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Home›Capitale/lavoro›Primi fondi del PNRR, a chi vanno?

Primi fondi del PNRR, a chi vanno?

Di Domenico Moro
26/07/2021
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La crisi in corso è la più profonda dalla fine della Seconda guerra mondiale. Per affrontarla, la Ue ha messo in campo NextGenerationEu, il più grande piano di intervento della sua storia incentrato sul dispositivo di ripresa e resilienza, che mette a disposizione dei Paesi Ue 673 miliardi, di cui 313 in sovvenzioni e 360 in prestiti. Una parte dei fondi saranno recuperati dalla Commissione europea emettendo propri titoli di debito con come garanzia il proprio bilancio. La politica espansiva della Ue rappresenta, almeno per il momento, un cambio di marcia rispetto alla strategia, basata sull’austerity, con cui erano state affrontate la crisi dei mutui subprime nel 2008-2009 e quella del debito pubblico nel 2011-2012. L’Italia, come gli altri paesi europei, ha dovuto inviare alla Commissione europea un Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), suddiviso in 6 missioni (digitalizzazione, rivoluzione verde, infrastrutture sostenibili, istruzione e ricerca, inclusione e coesione sociale, sanità), che mette nero su bianco gli interventi da finanziare e che è stato approvato dalla Commissione europea.

Bisogna, però, rilevare che gli stanziamenti della Ue saranno erogati solo se l’Italia avrà dimostrato di rispettare l’implementazione delle riforme richieste dall’Europa. Inoltre, bisognerà vedere quanto l’importo di spesa sia adeguato alla inedita situazione di crisi e soprattutto bisognerà capire a chi andranno i fondi del PNRR nazionale.

Cominciamo col dire che l’importo previsto dall’Ue non è così grande come si pretende. La spesa contro la crisi di altre aree economiche avanzate è molto più forte, ad esempio in Giappone e soprattutto negli Usa[1].  È significativo che il ministro del Tesoro statunitense, Janet Yellen, sia intervenuta all’ultima riunione dell’Eurogruppo, l’incontro dei ministri finanziari della zona euro, esortandoli a sostenere l’economia con nuovo denaro pubblico: “È importante che gli stati membri prendano seriamente in considerazione ulteriori misure di bilancio per garantire una robusta ripresa interna e globale.” La Yellen, inoltre, ha evocato la necessità di “creare un quadro di bilancio europeo che sia sufficientemente flessibile da permettere ai Paesi di rispondere con forza alle crisi e di investire in infrastrutture sostenibili, ricerca, sviluppo e tecnologia.” Di fatto si tratta di una critica al funzionamento della Ue stessa, basato sui criteri del Patto di stabilità, che prevedono il mantenimento del deficit annuo al 3% e del debito pubblico al 60% del Pil. Si tratta di quelle rigidità che hanno impedito di far fronte alle crisi precedenti. Stavolta, però, i vincoli al deficit e al debito pubblici sono stati sospesi, sebbene momentaneamente.

Il problema sta nel fatto che i vincoli potrebbero essere reintrodotti nel 2022 o comunque troppo presto rispetto alle capacità di ripresa dell’economia europea da una crisi così profonda, anche considerando che lo sviluppo delle varianti del virus può incidere negativamente sulla ripresa in corso. Per queste ragioni l’Eurogruppo dovrà discutere in autunno una eventuale riforma del Patto di stabilità.

Next Generation EU

Ma non c’è solo un problema di entità e durata della nuova politica espansiva che caratterizza la Ue e l’area euro, c’è anche il tema riguardante quali settori e classi sociali beneficeranno dei 191 miliardi del PNRR, dei 13,5 miliardi del Programma ReactEu e dei 30 miliardi del Fondo complementare. Per averne una idea, vediamo come si distribuiranno le spese dell’anticipo che l’Italia riceverà quest’anno. L’anticipo ammonta a 25 miliardi, di cui il 63% riguarda interventi che il PNRR prevede di concludere quest’anno. Si tratta di 15,7 miliardi per il 2021. Di questi 13,79 miliardi sono gli investimenti finanziati dalla Recovery and Resilience Facility e 1,91 miliardi sono le spese dell’anno scorso che le risorse possono coprire ex post come da regolamento europeo. I progetti previsti nel 2021 saranno 105, ma già dal 2022 aumenteranno a 167 per un totale di 27,6 miliardi, raggiungendo il picco nel 2024 con 176 progetti e 42,7 miliardi. Sarà importante attuare questi primi investimenti, perché la Commissione dovrà verificare l’avvenuta spesa e, se il percorso di attuazione non verrà rispettato, si rischierà di perdere i finanziamenti a consuntivo. Dal momento che è difficile spendere tra luglio e dicembre di quest’anno 13,79 miliardi in progetti ex novo, questi fondi saranno investiti in interventi già in corso d’opera.

