Dall’Unione Comunista Rivoluzionaria della Gioventù (bolscevica) (RKSM(b)) – Russia
6 maggio 2025
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Il contesto
Il destino della Serbia, così come di altri frammenti della Jugoslavia socialista, un tempo prospera, non può non evocare alcuni parallelismi tra gli abitanti dello spazio post-sovietico.
Nonostante alcuni approcci discutibili alla costruzione socialista, la Jugoslavia è riuscita a innalzare il tenore di vita, la cultura e la sicurezza sociale dei suoi cittadini a un livello irraggiungibile per tutte le sue ex repubbliche. L’aspetto principale in cui la Jugoslavia riuscì a fare un vero passo avanti fu la questione delle relazioni interetniche. Il governo socialista riuscì per molti decenni a riconciliare popoli che erano stati nemici per secoli. Il governo di Tito si prefiggeva l’ambizioso obiettivo di creare una nuova comunità sovranazionale – la nazione jugoslava – e nel corso del tempo sempre più abitanti della repubblica hanno finito per identificarsi come jugoslavi piuttosto che come serbi o bosniaci.
Negli anni ’90, tuttavia, il sogno di una federazione di nazioni fraterne basata sui principi dell’internazionalismo e della solidarietà è tramontato. Il modello jugoslavo di socialismo “autogestito” ha creato i presupposti perché imprese e intere regioni economiche fossero in concorrenza tra loro, e ha iniziato a emergere una borghesia nazionale. Come in altri Paesi socialisti dell’Europa orientale, il capitale ha utilizzato il nazionalismo latente e le discordie interetniche e religiose come strumento principale per rompere il sistema socialista.
Di conseguenza, il Paese ha iniziato a disintegrarsi in Stati indipendenti, un processo accompagnato da guerre sanguinose in cui sono morte più di 100.000 persone. Il culmine di questo massacro senza fine è stata la barbara operazione della NATO contro la Repubblica Federale di Jugoslavia nel 1999, che ha causato la morte di migliaia di civili e danni irreparabili all’economia del Paese.
La frammentazione del Paese è continuata fino al 2006, quando sono stati creati gli Stati indipendenti della Repubblica di Serbia e Montenegro. Tuttavia, i conflitti nazionali e territoriali non sono stati risolti. Secondo la costituzione serba, la repubblica parzialmente riconosciuta del Kosovo, con una popolazione prevalentemente albanese, fa ancora parte della Repubblica di Serbia. D’altra parte, popolazioni serbe significative vivono nei territori della Croazia e della Bosnia, e le tensioni nazionali in questi Paesi non sono ancora state risolte.
Tentennamenti multivettoriali
Per molti aspetti, la Serbia moderna è simile alle ex repubbliche fraterne: la stessa borghesia capitalista straniera, lo stesso potere mafioso corrotto, la stessa rinascita dell’ideologia di destra e del gretto nazionalismo. Per alcuni aspetti importanti, tuttavia, la Serbia è fuori dal panorama generale post-jugoslavo: le ragioni risalgono alle guerre jugoslave.
Per tutti gli anni ’90, in tutti i conflitti jugoslavi, i Paesi della NATO hanno costantemente sostenuto le parti che si opponevano a Belgrado: Croazia, Bosnia-Erzegovina, poi gli albanesi del Kosovo, fino all’intervento militare diretto. I Paesi occidentali sono responsabili dell’aggressione alla Jugoslavia nel 1999 e, insieme ai Paesi satelliti, hanno riconosciuto l’indipendenza della Repubblica del Kosovo, a differenza di Cina, Russia e numerosi altri Paesi (in totale 89 Paesi riconoscono il Kosovo come parte della Serbia, compresi tutti i membri dei BRICS).
L’irrisolta questione territoriale e la generale avversione per i Paesi occidentali, diffusa nella società serba, ostacolano il percorso apertamente filo-occidentale. In breve, la politica estera della Serbia può essere descritta come un tentativo di sedersi su tutte le sedie contemporaneamente.
Nel 2009 Boris Tadić, il primo presidente della Serbia “indipendente”, ha chiesto di entrare nell’UE. Il percorso di integrazione europea è stato proseguito dal successivo presidente Tomislav Nikolić e poi dall’attuale leader Aleksandar Vučić.
