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Trasformare la questione curda in una pace del capitale e nell’ostilità verso l’ideale della Repubblica!

Di Redazione
03/08/2025
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Di Kemal Okuyan – Segretario Generale del Partito Comunista di Turchia, da La Voce del TKP, magazine internazionale mensile
21 luglio 2025
Link all’originale

 

La prima ribellione curda dell’epoca repubblicana in Turchia scoppiò nel 1925 sotto la guida di Sheikh Said e fu repressa con grande durezza. Tuttavia, definire questo evento unicamente come una “insurrezione curda” sarebbe fuorviante. Ciò che avvenne fu, senza ombra di dubbio, una rivolta reazionaria contro la Repubblica, motivata da un esplicito sostegno al califfato. Una delle forze dietro la ribellione era nientemeno che la più potente potenza imperialista dell’epoca: il Regno Unito. Coloro che si riferiscono alla rivolta come a una sollevazione curda indicano di solito il fatto che fu condotta da forze tribali curde. Un altro motivo di questa caratterizzazione risiede nella tendenza dell’attuale movimento nazionalista curdo ad abbracciare tali rivolte reazionarie e a dipingerne i leader in una luce favorevole.

L’Internazionale Comunista assunse una posizione chiara e risoluta riguardo alla rivolta, arrivando persino a comprendere le misure eccessive adottate dal governo di Ankara per reprimerla. Tuttavia, sia il Comintern che il TKP sottolinearono con insistenza che, senza una riforma agraria completa ed efficace e senza la revoca dei divieti imposti alla lingua e alla cultura curda, il problema si sarebbe aggravato — lasciando un terreno fertile per lo sfruttamento da parte degli imperialisti e dei controrivoluzionari.

Il giovane governo borghese turco, però, rimase fedele al proprio carattere di classe e ai suoi fondamenti ideologici, scegliendo una strada diversa. Si astenne dall’alterare i rapporti di proprietà in agricoltura e, di fatto, consegnò le regioni densamente popolate da curdi — e anche i bastioni delle strutture religiose — ai capi tribali. Quei capi tribali che si piegarono allo Stato diventarono via via più ricchi, e alcuni di loro intrapresero successivamente la strada dello sviluppo capitalistico. Coloro che, di tanto in tanto, si ribellavano — sia sotto le insegne religiose sia sotto quelle nazionali (curde) — venivano duramente puniti.

In queste condizioni, la questione curda cominciò a incancrenirsi. Gli avvertimenti del Comintern si rivelarono ben fondati.

Negli anni ’60, quando il movimento socialista in Turchia iniziò per la prima volta ad acquisire rilevanza sociale, quella che allora veniva chiamata “questione dell’Est” (cioè la questione curda) riemerse con rinnovata intensità, poi negli anni ’80 di nuovo dando il via a una nuova e ampia insurrezione. Questi fatti aprirono a un’equazione estremamente complessa.

Il PKK, organizzatore di quest’ultima rivolta, era noto negli anni ’70 per operazioni violente e assassinii contro i movimenti rivoluzionari in Turchia. Le implicazioni complete di tali politiche per lo Stato non sono mai state pienamente chiarite. Tuttavia, mentre il movimento operaio veniva messo a tacere dopo la grave sconfitta inflittagli dal colpo di Stato fascista del 12 settembre 1980, la “ribellione curda” che prese avvio in quel momento di silenzio produsse uno squilibrio persistente nelle lotte sociali in Turchia — una tensione che perdura ancora oggi. Questa “questione nazionale” spinse in secondo piano le contraddizioni di classe, divenendo un tema costante non solo all’interno del Paese, ma soprattutto in Europa.

Col tempo, la dimensione internazionale della questione assunse un’importanza sempre maggiore. Per i Paesi imperialisti, la questione curda irrisolta rappresentava un’occasione per intervenire in Turchia e nella regione. Ma tale opportunità venne colta anche da alcune fazioni della classe capitalista turca e dell’apparato statale. Soprattutto, i poveri curdi fungevano da riserva di manodopera a basso costo per il capitalismo del Paese. I lavoratori curdi, migrati verso ovest a causa dei conflitti e della disoccupazione, lavoravano nei settori più duri — soprattutto nell’edilizia — e per i salari più bassi. Inoltre, molti diritti fondamentali vennero sospesi con il pretesto del “terrorismo” e, con il protrarsi dei conflitti, si sviluppò un’economia di guerra, divenuta per alcuni un mezzo di accumulazione capitalistica. Ma soprattutto, i lavoratori furono divisi.

