IL DDL SICUREZZA E LA REPRESSIONE COME SOLUZIONE DEI PROBLEMI SOCIALI
È in attesa di essere approvato dal Senato ed essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Ddl 1660, il cosiddetto “Ddl Sicurezza”, un atto legislativo che coincide con un aggravamento della spirale discendente verso lo Stato di polizia che mira a reprimere le lotte sociali. In ottemperanza con la tendenza, tipica di tutti i più recenti esecutivi, di affrontare ogni forma di problematica sociale come se fosse un problema di ordine pubblico, infatti, questo insieme di misure ha come obiettivo politico quello di rendere reato o inasprire le pene per molte delle forme più combattive di conflitto di classe e, in generale, di lotta per i diritti di base come quello alla salute, al lavoro ben retribuito, alla casa e all’istruzione pubblica e gratuita. Che l’impianto del disegno di legge sia deliberatamente diretto a tutelare la violenza padronale e gli interessi degli sfruttatori è confermato anche dalle dichiarazioni di Piantedosi alla Camera.
Non tutte le misure che elencheremo appaiono “a primo impatto” avere una rilevanza repressiva nei confronti delle lotte sociali: andremo a spiegare in questo articolo la ragione per cui è invece questo il caso. Ci proponiamo di analizzare le maggiori disposizioni del Disegno di legge distinguendo, dentro di esso, sei aree di intervento, illustrando le conseguenze che tali disposizioni provocheranno sulle lotte per i diritti sociali e il diritto al dissenso in generale. Per ogni punto andiamo dunque ad indicare il fine politico nascosto dietro le norme approvate.
- Scoraggiare forme di lotta particolarmente aspre. Nella sua versione attuale, il Codice Penale punisce con una multa fino a 10.000 euro e con la reclusione da uno a cinque anni chi distrugge o rovina «cose mobili o immobili altrui» durante le manifestazioni che si svolgono in un luogo pubblico o aperto al pubblico. Il testo approvato alla Camera stabilisce che se questo reato è commesso con la violenza o la minaccia, le pene aumentano: la multa può arrivare fino a 15.000 euro, mentre la reclusione parte da almeno un anno e sei mesi. Il disegno di legge del governo intende poi estendere il reato di «deturpamento e imbrattamento di cose altrui». Infatti, nel caso in cui sia commesso contro «beni mobili o immobili adibiti all’esercizio di funzioni pubbliche» e «con la finalità di ledere l’onore, il prestigio o il decoro dell’istituzione cui il bene appartiene», il reato di deturpamento è punito con la reclusione da sei mesi a un anno e sei mesi e con una multa da mille a 3.000 euro.
Obiettivo non molto celato di queste norme è depotenziare il più possibile le forme di protesta pubbliche che utilizzano atti dimostrativi finalizzati a suscitare clamore e attenzione mediatica, come quelli praticati negli ultimi tempi da diversi attivisti per il clima. Soprattutto, l’accento messo sul “danneggiamento” di cose altrui sembra essere diretto a colpire duramente attività di boicottaggio come, ad esempio, l’interruzione con la forza dell’operatività di mezzi di trasporto o del funzionamento di strumenti e infrastrutture utilizzate per il trasporto di armi da esportare, o pratiche simili utilizzate nei picchetti dei lavoratori al fine di interrompere il flusso di merci dentro e fuori le fabbriche.
- Depotenziare drasticamente il potere negoziale delle manifestazioni e delle proteste pubbliche. Attualmente la legge punisce con una multa da mille euro a 4 mila euro chi impedisce la circolazione su una strada ordinaria usando il proprio corpo. Il disegno di legge dispone che ostruire la circolazione stradale anche soltanto tramite il proprio corpo diviene un reato punibile con la reclusione fino a due anni. Esso stabilisce anche l’aggravante di luogo, caso unico nella storia del diritto penale, secondo la quale tale reato è considerato più grave se commesso all’interno delle stazioni ferroviarie; sancisce poi delle aggravanti aggiuntive in caso di resistenza a pubblico ufficiale o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario, o se il reato è compiuto per contrastare la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica.
