di tali bandi e a tempo indeterminato, nel corso del rapporto diventi un obiettore.
Mentre per il T.A.R. Emilia Romagna, che si è pronunciata su un caso del genere, il contratto di lavoro si risolve: Il T.A.R. Emilia Romagna, 13 dicembre 1982, n. 289 ha infatti stabilito che “un sanitario che sia stato assunto da un ospedale, in base a un avviso contenente una clausola che condiziona l’assunzione alla non presentazione dell’obiezione di coscienza ex art. 9 della l. 22 maggio 1978 n. 194, viene legittimamente dichiarato decaduto qualora, in seguito, presenti obiezione di coscienza”; secondo un giudice del TAR Calabria con il quale ho avuto modo di confrontarmi, la questione è molto delicata e la via più sicura ed efficace sarebbe quella dei contratti a chiamata o a tempo determinato.
Comunque la si pensi, io personalmente ritengo valida la decisione presa dal T.A.R. Emilia Romagna anche perché se il bando di concorso è per medici non obiettori e il medico viene assunto per l’applicazione esclusiva della legge n. 194, se diventa obiettore dopo l’assunzione, viene meno il requisito essenziale del contratto con la sua conseguente risoluzione, senza dimenticare che le risorse economiche a disposizione sono state impiegate per un medico non obiettore. Sono dunque più favorevole ai bandi di concorso per medici non obiettori a tempo indeterminato, anche per dare piena attuazione alla legge 194. In ogni caso, dobbiamo stare attente/i, monitorare, vigilare sulle asl e gli ospedali e se solo riscontrassimo la mancanza o anche solo la non sufficiente presenza di medici non obiettori, essere pronti/e a denunciare e ad imporre alla regione, alle asl e agli ospedali l’assunzione di medici non obiettori predisponendo bandi ad hoc con l’apposita clausola “per l’applicazione esclusiva della legge n. 194”. Cosicché, le asl e gli ospedali e la regione saranno obbligati a farlo.
Teniamo presente anche che il Comitato Europeo dei Diritti Sociali ha accertato che l’Italia viola il diritto alla salute (di cui all’art. 11 della Carta sociale Europea) e il principio di non discriminazione e di uguaglianza (art. E della Carta sociale Europea), laddove non garantisce l’effettiva applicazione della legge n. 194 e, in particolare, dell’art. 9 che prescrive l’adozione di misure organizzative da parte di Ospedali e Regioni tali da assicurare sempre l’accesso al servizio. A tal fine, noi di NUDM abbiamo iniziato la nostra battaglia, qualche mese fa abbiamo inviato una richiesta di accesso civico generalizzato, a tutte le asl, presidi ospedalieri e consultori della provincia di Catanzaro e nel mese di dicembre anche a quelli di Vibo Valentia affinché ci vengano forniti i dati relativi agli obiettori di coscienza e ai numeri specifici per struttura.
Questo perché nella Relazione del Ministero della salute, di attuazione della legge 194/78 trasmessa al Parlamento l’8 giugno 2022, ci sono solo i dati nazionali e regionali aggregati solo per regione e aggiornati al 2020. La “mappa” che possiamo disegnare dalla Relazione ministeriale non è una mappa utile ma una fotografia molto sfocata, fatta di dati chiusi, per media regionale e vecchi. Non è ammissibile né comprensibile che nel 2022 vengano pubblicati i dati definitivi al 2020. Ci servono invece i dati aperti per ogni struttura ospedaliera e per tutte le categorie professionali (ginecologi, anestesisti, personale non medico) in quanto solo se i dati sono aperti sono utili, ci offrono informazione e permettono alle donne di scegliere in quale ospedale andare, sapendo prima qual è la percentuale di obiettori nella struttura scelta. Ricordiamo che i dati in questione dovrebbero essere già aperti e non sono una concessione ma un nostro diritto e che sarebbe necessario un osservatorio permanente».
1 – Riprendiamoci i Consultori è un movimento spontaneo nato per la piena riattivazione dei sette consultori dell’area di Locri, in provincia di Reggio Calabria.