Nel 2017 Vučić è stato eletto dal Partito Progressista Serbo neoliberale filo-occidentale e l’accelerazione dell’integrazione con l’UE è stata uno dei punti chiave del suo programma. Tuttavia, il nuovo presidente non poteva ignorare i sentimenti della popolazione prevalentemente filorussa. Vučić è stato attivo nel costruire relazioni con la Russia, promettendo di “non imporre mai sanzioni contro la Russia”. La Serbia ha sviluppato una stretta cooperazione con la Russia: nel 2023, il volume degli investimenti diretti accumulati dalla Federazione Russa in Serbia ha superato i 3 miliardi di dollari. Tradizionalmente, la maggior parte degli investimenti riguarda il settore energetico: l’industria petrolifera serba è quasi interamente di proprietà del capitale russo – il 56% del monopolio petrolifero serbo NIS è di proprietà di Gazprom.
Con l’inizio dell’OMS[1], Vučić ha offerto Belgrado come sede per i colloqui di pace. Nonostante una serie di dichiarazioni di condanna formale dell’operazione, la leadership serba non ha mai aderito alle sanzioni. Inoltre, le autorità del Paese si dicono pronte ad approfondire la cooperazione e a proteggere gli investimenti russi.
La Serbia ha relazioni ancora più strette con la Cina: è diventata il partner chiave della Cina nel progetto 16+1, il ramo dell’Europa orientale dell’iniziativa One Belt, One Road. Grazie alla sua posizione geografica favorevole, i Balcani occidentali svolgono un ruolo importante nell’espansione economica della Cina in Europa. Nel 2024 la Cina era al primo posto in termini di investimenti diretti esteri in Serbia: una quota significativa è stata destinata a progetti infrastrutturali, il più grande dei quali è la ferrovia ad alta velocità Belgrado-Budapest. La Serbia sta diventando un importante hub di trasporto per le merci cinesi destinate all’UE, le imprese cinesi stanno acquistando attivamente le imprese serbe del settore energetico, minerario e metallurgico. Anche il fatturato commerciale è in crescita e ha raggiunto i 6,09 miliardi di dollari nel 2023. Negli ultimi 10 anni, le esportazioni serbe verso la RPC sono aumentate di 152 volte.
Tutto questo significa che Vučić ha dimenticato la sua piattaforma elettorale pro-europea e si è completamente riorientato verso i fratelli russi e i compagni cinesi? Niente affatto. L’adesione all’UE rimane un obiettivo a lungo termine. Il volume totale degli investimenti provenienti dall’UE supera ancora quello della Cina e le relazioni economiche con l’Europa non si sono indebolite.
Le aziende occidentali in generale si trovano ancora a loro agio in Serbia: nel 2024, l’azienda anglo-australiana Rio Tinto ha ripreso l’estrazione del litio nel più grande giacimento d’Europa nella valle del fiume Jadar, nella Serbia occidentale. Il litio è una risorsa strategica utilizzata per produrre batterie e accumulatori: per l’Europa, il giacimento è di grande importanza come alternativa all’approvvigionamento di batterie dalla Cina. I leader europei hanno fatto capire alle autorità serbe che le prospettive di ulteriore integrazione europea del Paese dipendono dalla realizzazione del progetto. Vučić ha portato avanti il progetto nonostante le obiezioni di ambientalisti e attivisti: le proteste di massa che ne sono seguite sono state dichiarate un tentativo di colpo di Stato. Vučić sarebbe stato informato dai suoi partner russi attraverso canali ufficiali, ma non è ancora chiaro chi, secondo i gentili informatori russi di Vučić, fosse dietro questo tentativo di rivoluzione colorata. Dopotutto, i Paesi occidentali erano i diretti beneficiari del progetto e lo stesso presidente li ha assecondati in tutto, fregandosene dell’opinione della popolazione e dell’ecologia del suo Paese. E perché la Russia ha avuto bisogno di aiutare Vučić per proteggere gli interessi del capitale occidentale? Le strade del mondo multipolare sono davvero imperscrutabili.