Le imprese saranno le maggiori beneficiarie dei fondi europei. Infatti, per i progetti della missione 1, digitalizzazione, innovazione e competitività, si spenderanno 4,35 miliardi, di cui 2,6 miliardi in sovvenzioni e 1,7 di prestiti. La maggiore spesa sarà quella di 1,7 miliardi per il progetto Transizione 4.0, che contempla incentivi fiscali alle imprese per investimenti materiali e immateriali.

Transizione 4.0 è la prosecuzione di Industria 4.0, che negli anni precedenti aveva permesso alle imprese di aumentare gli investimenti in nuovi macchinari e strumenti di lavoro in una fase di sovraccumulazione di capitale e di sottoinvestimento. La prima tranche di 1,7 miliardi è una quota del pacchetto complessivo di 13,4 miliardi, cui si aggiungono le risorse del Fondo complementare nazionale. Il governo ha fornito delle stime sulle imprese interessate a Transizione 4.0. Si prevede che potrebbero beneficiare del provvedimento almeno 91mila imprese fino al 2022. Ben 68.400 imprese effettueranno investimenti agevolati in beni strumentali 4.0 (26.900 in beni materiali, l’ex “iperammortamento”, e 41.500 in beni immateriali, quindi sostanzialmente software). La seconda voce per entità è il rifinanziamento per 1,2 miliardi delle agevolazioni per l’internazionalizzazione delle imprese, gestita dalla Simest, la società di Cassa depositi e prestiti, che sostiene la crescita delle imprese italiane all’estero.

Per quanto riguarda la missione due, la Transizione ecologica, l’anticipo sarà di soli 3,2 miliardi, di cui 2,5 miliardi di prestiti. La voce più importante è rappresentata dagli 1,6 miliardi di cui beneficeranno i comuni per interventi destinati alla messa in sicurezza del territorio e l’adeguamento degli edifici, l’efficienza energetica e i sistemi di illuminazione pubblica. La seconda voce per importanza (461,5 milioni) è il sostegno del superbonus. La missione 3, infrastrutture per una mobilità sostenibile, contempla la spesa di 2,3 miliardi entro la fine del 2021 e andrà in gran parte a finanziare opere già in cantiere come l’alta velocità e il potenziamento della rete ferroviaria nazionale. Per quanto riguarda la missione 4, istruzione e ricerca, quest’anno sono previsti 3 miliardi di spesa, che comprendono: 700 milioni per l’edilizia scolastica, 650 milioni per gli asili nido, 400 milioni per la rimozione dei divari territoriali, 300 milioni per i programmi di rilevante interesse nazionale e 100 milioni per i dottorati innovativi. Per quanto attiene alla missione 5, inclusione sociale e lavoro, si parte invece molto lentamente. Per il 2021 sono previsti solo 400 milioni per le politiche attive del lavoro, mentre non si prevedono investimenti per gli interventi per le famiglie, infrastrutture sociali, comunità e terzo settore. Infine, per la missione 6, il servizio sanitario, sono previsti 1,234 miliardi di spesa per il 2021, che andranno allo sviluppo delle terapie intensive, all’ammodernamento tecnologico degli ospedali (800 milioni tra tutte e due le voci), all’implementazione informatica del fascicolo sanitario (250 milioni) e agli interventi antisismici per la rete ospedaliera (135 milioni).

Concludendo, come possiamo vedere dalle allocazioni dell’”anticipo” che la Ue fornirà all’Italia, a essere più avvantaggiate sono le imprese e il capitale privato, che riceverà la quota maggiore dei fondi, attraverso il finanziamento diretto agli investimenti e all’internazionalizzazione. La disponibilità dei fondi per l’inclusione sociale e il lavoro è significativamente inferiore, nonostante la crisi abbia aumentato la povertà sociale.

[1] Su questo si veda https://www.lordinenuovo.it/2021/03/29/stimoli-anticrisi-le-differenze-fra-usa-ed-eurozona/

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Domenico Moro

Ricercatore Istat, si interessa di statistiche economiche. Ha scritto numerosi volumi, tradotti nelle più importanti lingue europee, tra cui “La gabbia dell’euro, perché uscirne è internazionalista e di sinistra”, “Globalizzazione e decadenza industriale”, “La terza guerra mondiale e il fondamentalismo islamico”, “Il gruppo Bilderberg, l’élite del potere mondiale”, “Nuovo Compendio del capitale”. Scrive anche su riviste italiane ed estere. Da sempre militante nel movimento comunista italiano, oggi dirige la rivista Laboratorio 21.

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