Questo pacchetto di misure è esplicitamente finalizzato a colpire coloro che mettono in pratica tipologie di lotta pesanti benché pacifiche, che includono il blocco della circolazione, fondamentali storicamente (e per questo storicamente perseguitate) al fine di acquisire potere contrattuale nei confronti delle autorità o per ostacolare pratiche deleterie già citate al punto precedente, come l’export di armi e l’aggiramento di picchetti. C’è da notare che il governo Conte I, espressione del Movimento 5 Stelle e della Lega, aveva istituito il primo “decreto sicurezza” nel 2018 reintroducendo proprio il reato di blocco stradale: esso sanciva che chi ostruiva con un mezzo la circolazione su strada o su ferrovia dovesse essere punito con la reclusione da uno a sei anni. La stessa normativa istituiva poi le pene attualmente in vigore, le multe, per il blocco stradale per mezzo del proprio corpo. Questo fatto è un segnale di come l’inasprimento delle pene per i manifestanti sia una caratteristica funzionale alla necessità di disincentivare le proteste e ridurne l’impatto in seguito all’approfondirsi della crisi capitalistica, a prescindere dal colore dei governi borghesi al potere.
- Rendere inoffensivi i militanti più battaglieri. Il Ddl a cui la Camera dei deputati ha dato approvazione conferisce ai questori il potere di vietare l’accesso a luoghi pubblici a persone che hanno ricevuto una denuncia o una condanna anche in assenza di una sentenza definitiva, nel caso in cui queste persone siano state accusate nei cinque anni precedenti di vari reati (ad esempio, lesioni) commessi dentro strutture pubbliche come mezzi di trasporto, stazioni, porti e aeroporti. Il Ddl Sicurezza sancisce inoltre che la sospensione condizionale della pena nei confronti dei condannati per alcuni tipi di reato, commessi nelle aree dei trasporti pubblici, si potrà accordare a una persona solo in caso questa osservi il divieto di entrare in determinati luoghi, deciso dal giudice.
Queste disposizioni colpiscono, com’è palese, la facoltà di protestare da parte di soggetti (sindacalisti, attivisti, etc…) che si sono distinti in conflitti sociali (aspri al punto da portare, ad esempio, scontri di piazza) e che sono stati colpiti dalla repressione giudiziaria in ambiti come quelli dei precedenti due punti.
- Reprimere le giuste proteste di proletari immigrati e carcerati. La nuova legge introduce il reato di “rivolta all’interno di un istituto penitenziario”: «chiunque, all’interno di un istituto penitenziario, partecipa a una rivolta mediante atti di violenza o minaccia o di resistenza all’esecuzione degli ordini impartiti, commessi da tre o più persone riunite, è punito con la reclusione da uno a cinque anni». Tra gli «atti di resistenza» sono inclusi anche i comportamenti di resistenza passiva che ostacolano il compimento di atti d’ufficio utili alla gestione dell’ordine nel carcere. In particolare, se tra le conseguenze della rivolta vi è la morte di una persona le pene per i promotori vanno da 10 a 20 anni. Mentre adesso coloro che istigano pubblicamente «alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico» sono puniti con il carcere da sei mesi a cinque anni, il Ddl Sicurezza incrementa le pene nel caso in cui il primo reato è compiuto in un istituto di pena oppure attraverso una comunicazione diretta a dei detenuti. La nuova legge, ancora, punisce con la reclusione da uno a sei anni coloro che, insieme ad altre tre persone, organizzi o partecipi a una «rivolta» in un centro di accoglienza per immigrati o in un centro per i rimpatri (CPR), usando violenza o atti di resistenza passiva. La nuova legge, inoltre, dispone il divieto di acquisto di una scheda SIM da parte di una persona con cittadinanza extracomunitaria che sia senza permesso di soggiorno. Infine, mentre attualmente il Codice penale stabilisce che l’esecuzione di una pena deve essere rinviata obbligatoriamente se la condannata è una donna in stato di gravidanza o madre di un bambino minore di un anno di età, il rinvio diventa facoltativo con il Ddl Sicurezza.
