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Viabilità in Calabria e Sicilia: la modernità non passa dal Ponte

Di Domenico Cortese
25/08/2025
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È di qualche settimana fa la notizia dell’approvazione da parte del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (CIPESS) del progetto definitivo del Ponte sullo Stretto di Messina. Il costo dell’opera è di 13,532 miliardi di euro, interamente coperto con finanziamenti pubblici già disponibili a seguito delle leggi di bilancio 2024 e 2025. In questo articolo cercheremo di riassumere i motivi per cui questo progetto sia estremamente lontano dalle reali esigenze della collettività nel territorio e in che modo le grandi risorse materiali e umane mobilitate per il Ponte (e per i profitti delle tante imprese che contribuiranno alla sua costruzione) sarebbero meglio impiegate per la qualità della vita dei residenti, concentrandoci su Calabria e Sicilia.

I “benefici” del Ponte

Le diverse analisi costi-benefici della costruzione del Ponte sullo Stretto non valutano, per la loro stessa natura di studi sui meri fattori contabili ed economici dell’opera, i vantaggi sulla qualità della vita dei residenti che avrebbero luogo se la cifra stanziata per il Ponte fosse utilizzata per ammodernare infrastrutture utili ai bisogni quotidiani della collettività calabrese e siciliana.

Poiché gli standard di vita e la qualità della stessa sono difficilmente quantificabili in termini monetari – mentre i benefici del Ponte vengono sempre stimati in questi termini – è lasciato fuori dalle statistiche quanto di buono accadrebbe se, per esempio, con parte di quelle risorse fossero rimesse a nuovo tutte le strade provinciali della regione. Non esistono stime non monetarie dell’impatto sullo sviluppo umano e sul benessere dei residenti di una spesa che includa le priorità infrastrutturali di Calabria e Sicilia, come il potenziamento dell’accessibilità dei sistemi aeroportuali regionali, per interconnettere gli scali con le altre modalità di trasporto; l’estensione dell’alta velocità ferroviaria fino a Reggio Calabria e all’interno dell’isola, per ridurre i tempi di collegamento con le altre regioni; l’ammodernamento della SS 106, per risolvere problemi storici di sicurezza e migliorare l’accessibilità dei centri urbani dell’entroterra, l’adeguamento della linea ferroviaria jonica, con interventi di velocizzazione ed elettrificazione, il potenziamento generale di tutta la linea ferroviaria siciliana, visto che sono addirittura 1.267 i km di linee a binario unico in questa regione, l’85% del totale di 1.490 km, e non sono elettrificati 689 km, pari al 46,2% del totale.

Detto questo, persino le stesse analisi esistenti sugli effetti del Ponte sono molto ambigue e, al netto delle facili euforie dei politici sostenitori dell’infrastruttura, abbastanza deludenti.

Perfino Unimpresa sostiene che le ricadute economiche sulle regioni interessate, secondo le proiezioni attuali, restano modeste: per la Sicilia l’impatto sul PIL (circa 100 miliardi annui) sarebbe inferiore all’1% annuo; per la Calabria, regione con un PIL più contenuto (circa 40 miliardi di euro), la ricaduta si attesterebbe tra l’1,4% e il 2,3%, ben lontano da stime iperboliche superiori al 100%.

Lavoce.info, non certo un sito di ispirazione comunista, nel 2024 ha fatto notare che, all’interno dell’analisi costi-benefici del Ponte nei primi dieci anni, i benefici economici, dati dalla somma di risparmi di tempo e riduzione di costi operativi dei mezzi di trasporto, assommano ad appena 9,1 miliardi. Desta più di una perplessità, però, «il fatto che i risparmi di tempo per i veicoli merci siano stimati, nel primo anno di esercizio, pari a 365 milioni, ossia quasi il triplo rispetto a quelli per i passeggeri, nonostante che il numero di mezzi pesanti che oggi si servono dei traghetti sia intorno alle 800 mila unità, contro più di dieci milioni di persone che ogni anno attraversano lo Stretto».

In sintesi, questa grande opera, dai benefici mai ben chiariti, genererà un profitto sicuro a tutta la filiera imprenditoriale coinvolta nella sua progettazione e nella sua costruzione, e per le imprese in generale, mentre distoglierà denaro e risorse da investimenti che avrebbero un impatto enorme sulla qualità della vita dei ceti popolari di Calabria e Sicilia.

