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Home›Capitale/lavoro›Legge di bilancio 2026: economia di guerra e regali ai padroni

Legge di bilancio 2026: economia di guerra e regali ai padroni

Di Domenico Cortese
17/10/2025
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Il Consiglio dei Ministri ha appena approvato il disegno di legge della terza legge di bilancio del governo Meloni, che prosegue sul percorso tracciato dalle prime due e conferma il carattere classista e antipopolare dell’esecutivo. In essa si trovano tagli ai servizi pubblici giustificati dai vincoli di bilancio europei, diminuzione della progressività fiscale, incremento dei sussidi alle imprese e crescita degli investimenti in armamenti, unica voce con un sostanziale aumento della spesa. Il tutto in un quadro in cui, mentre i salari reali pagano ancora il crollo avvenuto negli ultimi quattro anni, i padroni accrescono i loro profitti nonostante la generale stagnazione dell’economia. Il documento programmatico di finanza pubblica approvato dal governo il 2 ottobre e le dichiarazioni del Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e degli altri esponenti del governo tracciano il quadro di una manovra che, sebbene ancora formalmente in via di definizione, vede già chiaramente definito indirizzo politico, vincoli economici e misure fondamentali.

Il ruolo dei vincoli di bilancio

Il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti

Sulla scia delle leggi di bilancio precedenti e delle politiche dei precedenti governi, nella manovra in preparazione i vincoli di bilancio europei svolgono un ruolo da protagonista nel giustificare gli ennesimi tagli allo stato sociale e la misera disponibilità di fondi per il salario indiretto (servizi pubblici) e differito (pensioni) dei proletari italiani. Infatti, come abbiamo fatto notare in passato, dopo la breve deroga negli anni peggiori della pandemia, i vincoli europei da quasi due anni hanno riassunto in pieno la loro funzione di garantire questi tagli. Essi, con il nuovo patto di stabilità approvato nella primavera del 2024, divengono se possibile ancora più stringenti: i famosi parametri del 60% (rapporto Debito/PIL) e del 3% (rapporto Deficit/PIL) rimangono validi e sono in alcuni aspetti resi ancora più incombenti. Infatti, si prevede, per i Paesi con un debito superiore al 90% del PIL, che debbano ridurlo di un punto percentuale ogni anno e per i Paesi con un debito compreso tra il 60% e il 90% si prevede una riduzione dello 0,5% annua. Non ci sono infatti possibilità di sforare il tetto del 3% del deficit, poiché solo in questo modo l’Italia può sperare di uscire anticipatamente dalla procedura d’infrazione avviata per il disavanzo eccessivo: la Commissione Europea ha raccomandato che l’Italia ponga fine alla situazione di deficit eccessivo entro il 2026, assicurando che il tasso di crescita nominale della spesa netta non superi l’1,3% nel 2025 e l’1,6% nel 2026. Questa normativa è la cornice legislativa del controllo e del “ricatto” che i capitali privati, anche grazie al fatto di essere liberamente circolanti nel mercato unico europeo, esercitano di fatto sull’approvvigionamento finanziario e sulle politiche economiche degli Stati (garantendosi il pagamento delle rendite finanziarie, come gli interessi sui titoli di Stato, e che gli investimenti dei governi siano diretti a favorire la redditività del capitale privato). In sintesi, quindi, lo Stato deve spendere meno in politiche sociali perché, altrimenti, i capitali privati che prestano ad esso denaro – sentendosi minacciati nei loro profitti – cominciano a tirarsi indietro dall’acquisto di Titoli di Stato.

Il contesto della legge di bilancio

A conseguenza di questo, avevamo visto come anche già la scorsa legge di bilancio, a fronte di stanziamenti ridicoli a favore delle famiglie a basso reddito, si distingueva, soprattutto, nella conferma di numerosi sussidi ai padroni. Il contesto economico e sociale specificatamente italiano riflette d’altronde le conseguenze di queste misure politiche di lungo corso. Negli ultimi cinque anni i salari reali sono crollati del 7%, e nei precedenti 30 anni essi erano rimasti stagnanti (anzi, si erano ridotti di un punto percentuale). Negli stessi anni i padroni hanno prosperato. Un’indagine dell’Area Studi di Mediobanca sulle società italiane di media e grande dimensione ha riportato che, nonostante pandemia, crisi della supply chain, guerre e inflazione, la traiettoria 2015-2024 ha visto i ricavi delle imprese mediamente cresciuti del 37,6%. Dal 2010 in poi, ovvero dall’anno da cui iniziano le serie dell’ISTAT, non era mai stato realizzato il margine di profitto del 44,8% di fine 2022 da parte delle aziende italiane. Come riporta l’ISTAT, a giugno 2025, il fatturato dell’industria, corretto per gli effetti di calendario, registrava incrementi tendenziali dello 0,3% in valore e dello 0,7% in volume. Si evidenzia anche una crescita dell’1,7% sul mercato interno (+1,8% in volume), mentre per il settore dei servizi, al netto degli effetti di calendario, si rilevano incrementi tendenziali del 3,6% in valore e del 3,5% in volume. Il secondo trimestre del 2025 si è chiuso, inoltre, con un saldo positivo di +32.800 imprese tra iscrizioni e cessazioni. È il miglior risultato degli ultimi cinque anni nello stesso periodo, segnale che le crisi economiche che abbiamo citato e il carovita sono stati fatti pagare esclusivamente ai lavoratori e al proletariato, mentre i capitali, grandi e piccoli, hanno continuato a fare affari come sempre.