La disobbedienza civile e la protesta pacifica sono esplicitamente punite da queste disposizioni, e a questo si aggiungono le misure inumane di impedire agli immigrati l’utilizzo del telefono e alle donne incinte condannate di portare a termine serenamente la gestazione. Il carattere di classe e repressivo della legge è evidente soprattutto se si analizza qualche dato sulla composizione di classe dei detenuti in Italia e sulla condizione delle carceri e dei CPR. Circa il 45,2% delle persone recluse proviene da quattro regioni a basso reddito: Campania, Puglia, Sicilia e Calabria; delle 29.550 persone detenute censite, sulle 57.525 presenti al 30 giugno 2023, risulta che ci sono più analfabeti e persone alfabetizzate ma senza titolo di studio che laureati. Ma soprattutto, dalle statistiche risulta che il 90% dei carcerati proviene da quella fetta di popolazione italiana che vive sotto la soglia di povertà (ISTAT). Detto questo, va notato che oggi le violenze psicologiche in carcere sono all’ordine del giorno. Le stesse condizioni di detenzione (sovraffollamento, celle troppo piccole, spesso con carenza di docce, acqua calda, luce, aria, schermatura alle finestre, toilette a vista) ovviamente si traducono in una violenza psicologica, cui si aggiungono frequenti episodi di comportamenti abusivi da parte della polizia penitenziaria. Una tale situazione determina il moltiplicarsi dei suicidi e di atti di autolesionismo, nonché un elevato tasso di recidività. I CPR, poi, sono dei veri e propri campi di concentramento, essendo dei buchi neri in cui si verificano continue e gravissime violazioni dei diritti fondamentali degli immigrati trattenuti, che vivono in condizioni pessime. A ciò si aggiungono abusi di ogni tipo: mentre, ad esempio, la legge prescrive che alle persone straniere trattenute nei CPR sia “assicurata in ogni caso la libertà di corrispondenza anche telefonica con l’esterno”, come da prassi attuata in diversi CPR, l’uso dei telefoni non è consentito o è estremamente limitato. Tutti i telefoni vengono sequestrati all’atto dell’ingresso e presi in consegna dall’ente gestore che, secondo quanto precisato dalla Prefettura, provvede a custodirli all’interno di armadietti a ciò predisposti. Manca, inoltre, una modalità scritta e immediata di manifestazione della volontà di presentare istanza di riconoscimento della protezione internazionale: non è possibile sapere in modo certo il giorno esatto in cui il trattenuto ha manifestato tale volontà. Questione di non poco conto considerando che, come affermato dalla giurisprudenza, a partire dalla manifestazione di volontà di chiedere protezione decorrono i termini per la convalida del trattenimento del richiedente asilo.
- Aumentare il potere deterrente della polizia nei confronti delle contestazioni. Oggi la legge punisce con la reclusione da sei mesi a cinque anni chi minaccia «un pubblico ufficiale» o «un incaricato di un pubblico servizio», o utilizza la violenza per indurlo ad agire in maniera contraria ai propri obblighi. Il Ddl Sicurezza estende la pena di un terzo nel caso in cui il reato di “violenza o minaccia a un pubblico ufficiale” è commesso nei confronti «di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza». Lo stesso inasprimento delle pene è istituito per il reato di “resistenza a pubblico ufficiale”. Inoltre, il Ddl 1660 arriva a punire anche il “terrorismo della parola”, cioè la detenzione di scritti che inneggiano alla lotta.
Delle norme del genere, in assenza di strumenti, come telecamere obbligatorie e modalità per identificare gli agenti, che offrano la possibilità di verificare le reali dinamiche di eventuali scontri fisici tra manifestanti e forze dell’ordine, è nient’altro che un assist per intimidire ancora di più la partecipazione della popolazione a contestazioni e proteste. Intimidisce deliberatamente anche la propaganda di ogni tipo combattivo di lotta, utilizzando sempre più la categoria di “terrorismo” per identificare ogni atto che può criticare e smascherare del potere e le istituzioni che fanno gli interessi del capitale, anche senza costituire una reale minaccia per le istituzioni borghesi. È questo il caso delle proteste degli attivisti ecologisti, la repressione delle quali rappresenta uno degli obiettivi espliciti dei provvedimenti securitari più recenti. Ricordiamo inoltre che, qualche tempo fa, diversi dirigenti del sindacalismo di base sono stati addirittura accusati di associazione a delinquere per aver praticato quella che, in definitiva, è pura e semplice attività sindacale atta a difendere gli interessi dei lavoratori. Il piano inclinato sul quale ci si muove è evidentemente questo: colpire sul nascere anche le forme più spontanee e meno organizzate delle lotte sociali, anche la lotta economica, o le forme più compatibili con l’assetto politico attuale, per impedire che su di esse si possano innestare degli avanzamenti sul piano politico e organizzativo.
