In merito al “caso Fiano”, e alle contestazioni organizzate dal Fronte della Gioventù Comunista insieme ad altre realtà studentesche all’università di Venezia, riceviamo e pubblichiamo una risposta, da parte della Segreteria Nazionale del Fronte della Gioventù Comunista, all’accusa di antisemitismo mossa da Ruth Dureghello, ex presidente della Comunità Ebraica Romana.
Un paio di giorni fa sul quotidiano La Stampa è stata pubblicata una lunga intervista a Ruth Dureghello, ex presidente della Comunità Ebraica Romana. Nell’intervista la Dureghello condanna la contestazione a Fiano sostenendo che “una certa sinistra non è immune da forme di intolleranza ma soprattutto di antisemitismo”, affermando con riguardo ai contestatori – dunque al FGC – “io sono certa che siano antisemiti” invocando misura più severe e repressione nelle università e affermando infine che “una parte dell’opinione pubblica vorrebbe esclusivamente una presa di posizione contro Israele delle comunità ebraiche e la pretendono sulla base di un principio antisemita per cui gli ebrei italiani debbano rispondere della azioni d’Israele.”
Tra le tante affermazioni false ricevute sul nostro conto in questi giorni (si spazia da Cuperlo, al giornalista Buccini del Corriere della Sera, ai titoloni di Libero, e centinaia di altri), cui stiamo rispondendo a suon di richieste di rettifiche, abbiamo deciso di rispondere direttamente alle affermazioni della Dureghello perché esemplificative della mistificazione in atto e condensato di gran parte delle questioni aperte.
Innanzitutto, lo precisiamo anche qui se ce ne fosse bisogno. No, non siamo antisemiti. No, Fiano non è stato contestato “in quanto ebreo”, ma per le sue posizioni politiche di sostegno ad Israele, per aver negato la presenza di un genocidio in atto per tentare, con l’operazione “Sinistra per Israele”, di legittimare “da sinistra” il sostegno ad Israele e la propaganda incessante che, specie negli ultimi due anni, è stata rilanciata a reti pressoché unificate. Una delle tante contestazioni effettuate in questi mesi, che però ha scatenato un finimondo frutto di voluto fraintendimento, per tentare di assestare un colpo al movimento solidale con la Palestina e tirare la volata all’approvazione del d.d.l. liberticida firmato Gasparri rispondendo così alle direttive della propaganda israeliana.
L’antisemitismo appartiene ad altre aree politiche. Il nostro antisionismo e la critica ad Israele non hanno nulla a che fare con l’antisemitismo. Quando scegliemmo il nome della nostra organizzazione “Fronte della Gioventù Comunista” intendemmo omaggiare l’organizzazione dei giovani partigiani fondata e guidata dal comunista Eugenio Curiel, ucciso dai fascisti. Curiel era ebreo, come lo erano centinaia di partigiani e come lo sono stati e lo sono tutt’oggi migliaia di comunisti. Basterebbe questo per rilevare l’assurdità dell’accusa che ci viene rivolta.
Proseguendo oltre nella sua intervista, nessuno, tantomeno noi, ha mai chiesto “agli ebrei italiani di rispondere delle azioni di Israele”, fatto che avrebbe – ha ragione su questo – una connotazione antisemita. Il punto è l’esatto inverso.
Da tempo le comunità ebraiche italiane si sono trasformate in ambasciate di Israele, sposandone peraltro le posizioni più reazionarie. Basta citare il discorso che proprio Lei tenne nel 2023 in occasione della visita del primo ministro Netanyahu a Roma. Si legge: “…le posso assicurare che la Comunità Ebraica di Roma non solo non ha mai dimenticato Gerusalemme, ma come nessuna comunità nella diaspora ha saputo fare, è sempre stata e sarà dalla parte dello Stato ebraico, della sua capitale Gerusalemme, unica e indivisibile […] Il compito di una Comunità è quello di aiutare Israele a difendersi dai tentativi di delegittimazione […] con il cuore e lo sguardo sempre rivolto a Gerusalemme di cui sosteniamo con convinzione il riconoscimento da parte del Governo italiano come capitale dello Stato d’Israele […] La nostra vicinanza ad Israele, al suo popolo e alla sua democrazia non può essere messa in discussione, siamo necessari l’uno per l’altro. La forza d’Israele è negli ebrei della diaspora e la forza degli ebrei nella diaspora è lo Stato d’Israele”.
Non si tratta quindi di chiedere agli ebrei italiani di prendere posizione contro Israele, ma di prendere atto – con grande rammarico – che la maggioranza degli ebrei italiani e delle istituzioni che li rappresentano ha scelto di schierarsi convintamente dalla parte di Israele senza se e senza ma; di sostenere che in Palestina non è in corso un genocidio; di giustificare i crimini israeliani in ottica di giusta reazione, arrivando persino a sostenere la rivendicazione di Gerusalemme unica e indivisibile come capitale di Israele (incluso un territorio, quello di Gerusalemme est, palestinese). Sono sue parole, come quelle con cui finì per tacciare di antisemitismo anche il Papa quando parlò di genocidio in Palestina.
Di fronte a tali posizioni politiche, non si può pretendere “in quanto ebrei” di essere immuni a critiche, o contestazioni. Non lo si può pretendere in virtù delle storie e del vissuto familiare delle persecuzioni nazifasciste subite dai propri cari, di cui nutriamo profondo rispetto al pari del rispetto che tributiamo a tutte le vittime del nazifascismo (i comunisti erano dall’altra parte della barricata in prima fila e a loro volta vittime della persecuzione nazifascista). Non lo si può pretendere in nome dell’Olocausto, proprio perché se la storia insegna qualcosa è a non voltare lo sguardo dall’altra parte rispetto ai crimini commessi a danno dei popoli. Oggi questo ci impone di non voltare lo sguardo rispetto ai crimini di Israele.
