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Home›Notizie dal mondo›Si riaccende il confronto militare tra Armenia e Azerbajdžan

Si riaccende il confronto militare tra Armenia e Azerbajdžan

Di Redazione
16/07/2020
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Armenia Azerbaijan

Dallo scorso 12 luglio rimane pesante al situazione in alcuni punti delle province di Tovuz e Gazakh, alla frontiera tra Azerbajdžan e Armenia. Come sempre, c’è reciprocità di accuse su chi per primo abbia aperto il fuoco; difficile stabilire la “primogenitura”, tanto più che non ci sono osservatori internazionali in quella parte del confine. Baku afferma di avere la situazione sotto controllo e di aver adottato “misure punitive” contro gli armeni, distruggendo a colpi di mortai e artiglierie, soldati e mezzi di trasporto nemici. Erevan dichiara di non aver bombardato alcun centro abitato e che, al contrario, il fuoco era stato diretto contro posizioni operative azere, dopo che alcuni soldati di Baku avevano cercato di introdursi nella zona vietata, sul confine armeno.

Colonelcassad scrive che sono in corso consultazioni tra i Ministeri degli esteri armeno e azerbajdžano e che, se questi non daranno risultati, è quasi scontata l’intermediazione di Mosca, interessata a che, soprattutto in prossimità dei confini turchi, la situazione rimanga calma.

Insieme alla Russia, anche Turchia e Iran hanno invitato le parti alla moderazione. Su iarex.ru, Stanislav Tarasov scrive che le continue scaramucce sul confine armeno-azero cominciano a preoccupare la comunità internazionale, tanto che il segretario dell’Organizzazione per il trattato sulla sicurezza collettiva (ODKB: creato nel 1992 e trasformato nel 2002, oggi ne fanno parte sei delle ex Repubbliche sovietiche: Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakhstan, Kirgizija, Tadžikistan) Stanislav Zas’, ha convocato una riunione urgente del Consiglio permanente dell’Organizzazione.
Colloqui telefonici si sono svolti tra il Ministero degli esteri russo e i Ministeri armeno e azero. Il presidente azerbajdžano Ilham Aliev ha convocato una riunione straordinaria del Consiglio di sicurezza. Il Ministro degli esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu, ha ovviamente ribadito che “la Turchia e il popolo turco sono con tutti i mezzi a fianco dell’Azerbajdžan”, come si era già verificato nel corso dell’ultimo serio scontro tra Erevan e Baku, nel 2016, per la questione del Nagorno-Karabakh (N-K), anche se, questa volta, quantomeno ufficialmente, sembra esclusa la disputa sulla regione contesa.
In ogni caso, nota Tarasov, gli osservatori non escludono che l’attuale scaramuccia possa espandersi all’area di Nakhičevan, nella parte meridionale della regione. Peraltro, lo scontro odierno scoppia sullo sfondo di ripetuti passi, diretti e indiretti, compiuti da entrambe le parti (nel settembre 2018, i leader armeno e azerbajdžano si erano incontrati nella capitale tadžika, Dušanbe, accordandosi verbalmente per evitare ogni escalation e creare un canale permanente di dialogo) per tentare di giungere a una normalizzazione sulla questione del N-K.
Per quanto riguarda l’oggi, Baku accusa naturalmente Erevan dell’inasprimento della situazione, accusando l’Armenia di voler in tal modo distogliere l’attenzione della propria popolazione dalla grave situazione economica interna; ma, soprattutto, dichiarano all’amministrazione presidenziale azera, con “tali avventure militari, il nemico cerca di coinvolgere le organizzazioni politiche e militari di cui è membro (la ODKB) e rifuggire le responsabilità per l’occupazione e l’aggressione contro l’Azerbajdžan”. Baku, forte dell’appoggio turco, considera infatti il N-K e alcune aree adiacenti, proprio territorio.
Da parte sua, l’Armenia, reputa che Baku abbia approfittato degli accordi di Dušanbe di due anni fa, solo per rafforzare le proprie posizioni militari e, oggi che non ne ha più bisogno, Baku “parla di inefficacia del processo consultivo. In tali condizioni l’escalation era del tutto prevedibile”. Il politologo armeno Narek Minasjan ha infatti dichiarato a Sputnik Armenia che negli ultimi mesi si era fatta sempre più insistente la retorica militarista della leadership azera.

La crisi attuale, quantomeno per quanto riguarda l’entità dei mezzi impiegati (artiglierie, droni, carri armati) è forse la più grave dagli scontri del 2015 e 2016 per la regione del N-K.

