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Capitale/lavoro
Home›Capitale/lavoro›Lo Stato, il Governo e il parassita

Lo Stato, il Governo e il parassita

Di Redazione
02/08/2020
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Abbiamo più volte evidenziato sulle nostre pagine come il capitale italiano, la classe imprenditoriale che lo rappresenta, abbia sfruttato l’emergenza COVID-19, per ottenere vantaggi attraverso agevolazioni governative e/o sgravi fiscali.

Abbiamo più volte evidenziato sulle nostre pagine come il capitale italiano, la classe imprenditoriale che lo rappresenta, abbia sfruttato l’emergenza COVID-19, per ottenere vantaggi attraverso agevolazioni governative e/o sgravi fiscali. Favorendo invece la socializzazione delle perdite, ed innestando anche il meccanismo che contribuisce all’abbassamento dei salari, o peggio ancora alla perdita di reddito per i lavoratori.

A conferma di ciò è sufficiente rilevare dei dati, provenienti da fonti governative, fonti non certo espressione delle istanze della classe lavoratrice.

Nel corso di un’audizione parlamentare tenutasi il 28 luglio u.s. il prof. Giuseppe Pisauro, presidente dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, e già professore ordinario di Scienza delle Finanze all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, ha illustrato le conclusioni dell’UPB, rivenienti dall’incrocio dei dati monitorati dall’INPS, con quelli relativi alla fatturazione elettronica estratti dall’Agenzia delle Entrate.

Vengono confrontati elementi relativi al 1° semestre 2020 rispetto ad analogo periodo dell’anno 2019.

Ne emerge il seguente dato: solo un terzo della CIG, CIG in deroga e fondi della solidarietà bilaterali è stato utilizzato da imprese con una perdita di fatturato del 40% o superiore.

Ma il dato più impressionante è che un quarto delle ore CIG è stato tirato da imprese che non hanno subito alcuna riduzione di fatturato. Ne deriva una conclusione: le imprese hanno usufruito di agevolazioni, garantendosi un profitto ulteriore e parassitario, risparmiando sul costo del lavoro e speculando sull’emergenza COVID-19; i lavoratori hanno subito la riduzione del 27% del loro stipendio, parte che non verrà mai loro restituita, il resto lo paghiamo noi.

Inoltre, la stabilità di fatturato di queste aziende suggerisce che i lavoratori hanno continuato a prestare la loro attività lavorativa da remoto (smart-working) o in presenza. E questo sarebbe una beffa ulteriore.

Altro dato che emerge dalla lettura del testo di sintesi dell’audizione parlamentare è che nel trimestre marzo-maggio le integrazioni sono state utilizzate per poco più di 1,1 miliardi di ore, crescendo drasticamente tra aprile e maggio con un picco di 590 milioni ad aprile e un forte rallentamento nei mesi successivi.

I lavoratori che alla data del 5 luglio hanno percepito almeno una integrazione salariale COVID-19 (inclusi quelli che avrebbero potuto riceverle anche in assenza della normativa introdotta dai decreti anti crisi) sono pari a 5,5 milioni. Interessante il dato che emerge sulla tipologia di aziende interessate all’utilizzo della CIG, e che non avrebbero subito cali di fatturato: un 20% si concentra nel settore della manifattura, un 30% nel settore dei servizi.

Secondo l’indagine studio “Le imprese, i Lavoratori in cassa integrazione COVID nei mesi di marzo e aprile”, condotta dalla Direzione Centrale Studi e Ricerche dell’INPS n collaborazione con Bankitalia, si è verificato che ogni impresa che ha usufruito della CIG ha risparmiato euro 1.100 per dipendente. Per le piccole imprese l’importo medio risparmiato a bimestre, grazie alla riduzione dell’orario di lavoro è stata di Euro 3.900.

Ogni lavoratore in media ha visto ridurre le ore di lavoro mensile di 156 ore, pari al 90% dell’orario mensile. (173 ore tra marzo e aprile). Questo nelle aziende che operano nei settori definiti “non essenziali”.

Nel prossimo decreto governativo, che verrà emanato ad agosto, è prevista una stretta sui criteri di erogazione della CIG, per ulteriori 18 settimane. Per accedere alla cassa CIG (che continuerà a essere pagata dallo Stato) le imprese dovranno avere un calo di fatturato che sia uguale o superiore al 20% nel 1° semestre dell’anno. L’alternativa è una decontribuzione del 100%, per quattro mesi. Che significa che le aziende non dovranno versare contributi all’INPS.

Questa misura non dovrebbe avere carattere retroattivo, mentre la perdita di stipendio degli operai in CIG, di cui sopra ho fatto cenno, non verrà mai restituita.

Da un governo asservito alle condizioni dettate da Confindustria non potevamo aspettarci altro.

Il panorama del mondo del lavoro non promette nulla di buono per la classe lavoratrice, che dovrà pagare ancora una volta i regali che questo, come gli altri governi che l’hanno preceduto, ha elargito alla classe imprenditoriale, vero parassita sociale.

 

Daniela Giannini

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