A queste considerazioni di carattere contabile c’è da aggiungere il fatto che, come si evince dal progetto, il Ponte non supererebbe i 65 m di altezza; siccome alcune grandi navi portacontainer superano questa altezza, è probabile che il porto di Gioia Tauro verrebbe tenuto fuori dal passaggio di alcune tratte commerciali a favore di altri porti del nord – ad esempio, nel 2023 sono state 20 le navi con altezza superiore a 65 metri transitate nello Stretto di Messina. Uno dei tanti elementi che ha spinto la Lega a divenire lo sponsor principale dell’opera potrebbe coincidere, perciò, addirittura con una aleatoria strategia competitiva delle compagnie della logistica del nord, che andrebbe di pari passo con gli interessi delle imprese coinvolte nella costruzione del Ponte, nel quadro del fisiologico scontro tra capitali interno all’economia del nostro Paese. Questo spiegherebbe anche il curioso cambiamento di opinione del leader della Lega, che fino almeno al 2016 avversava la costruzione del Ponte sullo Stretto.

Da dove arrivano i soldi per l’opera

Le risorse finanziarie per la costruzione del Ponte sullo Stretto sono il frutto di stanziamenti e tagli di bilancio che precludono l’utilizzo di fondi per investimenti più utili alla comunità.

La Legge di Bilancio e il decreto Milleproroghe, per esempio, hanno ridotto di 1,7 miliardi le risorse destinate alle Province, con una sforbiciata che solo per il 2025 supera il 70% delle somme inizialmente assegnate. Sul triennio, invece, la riduzione sfiora il 50%. Le risorse sottratte, denunciano le Province, sarebbero state dirottate verso la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina e il Terzo Valico, anche se il ministro Salvini, da Genova, ha negato un legame diretto con l’opera calabro-siciliana. Tuttavia, i numeri parlano chiaro: per il solo biennio 2025-2026 sono 385 milioni i fondi da ripristinare. Le altre risorse vengono invece, per 6,962 miliardi direttamente dal bilancio statale, per 4,600 miliardi dal Fondo per lo Sviluppo e per la Coesione (FSC) centrale, il principale strumento del governo italiano di finanziamento e attuazione delle politiche di riduzione degli squilibri economici e sociali sul territorio nazionale, 1,600 miliardi dal FSC Sicilia e Calabria, di cui 300 milioni dalla Calabria e 1,3 miliardi dalla Sicilia e, infine, 370 milioni da risorse della società Stretto di Messina.

Si tratta, quasi completamente, di risorse il cui utilizzo viene deciso dagli organismi politico-tecnici del Governo. Il CIPESS, ad esempio, nella sua funzione di organo di indirizzo e coordinamento della politica economica, delibera l’assegnazione delle risorse del FSC alle diverse amministrazioni centrali e regionali.

Le vere emergenze per i proletari in Calabria e Sicilia

Quando si parla di utilità strutturale del Ponte sullo Stretto ci si riferisce, abbiamo detto, principalmente a quella delle aziende, non a quella degli abitanti dei luoghi interessati.

Questo anche perché, per agevolare l’attraversamento dello Stretto di Messina dei lavoratori pendolari (la stragrande maggioranza delle persone che lo attraversano quotidianamente) e fare guadagnare loro tempo non serve una spesa che corrisponde alla metà di una legge di bilancio, servono degli accorgimenti sulla pianificazione dei trasporti pubblici.

Una delle strade provinciali dissestate in provincia di Cosenza

Innanzitutto, non può non saltare all’occhio del viaggiatore calabrese il perenne dissesto del manto stradale dei tracciati sotto la competenza provinciale – mentre, dall’altra parte, ANAS avrebbe una capacità sia finanziaria che di pianificazione organica che permetterebbe una cura delle rete stradale inarrivabile dagli enti locali.

Ma i veri problemi per chi si muove tra le due sponde, come viene spesso ravvisato, riguardano l’assenza di una regia che stabilisca le coincidenze tra navi, autobus, treni e vada a colmare l’assenza di collegamenti in alcuni orari. Per aiutare i pendolari occorrerebbe, innanzitutto, coordinare l’offerta dei diversi servizi per semplificare gli spostamenti e gli scambi tra treni, autobus locali e regionali e traghetti. L’assenza di coincidenze è particolarmente penalizzante, con tempi di attesa rilevanti: ad esempio, in Sicilia questa situazione si verifica sulle direttrici Messina-Palermo e Messina-Catania, nonostante siano molto frequentate. Riorganizzando gli orari dei traghetti a Messina e a Villa San Giovanni si potrebbero garantire tempi di attesa praticamente azzerati. Negli scorsi anni, lo spostamento dei traghetti FS Bluferries dal porto storico di Messina a quello di Tremestieri ha penalizzato lo spostamento di migliaia di pendolari sulle due sponde, che non hanno più usufruito di un trasporto pubblico garantito da Ferrovie dello Stato. Dal 2015 si è aggiunta un’altra nota negativa vista l’interruzione dell’interlining, ovvero della possibilità di utilizzare il biglietto di una compagnia su qualsiasi nave, data la presenza di più gestori. Bisognerebbe poi garantire che ci siano accordi per cui in tutte le città, a partire da Messina e Reggio Calabria, si possa usufruire del trasporto pubblico locale con biglietti e abbonamenti integrati con il trasporto ferroviario.