Pertanto, l’attuale leadership serba sta perseguendo quella che viene comunemente definita una “politica estera multivettoriale equilibrata”, formalmente non allineandosi completamente a nessuno dei blocchi imperialisti contrapposti: Stati Uniti e Cina. Tuttavia, non ne consegue che il regime di Vučić sia indipendente e non si sia venduto a nessuno. Al contrario, si è venduto a tutti allo stesso tempo e rappresenta temporaneamente una figura di compromesso conveniente per tutti gli attori che operano nei Balcani. Questo stato di cose è diventato particolarmente evidente durante le attuali proteste.
Il popolo contro Vučić
La flessibilità morale sopra descritta e la capacità di piegarsi abilmente a seconda della situazione sono abilità acquisite da Aleksandar Vučić tutt’altro che ieri. Ha iniziato la sua carriera politica nel Partito Radicale Serbo di estrema destra. Dal 1998 è stato ministro dell’Informazione nel governo di Mirko Marjanović. Sotto la guida di Vučić, i media hanno diffuso idee di superiorità nazionale serba e giustificato la pulizia etnica. Tra le altre cose, il futuro presidente ha chiesto di uccidere “100 musulmani per ogni serbo ucciso”.
Dieci anni dopo, però, il vento cambiò. Il Paese intraprese un percorso di riforme neoliberali. Gli ex membri del Partito Radicale Serbo, tra cui Vučić, formarono un nuovo Partito Progressista Serbo (SNS) con un orientamento europeista; Vučić si candidò alla presidenza. Grazie alla sua vasta esperienza nella propaganda e al controllo totale del partito sui media serbi, riesce a convincere la popolazione della sua miracolosa trasformazione da mini-Goebbels serbo a liberale progressista.
È ironico che oggi molti cerchino di vedere le attuali proteste come un tentativo di sabotaggio euro-atlantico contro il governo serbo moderato, che non vuole danneggiare le relazioni con la Russia. Quando Vučić è salito al potere, egli stesso è stato accusato di collusione con l’Europa contro la Russia – l’elezione del nuovo presidente è stata accompagnata da proteste di massa. Il nuovo presidente è stato accusato di pratiche elettorali scorrette, tra cui l’uso spregiudicato delle risorse amministrative e dei media – praticamente tutti i canali televisivi centrali erano controllati dal SNS e lavoravano per promuovere il “loro” candidato. Ad oggi, le autorità continuano a controllare completamente la televisione del Paese, sfruttando appieno il loro monopolio sull’informazione contro le nuove proteste.
Durante gli anni di governo di Vučić, il malcontento della popolazione non ha fatto che crescere. Questo è stato alimentato dal basso tenore di vita, dalla già citata palese svendita del Paese al capitale straniero e, soprattutto, dall’orrendo livello di corruzione. Gli scandali di corruzione che coinvolgono le più alte sfere del potere sono diventati comuni nel Paese. Nel luglio 2021, il leader di un gruppo di criminalità organizzata locale ha rivelato i suoi legami d’affari con la leadership del Paese, compreso Vučić.
Negli ultimi anni, il malcontento del popolo serbo nei confronti delle autorità ha raggiunto un punto di ebollizione.
Nel 2023, a seguito di una sparatoria in una scuola – un evento senza precedenti per il Paese – la Serbia è stata sommersa da proteste di massa contro l’inazione del governo e la propaganda mediatica della violenza. Questi eventi si sono sovrapposti alle proteste degli agricoltori che chiedevano maggiori sussidi statali. Nel dicembre dello stesso anno, l’opposizione ha organizzato proteste a seguito delle elezioni parlamentari e il governo ha dovuto indire una nuova elezione, ma il SNS ha vinto di nuovo, dopo di che le proteste sono state sospese.
A ciò hanno fatto seguito le proteste ambientali dello scorso anno contro l’estrazione del litio. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la tragedia di novembre a Novi Sad.
Novi Sad. L’ultima goccia
Il 1° novembre 2024 è crollata la tettoia in cemento della stazione ferroviaria di Novi Sad. Il risultato è che 15 persone sono morte e decine di persone sono rimaste ferite. La tragedia ha immediatamente sollevato molti interrogativi per le autorità e gli appaltatori cinesi che avevano terminato i lavori di ristrutturazione dell’edificio della stazione solo pochi mesi prima della tragedia. La natura opaca dei rapporti tra il governo e i costruttori ha sollevato legittimi sospetti di corruzione e appropriazione indebita dei fondi stanziati per la ristrutturazione.