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, Paesi imperialisti come gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Germania, la Francia e l’Italia iniziarono a competere per sviluppare relazioni con il PKK, cercando di utilizzare questo strumento strategico per trasformare sia la Turchia sia l’intera regione. Competendo con la Turchia, anche l’Iran entrò in questo gioco, esercitando a tratti una certa influenza sul PKK. Tuttavia, soprattutto negli ultimi anni, è stato Israele l’attore più audace nel compiere mosse e imporre la propria agenda sulla questione curda.

Nel frattempo, in Turchia, lo Stato teneva prigioniero il leader del PKK, Öcalan, in attesa del momento propizio per utilizzarlo a proprio vantaggio in questo contesto complesso.

Il neo-ottomanesimo emerse come orientamento strategico risultante dalla sovrapposizione tra le tendenze espansionistiche del capitalismo turco e l’ideologia islamista dell’AKP. Radicata nell’Islam sunnita, questa strategia mirava a indebolire l’influenza dell’Iran e delle organizzazioni sciite come Hezbollah in Medio Oriente, stabilendo al contempo una tutela turca su curdi e arabi. L’AKP sostenne fortemente le primavere arabe e intervenne nelle guerre civili in Libia e Siria. Circa 12-13 anni fa, Erdoğan e Salih Muslim, leader dei curdi siriani, tennero colloqui riservati durante il processo di pace sulla questione curda, e Muslim venne ricevuto con protocolli a livello di capo di Stato.

Questo processo si arenò e, per altri 9-10 anni circa, i conflitti ripresero. Tuttavia, il principale focus del PKK non era più la Turchia, bensì la Siria. La cooperazione tra Regno Unito, Israele, Qatar, Stati Uniti e Turchia per rovesciare Assad riguardava da vicino il futuro dei curdi siriani. In quel momento, il leader del partito nazionalista radicale turco fece una dichiarazione sorprendente: “Israele ci minaccia; dobbiamo quindi consolidare il fronte interno e instaurare la fratellanza turco-curda.” L’espressione “Perché dovremmo lasciare i curdi a Israele e agli Stati Uniti?” venne ripresa da giornalisti filo-governativi. In effetti, nel 2024, funzionari israeliani dichiaravano frequentemente: “I curdi ci capiscono meglio di chiunque”, molti partiti curdi sventolavano bandiere israeliane durante le manifestazioni, e apparivano indifferenti al massacro del popolo palestinese.

In seguito all’appello del leader fascista, giunse anche una dichiarazione da parte di Öcalan, e si avviò un processo in cui si sarebbe dovuto deporre le armi e il PKK sarebbe stato definitivamente sciolto. Secondo gli ambienti al potere, il gioco dei Paesi imperialisti e di Israele era stato sventato, e la strada per la Turchia si apriva finalmente.

Per quanto riguarda la questione curda, la Turchia è coinvolta in vari livelli e gradi di tensione e conflitto con Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Israele, Iran, Iraq e persino Russia. Impedire che altre potenze sfruttino un problema reso irrisolvibile per anni è, naturalmente, un obiettivo importante per il Paese. Tuttavia, non esiste una questione curda indipendente dai processi di accumulazione del capitale in Turchia, dagli obiettivi espansionistici del capitalismo turco, dal bisogno di risorse da parte della classe capitalista, dalle dinamiche della politica estera e dalle interferenze ideologiche e politiche che garantiscono il dominio del capitale sul piano interno.

Pertanto, sebbene le tensioni su questo e altri fronti abbiano certamente basi materiali, noi comunisti respingiamo categoricamente l’affermazione del governo secondo cui avrebbe sventato il gioco degli imperialisti.