Ci sono poi tante linee che avrebbero un enorme potenziale, sia per il pendolarismo lavorativo che scolastico, ma che al momento non esistono, sono sospese o vedono transitare pochissimi treni al giorno perché in attesa di lavori infrastrutturali. In Calabria, secondo Legambiente, ad esempio, «sarebbe importantissimo intervenire per riattivare le linee a scartamento ridotto che da Gioia Tauro portano a Palmi e a Cinquefronti. La linea Gioia Tauro-Palmi, di circa 9 km, è sospesa al traffico dal 2011 a causa di una frana ed è stata sostituita da corse di autobus; storia simile per la Gioia Tauro-Cinquefrondi, di 32 km, sospesa dal 2011 per motivi di sicurezza e che attraversa centri importanti come Rizziconi e Taurianova. Viste le caratteristiche dei territori attraversati dalle linee, urbani e peri-urbani e con un’enorme potenzialità di bacino d’utenza, diventerebbe di grande utilità la loro conversione in sistemi tram-treno che permetterebbero un servizio frequente e affidabile, con frequenze di 30 minuti, servendo anche il futuro Ospedale della Piana di Gioia Tauro. Un sistema simile è quello presente a Catanzaro e in ampliamento nel corso dell’anno, e nelle aree di Sassari e Cagliari in Sardegna, con costi di gestione quasi dimezzati rispetto a quelli del servizio ferroviario “classico”».

Un altro intervento fondamentale per la mobilità delle aree urbane calabresi riguarderebbe Reggio Calabria, dove la linea che dovrebbe collegare tutto il litorale da Rosarno a Melito di Porto Salvo non vede al momento alcun treno diretto. La linea ha invece un potenziale enorme, se potenziata con corse ogni 15 minuti, perché permette il collegamento tra i centri della costa tirrenica e quelli della costa jonica, partendo proprio da Rosarno.

A proposito del collegamento Tirreno-Jonio nella zona di Rosarno, c’è da segnalare la chiusura notturna della galleria Limina (del tratto che collega al Tirreno la zona della Locride) per lavori di risanamento dell’arteria. Ad oggi, la Limina rimane l’unico collegamento dell’area, se è chiuso quello è, praticamente, chiuso tutto. Si tratta di lavori di messa in sicurezza e ristrutturazione straordinaria che stanno determinando la deviazione del traffico su strade alternative alla Statale 682, con enormi disagi e paura è quella di un lungo isolamento che danneggia i tanti centri interessati. La strada statale 682, denominata Strada Grande Comunicazione “Jonio-Tirreno” è un’arteria indispensabile per i collegamenti della regione Calabria. In particolare per gli abitanti della Locride essa svolge un compito vitale, estremamente utile in considerazione di molti fattori che nel tempo hanno causato un totale abbandono e un concreto e triste isolamento. Non esistono infatti linee ferroviarie che colleghino la Locride al resto del mondo.

Per migliorare la vita a migliaia di proletari che vivono a ridosso dello Stretto basterebbero cifre sull’ordine dei milioni di euro, e si potrebbero spendere i circa 15 miliardi destinati al Ponte per investire in istruzione e sanità pubbliche, ad esempio. Chiaramente, l’obiettivo di chi fa costruire il Ponte non è migliorare la vita ai proletari che vivono tra Calabria e Sicilia ma incrementare i profitti delle compagnie che fanno trasporti di merci di lunga percorrenza oltre, ovviamente, quelli delle imprese  che si occuperanno della realizzazione stessa dell’opera.

Alle esigenze immediate della popolazione calabrese vogliamo aggiungere la risoluzione delle contraddizioni che la crescente privatizzazione del trasporto pubblico locale sta provocando – e che coinvolge aziende che, anche quando trattano linee a lunga percorrenza, sfruttano i dipendenti e investono solo se e dove conviene al loro margine di profitto e non secondo l’utilità collettiva.

