Natura dell’Unione Europea e analisi dei suoi organi
Nel 1915 con lo scritto “Sulla parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa” Lenin analizzava la possibilità di un’unione degli stati capitalistici europei indagando quella che, nel contesto della Prima guerra mondiale, era diventata una parola d’ordine del Partito Operaio Socialdemocratico Russo (bolscevico). Lenin in particolare evidenziava le differenze tra la valenza politica ed economica di tale unione e già all’epoca poteva rilevare che «Dal punto di vista delle condizioni economiche dell’imperialismo, ossia dell’esportazione del capitale e della spartizione del mondo da parte delle potenze coloniali “progredite” e “civili”, gli Stati Uniti d’Europa in regime capitalistico sarebbero o impossibili o reazionari.»
Ebbene: un secolo dopo, le parole di Lenin risultano confermate non solo dalle politiche monetarie della BCE, ma anche e soprattutto dalle politiche economiche comunitarie e dalla struttura istituzionale e politica della UE. Una corretta impostazione della questione presuppone infatti un’analisi su più livelli, che abbandoni una prospettiva unicamente econometrica o monetaristica, o peggio ancora tecnocratica.
La propaganda borghese ed una parte della storiografia ci consegnano una versione mitologica delle origini e dell’evoluzione del processo di integrazione europea: la visione di una fondazione eroica da parte di un manipolo di valorosi statisti, che realizzarono il sogno di un’Europa dei popoli, ispirati agli ideali di Altiero Spinelli e del suo Manifesto di Ventotene.
Tra i protagonisti principali di questa “leggendaria” avventura sarebbe Jean Monnet, politico francese, esponente di una potente famiglia di imprenditori agroindustriali. Già segretario generale aggiunto della fallimentare Società delle Nazioni, tra gli estensori della dichiarazione Schuman, Jean Monnet, nel 1952 primo presidente della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), accantona la prospettiva europea federalista a favore di un approccio sovranazionale e funzionalista, adottando una strategia incentrata su di una governance europea quale camera di compensazione di interessi economici e materiali contrapposti, a volte confliggenti a volte complementari, rappresentate da autoproclamatesi élites politiche “illuminate”, ovvero espressioni delle borghesie nazionali e sovranazionali, e da gruppi di interesse (le istituzionalizzate lobbies accreditate a Bruxelles, su cui torneremo in seguito). Una governance nella quale il ruolo degli esperti, i cosiddetti “tecnici”, ammantato di una presunta imparzialità e terzietà, in realtà è un ruolo di accreditamento e consolidamento di interessi già espressi in altra sede. E sarà questo approccio, nel quale è evidente la perdita di ogni appeal mitologico e idealista, a predominare nella costruzione della Comunità Europee prima e dell’Unione Europea poi.
Emblematico di ciò è proprio la CECA: in un settore come quello della produzione di carbone e acciaio, che era stato concausa di conflitti diplomatici per più di un secolo, nonché delle due guerre mondiali, con la dichiarazione Schuman si propone di «mettere l’insieme della produzione franco-tedesca di carbone e acciaio sotto un’Alta Autorità, nel quadro di un’organizzazione alla quale possono aderire gli altri Paesi europei». Il Trattato di Parigi, sottoscritto il 18 aprile 1951 da 6 Paesi (Francia, Germania Ovest, Italia, Belgio, Olanda, Lussemburgo) ed entrato in vigore il 23 luglio 1952, prevedeva la creazione di un mercato comune dei prodotti carbo-siderurgici, l’eliminazione e il divieto di dazi e di restrizioni quantitative alla loro circolazione tra i Paesi membri, di aiuti e sovvenzioni statali, di provvedimenti o pratiche atti a discriminare produttori, acquirenti e consumatori, di tutte le pratiche restrittive tendenti alla ripartizione dei mercati (articolo 4).