La legge di bilancio 2026 deve essere, infine, considerata nella cornice politica del nuovo bilancio dell’Unione Europea, indirizzato all’obiettivo di rafforzare la competitività dei propri monopoli e nel quale ogni investimento è collegato e subordinato alle esigenze belliche di riarmo, con gli appalti per le armi a livello UE e la militarizzazione delle vie di trasporto.

Le misure della manovra

Innanzitutto, va detto che l’intera legge di bilancio muoverà una cifra molto leggera, proprio per via dei vincoli di bilancio di cui abbiamo parlato: sono previsti, infatti, interventi per 18,7 miliardi, tanto che lo stesso Ministero dell’Economia si aspetta che non abbia alcun impatto positivo sulla crescita. Di questi miliardi, alcuni proverrebbero dalle maggiori entrate fiscali e circa 10 dalla revisione delle spese dei dicasteri che non sono altro, come accennato, che nuovi tagli alla spesa sociale. Il contributo di banche e assicurazioni ammonta, infine, a circa 4,3 miliardi, nonostante i profitti record macinati dalle sole banche nel periodo 2022-2024 ammontino a ben 112 miliardi di euro.

Si può tranquillamente affermare che l’obiettivo principale della manovra è il raggiungimento della spesa militare al 2,5% del PIL entro il 2028. Questo determina, secondo le stime di Milex Osservatorio sulle spese militari, un esborso aggiuntivo così articolato: 3,5 miliardi di spesa addizionale nel 2026, 7 miliardi nel 2027 e oltre 15 miliardi nel 2028. Definire questa una “economia di guerra” non è, quindi, per nulla peregrino. A fronte di questo, sono trascurabili le misure a favore di lavoratori e famiglie.

Dal punto di vista fiscale, il cuore della manovra dovrebbe essere, invece, la riduzione di due punti dell’IRPEF dal 35% al 33% per i redditi da 28.000 euro a 50.000 euro. Una simulazione da parte del centro studi di Unimpresa ha calcolato che il guadagno mensile per questa fascia di reddito consisterebbe di 3 euro per chi guadagna 30.000 euro, 20 euro per chi ne guadagna 40.000 e 37 euro per chi ne guadagna 50.000. Quello su cui bisognerebbe concentrarsi è, tuttavia, il fatto che anche quando si tratta di offrire facilitazioni minime a chi ha redditi da lavoro o al ceto dei piccoli e medi autonomi – che spesso ricadono in questa fascia di reddito – l’esecutivo sceglie di imboccare la via della regressività fiscale, piuttosto che favorire aumenti della liquidità disponibile a chi, ad esempio, è sotto la soglia di povertà.

Oltre questo, la manovra è caratterizzata da ulteriori regali alle imprese pagati dalla collettività. Ad esempio, viene introdotta l’IRES premiale, lo sconto d’imposta per le imprese che investono e assumono. Si tratta di una riduzione dell’IRES (dal 24 al 20%) che riguarda le aziende che decidono di non distribuire gli utili prodotti, ma di investirne una parte nella propria crescita, acquistando beni o assumendo. Si continua a condonare, poi, l’evasione fiscale praticata dai padroni: la rottamazione delle cartelle esattoriali, alla edizione “quinquies”, ha l’obiettivo di “alleggerire il magazzino debiti” che ha superato quota 1.300 miliardi di euro, distinguendo tra crediti effettivamente esigibili e quelli ormai inesigibili. Il nuovo condono dovrebbe essere riservato a specifiche categorie di contribuenti, limitato per importo e affiancato da un saldo e stralcio parziale. Rispondendo poi a una domanda sulle privatizzazioni, il ministro ha confermato che «abbiamo delle partecipazioni di cui dobbiamo completare la dismissione».

Emanuele Orsini, Presidente di Confindustria

Infine, le imprese, dopo le lamentazioni di Confindustria, ottengono un meccanismo di super ammortamento dei costi sostenuti per comprare beni strumentali per un valore complessivo di 4 miliardi di euro.