Perché l’accordo che oggi emerge tra il governo e Öcalan mette in discussione le basi della Repubblica di Turchia — una repubblica che i paesi imperialisti, in particolare il Regno Unito, non hanno mai accettato e che ha bloccato i loro piani post Prima Guerra Mondiale. È importante non dimenticare che la fondazione della Repubblica di Turchia è stata resa possibile dall’alleanza con la Russia sovietica durante la Guerra d’Indipendenza ed è stata da essa profondamente influenzata.

Le parti di questo nuovo processo hanno ripetutamente sottolineato che l’Islam sarebbe il cemento della fratellanza e che, attraverso questa cooperazione, la Turchia sarebbe diventata una potenza regionale, espandendo la sua influenza e il suo raggio d’azione. In altre parole, la questione riguarda l’allentamento dei confini della Turchia con Siria, Iraq e forse Iran, e l’aumento della presenza economica, politica, culturale, ideologica e militare della Turchia nella regione.

Molti stati non sono disposti a permettere che la Turchia diventi improvvisamente il principale attore regionale. D’altra parte, l’espansione esterna della Turchia contribuirebbe a mettere ulteriormente all’angolo l’Iran, ma probabilmente porterebbe anche a instabilità all’interno del paese e a un crescente mettere in discussione la sua integrità territoriale. Pertanto, ci sono molte ragioni per ritenere che il temporaneo vantaggio della Turchia nella competizione sui “curdi” possa essere stato voluto.

Inoltre, è assurdo aspettarsi che le classi dirigenti curde, che hanno stabilito proprie amministrazioni in Iraq e Siria e mantengono una forte presenza politica in Iran, accettino a lungo di rimanere sotto l’ala del capitalismo turco.

A questo punto, è necessario mettere in guardia dal ridurre la questione a una mera interpretazione nel quadro della sola questione curda. Ciò che si sta svolgendo attualmente nella regione fa luce sui piani delle potenze imperialiste occidentali — nonostante le loro reciproche rivalità — di trasformare un’area vastissima che si estende dalla Palestina all’Azerbaigian (includendo Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Libano, Giordania, Siria e Iraq) in una zona economica d’attrazione. Questo polo economico, da costituire su un territorio ricco di manodopera a basso costo e ricattabile, risorse energetiche, linee di transito, rotte commerciali e altre ricchezze in attesa di essere depredate, è pensato per garantire la sicurezza di Israele e la sua integrazione con i paesi regionali. Pur servendo gli interessi di profitto dei monopoli multinazionali, si comprende che svolgerà anche la funzione di meccanismo per accerchiare la Cina e costruire un centro geopolitico alternativo a essa. In questo contesto, il marginalizzare o far capitolare l’Iran emerge come un obiettivo strategico.

Vista da questa prospettiva, l’analisi del Medio Oriente non dovrebbe più essere condotta attraverso il linguaggio delle identità, delle sette, delle questioni nazionali, dei calcoli geo-strategici o persino delle sole rivalità inter-imperialiste, bensì attraverso la lente delle contraddizioni di classe. Gli sviluppi indicano che uno dei principali sponsor di un nuovo “processo di pace” in Turchia sarà TÜSİAD — l’organizzazione del grande capitale[1]. Diventa inoltre chiaro che la borghesia curda, che ha sempre rappresentato una componente forte della borghesia turca, diventerà sempre più visibile attraverso una nuova fase di integrazione, e che il capitale curdo assumerà un ruolo facilitante negli sforzi di espansione regionale della Turchia, in particolare in Siria.

Il TKP sostiene categoricamente la fine di ogni conflitto armato. Tuttavia, non faremo parte dell’ostilità verso la Repubblica e il lavoro, né del NATO-ismo, della fratellanza religiosa o della pace con il capitale.

Per alcuni analisti internazionali, la riconciliazione tra il PKK e il governo e le dichiarazioni di Öcalan possono essere state una sorpresa. Noi non siamo rimasti sorpresi. Tutto si sta svolgendo in maniera del tutto logica.

Ciò che è illogico è generare speranze di “democratizzazione” o “rivoluzionarismo” da questa pace con il capitale. L’unica speranza per i lavoratori turchi e curdi risiede in una Repubblica Socialista che renda possibili uguaglianza, fratellanza, prosperità e pace.

 

[1] Nota del traduttore: la Confindustria turca.

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