Con il Trattato di Parigi, e ancora di più con i Trattati di Roma istitutivi dell’Euratom e della C.E.E., i principi cardine del capitalismo: libero mercato, concorrenza e appropriazione privata dei profitti, impropriamente derubricati dai politologi liberal in quanto “principi liberisti” o “neoliberisti”, quasi a voler significare l’esistenza di una versione “buona” ed una “cattiva” del capitalismo, assurgevano a principi fondativi della nuova Europa. Essa, dunque, sorgeva non tanto dalle macerie del secondo conflitto mondiale, quanto dai fantasmi della Guerra Fredda e dello spettro in agguato al di là della cortina di ferro. Una fondazione fondamentalmente in chiave antisovietica e anticomunista, e sostanzialmente antidemocratica e reazionaria, a voler utilizzare le medesime categorie della democrazia borghese.
A differenza della CECA e dell’Euratom, la CEE non ha una funzione settoriale bensì generale, essendo diretta ad istituire una unione economica, attraverso l’eliminazione di barriere doganali, dazi, restrizioni quantitative e ogni altro ostacolo agli scambi di merci tra i Paesi membri, e la fissazione di una tariffa doganale comune negli scambi con i Paesi extracomunitari. Il Trattato CEE, sottoscritto a Roma il 25 marzo 1957 ed entrato in vigore il 1° gennaio 1958, prevedeva la progressiva creazione di un mercato interno perfettamente concorrenziale attraverso fasi successive, secondo modalità di spin off, per giungere alla completa eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione di capitali, merci, servizi e persone. Ogni tassello della politica di creazione del mercato unico sarebbe stato posto in essere “quando le condizioni materiali lo avessero consentito”, ovvero quando fosse stata trovata una adeguata e profittevole composizione ai molteplici interessi economici in ballo. L’integrazione europea, soprattutto quella politica e sociale, ma anche quella economica, è un obiettivo squisitamente secondario e subordinato, che può anche essere sacrificato qualora risulti non conveniente o non funzionale alla ricomposizione degli interessi delle classi dominanti: il proliferare le clausole di opting out e opting in ci consegna un’Unione Europea a integrazione differenziata e flessibile, a geometria variabile, à la carte in parole povere, soprattutto, ma non solo, per quanto riguarda la predominanza franco-tedesca, oggi tedesca. Anche la ripartizione delle sfere di competenza disegna una Unione Europea a cerchi concentrici: i Trattati disciplinano tre diverse categorie di competenze: a) esclusive, b) concorrenti, c) azioni di sostegno, coordinamento e completamento. Il TFUE, all’art. 3, elenca tassativamente i settori che rientrano nella competenza esclusiva: unione doganale, definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno, politica monetaria per gli Stati membri che abbiano adottato l’euro, conservazione delle risorse biologiche del mare e politica commerciale comune. La classe delle materie concorrenti è una classe formalmente residuale, nel senso che comprende le materie non comprese né tra le competenze esclusive né tra le azioni di sostegno, coordinamento e completamento, ma è la classe più consistente sul piano politico, comprendente materie quali mercato interno, politiche sociali, coesione economica, sociale e territoriale, agricoltura e pesca, ambiente, protezione dei consumatori, trasporti, reti transeuropee, energia, spazio di libertà, sicurezza e giustizia, problemi comuni di sicurezza in materia di sanità pubblica.
Per giungere al vigente assetto istituzionale di quella che chiamiamo Unione Europea, dobbiamo attraversare
- il Trattato di Bruxelles (1970), con il quale l’Assemblea europea diventa Parlamento europeo, l’Atto Unico Europeo (1986);
- il Trattato di Maastricht (1992), con il quale si giunge alla denominazione di Unione Europea, si definiscono i famigerati “tre pilastri” comunitari e si stabiliscono le condizioni e i tempi, i parametri, per l’unificazione monetaria e l’introduzione della moneta unica, l’euro;
- infine, il Trattato di Lisbona (2007), in realtà consistente in due Trattati, il Trattato sull’Unione Europea (TUE) ed il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), i Trattati sui quali l’Unione Europea è fondata sul piano prettamente istituzionale, con il progressivo riassorbimento dei tre pilastri. (La CECA, già estinta nel 2002, di fatto era stata riassorbita dai precedenti trattati, mentre l’Euratom sopravvive, quale entità autonoma, attraverso un Protocollo integrativo di raccordo con i Trattati UE.