Di conseguenza, le commemorazioni pacifiche a Novi Sad hanno iniziato a trasformarsi in proteste contro la corruzione. Le proteste hanno assunto prevalentemente la forma di raduni pacifici, alcuni atti di vandalismo e violenza sarebbero stati opera di provocatori filogovernativi. Approfittando delle provocazioni, le autorità hanno sparato gas lacrimogeni e hanno iniziato ad arrestare gli studenti. Sono stati segnalati diversi episodi di attacchi ai manifestanti da parte di “sconosciuti”. A fine novembre, in risposta alle violenze, i manifestanti hanno iniziato a occupare gli edifici scolastici di Novi Sad e gli studenti di altre città hanno iniziato a unirsi alle proteste.
A dicembre, le proteste si sono diffuse in più di 50 città. Gli studenti hanno iniziato a utilizzare attivamente la tattica del blocco delle autostrade. Le proteste non sono più strettamente studentesche, ma si sono uniti il personale docente e semplici cittadini preoccupati. Anche gli agricoltori hanno partecipato al blocco delle strade.
Con l’intensificarsi delle proteste, la violenza contro gli studenti si è intensificata. Oltre alle azioni della polizia, si sono verificati diversi casi di auto che hanno colpito i manifestanti che bloccavano le strade. I conducenti erano presumibilmente affiliati al partito al potere.
Il 22 dicembre, la più grande manifestazione nella storia del Paese ha avuto luogo in piazza Slavija a Belgrado per protestare contro la brutalità della polizia e gli attacchi per procura contro i manifestanti, con oltre 100.000 persone accorse in piazza.
La reazione delle autorità, sia nel campo dei media che direttamente nelle strade, può essere descritta come indiscriminata. In un primo momento, le autorità hanno negato la propria colpevolezza nella tragedia di Novi Sad, fino al punto assurdo di negare persino che fossero stati effettuati lavori di manutenzione alla disgraziata stazione. Tuttavia, le dimissioni del ministro dell’Edilizia Vesić, il giorno successivo alla tragedia, possono essere considerate un’indiretta ammissione di colpa. Sotto la pressione dell’opinione pubblica, il ministro è stato arrestato, ma poi assolto, il che ha provocato un’altra esplosione di rabbia popolare.
La propaganda ha etichettato i manifestanti come “sporchi rossi”, anarchici, fascisti, agenti croati ed emarginati ignoranti. La televisione controllata dal governo ha ignorato quasi completamente le proteste, mentre la propaganda ufficiale li ha contemporaneamente etichettati come pericolosi rivoltosi. Vučić ha minacciato che potrebbe disperdere i manifestanti in pochi minuti con un’unità speciale, ma semplicemente non è disposto a farlo per evitare vittime. Tuttavia, nonostante la riluttanza delle autorità a ricorrere a misure più attive per la dispersione, le autorità non hanno abbandonato la tattica di utilizzare teppisti prezzolati e auto utilizzate come arieti contro la folla.
A dicembre, Vučić ha annunciato la formazione di una coalizione filogovernativa di forze patriottiche. Tuttavia, la nuova coalizione non è riuscita a svolgere la sua funzione di contrappeso all’opposizione e di centro di consolidamento delle forze lealiste.
Il governo non ha ancora deciso se intende scusarsi o negare la propria responsabilità fino all’ultimo, ignorare le proteste oppure seminare il panico tra la popolazione, reprimere con la forza o aspettare che tutto si spenga da solo. Il livello di violenza non era sufficiente a intimidire gli studenti, ma bastava ampiamente a farli infuriare ancora di più.