Come abbiamo fatto notare tempo fa, in Calabria attualmente vige un regime di concessione: l’ente pubblico concede a un gestore privato un pacchetto di chilometri. La confusione e la mancanza di un’adeguata programmazione regionale, tuttavia, esacerba il carattere anarchico e disordinato della gestione privata. Il comune, generalmente, è il proprietario dell’azienda ma per il servizio potrà decidere ben poco, perché i chilometri e i finanziamenti li dà la regione. Ma questo non significa che ci sia omogeneità e armonizzazione dei servizi. Anche perché i privati sono prevalentemente a conduzione familiare, piccoli e poco efficienti, e questo rende le cose ancora più complesse e alla mercé degli interessi dei piccoli imprenditori. Si era progettato, tempo fa, un bacino unico regionale ma è stato sostenuto che, a causa della conformazione della regione, ciò non fosse possibile. Sta di fatto che in Calabria c’erano ben 95 aziende di trasporto diverse nel 2000; con la formazione dei consorzi, poi, sono stati formati 6 consorzi, ma all’interno dei consorzi operano sempre le vecchie aziende che ognuno gestisce con la sua propria logica. Quello che manca, invece, è un’unica testa pensante ed un sistema centralizzato e pubblico non sottomesso alle logiche di profitto a breve termine.

La Sicilia è piena di stazioni e tratti ferroviari dismessi

Per quanto riguarda la Sicilia, si deve innanzitutto segnalare che le strade provinciali dell’isola presentano uno stato simile a quelle della Calabria e, soprattutto, esiste nella regione una situazione simile per quanto riguarda la concessione quasi totale ai privati della gestione del trasporto pubblico locale. Particolarmente arretrate sono, però, in Sicilia, le linee ferroviarie. La linea Caltagirone-Gela, per esempio, è interrotta dal 2011 a causa del crollo del ponte nei pressi di Piano Carbone. La linea Palermo-Trapani (via Milo), è ancora chiusa dal 2013 a causa di alcuni smottamenti di terreno. I lavori di ripristino sono in ritardo e la linea sarà riattivata a dicembre 2025, stando all’ultimo cronoprogramma, mentre a novembre 2026 l’intera tratta sarà elettrificata. Non va dimenticato poi che esistono ancora situazioni come quelle del tragitto tra Ragusa e Palermo, dove si trovano solo 3 collegamenti ferroviari al giorno, tutti con un cambio, che impiegano 4 ore e 23 minuti per arrivare a destinazione (addirittura la situazione è peggiorata rispetto alle 4 ore impiegate nel 2017).  La ferrovia della costa jonica attende da molti anni lavori di potenziamento e raddoppio. In particolare va sottolineata la storia della linea Messina-Catania, con il raddoppio Giampilieri-Fiumefreddo, dove proprio lo scorso 23 marzo è stato inaugurato il cantiere sulla tratta Taormina-Fiumefreddo, in ritardo di venti anni dopo numerosi rinvii e ritardi burocratici. Si aggiungono due opere importanti ma che ancora non hanno tutti i finanziamenti necessari alla loro realizzazione: la velocizzazione della linea Catania-Siracusa, dal costo totale di 137 milioni di euro, per la quale mancano ancora 44 milioni, e la velocizzazione della Siracusa-Ragusa-Gela, per la quale il fabbisogno è di 200 milioni di euro e non c’è alcun finanziamento.

Conclusioni

Il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina rappresenta un modo per distogliere risorse e attenzione dalle reali emergenze che i lavoratori e la maggior parte della popolazione di Calabria e Sicilia stanno vivendo in tema di infrastrutture e viabilità. Queste emergenze hanno soprattutto a che fare con la trascuratezza della rete stradale provinciale e comunale, con la situazione caotica e inefficiente che segue al regime concessorio ai privati del servizio di trasporto pubblico locale e, in generale, alla carenza storica di investimenti pubblici nella viabilità. Ecco perché delle prime rivendicazioni immediate e urgenti da portare avanti potrebbero essere il trasferimento alla gestione statale, tramite ANAS, delle strade provinciali e comunali attualmente abbandonate per carenza di fondi degli enti locali; la costruzione di una società pubblica regionale che gestisca e coordini i servizi di trasporto pubblico locale attualmente gestiti dai privati e, naturalmente, il dirottare le risorse statali attualmente utilizzate per il finanziamento di guerra, spese militari e Ponte sull’ampliamento della linea ferroviaria delle regioni svantaggiate e su interventi sulla qualità delle strade. Si tratta di rivendicazioni che potranno assumere in senso concreto soltanto nel momento in cui i ceti popolari calabresi e siciliani non si limiteranno più al mero dissenso di opinione ma passeranno ad azioni contestatorie reali sul territorio.

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Domenico Cortese

Domenico Cortese, nato a Tropea nel 1987, dottore di ricerca in Filosofia e Storia. Gestisce il blog Il Capitale Asociale su FB e IG, è membro del comitato centrale del Fronte Comunista, in cui milita dalla sua fondazione. Collabora con L'Ordine Nuovo su argomenti di economia e attualità.

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