La configurazione istituzionale dell’Unione Europea, consegnataci dai Trattati e dalle dinamiche delle pratiche politiche, rappresenta la concreta negazione non solo dello Stato costituzionale, democratico e sociale di impronta novecentesca, ma anche del più antico Stato liberale e di diritto, fondato sulla tripartizione dei poteri e sulla natura rappresentativa dei sistemi costituzionali, a dimostrazione che la democrazia borghese ha esaurito la propria funzione equilibratrice e che essa rappresenta, ormai, un ostacolo al perseguimento degli interessi delle classi dominanti borghesi, nazionali e/o imperialistiche.
La delimitazione di competenze, le competenze di attribuzione e sussidiarie, i poteri impliciti, i principi di sussidiarietà, proporzionalità e leale collaborazione non hanno realizzato alcun trasferimento di sovranità ad un livello sovranazionale in qualche modo democratico, bensì una soppressione brutale della residua ed effimera sovranità dei Parlamenti borghesi.
Le istituzioni dell’Unione Europea sono il Parlamento Europeo, il Consiglio Europeo, il Consiglio, la Commissione Europea, la Corte di giustizia dell’Unione Europea, la Banca Centrale europea, la Corte dei Conti. Il Consiglio Europeo, composto dai capi di stato e di governo, ha competenze particolarmente significative nella PESC (la politica estera e di sicurezza), mentre Parlamento, Consiglio e Commissione sono rappresentative, rispettivamente e solo formalmente, dei cittadini dell’Unione, dei governi degli Stati membri e dell’interesse unitario dell’Unione. Sul concetto volutamente ambiguo di interesse unitario torneremo in seguito. Qui basterà sottolineare che, a prescindere dalle competenze attribuite alle diverse istituzioni, nel Parlamento Europeo, e quindi nei cittadini europei, risiede solo una parte minoritaria e periferica della sovranità, che va subordinata ai governi, ovvero ai poteri esecutivi, e alla Commissione.
La sovranità del parlamento europeo, limitata, se non del tutto apparente, è evidente a partire dalle norme per l’elettorato passivo e l’elettorato attivo e per il sistema elettorale: fermo restando alcuni principi stabiliti dall’Unione, la competenza in materia è degli Stati membri. Così come le norme relative alla decadenza dalla carica di parlamentare europeo: come avviene quando la legislazione di uno Stato membro stabilisce espressamente la decadenza del mandato da membro del Parlamento Europeo; il suo mandato scade automaticamente ed il Parlamento europeo non ha nemmeno il potere della presa d’atto.
Per quanto concerne la funzione legislativa, fulcro della teoria liberale della tripartizione dei poteri e della rappresentatività dei sistemi costituzionali, non solo il Parlamento europeo è privato del fondamentale potere di iniziativa legislativa, essendo questo una prerogativa pressoché esclusiva della Commissione, ma il suo esercizio è condiviso con le altre due istituzioni europee, Consiglio e Commissione, sia nella procedura legislativa ordinaria, denominata procedura di codecisione, sia soprattutto nelle procedure legislative speciali, adottate per atti specifici come il bilancio dell’Unione.
Da sottolineare che il TFUE, art. 289, par.3, definisce atti legislativi “gli atti giuridici adottati mediante procedura legislativa”: apparentemente sembrerebbe trattarsi di una affermazione tautologica, in realtà è l’espressione evidente della sede virtuale del potere legislativo secondo i “padri fondatori” dell’Unione Europea. Su questa base sono ritenuti atti espressione del potere legislativo regolamenti, direttive e decisioni, che siano adottati con procedura di codecisione o con procedura speciale.
La procedura di codecisione prevede una pari potestà legislativa fra Parlamento e Consiglio, ma il potere di iniziativa spetta alla Commissione Europea, con la proposta che viene inviata contestualmente al Parlamento e al Consiglio. Lo stesso testo normativo deve essere approvato dal Parlamento a maggioranza dei voti espressi e, parallelamente, dal Consiglio a maggioranza qualificata.
Nelle procedure legislative speciali il rapporto tra Parlamento e Consiglio viene a sbilanciarsi, sempre a sfavore del Parlamento, che si limita all’espressione di un parere, obbligatorio ma non vincolante. In caso di ritardo del Parlamento, il Consiglio può emanare comunque l’atto senza parere.