Anche allora, le autorità di Stepanakert avevano denunciato come le forze armate dell’Azerbajdžan, per la prima volta dal 1994, dal momento cioè in cui era stato sottoscritto l’accordo sul cessate il fuoco, fossero ricorse ad artiglierie di grosso calibro, oltre a mortai, lanciagranate anticarro a tiro multiplo e automatici, lanciarazzi TR-107 di produzione turca e obici da 122 mm. Oggi, non siamo ancora giunti a un tale schieramento di mezzi, ma i timori di un’espansione dello scontro ci sono tutti.

La Repubblica del N-K, non riconosciuta a livello internazionale, conta una popolazione di circa 150.000 abitanti, in maggioranza armeni, su un territorio di circa 11.000 kmq.

Ricevuto nel 1923 lo status di regione autonoma all’interno dell’Azerbajdžan, nel 1988 la maggioranza armena chiese l’unione a Erevan; avuta risposta negativa dal Soviet supremo dell’URSS, il Soviet regionale decise autonomamente il distacco da Baku. Subito, iniziarono i primi scontri tra truppe armene e azerbajdžane. Nel 1991, un referendum (non riconosciuto internazionalmente) sancì la volontà indipendentista del 99,98% della popolazione locale e nel 1992 il Soviet supremo regionale adottò una dichiarazione sull’indipendenza statale della Repubblica del Nagorno-Karabakh; il suo riconoscimento da parte armena intensificò il conflitto vero e proprio tra Erevan e Baku. I colloqui di pace, iniziati nel 1991, portarono all’accordo sul cessate il fuoco solo nel maggio 1994.
Non pare che Erevan e Baku, in tutti questi anni, abbiano mai derogato dalle proprie iniziali posizioni riguardo all’appartenenza statuale (con status speciale) della regione. Ripetuti incontri tra i presidenti di Armenia e Azerbajdžan, non hanno portato a significativi risultati; anche la dichiarazione congiunta Mosca-Washington-Parigi, adottata al G8 del 2013, non aveva dato nulla di concreto, tanto che, a partire dal 2014, la situazione è praticamente tesa in permanenza.
Lo scorso aprile, l’appena eletto nuovo presidente del N-K, Araik Arutjunjan aveva rilasciato una dichiarazione, pressoché in contemporanea con una presa di posizione del Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov: ambedue facevano riferimento a una “regolamentazione a tappe” del conflitto nel N-K, su cui, però, Erevan ha sempre ribadito di non essere d’accordo. Il Ministero degli esteri armeno aveva diffuso un comunicato, in cui si diceva che “ci sono stati approcci a una soluzione a tappe nel 2014 e nel 2016, inaccettabili per noi; mentre dopo il 2018 i negoziati si sono limitati a valutazioni e approcci su singoli elementi”.
Già in aprile, dunque, agli osservatori era apparso quantomeno “strano” il riferimento di Lavrov alla ricerca di “un accordo sulla base di un approccio graduale, che presuppone, nella prima fase, la soluzione dei problemi più urgenti, la liberazione di una serie di aree attorno al Nagorno-Karabakh e lo sblocco delle vie di comunicazione “.

Secondo Arutjunjan, prima ed essenziale condizione per una una soluzione del conflitto, è il “riconoscimento del diritto del popolo di Artsakh all’autodeterminazione, per cui la comunità internazionale dovrebbe escludere violazioni e restrizioni ai suoi diritti, causate dal conflitto e dallo status internazionale della Repubblica di Artsakh, prima fra tutte l’esclusione dai programmi umanitari internazionali, come sta cercando di fare l’Azerbajdžan, quale mezzo di pressione”.

Dunque, Lavrov parla di “approccio graduale”; Erevan risponde che tale dicitura è stata a lungo “ritmata” sulle note di Baku, mentre l’Armenia insiste su un “pacchetto risolutivo”. L’Azerbajdžan è infatti interessato a tirare per le lunghe ogni decisione sullo status del N-K, concentrandosi sulla “liberazione delle aree” intorno alla ex Regione autonoma. Di “liberazione di una serie di aree”, aveva parlato anche Lavrov lo scorso aprile. La differenza consiste nel fatto che Baku intende sette province confinanti col N-K, mentre Mosca intende un’area più limitata e, in ogni caso, la “liberazione” implica il mantenimento di un corridoio che unisca il N-K all’Armenia. Proprio l’ampiezza di tale corridoio e il rinvio della questione dei territori che collegano Stepanakert e Erevan rimane uno dei temi più difficili del processo di pace.

Fabrizio Poggi

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