- Reprimere le lotte per il diritto alla casa. Il Ddl introduce il nuovo reato di occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui: «chiunque, mediante violenza o minaccia, occupa o detiene senza titolo un immobile destinato a domicilio altrui o sue pertinenze, ovvero impedisce il rientro nel medesimo immobile del proprietario o di colui che lo detiene legittimamente, è punito con la reclusione da due a sette anni». Anche chi coopera nell’occupazione o riceve denaro per agevolare l’occupazione è soggetto a sanzioni.
L’arbitrarietà di questo disposto è chiara se si tiene in considerazione quanto l’emergenza abitativa sia un fenomeno in crescita nel nostro Paese: una crescente condizione di difficoltà per tante famiglie, sulla quale pesano la ripresa generalizzata delle esecuzioni degli sfratti per morosità incolpevole (stimati dai 130 mila ai 150 mila dopo la pandemia sulla base degli ultimi dati del Ministero dell’Interno), le esecuzioni immobiliari sulla prima casa,1 la forte incidenza sui costi dell’abitazione dei rincari delle utenze domestiche e degli oneri condominiali per il consumo energetico con 2,2 milioni di famiglie che risultano in condizioni di povertà energetica. L’Italia, inoltre, presenta una quota insufficiente di edilizia pubblica (il 4% del patrimonio abitativo e un quinto del mercato dell’affitto) e, più in generale, una scarsa disponibilità di alloggi con costi commisurati ai redditi. In questo contesto, parallelamente, i palazzinari accumulano patrimonio immobiliare e speculano sulle compravendite e sui costi degli affitti anche tenendo appartamenti vuoti.
Di fronte alla severità delle pene descritte in questo testo, per punire e reprimere attività spesso conseguenza di necessità sociali improrogabili, vogliamo ricordare come, al contrario, molti dei reati espressione di sfruttamento selvaggio e di speculazione capitalistica siano colpiti con pene estremamente leggere. Un esempio su tutti è come si puniscono i padroni negligenti nel caso di infortuni sul lavoro. In assenza del reato di omicidio sul lavoro, si ricorre a quello di lesioni personali colpose in violazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro: se la lesione è grave la pena è della reclusione da tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000, se la lesione è gravissima la pena è della reclusione da uno a, massimo, tre anni. Per fare un altro esempio, l’aggiotaggio, il rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio, è punito con la reclusione fino a 3 anni e con la multa da euro 516 a euro 25.822.
Il carattere di classe della giustizia rivela in questi numeri tutto il suo peso. Misure simili, d’altronde, vanno a incrementare ancora di più la natura autoritaria e repressiva di tutti gli apparati dello Stato borghese, a prescindere dai governi insediati a Palazzo Chigi, anche perché tendono a radicare nel personale delle forze dell’ordine e negli istituti che le coordinano, come il Ministero dell’interno, un modus operandi sempre più antidemocratico e classista. Una cultura repressiva che, come accennato, le forze attualmente all’opposizione solo a parole hanno intenzione di combattere una volta tornati al governo, come testimonia il mantenimento delle varie forme di repressione delle proteste e delle fasce fragili della popolazione durante i loro esecutivi.
1 – La procedura di esecuzione immobiliare che inizia quando, a seguito del mancato pagamento da parte del debitore, il creditore si rivolge al Tribunale di competenza per ottenere il suo credito, rivalendosi sui beni immobili di proprietà del debitore.