Su alcune tipologie di atti del Consiglio, il Parlamento ha un potere di veto, ma non può in alcun modo incidere in senso propositivo sul contenuto dell’atto, in quanto, a differenza della procedura di codecisione, il Parlamento è totalmente estraneo alla formazione dello stesso.
Una menzione speciale merita il procedimento di approvazione del bilancio, disciplinato dall’art. 314 del TFUE, secondo una procedura legislativa speciale: entro il 1° settembre di ogni anno, la Commissione propone al Consiglio ed al Parlamento un progetto di bilancio. Il primo esame del progetto spetta al Consiglio che, entro il 1° ottobre, comunica al Parlamento la propria espressione di voto, motivandola adeguatamente. Il bilancio dell’Unione è adottato se viene approvato dal Parlamento entro 42 giorni o se nello stesso periodo di tempo il Parlamento non si esprime. Nel caso in cui il Parlamento dissenta dal progetto di bilancio, si attiva il complesso meccanismo di conciliazione, analogo a quello previsto nelle procedure di codecisione. Da sottolineare, però, che il Parlamento può intervenire solo sulla definizione delle spese obbligatorie, ma non sulle entrate dell’Unione, per le quali esercita esclusivamente un ruolo consultivo.
La democrazia liberale aveva il proprio fondamento nel principio “No taxation without representation”: per l’affermazione di tale principio erano cadute le teste di Carlo I Stuart, di Luigi XVI e di Maria Antonietta, si erano avute la prima e la seconda rivoluzione inglese, la guerra di indipendenza americana, la rivoluzione francese. Oggi le borghesie, nazionali e non, trovano più comodo e conveniente liberarsi dai legacci della rappresentanza parlamentare a qualunque livello, per addivenire ad una composizione dei propri interessi in altre sedi e con altre procedure, sempre più sbrigative. In questo senso, il ruolo chiave è svolto dalla Commissione Europea che “promuove l’interesse generale dell’Unione e adotta le iniziative appropriate a tale fine”.
Il punto è il seguente: come viene individuato e definito questo fantomatico interesse generale, o unitario, differente dagli interessi degli Stati membri e soprattutto da quello dei cittadini dell’Unione, così come sarebbero rappresentati nel Parlamento europeo? L’interesse generale dell’Unione è sancito nei Trattati fondativi: libero mercato, libera concorrenza e appropriazione privata dei profitti, e la Commissione Europea, in particolare il Collegio dei Commissari, ne è non solo il garante ma anche l’attuatore. Il Collegio dei Commissari, a cui spetta il ruolo di indirizzo strategico e politico della Commissione, si avvale, per il reperimento delle informazioni e per la definizione delle proposte da sottoporre al Consiglio e al Parlamento, della struttura della Commissione Europea e delle sue articolazioni, Direzioni Generali, Dipartimenti, Servizi, Uffici e Agenzie. Ma si avvale anche delle oltre 11.000 lobbies accreditate: imprese multinazionali, studi legali, ordini professionali, associazioni di categoria, associazioni di consumatori, enti territoriali, gruppi di interesse e di pressione in genere che, nel mettere a disposizione il proprio expertise tecnico, sono portatori di interessi particolari che dovrebbero trovare una composizione nelle proposte della Commissione Europea. Le rappresentanze dei lavoratori sono assolutamente residuali ed ininfluenti.
Abbiamo voluto analizzare puntualmente l’assetto istituzionale della UE non perché si creda in alcun modo al suo ruolo positivo, ma per evitare che si parli, peraltro giustamente, contro di essa, senza averne la minima conoscenza. Solo così possiamo concludere che l’interesse generale ed unitario di cui la Commissione è garante ed esecutore materiale è, sostanzialmente e concretamente, l’interesse delle classi dominanti borghesi, finanziarie ma non solo, che trovano a Bruxelles la sede nel tentare di ricomporre i propri interessi confliggenti.
Alla fine, però, come sempre, sono i rapporti di forza reali, gli stessi conflitti tra gli imperialismi europei ed i loro alleati/avversari esterni, a decidere i vincitori e gli sconfitti. Sottrarci a tali conflitti inter-imperialistici e far emergere limpidamente il conflitto capitale-lavoro è il nostro compito di comunisti, oggi stesso, in Italia ed in Europa.
Fronte Militante per la Ricostruzione del Partito Comunista