L’escalation nel nuovo anno
L’inizio del nuovo anno 2025 è stato caratterizzato da un aumento delle attività di protesta e da un’escalation di rivendicazioni. Il 17 gennaio, i manifestanti hanno occupato l’edificio dell’amministrazione comunale di Novi Sad, ma sono stati successivamente costretti a uscire dalla polizia, che ha dovuto utilizzare mezzi speciali. Nello stesso giorno, i manifestanti hanno reso pubblico un elenco di quattro principali richieste rivolte al governo:
- Pubblicazione di tutta la documentazione relativa ai lavori di ristrutturazione della stazione ferroviaria di Novi Sad;
- Ritiro di tutte le accuse contro gli studenti arrestati;
- Apertura di procedimenti penali contro coloro che hanno attaccato impunemente i manifestanti;
- Aumento del 20% del budget destinato alle università.
L’ultimo punto è particolarmente significativo: alle rivendicazioni anticorruzione si aggiungono quelle di carattere sociale, mettendo in luce le reali radici del conflitto – la mancanza di diritti per studenti e lavoratori e l’allarmante livello di disuguaglianza (l’indice di Gini in Serbia è del 69,9%).
Nel mese di gennaio le proteste si allargano, coinvolgendo strati sempre più ampi della popolazione. Il maggiore sindacato nazionale dei lavoratori dell’istruzione (NSPRS) ha proclamato uno sciopero generale. Poco dopo, hanno seguito l’esempio il sindacato dei lavoratori del settore energetico, l’associazione degli avvocati, i dipendenti del trasporto pubblico, i lavoratori del settore culturale e altri ancora. Anche diversi piccoli e medi imprenditori si sono uniti agli scioperi. Nel corso dei mesi di protesta, si è registrato un notevole rafforzamento dell’organizzazione e un crescente senso di solidarietà tra gli studenti. Un esempio emblematico è stato il blocco di tutti e tre i ponti di Novi Sad, organizzato il 1° febbraio, quando agli studenti locali si sono uniti compagni provenienti da Belgrado, che hanno percorso a piedi 80 km per partecipare.
Il passaggio alla tattica degli scioperi e il coinvolgimento sempre più ampio delle masse hanno costretto il governo a fare concessioni. Hanno lasciato il proprio incarico il sindaco di Novi Sad, Milan Đurić, e il primo ministro Miloš Vučević, che era sindaco della città all’epoca dell’inizio della ristrutturazione della stazione – i posti vacanti sono stati occupati da figure altrettanto impopolari. Sempre nel mese di febbraio, il governo ha annunciato l’apertura di un’indagine sulle operazioni di corruzione legate alla ristrutturazione della stazione, rendendo pubblici alcuni documenti correlati. È stata soddisfatta la richiesta di aumentare del 20% il finanziamento alle università. Alcuni attivisti precedentemente arrestati sono stati liberati e le accuse ritirate. Tuttavia, ormai tutte queste misure non bastavano più a placare i manifestanti.
I manifestanti sono passati a rivendicazioni politiche più radicali, tra cui le dimissioni del presidente Vučić e lo scioglimento anticipato del parlamento. Continuando a oscillare tra bastone e carota, Vučić ha promesso un ampio rimpasto di governo e a parole ha appoggiato l’idea di elezioni parlamentari anticipate in un futuro imprecisato, ma tutto è rimasto lettera morta.
Nonostante ciò, il governo non ha rinunciato alle pratiche barbare di repressione delle proteste. Il 15 marzo si è svolta a Belgrado una delle manifestazioni più imponenti dall’inizio del movimento: secondo le stime, in piazza sono scese tra le 100.000 e le 300.000 persone. Durante il minuto di silenzio in memoria delle vittime del crollo della stazione, i partecipanti sarebbero stati esposti agli effetti di un “cannone sonoro” – un’arma di nuova generazione disumana usata per disperdere le folle – provocando panico generalizzato e la fuga di massa dei presenti da piazza Slavija. Nonostante l’esistenza di riprese video e numerose testimonianze oculari, le autorità negano di aver fatto uso dell’arma sonora. Per pura coincidenza, l’attacco con il cannone – “immaginato” dagli impressionabili studenti – è avvenuto contemporaneamente all’assalto da parte di picchiatori della giovanile filogovernativa “Studenti 2.0”, coperti dalla polizia.