Per quanto riguarda le politiche del lavoro il governo, dopo aver liberalizzato ulteriormente i contratti stagionali e i contratti a termine negli scorsi mesi, nella legge di bilancio si focalizza sullo spalmare sull’intera collettività il costo del salario dei lavoratori che, invece, dovrebbe essere totalmente a carico del padrone. La manovra 2026 prevede, infatti, il raddoppio delle soglie di esenzione fiscale sui fringe benefit (beni o servizi non monetari concessi dal datore di lavoro ai dipendenti come integrazione al salario principale) a 4.000 euro per i lavoratori con figli e 2.000 euro per chi non ne ha, oltre all’aumento a 4.000 euro del limite per i premi di produttività con tassazione agevolata al 10%. Viene poi introdotta una tassazione fissa al 10% per straordinari, festivi e notturni e una “mini-IRPEF” al 10% sugli aumenti.

Per quanto riguarda il salario indiretto e differito, cioè i servizi pubblici e le pensioni, in attesa delle conseguenze dei tagli che abbiamo ricordato, viene mestamente confermato l’esistente con tutte le sue lacune. Sul fronte pensioni, infatti, vengono confermate per il 2026 Quota 103, Opzione donna e Ape sociale, con l’obiettivo di evitare l’aumento dell’età pensionabile legato all’aspettativa di vita. Per andare in pensione prima dei 64 anni, dal 2027 servirà aver raggiunto 43 anni e 1 mese di contributi per gli uomini, 42 anni e 1 mese per le donne. Restano invece i 42 anni e 10 mesi, uno in meno per le donne, per coloro che hanno più di 64 anni. La rivalutazione delle pensioni, invece, non consentirà alcun recupero dell’aumento del costo della vita, e le pensioni minime rimarranno bloccate a poco più di 600 euro al mese. Le poche risorse disponibili per questo ambito dovrebbero essere destinate al blocco dell’adeguamento dell’età pensionabile con le aspettative di vita: l’aumento di 3 mesi, che scatterà a gennaio 2027, dovrebbe essere congelato ma non per tutti, perché sarà solo per chi nel frattempo ha compiuto 64 anni, escludendo di fatto buona parte – circa il 90% – di coloro che accedono alla pensione anticipata.

Sul fronte sanitario, si prevede che nel 2026 il peso sul PIL della spesa sanitaria passi dal 6,4% di oggi al 6,5%, un aumento trascurabile che sparirà già l’anno successivo, quando si tornerà al livello attuale e che dipende dalla revisione al ribasso delle previsioni sul PIL. A questi miliardi già stanziati, sostiene il Ministro della Salute Orazio Schillaci, «se ne aggiungeranno 2,2,-2,5 per rendere più adeguato il Fondo sanitario nazionale». Un ammontare che non servirà neanche a recuperare il differenziale di inflazione accumulato negli ultimi anni, annunciato da affermazioni che ricordano molto quelle dello scorso anno, quando il Ministro ipotizzava un investimento di 3,7 miliardi che poi si ridussero a uno.

Conclusioni

Esplosione della spesa militare, stillicidio della spesa sociale, sussidi a chi in questi anni ha fatto profitto grazie a sfruttamento e aumento dei prezzi, benefici illusori pagati con i soldi di tutti. La manovra 2026 targata governo Meloni conferma l’indirizzo politico verso il quale Italia ed Europa si stanno dirigendo: economia di guerra – sia in termini di investimento in armi sia in termini di preparazione del “fronte interno” – , sostegno alle imprese che hanno beneficiato da guerra e genocidio, riduzione graduale ma costante dei diritti per lavoratori e proletari in generale. Una linea che conferma quella di questi ultimi anni in cui le risorse dedicate allo Stato sociale sono state sistematicamente dirottate per l’acquisto di armamenti, per grandi opere inutili e sussidi ai padroni, basti pensare al previsto aumento di circa 60 miliardi di euro l’anno a prezzi correnti entro il prossimo decennio delle spese militari, ai quasi 15 miliardi riservati al Ponte sullo Stretto, alla spesa per interessi che, nel 2024, secondo le stime del MEF, è stata di oltre 90 miliardi di euro e ai sussidi annuali alle imprese italiane che hanno di recente superato i 55 miliardi di euro all’anno. Un andamento che è in perfetta continuità con quello che ha caratterizzato le scelte dei governi precedenti a quello di Giorgia Meloni e che può essere ostacolato soltanto da una dura risposta delle masse attraverso il conflitto sociale.

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Domenico Cortese

Domenico Cortese, nato a Tropea nel 1987, dottore di ricerca in Filosofia e Storia. Gestisce il blog Il Capitale Asociale su FB e IG, è membro del comitato centrale del Fronte Comunista, in cui milita dalla sua fondazione. Collabora con L'Ordine Nuovo su argomenti di economia e attualità.

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