Non serve girarci intorno, come la società civile israeliana, anche la maggioranza degli esponenti delle comunità ebraiche italiane oggi esprimono sentimenti apertamente nazionalistici e di destra; da società/comunità tendenzialmente laiche e progressiste si sono tramutate in campi identitari, isolazionisti e con idee marcatamente di destra. Non è un caso che la sintonia sia oggi con partiti di destra, alcuni dei quali eredi del fascismo. Tanto che le poche posizioni contrarie, o anche soltanto di non incondizionata adesione – che timidamente sono uscite in questi mesi – sono state isolate e chi le ha espresse è stato bollato come traditore. Una posizione denunciata, del resto, anche da diversi ebrei, ad ulteriore riprova di come non ci sia alcuna contraddizione tra l’essere ebrei ed essere antisionisti ed esprimere aspre critiche all’operato di Israele. Gli esempi sono molteplici: oltre a Moni Ovadia si potrebbero citare accademici e intellettuali come Ilan Pappè o Norman Finkelstein, o realtà come Voce ebraica per la pace.
Indicativo è anche l’atteggiamento sul 25 aprile. Le comunità ebraiche italiane avrebbero potuto rivendicare la storia e la memoria di tanti partigiani ebrei che combatterono nelle file delle brigate partigiane. La Resistenza unì sulla base del credo politico e dell’ideale comune di liberazione del Paese e rappresentò in concreto un superamento della divisione razziale imposta dal fascismo. Invece si è preferito costruire il caso “Brigata Ebraica”, appigliarsi a un elemento estraneo alla resistenza italiana, con una connessione evidente con Israele per divenire anche in quest’occasione megafono della propaganda israeliana.
In conclusione, sappiamo bene che l’accusa di antisemitismo a noi rivolta è falsa e strumentale e risponde alla strategia che lo Stato di Israele riserva e chiede di riservare a chiunque attacchi la sua politica criminale. Perché è l’unica strategia che attua per difendere l’indifendibile. Un’ulteriore triste dimostrazione risale a soli tre giorni fa, quando la presidente dell’UCEI Noemi di Segni, a margine di una (scarsamente partecipata, ma molto sponsorizzata…) manifestazione a sostegno dell’operato di Israele ha tuonato contro l’ONU, arrivando ad affermare che l’Organizzazione delle Nazioni Unite farebbe “da guardia del corpo di Hamas”. Queste sono le definizioni che vengono affibbiate a chiunque non si presti a dare copertura all’ingiustificabile condotta di Israele. La stessa accusa è stata, poi, lanciata nei confronti di Francesca Albanese, definita anche “un’anima oscura”. Un’operazione di costante delegittimazione a priori di chiunque osi contestare l’operato di Israele, evitando sistematicamente di entrare nel merito delle questioni (o, caso di Francesca Albanese, di quanto riportato nel rapporto presentato all’ONU), nascondendosi quasi sempre dietro l’uso pretestuoso, ingiustificato e svilente del termine “antisemitismo” e attraverso la strumentalizzazione dei sopravvissuti all’Olocausto, la cui tragedia umana non capiamo come possa essere condizione per potersi esprimere rispetto al genocidio in Palestina. Pensiamo che queste affermazioni parlino da sole.
Facciamo nostre le parole con cui, sulle colonne dell’Unità, un comunista romano, ebreo, metteva in guardia da “chi ha interesse a confondere cose ben separate e distinte – lo Stato di Israele e l’atteggiamento nei confronti del popolo ebraico – allo scopo di far leva sui ricordi dolorosi o su non sopiti complessi di colpa e alimentare così un moto dei sentimenti, volto a fini ben precisi”. Era il 1967, anche lui venne ostracizzato dalla comunità ebraica romana.
Oggi Israele è uno stato segregazionista, fondato sull’etno-nazionalismo per legge[1]; non una piccola vittima tra i paesi arabi, ma una potenza nucleare che viola sistematicamente il diritto internazionale, agisce in spregio ad ogni principio morale e giuridico, che uccide, imprigiona arbitrariamente, tortura. Non rinunceremo alla nostra posizione per le vostre invettive.
Ma soprattutto vi invitiamo a riflettere su un tema: tacciare tutto di antisemitismo, per mascherare l’assenza di argomenti o peggio per perseguire secondi fini, non farà buon servigio alla lotta all’antisemitismo. Equiparare l’intero mondo ebraico ad Israele, unendone il destino di fronte ai crimini di Israele, non farà buon servigio alla lotta all’antisemitismo. In una società sempre più priva di corpi intermedi, capaci di decodificare ed elaborare tesi politiche, rischiano di passare semplici equiparazioni. E i vettori principali di queste equiparazioni sono proprio quelli che oggi tacciano noi di antisemitismo per non fare i conti con i crimini di Israele e coprirli. Dal canto nostro sappiamo distinguere e faremo di tutto perché si continui a farlo.
Segreteria Nazionale del Fronte della Gioventù Comunista
[1] Con una legge del 2018 la Knesset ha formalizzato la definizione dello Stato di Israele come “Casa nazionale del popolo ebraico”