Attualmente, lo scontro tra manifestanti e governo si trova in una situazione di stallo. Le proteste continuano, i manifestanti vengono ancora aggrediti da provocatori e speronati da veicoli legati – in modo non ufficiale – alla polizia e al partito al potere. Tuttavia, nessuna delle due parti riesce a ottenere una vittoria decisiva. L’evoluzione degli eventi dipenderà dalla capacità degli ideologi della protesta di conferirle un contenuto di classe più profondo. Resta inoltre aperta la questione del possibile sfruttamento del malcontento da parte di forze – interne ed esterne – interessate alla caduta dell’amministrazione Vučić.
Alla ricerca di burattinai e avanguardie
La propaganda ufficiale serba ha cominciato fin da subito a parlare di presunte ingerenze straniere, sono circolate notizie su presunti passaporti croati trovati addosso ad alcuni manifestanti. Il presidente Vučić ha definito le proteste un tentativo di “rivoluzione colorata”. La stessa posizione è stata espressa da Vladimir Putin, che ha sostenuto Vučić. Tuttavia, non è mai stato chiarito chi esattamente ci sarebbe dietro questi eventi. Ed è qui che iniziano i problemi: né gli Stati Uniti né l’Unione Europea hanno sostenuto le proteste, mantenendo una posizione di neutralità. Anzi, alcuni rappresentanti ufficiali occidentali – tra cui l’inviato speciale del presidente USA Grenell e il direttore della Commissione Europea per l’allargamento Koopman – hanno apertamente condannato le manifestazioni. Vučić, da parte sua, non ha mai rinunciato al suo piano di adesione all’UE, e il capitale occidentale in Serbia gode di ottima salute anche senza alcuna rivoluzione colorata.
Gli opportunisti del “Nuovo Partito Comunista di Jugoslavia” sostengono che le proteste siano state orchestrate dall’opposizione borghese e rappresentino un conflitto interno tra fazioni della borghesia. Tuttavia, l’opposizione legale in Serbia è debole e ideologicamente molto vicina al partito al governo, il SNS. Nessuno dei partiti legali è riuscito a cavalcare il movimento di protesta – un fatto che ha suscitato le lamentele dei liberal-progressisti europei.
Al momento, si è creata una situazione in cui grandi disordini non sono utili a nessuno degli “amici” della Serbia. Finché il presidente continua a svendere il paese e rimane una figura comoda per tutti gli attori in gioco, difficilmente sentiremo parlare di un “dittatore sanguinario” che “deve andarsene” e di eroici combattenti per la libertà. Tuttavia, con l’aggravarsi delle contraddizioni interimperialiste nei Balcani, la situazione potrebbe cambiare bruscamente.
Per quanto sia difficile scorgere in questi eventi una “traccia europea”, è altrettanto difficile trovare in essi una linea proletaria realmente progressiva. I limiti degli slogan liberali e le richieste di semplici “rimpasti” non permettono alle proteste di evolversi in un vero movimento popolare. L’unica via d’uscita consiste nel coinvolgimento ampio delle masse lavoratrici e in un lavoro sistematico di educazione e presa di coscienza sulle vere cause della corruzione, della disuguaglianza e del trattamento bestiale riservato al popolo serbo dal potere. Purtroppo, non esiste oggi in Serbia (né altrove) un partito d’avanguardia rivoluzionario capace e pronto ad assumersi questo compito.Tuttavia, lo stesso sviluppo delle proteste ha fornito ai partecipanti lezioni importanti: tutti i successi – per quanto parziali – sono stati ottenuti solo grazie al coinvolgimento delle organizzazioni dei lavoratori e al ricorso alla tattica dello sciopero. Al contrario, le istituzioni borghesi e democratiche e gli “amici della libertà” europei, su cui contavano anche i più ingenui tra gli studenti partiti per il loro “Tour a Strasburgo”, non hanno offerto alcun aiuto concreto. Resta la speranza che queste lezioni vengano ben assimilate da tutte le forze progressiste che aspirano al cambiamento – non solo in Serbia.
Nota
[1]: Operazione Militare Speciale, ci si riferisce all’invasione russa dell’Ucraina nel 2022. La sigla utilizzata è quella conforme alla narrazione governativa russa in quanto parlare di “guerra” nei social e su internet in generale è sanzionabile in Russia per legge. NdT